Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5575 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5575 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 894/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO SEZ.DIST. DI BOLZANO n. 114/2020 depositata il 09/09/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/02/2025
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.- La società RAGIONE_SOCIALE ha convenuto avanti al Tribunale di Bolzano la Cassa di Risparmio di Bolzano s.p.a. deducendo da aver intrattenuto dal 20.1.81 un conto corrente di corrispondenza ordinario affidato con contratti formalizzati per iscritto a partire dal 21.6.2005 oltre ad un accessorio conto anticipi fatture, e contestando alla banca di aver applicato interessi debitori non contrattualizzati, superiori al tasso soglia e anatocistici, nonché c.m.s. e c.m.d. e oneri non dovuti. Ha dedotto, altresì, di aver stipulato il 29.9.2010 un mutuo fondiario per 300.000 € con piano d’ammortamento alla francese, rispetto al quale ha lamentato l’applicazione di anatocismo occulto e l’usurarietà dell’interesse corrispettivo e moratorio. Ha chiesto perciò la rettifica del saldo di conto sulla scorta delle dedotte nullità e, relativamente al mutuo, la declaratoria di invalidità, ovvero la rideterminazione dell’obbligazione per interessi.
La banca ha eccepito la prescrizione del credito restitutorio relativamente a tutti i pagamenti dall’attrice eseguiti prima del decennio antecedente la notifica della domanda di mediazione proposta nel 2015.
2.- Il Tribunale, all’esito della CTU contabile, ha dichiarato la nullità delle clausole del conto corrente di determinazione del tasso debitore e della c.m.s. con rinvio all’uso piazza, nonché l’illegittima applicazione della c.m.d. e della capitalizzazione trimestrale degli interessi, accertando che, alla data del 31/12/2014, il conto corrente – sul quale era annotato un saldo passivo di euro 20.841,84 – doveva essere rettificato alla luce di un credito dell’attrice accertato nella misura di euro 92.695,00. Ha respinto le
altre domande compresa quella relativa al debito per interessi sul mutuo fondiario.
2.- La Corte d’appello di Trento sezione distaccata di Bolzano, ha parzialmente accolto il gravame principale proposto dalla ricorrente Cassa di Risparmio di Bolzano e respinto i motivi di gravame incidentale condizionato, accertando che il saldo attivo a favore della correntista al 31.12.2014 ammontava ad euro 50.555,16.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso Cassa di Risparmio di Bolzano affidandolo a quattro motivi di cassazione. Ha resistito, con controricorso RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Alberto. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione di legge, ex art. 360 comma 1 n.3 c.p.c., in relazione agli artt. 2934, 2936, 2943 e 2945 c.c. in quanto la Corte d’appello avrebbe errato nel non dichiarare prescritte tutte le pretese relative ai rapporti intercorsi tra le parti in causa anteriormente al decennio calcolato a ritroso dal 10.6.2015, data nella quale era stata depositata la domanda di mediazione da parte della società. Ha premesso che: (i) l’azione proposta non era deputata all’accertamento negativo del diritto di credito della banca, bensì, attraverso le numerose domande avanzate, ad ottenere la condanna al riaccredito -ovvero alla restituzione, dunque ripetizione – di somme indebite; (ii) che l’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito convenuto che voglia opporre le eccezioni di prescrizione al correntista che abbia esperito azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da un’apertura di credito, è soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto e la dichiarazione di volerne profittare, senza che sia necessaria l’indicazione delle specifiche rimesse solutorie, gravando sul correntista l’onere di dimostrare la natura solo ripristinatoria dei
versamenti mediante la prova dell’esistenza di un affidamento, mancando la quale le rimesse effettuate nei periodi di effettivo scoperto di conto corrente sono da intendersi solutorie.
Ciò detto, la ricorrente osserva che, avendo la stessa sentenza gravata, nel secondo capo, affermato l’invalidità del contratto di affidamento anteriore al 2005, la cui sussistenza era assunta come provata per fatti concludenti, del tutto priva di sostegno e contraddittorio doveva considerarsi il primo capo della parte motiva laddove è spiegata la natura ripristinatoria delle rimesse e respinta l’eccezione di prescrizione svolta dalla banca ricorrente, stante l’inesistenza di un contratto di affidamento.
