Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 28599 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 28599 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22356/2020 R.G. proposto
da
BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA SPA , in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliata in INDIRIZZO
Oggetto: Contratti bancari -Conto corrente -Nullità -Azione di ripetizione -Sentenza di accertamento del saldo -Ultrapetizione -Esclusione -Anatocismo -Clausola anteriore alla Delibera CICR 9 febbraio 2000 -Successivo adeguamento -Modalità -Apposita pattuizione Necessità
R.G.N. 22356/2020
Ud. 10/10/2025 CC
50-A, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME
-controricorrente – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO BOLOGNA n. 1283/2020 depositata il 18/05/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 10/10/2025 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 1283/2020, pubblicata in data 18 maggio 2020, la Corte d’appello di Bologna, nella regolare costituzione dell’appellata BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA SPA, ha accolto l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia n. 1173/2013 e, per l’effetto, ha accertato l’illegittimità dell’applicazione -sul conto corrente aperto dall’appellante presso l’appellata sia della capitalizzazione sia di interessi debitori al tasso superiore a quello legale sia di commissioni di massimo scoperto e spese di chiusura periodica, conseguentemente accertando un saldo a credito della stessa RAGIONE_SOCIALE di € 188.688,67.
RAGIONE_SOCIALE aveva infatti agito innanzi il Tribunale di Reggio Emilia, deducendo l’illegittima applicazione da parte di BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA SPA di capitalizzazione, di interessi debitori al tasso superiore a quello legale, di commissioni di massimo scoperto e spese di chiusura periodica, in assenza di apposite pattuizioni tra le parti, chiedendo quindi di condannare la Banca al pagamento dell’importo di € 1.166.856,87.
Respinta la domanda da parte del Tribunale, la Corte felsinea, all’esito dell’espletamento di consulenza tecnica d’ufficio, ha accolto il gravame di RAGIONE_SOCIALE, rilevando in particolare che:
-la persistente pendenza del rapporto di conto di conto corrente, se, da un lato, impediva l’accoglimento dell’azione di ripetizione di indebito, dall’altro lato, consentiva, invece, di procedere alla rideterminazione del saldo di conto corrente depurato degli addebiti non dovuti;
-quanto agli interessi passivi, gli stessi risultavano essere stati applicati sulla base di una clausola che richiamava le condizioni usualmente praticate sulla piazza -come tali nulle -avendo le parti concretamente pattuito il tasso di interesse solo nel 2007, dovendosi quindi applicare per il periodo precedente il tasso riconosciuto sui Buoni Ordinari del Tesoro;
-quanto alla capitalizzazione periodica, la stessa risultava parimenti illegittima anche per il periodo successivo alla delibera CICR, non essendo stata neppure successivamente conclusa una specifica pattuizione;
-quanto a commissioni di massimo scoperto e spese di chiusura periodica, le stesse risultavano addebitate sulla base di clausole nulle ed oggetto di successiva variazione unilaterale da parte della Banca;
-andava disattesa l’eccezione di prescrizione sollevata dalla banca convenuta, essendo emerso sulla base di elementi plausibili che il conto era affidato.
La Corte d’appello ha quindi ritenuto di fare proprie le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio, osservando che l’incompletezza degli estratti conto prodotti dall’appellante era stata colmata da altri elementi, quali i conteggi trimestrali delle competenze.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Bologna ricorre BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA SPA.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
Le parti hanno depositato memorie.
Con ordinanza n. 16595/2024, pubblicata in data 13 giugno 2024, questa Corte ‘preso atto che con riguardo alla questione sollevata con il terzo motivo di ricorso in esito alla camera di consiglio tenutasi il 19.3.2024, attesa la ricorrenza nella giurisprudenza di interpretazioni non coincidenti, riconducibili in principalità, da un lato, a Cass. 26769/19 e 9140/20 e, dall’altro, a Cass. 5054/24 e 5064/24, si è ritenuto con ordinanza interlocutoria 8639/24 di rimettere la decisione della causa alla pubbli ca udienza della I Sezione civile’ , ha disposto il rinvio a nuovo ruolo.
