Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 7377 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 7377 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25510/2021 R.G. proposto da :
COGNOME elettivamente domiciliato in Fasano INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
FINO 1 RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in TREVISO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
nonchè
contro
RAGIONE_SOCIALE -intimato-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO TRIESTE n. 122/2021 depositata il 15/04/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.- La sig. NOME COGNOME in qualità di fideiussore della fallita RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Pordenone per la somma di euro 112.364,11 su ricorso di Unicredit s.c.p.a. a titolo di saldo del conto corrente affidato per euro 100.000 per elasticità di cassa intestato alla società, chiedendo il ricalcolo del saldo stesso contestando addebiti illegittimi relativi a interessi passivi usurari, commissioni di massimo scoperto non pattuite o pattuite oltre soglia, interessi anatocistici, giorni valute errate e competenze commissioni, spese e remunerazioni varie non pattuite o non dovute in quanto derivante da clausole contrattuali nulle. La banca ha eccepito la prescrizione della pretesa avversaria e il rigetto dell’opposizione.
Il Tribunale -all’esito di CTU contabile -in parziale accoglimento dell’opposizione ha revocato il decreto opposto e condannato l’attrice al pagamento della minor somma di euro 48.907,01, rilevando che le eccepita nullità contrattuale della fideiussione (per violazione della normativa antitrust) e del contratto di affidamento dovevano ritenersi infondate; che dovevano considerarsi prescritte tutte le rimesse effettuate anteriormente al decennio dalla chiusura del conto (avvenuta a fine marzo del 2014) ovvero nel periodo dal I trimestre 2000 al I trimestre 2004; che, pur risalendo il contratto al 26.5.99, il primo estratto conto dimesso in causa risaliva al 31.12.99, per cui andava azzerato il saldo iniziale negativo al 1.1.2000; mentre per il periodo successivo risultava prodotta documentazione sufficiente per la ricostruzione del rapporto a nulla rilevando – in mancanza di
contestazione dei singoli addebiti – che non vi fosse prova del periodico invio degli estratti conto; che il saldo andava epurato dagli addebiti per commissioni di massimo scoperto e spese non pattuite, mentre la capitalizzazione trimestrale risultava legittima, irrilevante essendo ratione temporis la problematica relativa agli addebiti anteriori alla delibera CICR 9.2.2000, dovendo ritenersi quanto al periodo successivo – che la modifica introdotta non fosse peggiorativa e che non risultava il dedotto superamento del tasso soglia usura
3.- Contro la sentenza ha proposto appello la sig. COGNOME Unicredit è rimasta contumace, mentre RAGIONE_SOCIALE e per essa RAGIONE_SOCIALE (già do Bank s.p.a.) ha resistito e proposto appello incidentale.
La Corte d’appello di Trieste ha respinto l’appello principale e dichiarato inammissibile l’appello incidentale osservando che:
era infondata la doglianza relativa all’eccezione di prescrizione in tesi accolta in contraddizione con l’avvenuto accertamento della natura ripristinatoria delle rimesse, correttamente eccepita con decorrenza ritroso dalla data di notificazione dell’opposizione in carenza di atti interruttivi intermedi, e con riferimento alle rimesse effettuate anteriormente al decennio dalla chiusura del conto;
che correttamente il giudice aveva retrodatato il saldo zero al 1.1.2000 e non al 1.9.2000 perché dalla CTU emergeva che la documentazione bancaria dimessa dalle parti aveva consentito la rielaborazione dei movimenti effettuati dal primo trimestre 2000 al terzo trimestre 2004, risultando mancanti solo gli estratti di conto dell’anno ’99 ed in assenza di alcuna contestazione in merito alle risultanze della documentazione versata in atti;
che era infondato il gravame relativo al rigetto della nullità della clausola relativa alla capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, poiché – alla luce della pronuncia di illegittimità costituzionale dell’art. 25 comma 3 d.lgs n.342/99- la nullità delle