1.1- Il motivo -che va riqualificato ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. poiché la ricorrente non si duole in effetti di una violazione di legge bensì di una motivazione illogica e intrinsecamente contraddittoria – è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi della pronuncia di cui al secondo capo predetto, che non riguarda l’inesistenza dell’affidamento, bensì l’invalidità delle condizioni economiche dell’affidamento antecedenti al 21.6.2005 (data di stipula della prima apertura di credito formalizzata per iscritto) statuita dal primo giudice e contestata con motivo d’appello dalla banca.
La Corte d’appello ha osservato, invero, che : a) il primo giudice aveva affermato che nella fattispecie la banca aveva ‘affidato’ la correntista già con l’originario contratto di conto corrente stipulato per iscritto il 20.1.1981 ed ha così ritenuto dimostrata l’esistenza di un’apertura di credito (in conformità, del resto, alla giurisprudenza di legittimità per cui, nel regime previgente l’entrata in vigore dell’art.3 l. n. 154/1992 -c.d. legge sulla trasparenza bancaria era consentito al cliente usufruire del fido senza bisogno di un formale e autonomo contratto di apertura di credito); b) detta statuizione di primo grado in punto affidamento a far tempo dell’apertura del conto corrente era da mantenersi ferma, non solo
perché non era stata specificamente impugnata dalla banca, ma anche in ragione del contraddittorio e delle risultanze istruttorie, poiché, in particolare, lo stesso CTP della banca, nelle osservazioni alla relazione peritale acquisite in secondo grado, aveva affermato che dagli estratti conto presenti agli atti risultava provato che il rapporto era affidato sin dall’anno 1996 se non addirittura prima; c) conseguentemente, « secondo gli incontrastati e comunque riscontrati accertamenti condotti in primo grado, il conto corrente oggetto di causa è da ritenersi fosse fin dall’origine affidato », onde non poteva presumersi la natura solutoria delle rimesse della correntista anteriori al 10.6.2005 come dedotto dall’appellante, bensì doveva ritenersi che i versamenti fino ad allora effettuati fossero stati ripristinatori della provvista.
Ciò detto la Corte d’appello ha, poi, nel secondo capo della decisione, affrontato la censura svolta della banca contro l’accertamento in prime cure secondo cui la disciplina delle condizioni economiche dell’affidamento non sarebbe stata validamente contrattualizzata prima del 21.5.2005 (data di stipula della prima apertura di credito formalizzata per iscritto) e la respinge osservando che era infondata la pretesa della banca di provare detta disciplina attraverso un estratto scalare relativo al quarto trimestre del 1996 (riepilogativo delle condizioni dell’affidamento accordato alla cliente) che avrebbe documentato in tesi dell’appellante – l’avvenuta stipula per facta concludentia di un’apertura di credito « diversa » da quella contenuta nell’originario contratto di conto corrente, giacché a decorrere dall’entrata in vigore della l.n. 154/92 detta disciplina doveva essere stipulata per iscritto; perciò andava confermato quanto statuito dal primo giudice, ovvero che -in sintesi -prima dell’entrata in vigore della normativa predetta era consentita la conclusione per facta concludentia di un contratto di apertura di credito alla luce del comportamento rilevante della banca, ma che la pretesa disciplina
delle condizioni di detto affidamento invocata dalla banca non si fondava su idonea prova.
1.2E’, dunque, evidente che la ricorrente non coglie che la ratio decidendi del secondo capo della sentenza non sta nell’inesistenza dell’affidamento, bensì nell’invalidità della sua disciplina (quale invocata dalla banca), ed è funzionale a confermare la natura ripristinatoria e non solutoria dei versamenti eseguiti; sicché il ragionamento decisorio è del tutto coerente e compatibile con la statuizione contenuta nel capo precedente a proposito della sussistenza dell’affidamento fin dall’origine del rapporto.
Sotto altro profilo, resta non impugnata la statuizione soggiacente la motivazione, e cioè che conservano carattere ripristinatorio i versamenti eseguiti in base ad affidamento disciplinato da clausole invalide.
-Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di legge, ex art.360 comma 1 n.3 c.p.c., in relazione all’art. 3 l. n. 154/1992, con riguardo alla statuizione della Corte territoriale circa l’invalidità della disciplina delle condizioni di affidamento antecedente al 21.6.2005 (data del primo contratto scritto regolativo dell’affidamento) invocata dalla banca, e la consequenziale invalidità delle condizioni contrattuali da questa applicate, in ragione della violazione della contrattualizzazione per iscritto delle stesse prevista dalla legge citata. La ricorrente pare sostenere che, secondo la richiamata normativa, la forma scritta del contratto di conto corrente è richiesta per la validità e l’efficacia del medesimo, mentre così non è per l’affidamento in conto corrente per il quale la forma scritta riveste importanza ai fini della prova delle condizioni regolative; dunque l’apertura di credito e le sue condizioni potevano provarsi anche per fatti concludenti, ovvero tramite l’estratto scalare relativo al IV trimestre del 1996, di cui al doc.3 prodotto in prime cure, riepilogativo delle condizioni dell’affidamento accordato alla cliente ed applicate in assenza di
contestazioni da parte della correntista odierna resistente. Inoltre, poiché l’articolo 127 TUB prevede una nullità di protezione solo a vantaggio del cliente, a fronte dell’assenza di allegazioni della resistente non poteva rilevarsi la nullità contrattuale degli affidamenti concessi tra il 1996 e il 2005.
In sintesi in presenza di prova per fatti concludenti, la Corte d’appello doveva ritenere validi e applicabili i tassi previsti dalle comunicazioni contrattuali della banca come versati in atti.
2.1- Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
Come detto poco sopra ( v. punto 1.2) la Corte d’appello ha respinto il motivo di gravame formulato avverso la decisione sul punto di prime cure, osservando che era infondata la pretesa della banca di provare che a far data dal 1996 fosse stata validamente applicata la disciplina delle condizioni di affidamento attraverso un estratto scalare relativo al quarto trimestre del 1996 (riepilogativo delle condizioni dell’affidamento accordato alla cliente) il quale avrebbe documentato in tesi dell’appellante – l’avvenuta stipula per facta concludentia di un’apertura di credito « diversa » da quella contenuta nell’originario contratto di conto corrente, giacché non solo era pacifico e consolidato il principio per cui la mancata contestazione degli estratti conto inviati al cliente dalla banca oggetto di tacita approvazione in difetto di contestazione ai sensi dell’articolo 1832 c.c. non vale a superare la nullità inesistenza delle clausole contrattuali, ma come già accertato dal primo giudice la banca aveva accordato « alla cliente un’apertura di credito già con l’originale contratto concluso nel 1981 con il quale, però, non aveva sufficientemente -quindi validamente -determinato le relative condizioni economiche », e l’affermazione per cui « l’accettazione da parte del cliente della disciplina unilateralmente modificata e applicata dalla banca abbia dato luogo per fatti concludenti ad un nuovo contratto di apertura di credito o abbia, comunque, emendato l’indeterminatezza di quello
originario » si scontrava con la prescrizione della forma scritta stabilita, a decorrere dalla entrata in vigore dell’art.3 l. n.154/92, per i contratti relativi alle operazioni e ai servizi bancari. perciò andava confermato quanto statuito dal primo giudice, ovvero – in sintesi -che, poiché prima dell’entrata in vigore della normativa predetta era consentita la «conclusione» per facta concludentia di un contratto di apertura di credito alla luce del comportamento rilevante della banca, il conto corrente in questione doveva ritenersi affidato ab origine, ma la disciplina delle condizioni di detto affidamento che la banca aveva applicato non si fondava su idonea prova, non potendosi valorizzare a detto effetto fatti concludenti in presenza di una normativa che prevedeva invece a tal fine la prova scritta, e – tantomeno – per effetto dello scalare prodotto in quanto mai contestato.