Le parti hanno nuovamente depositato memorie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a quattro motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c.
.
Argomenta, in particolare, il ricorso che la Corte d’appello sarebbe pervenuta illegittimamente alla rideterminazione del saldo del conto corrente, non essendo stata formulata sul punto alcuna domanda da parte dell’odierna controricorrente, la quale, invec e, avrebbe agito unicamente per la ripetizione di indebito.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c.,
per avere la Corte d’appello affermato la sussistenza di un interesse della controricorrente all’accertamento del saldo del conto corrente rideterminato disapplicando le clausole illegittime.
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 120 T.U.B. e 2, 6, 7 della Delibera C.I.C.R 9 febbraio 2000, per avere la Corte d’appello ritenuto che, anche a seguito dell a delibera C.I.C.R. l’applicazione della capitalizzazione necessitasse di una specifica pattuizione espressa -non essendo sufficiente l’avviso sulla Gazzetta Ufficiale e la comunicazione al cliente -trattandosi comunque di condizione ‘peggiorativa’ rispetto all’assenza di qualsiasi capitalizzazione.
La ricorrente critica l’orientamento assunto da questa Corte, osservando che ‘si tratta di una lettura che, seppure autorevole, non è condivisibile in quanto pone ingiustificatamente nel nulla l’allora vigente art. 120, comma 2, TUB (aggiunto dall’art. 25, comma 2, D. Lgs. n.342/99 (che si ricorda non è stato dichiarato incostituzionale) nonché la Delibera CICR 9/2/00 nella parte in cui ha dettato la disciplina per l’adeguamento dei contratti in essere.
Difatti, le sopra esposte argomentazioni non trovano giustificazione alcuna nella ratio legis di dette norme né in una interpretazione sistematica delle stesse e, men che meno, nel tenore della sopra menzionata sentenza della Corte Costituzionale’ .
Argomenta la ricorrente che la declaratoria di incostituzionalità che ha investito l’art. 25, comma 3, D. Lgs. n. 342/1999 riguarderebbe solo l’ipotesi di ‘una sanatoria totale per il passato atteso che, da una parte, nessuna argomentazione è stata svolta relativamente alla seconda parte di detta norma che prevede una sanatoria condizionata per il futuro ‘ ed anzi ‘si può tranquillamente affermare che nessuna censura era rivolta alla possibilità di una previsione regolamentare che attuasse
una sanatoria per il futuro (e, quindi, nemmeno al meccanismo di adeguamento previsto attraverso la mera pubblicazione in G.U. e comunicazione della variazione al cliente)’ , con la conseguenza che dovrebbe ritenersi legittimo l’anatocismo ove, nei contratti bancari già in essere, vi sia stato -come nel caso di specie – un adeguamento alle disposizioni CICR 9/2/2000 con il meccanismo di adeguamento previsto attraverso la mera pubblicazione in G.U. e comunicazione della variazione al cliente ai sensi dell’ar t. 7, comma 2, Delibera CICR.
La ricorrente contesta anche che la valutazione del carattere peggiorativo delle condizioni vada operata sulle clausole in genere e non, come sarebbe corretto, sulle condizioni precedentemente applicate, e quindi sul regime dell’anatocismo operante in prec edenza e dichiarato illegittimo.
‘Conclusivamente, l’unica interpretazione corretta di tale normativa diretta a fornire i criteri e le modalità dell’adeguamento dei contratti in corso all’entrata in vigore della Delibera CICR de qua è quella secondo cui, agli specifici fini della valutazi one del carattere ‘peggiorativo’ delle ‘condizioni precedentemente applicate’ si debba far riferimento alla ‘vecchia’ clausola come ‘virtualmente’ valida’ .
1.4. Con il quarto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 117 T.U.B. e 2697 c.c.
Si censura la decisione impugnata nella parte in cui la stessa ha disatteso l’eccezione di prescrizione sollevata dall’odierna ricorrente, affermando che il conto corrente all’origine del contendere era affidato.