clausole contrattuali in materia si riferisce al periodo anteriore alla delibera CICR 2000 che, tuttavia, nella fattispecie non aveva rilevanza contabile, essendo l’iniziale saldo negativo stato azzerato alla data del 1 gennaio 2000; per il periodo successivo, invece, era incontroverso che l’istituto di credito avesse adeguato il contratto assolvendo alla necessaria pubblicità della modifica introdotta con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’adeguamento e che l’appellante aveva l’onere di dimostrare in conformità al disposto dell’art. 7 comma 2 della delibera predetta la natura peggiorativa delle variazioni rispetto alle condizioni già praticate operando un concreto confronto con le disposizioni vigenti anteriormente al giugno 2000, ben potendo altrimenti la banca provvedere all’adeguamento mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, né la natura peggiorativa della variazione poteva essere desunta semplicemente muovendo dal dato della nullità della previsione della capitalizzazione anteriore al 2000 perché in tal caso ogni modifica sarebbe sempre peggiorativa per i correntisti con conseguente privazione dell’art. 7 comma due di ogni possibilità applicativa; in sintesi non poteva ritenersi dimostrato che nella fattispecie vi fosse stato un peggioramento;
c) che la doglianza relativa al mancato accertamento del superamento della soglia usura era infondata, perché l’elaborazione relativa all’ipotesi contabile con saldo iniziale pari a zero era stata svolta -per evidenti esigenze di omogeneità tra i valori da porre a confronto – in conformità alle istruzioni della Banca d’Italia e l’esperto aveva concretamente verificato che il TEG addebitato -una volta depennati gli addebiti illegittimi – non era mai risultato superiore ai corrispondenti tassi soglia usura in alcun trimestre;
d) che l’unico motivo di appello incidentale – relativo alla qualifica del contratto come contratto autonomo di garanzia -era inammissibile avendo la banca richiesto, quale conseguenza del suo accoglimento, non la riforma della sentenza impugnata con quanto
ne segue in ordine alla sorte dell’opposizione al d.i., ma di respingersi integralmente l’appello proposto e confermare la sentenza emessa dal Tribunale di Pordenone, onde risultava assorbito per effetto dell’intervenuto rigetto dell’appello principale.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso la sig. NOME COGNOME affidandolo a 2 motivi di cassazione. Ha resistito, con controricorso Fino RAGIONE_SOCIALE Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 360 I comma n. 3 c.p.c., in relazione al disposto di cui all’art. 1283 cod. civ. e artt. 112 c.p.c. (che in memoria deduce erroneamente richiamato) per non avere la Corte territoriale accolto l’eccezione di nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi per ritenuta sanatoria della nullità della disciplina della capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori, ex art. 7 Comma II del contratto di conto corrente del 26.5.1999.
1.1 -Il motivo è fondato.
Giova al suo esame una ricognizione dell’orientamento nomofilattico cui è approdata questa Corte sul tema in questione.
1.1.1- Anzitutto questa Corte ha avuto più volte occasione di ribadire che il declassamento da uso normativo a uso negoziale della prassi bancaria in materia di anatocismo ha reso nulle, per contrasto con l’art. 1283 cod. civ., le clausole in forza delle quali gli interessi debitori venivano periodicamente capitalizzati, sicché, una volta dichiarata nulla la clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati in un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente e negoziato dalle parti in data anteriore al 22 aprile 2000 (data di entrata in vigore della delibera CICR del 9 febbraio 2000), il giudice deve calcolare gli interessi a
debito del correntista senza operare alcuna capitalizzazione (Cass., Sez 1, 24156/2017, 24153/2017, 17150/2016).
3.1.2- Detta delibera e le sue disposizioni trovano fondamento normativo nell’art. 25 commi 2 e 3 d.lgs. n. 342 del 1999, i quali hanno rispettivamente disposto (aggiungendo nell’art. 120 TUB i nuovi commi 2 e 3): i) che il CICR stabilisse « modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria », purché con la stessa periodicità del conteggio di interessi debitori e creditori nelle operazioni in conto corrente; ii) che le clausole anatocistiche contenute nei contratti stipulati anteriormente al 22 aprile 2000 (data di entrata in vigore della delibera) dovessero essere conformate alle indicazioni del CICR, il quale, con gli artt. 2 e 7 della delibera medesima, ha imposto la descritta reciprocità e previsto la possibilità di adeguamento delle condizioni applicate entro il 30 giugno 2000, mediante pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e comunicazione scritta alla clientela alla prima occasione utile (comunque, entro il 31 dicembre 2000), salva la necessità dell’approvazione specifica del correntista, con perfezionamento di un nuovo accordo, qualora le nuove condizioni contrattuali avessero comportato un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate (cfr. Cass. n. 6987/2019).