2.2- Perciò, in conclusione: a) il motivo è inammissibile laddove la ricorrente reputa che la norma invocata consentisse di ritenere provato un affidamento anche in assenza di forma scritta poiché la ratio decidendi della statuizione impugnata non attiene alla validità dell’apertura di credito (questione, peraltro, già decisa in prime cure e non specificamente impugnata) bensì alla prova delle condizioni da cui la stessa era regolata; b) il motivo è infondato ove invoca la possibilità che detta prova fosse fornita per facta concludentia, e tanto più ove tali facta sono individuati dalla ricorrente nella mancata contestazione degli scalari o degli estratti conto periodicamente trasmessi dalla banca al cliente ex art. 1832 c.c.; c) il motivo è inammissibile laddove invoca la violazione dell’art. 127 TUB per aver la Corte di merito rilevato una nullità di protezione in assenza di allegazioni della parte interessata, sia perché la Corte non ha rilevato una nullità, bensì ha ritenuto inidonea alla luce della l.n. 154/92 la prova allegata relativa alle condizioni contrattuali invocate; sia perché il tema è del tutto nuovo, non risultando che la questione sia stata sottoposta al
contradittorio del giudizio di secondo grado, onde va data continuità al principio per cui « qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorso deve, a pena di inammissibilità, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto in virtù del principio di autosufficienza del ricorso. I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito né rilevabili d’ufficio » (Cass., 9 luglio 2013, n. 17041; Cass., 13 giugno 2018, n. 15430; Cass., 13 agosto 2018, n. 20712).
3.- Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1283 c.c. e dell’art. 7 delibera CICR 9.2.2000 in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., in quanto il giudice il secondo grado ha affermato che l’adeguamento contrattuale finalizzato a rendere legittima la reciproca capitalizzazione trimestrale degli interessi – ai sensi dell’art. 7 comma 3 delibera CICR 9.2.2000 deve necessariamente avvenire per mezzo di un nuovo accordo tra la banca e il cliente laddove le nuove condizioni contrattuali comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, che nella specie era da ravvisarsi alla luce della giurisprudenza di legittimità per cui « in tema di anatocismo, la sostituzione della reciproca capitalizzazione trimestrale degli interessi attivi e passivi all’assenza di capitalizzazione per effetto della declaratoria di nullità della clausola contrattuale anatocistica, peggiora le condizioni contrattuali applicate precedentemente a detta sostituzione » (Cass. n. 7105/2020); e che una pattuizione sulla reciprocità della capitalizzazione degli interessi con la medesima periodicità era stata sottoscritta soltanto con il contratto
di finanziamento con garanzie ipotecaria in data 29.9.2010, concludendo che la legittimità della capitalizzazione degli interessi andava riconosciuta limitatamente al periodo successivo a tale data.
Detta statuizione secondo la ricorrente sarebbe illegittima nella parte in cui non estende la legittimità dell’operato della banca al periodo anteriore al 29.9.2010 perché nel caso di specie la banca aveva ottemperato nel giugno 2000 all’adeguamento del contratto di conto corrente alla disposizione di cui alla richiamata delibera CICR, dunque la condizione di reciprocità era integrata e la capitalizzazione trimestrale era avvenuta legittimamente. Inoltre la sentenza aveva affermato la necessità di apposita pattuizione contrattuale assumendo un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, con una considerazione apodittica non suffragata da idoneo riferimento al caso concreto, che andrebbe sussunta nel vizio di motivazione in termini di mancato esame di un fatto essenziale ai fini del decidere, o meglio di « affermazione di un fatto dato per esistente (cioè il presunto peggioramento delle condizioni precedentemente applicate) che non trova alcun riscontro ».
3.1- Il motivo è infondato. Giova al suo esame una ricognizione dell’orientamento nomofilattico cui è approdata questa Corte sul tema in questione.
3.1.1- Anzitutto questa Corte ha avuto più volte occasione di ribadire che il declassamento da uso normativo a uso negoziale della prassi bancaria in materia di anatocismo ha reso nulle, per contrasto con l’art. 1283 cod. civ., le clausole in forza delle quali gli interessi debitori venivano periodicamente capitalizzati, sicché, una volta dichiarata nulla la clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati in un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente e negoziato dalle parti in data anteriore al 22 aprile 2000 (data di entrata in vigore della delibera
CICR del 9 febbraio 2000), il giudice deve calcolare gli interessi a debito del correntista senza operare alcuna capitalizzazione (Cass., Sez 1, 24156/2017, 24153/2017, 17150/2016).