Deduce la ricorrente che la territoriale si sarebbe discostata dall’indirizzo di questa Corte per cui la prova dell’affidamento di un conto deve essere fornita producendo il relativo contratto scritto di apertura di credito recante le necessarie condizioni economiche
disciplinanti l’eventuale apertura di credito, non essendo possibile provare detto affidamento per facta concludentia .
Argomenta, quindi, il ricorso che la Corte d’appello, avrebbe non solo erroneamente ritenuto provata l’esistenza dell’affidamento ma avrebbe anche erroneamente gravato la ricorrente stessa dell’onere di fornire prova del carattere solutorio e non ripristinatorio delle rimesse.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
La Corte d’appello felsinea, invero, ha evidenziato che, avendo l’odierna controricorrente formulato domanda di ripetizione delle somme non dovute sul presupposto della invalidità di alcune delle clausole che regolavano il rapporto di conto corrente intrattenuto presso l’odierna ricorrente, tale domanda veniva parimenti a sindacare il ‘presupposto di fatto’ della domanda di ripetizione, e cioè l’annotazione di addebiti non dovuti e, conseguentemente, la errata determinazione del saldo dello stesso conto corrente per effetto di tali indebite annotazioni.
Il ragionamento della Corte d’appello si è, in tal modo, pienamente conformato all’orientamento reiteratamente espresso da questa Corte in materia ed in particolare al principio per cui, in tema di operazioni bancarie regolate in conto corrente, il correntista può esercitare l’azione di ripetizione dell’indebito ex art. 2033 c.c. anche in costanza di rapporto (c.d. “conto aperto”), se avente ad oggetto versamenti di natura solutoria, ma in tal caso ha diritto unicamente al saldo del conto, eventualmente rettificato nelle poste illegittimamente annotate, sicché l’azione di indebito da parte sua, che in presenza di rimesse solutorie si rende proponibile anche se il conto non sia stato ancora chiuso, si risolve solo nella determinazione di un saldo purgato delle annotazioni illegittime, senza alcuna sanzione restitutoria in danno della banca, potendo l’azione di indebito determinare l’obbligo per la banca di
rimborsare le somme illegittimamente incamerate solo una volta che il conto sia chiuso e sia venuta meno la indisponibilità dei singoli crediti, di cui all’art. 1823, comma 1, c.c. (Cass. Sez. 1 – , Ordinanza n. 13586 del 16/05/2024).
Come anche recentemente chiarito, quindi, non è ravvisabile una violazione del principio stabilito dall’art. 112 c.p.c. nell’ipotesi in cui il giudice di merito, nel pronunciarsi su una domanda di ripetizione di indebito, venga invece ad accertare il saldo finale del rapporto di conto corrente, in quanto si deve considerare ‘ che l’azione di ripetizione ex art. 2033 cod. civ. fondandosi, oltre che sull’atto della solutio, sulla mancanza di una valida causa solvendi, postula il previo accertamento anche di quest’ultima, sì che incontrovertibilmente l’azione di condanna che si esercita nella ripetizione dell’indebito racchiude in sé e presuppone anche un’azione di accertamento relativo al saldo del rapporto ‘ (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 21823 del 2025), da ciò derivando, anzi, che, qualora nel corso del giudizio la domanda originariamente proposta di ripetizione di indebito sia sostituita dalla parte con quella di rideterminazione del saldo del conto corrente, previa espunzione degli importi illegittimamente addebitati, tale modificazione può essere operata anche in grado di appello senza porsi in contrasto con l’art. 345 c.p.c., non comportando l’introduzione di una domanda nuova, ma solo una riduzione del petitum , in quanto si deve ritenere -appunto -che la domanda di accertamento del saldo effettivo del conto è già inclusa in quella di ripetizione degl’importi indebitamente trattenuti dalla Banca (Cass. Sez. U, Sentenza n. 19750 del 2025).
In sintesi, quindi, la Corte di merito non è incorsa in alcun vizio di ultrapetizione, in quanto la domanda di rideterminazione del saldo
effettivo del conto corrente era da ritenersi contenuta nella domanda di ripetizione di indebito .