3.1.3- La delibera CICR del 9 febbraio 2000 è stata -tuttavia emanata prima che fosse dichiarata l’incostituzionalità (Corte cost. 17 ottobre 2000, n. 425) della previsione, contenuta nell’art. 25, comma 3, d.lgs. n. 342/1999, con cui erano state dichiarate valide ed efficaci le clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi maturati contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera stessa perciò, la nullità dell’anatocismo praticato dalle banche – che l’art. 25, comma 3, cit. aveva tentato di comprimere – ha ripreso tutto il suo vigore. Ne è seguita una giurisprudenza -cui la ricorrente ha fatto riferimento –
che ha ritenuto che, in ragione di detta pronuncia di incostituzionalità, risultava « difficile negare che l’adeguamento alle disposizione della delibera CICR delle condizioni in materia figuranti nei contratti già in essere, comportando una regolazione ex novo dell’anatocismo, segnatamente laddove esso si riverberi in danno delle posizioni a debito, non determini un peggioramento delle condizioni contrattuali » (Cass. Sez. 1, 26769/2019 e 26779/2019) giacché « in effetti, la sostituzione della reciproca capitalizzazione trimestrale degli interessi attivi e passivi all’assenza di capitalizzazione per effetto della declaratoria di nullità della clausola contrattuale anatocistica, rende evidente che vi sia stato un peggioramento delle condizioni contrattuali precedentemente applicate al conto corrente per cui è causa, sicché, proprio in applicazione dell’art. 7, comma 3 della delibera CICR (per cui «nel caso in cui le nuove condizioni contrattuali comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, esse devono essere approvate dalla clientela») sarebbe stato necessario nella fattispecie in esame un nuovo accordo espresso tra le parti, non essendo ammissibile un adeguamento unilaterale ». Cass. n. 7105/2020).
3.1.4- A detto orientamento ha dato continuità, con alcune precisazioni, la sentenza di questa Corte n. 9140/2020, la quale ha rilevato che:
la richiamata pronuncia di incostituzionalità non ha interessato, quella parte del comma 3 dell’art. 25 cit. in cui è stato regolamentato l’adeguamento dei vecchi contratti alle prescrizioni della delibera CICR (infatti, la pronuncia del giudice delle leggi si è fondata sull’eccesso di delega avendo la Corte costituzionale escluso « che la suddetta delega legittimi una disciplina retroattiva e genericamente validante »; sicchè l’intervento caducatorio riguardava il solo regime di sanatoria che il legislatore aveva previsto per il periodo che precedeva l’entrata in vigore della
delibera CICR, ma non aveva direttamente inciso sull’attribuzione al CICR del potere di regolamentare il transito dei vecchi contratti nel nuovo regime: profilo della disciplina, quest’ultimo, che presentava una propria innegabile autonomia logica e giuridica rispetto alla sanzionata previsione della sanatoria dei contratti contenenti clausole anatocistiche conclusi prima del 21 aprile 2000;
b) in ragione della pronuncia di incostituzionalità le clausole anatocistiche inserite in contratti conclusi prima dell’entrata in vigore della delibera CICR non possono che considerarsi nulle, in quanto colpite da quell’invalidità che l’art. 25 aveva inteso rimuovere; è quindi alla nullità delle clausole anatocistiche che bisogna guardare quanto si prendono in considerazione le disposizioni transitorie di cui all’art. 7 della delibera, che era stata assunta quando le clausole in questione erano state oggetto di sanatoria, onde l’atto si situava, storicamente, in una cornice normativa in cui la capitalizzazione posta in essere nel passato era da considerarsi ancora legittima, mentre, per effetto della successiva declaratoria di incostituzionalità di cui s’è detto, essa va considerata nulla e quindi priva di effetti;
c) per verificare se fosse necessario procedere a una nuova pattuizione in tema di capitalizzazione o se, all’opposto, fosse sufficiente la pubblicizzazione delle nuove condizioni contrattuali nella Gazzetta Ufficiale e la comunicazione di queste al cliente alla prima occasione utile (art. 7, comma 2, cit.) -come ha ritenuto la Corte d’appello nella specie era necessario valutare se « le nuove condizioni contrattuali non comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate »; tuttavia, a seguito della nominata pronuncia di incostituzionalità l’operazione di raffronto imposta dalla delibera si dimostrava inattuabile, poiché le nuove «condizioni» (indicate dalla disposizione della delibera CICR circa la pari periodicità del conteggio degli interessi) non potevano essere confrontate con una valida disposizione anatocistica, contenuta nel
contratto di conto corrente, da considerarsi, per quanto detto, tamquam non esset ; perciò l’unico raffronto teoricamente possibile, in un contesto giuridico in cui le clausole anatocistiche pattuite nel passato sono da considerarsi nulle, potrebbe riguardare la capitalizzazione con eguale periodicità, da un lato, e la totale assenza di capitalizzazione (derivata dalla nullità), dall’altro; è vero, infatti, che la delibera CICR non prende in considerazione una tale giustapposizione ma parla di «condizioni» alludendo a quelle precedentemente stabilite, ma ciò perché l’art. 7 di tale delibera presuppone la precorsa valida stipulazione di clausole anatocistiche;