3.1.2- Detta delibera e le sue disposizioni trovano fondamento normativo nell’art. 25 commi 2 e 3 d.lgs. n. 342 del 1999, i quali hanno rispettivamente disposto (aggiungendo nell’art. 120 TUB i nuovi commi 2 e 3): i) che il CICR stabilisse « modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria », purché con la stessa periodicità del conteggio di interessi debitori e creditori nelle operazioni in conto corrente; ii) che le clausole anatocistiche contenute nei contratti stipulati anteriormente al 22 aprile 2000 (data di entrata in vigore della delibera) dovessero essere conformate alle indicazioni del CICR, il quale, con gli artt. 2 e 7 della delibera medesima, ha imposto la descritta reciprocità e previsto la possibilità di adeguamento delle condizioni applicate entro il 30 giugno 2000, mediante pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e comunicazione scritta alla clientela alla prima occasione utile (comunque, entro il 31 dicembre 2000), salva la necessità dell’approvazione specifica del correntista, con perfezionamento di un nuovo accordo, qualora le nuove condizioni contrattuali avessero comportato un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate (cfr. Cass. n. 6987/2019).
3.1.3- La delibera CICR del 9 febbraio 2000 è stata -tuttavia emanata prima che fosse dichiarata l’incostituzionalità (Corte cost. 17 ottobre 2000, n. 425) della previsione, contenuta nell’art. 25, comma 3, d.lgs. n. 342/1999, con cui erano state dichiarate valide ed efficaci le clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi maturati contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera stessa, perciò la nullità dell’anatocismo praticato dalle banche – che l’art. 25, comma 3, cit. aveva tentato di comprimere – ha ripreso tutto il suo vigore. Ne è
seguita una giurisprudenza -cui la sentenza impugnata ha fatto riferimento – che ha ritenuto che, in ragione di detta pronuncia di incostituzionalità, risultava « difficile negare che l’adeguamento alle disposizione della delibera CICR delle condizioni in materia figuranti nei contratti già in essere, comportando una regolazione ex novo dell’anatocismo, segnatamente laddove esso si riverberi in danno delle posizioni a debito, non determini un peggioramento delle condizioni contrattuali » (Cass. Sez. 1, 26769/2019 e 26779/2019) giacché « in effetti, la sostituzione della reciproca capitalizzazione trimestrale degli interessi attivi e passivi all’assenza di capitalizzazione per effetto della declaratoria di nullità della clausola contrattuale anatocistica, rende evidente che vi sia stato un peggioramento delle condizioni contrattuali precedentemente applicate al conto corrente per cui è causa, sicché, proprio in applicazione dell’art. 7, comma 3 della delibera CICR (per cui «nel caso in cui le nuove condizioni contrattuali comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, esse devono essere approvate dalla clientela») sarebbe stato necessario nella fattispecie in esame un nuovo accordo espresso tra le parti, non essendo ammissibile un adeguamento unilaterale ». Cass. n. 7105/2020).
3.1.4- A detto orientamento ha dato continuità, con alcune precisazioni, la sentenza di questa Corte n. 9140/2020, la quale ha rilevato che:
la richiamata pronuncia di incostituzionalità non ha interessato, quella parte del comma 3 dell’art. 25 cit. in cui è stato regolamentato l’adeguamento dei vecchi contratti alle prescrizioni della delibera CICR (infatti, la pronuncia del giudice delle leggi si è fondata sull’eccesso di delega avendo la Corte costituzionale escluso « che la suddetta delega legittimi una disciplina retroattiva e genericamente validante »; sicché l’intervento caducatorio riguardava il solo regime di sanatoria che il legislatore aveva
previsto per il periodo che precedeva l’entrata in vigore della delibera CICR, ma non aveva direttamente inciso sull’attribuzione al CICR del potere di regolamentare il transito dei vecchi contratti nel nuovo regime: profilo della disciplina, quest’ultimo, che presentava una propria innegabile autonomia logica e giuridica rispetto alla sanzionata previsione della sanatoria dei contratti contenenti clausole anatocistiche conclusi prima del 21 aprile 2000;