3. Infondato è anche il secondo motivo.
Anche in questo caso la Corte d’appello ha espressamente modellato la propria decisione sul principio da questa Corte enunciato, per cui, in tema di conto corrente bancario, l’assenza di rimesse solutorie eseguite dal correntista non esclude l’interesse di questi all’accertamento giudiziale, prima della chiusura del conto, della nullità delle clausole anatocistiche e dell’entità del saldo parziale ricalcolato, depurato delle appostazioni illegittime, con ripetizione delle somme illecitamente riscosse dalla banca, atteso che tale interesse mira al conseguimento di un risultato utile, giuridicamente apprezzabile e non attingibile senza la pronuncia del giudice, risultato consistente nell’esclusione, per il futuro, di annotazioni illegittime, nel ripristino di una maggiore estensione dell’affidamento concessogli e nella riduzione dell’importo che la banca, una volta rielaborato il saldo, potrà pretendere alla cessazione del rapporto (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 21646 del 05/09/2018).
Si deve anzi evidenziare che il coacervo di diffuse argomentazioni sviluppate nel mezzo omette radicalmente di confrontarsi con il fondamento di tale principio -cui questa Corte intende invece dare continuità -limitandosi al diffuso richiamo ad orientamenti di merito, i quali, a propria volta, omettono di misurarsi con quanto da questa Corte già da tempo argomentato, nel momento in cui è stato rammentato che, in tema di annotazioni illegittime perché derivanti dall’applicazione di clausole nulle, ‘s in dal momento dell’annotazione, avvedutosi dell’illegittimità dell’addebito in conto, il correntista potrà naturalmente agire per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell’addebito si basa e, di conseguenza, per ottenere una rettifica in
suo favore delle risultanze del conto stesso. E potrà farlo, se al conto accede un’apertura di credito bancario, allo scopo di recuperare una maggiore disponibilità di credito entro i limiti del fido concessogli ‘ (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24418 del 02/12/2010 espressamente richiamata da Cass. Sez. 3, Sentenza n. 798 del 15/01/2013).
Va quindi ribadita la sussistenza di un interesse del correntista -anche prima ed indipendentemente della possibilità di agire per la ripetizione di indebito -a dedurre la nullità di singole clausole che vengano a regolare il rapporto di conto corrente, allo scopo di conseguire la corretta rideterminazione del saldo del conto medesimo, atteso che tale rideterminazione viene ad incidere non solo sull’ipotetico saldo finale che potrà essere richiesto dalla Banca alla chiusura del rapporto e non solo -in caso di conto corrente assistito da apertura di credito -sulla corretta determinazione del fido disponibile ma anche su profili generali di altro interesse come, ad esempio nel caso delle società, sulla corretta redazione del bilancio di esercizio, incidendo evidentemente il saldo del conto corrente sulla determinazione dell’attivo o del passivo da indicare in bilancio .
4. Parimenti infondato è il terzo motivo.
La Corte d’appello, nel ritenere inapplicabile il meccanismo di capitalizzazione trimestrale degli interessi per non avere concluso le parti una pattuizione specifica dopo la Delibera CICR 9 febbraio 2000, ha espressamente richiamato l’orientamento elaborato da questa Corte con due decisioni assunte nel 2019 (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 26779 del 2019; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 26769 del 2019).
È, anzi, proprio detto orientamento ad essere diretto oggetto delle critiche sviluppate nel motivo di ricorso, il quale viene ad invocare le diverse opinioni espresse sul punto anche da una parte della giurisprudenza di merito.
Ritiene, tuttavia, questa Corte di dover dare continuità ad un orientamento che, con l’eccezione di un episodico scostamento, ha trovato di recente nuova e convinta conferma.