b) in ragione della pronuncia di incostituzionalità le clausole anatocistiche inserite in contratti conclusi prima dell’entrata in vigore della delibera CICR non possono che considerarsi nulle, in quanto colpite da quell’invalidità che l’art. 25 aveva inteso rimuovere; è quindi alla nullità delle clausole anatocistiche che bisogna guardare quanto si prendono in considerazione le disposizioni transitorie di cui all’art. 7 della delibera, che era stata assunta quando le clausole in questione erano state oggetto di sanatoria, onde l’atto si situava, storicamente, in una cornice normativa in cui la capitalizzazione posta in essere nel passato era da considerarsi ancora legittima, mentre, per effetto della successiva declaratoria di incostituzionalità di cui s’è detto, essa va considerata nulla e quindi priva di effetti;
c) per verificare se fosse necessario procedere a una nuova pattuizione in tema di capitalizzazione o se, all’opposto, fosse sufficiente la pubblicizzazione delle nuove condizioni contrattuali nella Gazzetta Ufficiale e la comunicazione di queste al cliente alla prima occasione utile (art. 7, comma 2, cit.) -come ritiene la ricorrente nella specie -era necessario valutare se « le nuove condizioni contrattuali non comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate »; tuttavia, a seguito della nominata pronuncia di incostituzionalità l’operazione di raffronto imposta dalla delibera si dimostrava inattuabile, poiché le nuove «condizioni» (indicate dalla disposizione della delibera CICR circa la pari periodicità del conteggio degli interessi) non potevano essere
confrontate con una valida disposizione anatocistica, contenuta nel contratto di conto corrente, da considerarsi, per quanto detto, tamquam non esset ; perciò l’unico raffronto teoricamente possibile, in un contesto giuridico in cui le clausole anatocistiche pattuite nel passato sono da considerarsi nulle, potrebbe riguardare la capitalizzazione con eguale periodicità, da un lato, e la totale assenza di capitalizzazione (derivata dalla nullità), dall’altro; e’ vero, infatti, che la delibera CICR non prende in considerazione una tale giustapposizione ma parla di «condizioni» alludendo a quelle precedentemente stabilite, ma ciò perché l’art. 7 di tale delibera presuppone la precorsa valida stipulazione di clausole anatocistiche;
d) in conclusione, « una volta affermato che ai fini dell’art. 7 della delibera CICR del 9 febbraio 2000 assume rilievo non già l’applicazione de facto delle condizioni anatocistiche pattuite in precedenza, ma la nullità che affligge le stesse, il criterio posto dai commi 2 e 3 dello stesso articolo, che presuppone la validità di tali pattuizioni e l’intervenuta modificazione delle stesse, risulta essere inapplicabile, con la conseguenza che per munire un contratto di conto corrente concluso prima dell’entrata in vigore dell’art. 25, comma 2, d.lgs. n. 342/1999 dell’attitudine a produrre interessi anatocistici era necessario addivenire a una nuova pattuizione avente ad oggetto la capitalizzazione degli interessi, nel rispetto dell’art. 2 della nominata delibera » (Cass cit. in motivazione).
Pertanto, considerato che nella specie la Corte d’appello fonda il proprio ragionamento decisorio sul fatto – incontestato – che sin dal momento della sua accensione il contratto di conto corrente oggetto di causa aveva violato l’articolo 1283 c.c., la conclusione cui è pervenuta circa la necessità di una specifica pattuizione circa la reciproca capitalizzazione trimestrale degli interessi è del tutto corretta e conforme alla giurisprudenza di questa Corte.
4.- Con il quarto motivo, che denuncia omesso esame di fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. e violazione falsa applicazione dell’art. 2967 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., la ricorrente censura il rigetto delle proprie doglianze relative alla statuizione di prime cure circa l’illegittima applicazione della c.m.s. e della c.m.d. in quanto, a suo dire, affetta dall’omesso esame di un fatto decisivo discusso tra le parti e sfuggito alla Corte d’appello; sostiene la ricorrente che la legittimità di dette pattuizioni sarebbe rimasta incontestata, e che la Corte d’appello avrebbe omesso di considerare che, con l’appello, la banca aveva censurato l’omesso esame da parte di CTU degli addebiti trimestrali sia della c.m.d per l’affidamento, sia della c,m.d. per il rapporto di castelletto anticipo fatture (conto anticipi); onde v’era stato un errore nella rideterminazione del saldo per effetto della confusione tra le due voci, e la Corte territoriale non avrebbe considerato che la banca, con l’appello, aveva denunciato che gli importi addebitati illegittimamente a titolo di c.m.d., indicati dal primo giudice, erano errati. Inoltre la Corte d’appello avrebbe errato nella ripartizione dell’onere della prova, che incombeva sull’attore e che, nel caso di specie, non l’aveva assolto.
4.1- Il motivo, si articola in due distinte censure.
4.1.1.- Con riguardo al primo profilo di censura il motivo è inammissibile.
Va premesso che la Corte d’appello, quanto alla censura relativa alla accertata illegittimità della c.m.s. per indeterminatezza della relativa clausola nel periodo anteriore al 21 giugno 2005 (quando l’apertura di credito è stata formalizzata per iscritto) ha osservato che la doglianza si fonda sulle stesse argomentazioni addotte per sostenere la conclusione per facta concludentia dell’apertura di credito prima di detta data, già trattate e già respinte, e a cui ha fatto rinvio per concludere che l’applicazione della c.m.s. poteva ritenersi legittima solo per il periodo successivo alla data del 21
giugno 2005; rispetto a tale statuizione il motivo è del tutto inammissibile perché non si confronta con dette argomentazioni.
4.1.2- Quanto alla censura relativa alla commissione per messa a disposizione fondi, la Corte di merito ha osservato, anzitutto, che il giudice di prime cure aveva ritenuto che -benché detta commissione fosse stata legittimamente pattuita con il contratto di apertura di credito del 9 aprile 2009- la banca aveva addebitato la c.m.d. in modo difforme da quanto convenuto, onde ha stornato l’importo di euro 6.720,70; ha quindi osservato che l’appellante anziché muovere un vizio di ultrapetizione come avrebbe potuto essendo la domanda attorea fondata sulla sola illegittimità della pattuizione -ha contestato l’erroneità della statuizione, deducendo che gli addebiti stornati riguarderebbero, in realtà, la commissione relativa al fido per anticipazione su fatture, di cui all’accessorio conto anticipi. Ciò detto la Corte d’appello -considerato che nel giudizio d’appello era rimasto incensurato l’accertamento relativo alla validità della pattuizione afferente alla c.m.d. – ha valutato la fondatezza della censura mossa alla statuizione di prime cure in punto inadempimento da parte della banca rispetto al preciso regolamento contrattuale concordato; ed ha, quindi, osservato che, avendo la banca appellante negato l’inadempimento contrattuale ascrittole, era suo onere- in quanto debitrice della prestazione relativa a quella clausola ritenuta legittima – dimostrare la corretta applicazione della pattuizione contrattuale.
In altre parole la Corte d’Appello afferma che, avendo il primo giudice accertato l’inadempimento contrattuale della banca sulla base delle risultanze documentali, e non avendo l’appellante rilevato alcun vizio di ultrapetizione, era l’appellante a dover dimostrare di aver invece correttamente adempiuto, dimostrazione che, però, non aveva fornito, dovendosi perciò confermare, nel merito, il ragionamento decisorio del Tribunale.
Pertanto:
il motivo è, da un lato, inammissibile, perché evidentemente versato in fatto, laddove sollecita – impropriamente evocando il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio – una rivalutazione di merito della valutazione delle risultanze istruttorie compiuto dal giudice alla luce della CTU del tutto preclusa in questa sede di legittimità; peraltro ignorando il pacifico principio di legittimità per cui il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., per come rimodellata dal d.l. n. 83/2012, convertito in L. n. 134/2012, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia. Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, 1° co., n. 6, e 369, 2° co., n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. S.U. 7 aprile 2014, n. 8053 cit.). Il che nella specie la ricorrente non ha fatto.
dall’altro è infondato laddove censura la decisione per violazione dell’art. 2969 c.c., in quanto la Corte d’appello – ferma la statuizione di primo grado circa la legittimità della clausola avente ad oggetto la c.m.d. -ha correttamente respinto la censura che
concerneva lo statuito inadempimento della banca, per non aver questa provato il proprio corretto adempimento.
5.- In conclusione il ricorso va respinto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come nel dispositivo, ai sensi del D.M. 12 luglio 2012, n. 140. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente, liquidate nell’importo di euro 4.700,00 di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.
Cosí deciso in Roma, nella camera di consiglio della I Sez. Civile