Già con le citate decisioni del 2019 e con una ulteriore serie di precedenti, infatti, questa Corte aveva enunciato il principio per cui, per effetto della pronuncia di incostituzionalità dell’art. 25, comma 3, D. Lgs. n. 342/1999, le clausole anatocistiche inserite nei contratti di conto corrente conclusi prima dell’entrata in vigore della delibera CICR 9 febbraio 2000 risultano radicalmente nulle, con conseguente impraticabilità del giudizio di comparazione previsto dal l’art. 7, comma 2, della medesima Delibera CICR, teso a verificare se le nuove pattuizioni abbiano o meno comportato un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, sicché in tali contratti perché sia introdotta validamente una nuova clausola di capitalizzazione degli interessi, è necessaria una espressa pattuizione formulata nel rispetto dell’art. 2 della predetta Delibera. (Cass. Sez. 1 – , Sentenza n. 9140 del 19/05/2020; Cass. Sez. 1 – , Ordinanza n. 29420 del 23/12/2020; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 7105 del 2020 ed altri precedenti non massimati, sino alla più recente Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 11725 del 2024).
Questo orientamento sembrava aver subito una revisione per effetto di due decisioni del 2024 (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 5054 del 2024; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 5064 del 2024), le quali avevano affermato invece la possibilità di operare il giudizio di comparazione di cui all’art. 7, comma 2, Delibera CICR tra le nuove e le precedenti condizioni del contratto di conto corrente – assumendo queste ultime nella versione non epurata dalla capitalizzazione – senza peraltro attuare un pieno confronto con gli argomenti spesi dai precedenti anteriori.
Le più recenti decisioni di questa Corte, tuttavia, sono tornate a confermare l’originario orientamento , osservando nello specifico che l’esclusione della possibilità per le banche di procedere all’adeguamento contrattuale mediante la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e la comunicazione al correntista discende non già da una valutazione comparativa espressiva del carattere peggiorativo delle nuove condizioni rispetto a quelle precedenti per effetto della nullità queste ultime e, dunque, dell’assenza di una valida ed efficace pattuizione anatocistica – quanto dalla impraticabilità di una siffatta comparazione, impraticabilità discendente proprio dalla mancanza di uno dei termini di raffronto a causa della nullità della relativa previsione negoziale (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 28215 del 2024; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13669 del 2025 ed altre non massimate).
In replica alle deduzioni contenute nel ricorso, allora, non possono che ribadirsi, le considerazioni alla base dell’orientamento che qui si vuole confermare, osservando, in sintesi, che.
-la delibera CICR del 9 febbraio 2000 è stata emanata anteriormente alla dichiarazione di incostituzionalità (Corte cost. 17 ottobre 2000, n. 425) dell’art. 25, comma 3, D. Lgs. n. 342/1999, con cui erano state dichiarate valide ed efficaci le clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi maturati contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera stessa;
-la pronuncia di incostituzionalità non ha interessato, effettivamente, la parte del comma 3 dell’art. 25 cit. in cui è stato regolamentato l’adeguamento dei vecchi contratti alle prescrizioni della delibera CICR – essendosi la pronuncia di incostituzionalità basata sul rilievo di un eccesso di delega, rispetto all’art. 1, comma 5, Legge n. 128/1998 -e non ha
inciso sul potere del CICR di regolamentare il transito dei vecchi contratti nel nuovo regime
-la declaratoria di incostituzionalità, tuttavia, non può non avere riflessi anche sull’art. 7, comma 2, della Delibera CICR, in quanto tale previsione -evidentemente anteriore alla sentenza della Corte costituzionale -nel riferirsi alle «condizioni precedentemente applicate», si veniva a ricollegare ad un quadro normativo nel quale le clausole anatocistiche stipulate prima della stessa Delibera CICR erano state interessate dalla sanatoria di cui all’art. 25, comma 3, primo periodo, D. Lgs. n. 342/1998, risultando quindi idonee ad identificare, appunto, le condizioni precedentemente applicate;
-travolto tale meccanismo di sanatoria per effetto della pronuncia di incostituzionalità, la rinnovata nullità di tali clausole viene a precludere la possibilità di una loro valorizzazione quali «condizioni precedentemente applicate», in quanto, diversamente opinando, alle clausole medesime verrebbe ad essere riconosciuta una parziale efficacia che contrasta col principio per cui quod nullum est nullum producit effectum , non potendosi attribuire a ll’art. 7, comma 2, della Delibera CICR l’effetto di ammettere il giudizio di comparazione tra condizioni contrattuali indipendentemente dalla validità -e quindi efficacia – delle condizioni medesime;
-come già osservato da questa Corte ‘ In altri termini, la scelta di conferire rilievo al dato della applicazione in facto della clausola, siccome scisso dalla condizione di invalidità in jure che la connota, poteva trovare una sua motivazione all’indomani della pronuncia di incostituzionalità, ma poiché la delibera è anteriore rispetto a tale momento ‘ non risulta
praticabile una soluzione interpretativa che venga ad applicare l’art. 7, comma 2, della Delibera anche a clausole nulle, considerato anche che una simile soluzione finirebbe ‘ per conferire rilevanza a un dato -l’esecuzione della disposizione negoziale nulla -che è normalmente, salve le note eccezioni (ad es.: artt. 590, 799, 2126 c.c.), sprovvisto di rilevanza giuridica e che, nella specie, in quanto confliggente col principio di natura generale per cui la pattuizione nulla è priva di ogni efficacia, la delibera del CICR non avrebbe potuto nemmeno autonomamente introdurre ‘ (Cass. Sez. 1 – , Sentenza n. 9140 del 19/05/2020);
-radicalmente assente la possibilità di individuare un valido riferimento iniziale di comparazione (le «condizioni precedentemente applicate») -e ribadito che la comparazione deve, da un lato, essere riferita alla sola clausola anatocistica e, dall’altro lato, tenere conto della capitalizzazione sia degli interessi attivi sia degli interessi passivi -risulta conseguentemente del tutto impraticabile l’applicabilità del meccanismo che alla possibilità di tale comparazione è imprescindibilmente subordinato, e cioè, appunto, quello previsto dall’art. 7, comma 2, della Delibera, consistente nell’adeguamento operato tramite pubblicizzazione delle nuove condizioni contrattuali nella Gazzetta Ufficiale e comunicazione di queste al cliente;
-la nullità delle clausole di capitalizzazione concluse prima della Delibera CICR, quindi, vale a precludere qualunque giudizio in ordine al carattere ‘non peggiorativo’ del regime di capitalizzazione frutto dell’adeguamento delle Banche alla medesima Delibera CICR -ed in particolare al suo art. 2,
comma 2 -per la semplice ragione che tale adeguamento viene ad essere operato in un quadro ormai stabilmente determinato nel senso della nullità delle clausole anatocistiche concluse in epoca anteriore alla Delibera CICR, e comporta, quale logica conseguenza, la necessità che le ‘nuove’ clausole anatocistiche siano oggetto di specifica pattuizione tra le parti e non possano essere frutto di un mero inserimento unilaterale ad opera degli Istituti di credito;
-sempre come osservato da questa Corte, ‘ Tale conclusione allinea la disciplina dei vecchi contratti contenti clausole anatocistiche colpite da nullità a quella dei contratti di conto corrente conclusi dopo l’entrata in vigore della delibera CICR: ma tale operazione appare giustificata, se si tiene conto che nell’uno come nell’altro caso la disciplina della capitalizzazione degli interessi che le parti intendono fissare non si innesta su altra valida pattuizione e non ha, quindi, contenuto modificativo rispetto a una precedente regolamentazione pattizia ‘ (Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 9140 del 19/05/2020.
Le considerazioni che precedono -con le quali, del resto, i due precedenti poc’anzi citati (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 5054 del 2024; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 5064 del 2024), non risultano aver aperto un confronto approfondito -valgono quindi a condurre alla conferma del seguente principio:
In ragione della pronuncia di incostituzionalità dell’art. 25, comma 3, del d.lgs. n. 342 del 1999, le clausole anatocistiche inserite in contratti di conto corrente conclusi prima dell’entrata in vigore della delibera CICR 9 febbraio 2000 sono radicalmente nulle, con conseguente impraticabilità del giudizio di comparazione previsto dal comma 2 dell’art. 7 della delibera del CICR teso a verificare se le nuove
pattuizioni abbiano o meno comportato un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, non potendo assumere rilevanza la pregressa applicazione in via di fatto delle clausole nulle, in quanto approdo contrastante con la regola generale di assoluta inefficacia delle previsioni contrattuali viziate da nullità, con la conseguenza che, affinché in tali contratti sia introdotta validamente una nuova clausola di capitalizzazione degli interessi, è necessaria una espressa pattuizione formulata nel rispetto dell’art. 2 della predetta delibera.
Il quarto ed ultimo motivo è sia inammissibile sia infondato.
5.1. Quanto all’inammissibilità , occorre operare una premessa, rammentando l’orientamento reiteratamente espresso da questa Corte per cui, per i rapporti instaurati nel regime previgente all’entrata in vigore dell’art. 3, Legge n. 154/1992 – il quale ha imposto l’obbligo della forma scritta ai contratti relativi alle operazioni ed ai servizi bancari – era consentita la conclusione per facta concludentia di un contratto di apertura di credito (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 19941 del 15/09/2006; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17090 del 24/06/2008; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 34997 del 14/12/2023).
Principio che, peraltro, questa Corte ha ulteriormente puntualizzato, chiarendo che: I) la prova della concessione dell’affidamento, in questo caso, può essere fornita con ogni mezzo, ivi compreso il ricorso alle presunzioni, atteso che il divieto sancito dall’art. 2725 c.c., a cui si riporta l’art. 2729, comma 2, c.c., è inapplicabile ai contratti di apertura di credito conclusi in un periodo in cui i medesimi non dovevano stipularsi per iscritto a pena di nullità (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 16445 del 13/06/2024); II) la prova dell’affidamento può essere fornita per facta concludentia , purché emerga almeno l’ammontare accordato al correntista, essendo invece
insufficiente la sola dimostrazione della tolleranza della banca in ordine a sconfinamenti del cliente rispetto al tetto massimo riconosciuto (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 11016 del 24/04/2024).
Ebbene, operata tale premessa, si deve osservare che dalla medesima viene a discendere che costituiva profilo direttamente incidente sul requisito di specificità del motivo ex art. 366 c.p.c. l’individuazione della data di conclusione del contratto di conto corrente, incidendo tale profilo sul regime applicabile quanto alla forma con la quale l’apertura di credito avrebbe potuto essere conclusa.
Da ciò deriva, allora, che, nulla precisando invece sul punto il ricorso -ed essendo, semmai, il controricorso ad affermare che il contratto di conto corrente venne aperti nel 1991 -il motivo di ricorso risulta carente sul piano del rispetto del canone di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., con sua conseguente inammissibilità.
5.2. La valutazione di infondatezza consegue, invece, dall’essersi la Corte d’appello ancora una volta conformata all’orientamento espresso da questa Corte in materia di contratto di apertura di credito viziato da difetto di forma.
Questa Corte, infatti, ha chiarito che in tale ipotesi il rilievo officioso della relativa nullità di protezione incontra il limite dell’interesse del contraente debole, ovvero del soggetto legittimato a proporre l’azione di nullità, al quale rimane conseguentemente ascritta la possibilità di fornire la prova del proprio affidamento attraverso mezzi diversi dalla produzione del documento contrattuale (quali gli estratti conto o i riassunti scalari, attestanti il reiterato adempimento da parte della Banca di ordini di pagamento impartiti dalla correntista, anche in assenza di provvista, le risultanze del libro fidi, attestanti l’esistenza di una delibera di concessione di un finanziamento, o la segnalazione alla RAGIONE_SOCIALE della Banca d’Italia) nella misura in cui gli stessi
possano essere considerati idonei a dimostrare l’esistenza di un accordo tra le parti per l’utilizzazione da parte della correntista d’importi eccedenti la disponibilità esistente sul conto ed i limiti di tale utilizzazione (Cass. Sez. 1 – , Ordinanza n. 2338 del 24/01/2024).
Il ricorso deve quindi essere respinto, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 7.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il giorno 10 ottobre 2025. Il Presidente NOME COGNOME