d) in conclusione, « una volta affermato che ai fini dell’art. 7 della delibera CICR del 9 febbraio 2000 assume rilievo non già l’applicazione de facto delle condizioni anatocistiche pattuite in precedenza, ma la nullità che affligge le stesse, il criterio posto dai commi 2 e 3 dello stesso articolo, che presuppone la validità di tali pattuizioni e l’intervenuta modificazione delle stesse, risulta essere inapplicabile, con la conseguenza che per munire un contratto di conto corrente concluso prima dell’entrata in vigore dell’art. 25, comma 2, d.lgs. n. 342/1999 dell’attitudine a produrre interessi anatocistici era necessario addivenire a una nuova pattuizione avente ad oggetto la capitalizzazione degli interessi, nel rispetto dell’art. 2 della nominata delibera » (Cass cit., in motivazione);
Da ultimo questo principio è stato ribadito da Cass. n. 28215/2024 : « In ragione della pronuncia di incostituzionalità dell’art. 25, comma 3, del d.lgs. n. 342 del 1999, le clausole anatocistiche inserite in contratti di conto corrente conclusi prima dell’entrata in vigore della delibera CICR 9 febbraio 2000 sono radicalmente nulle, con conseguente impraticabilità del giudizio di comparazione previsto dal comma 2 dell’art. 7 della delibera del CICR teso a verificare se le nuove pattuizioni abbiano o meno comportato un peggioramento delle condizioni precedentemente
applicate, sicché in tali contratti perché sia introdotta validamente una nuova clausola di capitalizzazione degli interessi, è necessaria una espressa pattuizione formulata nel rispetto dell’art. 2 della predetta delibera »
1.1.2- Nella specie -che riguarda un contratto di conto corrente bancario sorto il 26/5/1999 anteriore alla delibera CICR 9.2.2000 la Corte d’appello fonda il proprio ragionamento decisorio sul fatto : a) che riferendosi la nullità delle clausole contrattuali in materia al periodo anteriore alla delibera CICR 2000, nella fattispecie non aveva rilevanza contabile essendo l’iniziale saldo negativo stato azzerato alla data del 1 gennaio 2000; b) che per il periodo successivo era incontroverso che l’istituto di credito avesse adeguato il contratto assolvendo alla necessaria pubblicità della modifica introdotta con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’adeguamento e che l’appellante non aveva dimostrato (in conformità al disposto dell’art. 7 comma 2 della delibera predetta) la natura peggiorativa delle variazioni rispetto alle condizioni già praticate; né la natura peggiorativa della variazione poteva essere desunta semplicemente muovendo dal dato della nullità della previsione della capitalizzazione anteriore al 2000 perché in tal caso ogni modifica sarebbe sempre peggiorativa per i correntisti con conseguente privazione dell’art. 7 comma due di ogni possibilità applicativa.
1.1.3In ragione dell’orientamento predetto cui il Collegio intende dare continuità -tale decisione non è corretta. Invero considerato che il contratto di c/c in questione è anteriore alla delibera, per gli addebiti compiuti a titolo di capitalizzazione anteriormente vale il fatto che in ragione della sentenza della Corte Costituzionale sopra richiamata è venuto meno l’effetto sanante di cui all’art. 7 della delibera CICR , onde le clausole anatocistiche inserite in contratti conclusi prima dell’entrata in vigore della stessa non possono che considerarsi nulle, in quanto colpite da
quell’invalidità che l’art. 25 aveva inteso rimuovere il che comporta l’illegittimità di tutti gli addebiti a tale titolo compiuti fino al 9.2.2000; quanto al periodo successivo – dovendosi guardare alla nullità delle clausole anatocistiche antecedenti, onde applicare le disposizioni transitorie di cui all’art. 7 della delibera non colpite dall’effetto caducatorio prodotto dalla declaratoria di incostituzionalità -va considerato che le «condizioni» precedenti sono nulle dunque vanno considerate tamquam non esset, e che, quindi, nessun raffronto (di cui all’art.7) può farsi, in quanto esso presuppone la precorsa valida stipulazione di clausole anatocistiche, con la conseguenza che per munire un contratto di conto corrente concluso prima dell’entrata in vigore dell’art. 25, comma 2, d.lgs. n. 342/1999 dell’attitudine a produrre interessi anatocistici era necessario addivenire a una nuova pattuizione avente ad oggetto la capitalizzazione degli interessi, nel rispetto dell’art. 2 della nominata delibera.
La Corte d’appello avrebbe dovuto, quindi, ritenere insufficiente la produzione da parte della Banca unicamente della Gazzetta Ufficiale prodotta in primo grado nella quale si dà atto dell’adeguamento contrattuale, in quanto Unicredit spa avrebbe dovuto, invece, provare l’avvenuta pattuizione scritta o l’approvazione espressa da parte della correntista; il che pacificamente in questo caso non è avvenuto.
Onde la sentenza va sul punto cassata e rinviata alla Corte d’Appello di Trieste perché si adegui ai principi di legittimità richiamati.
-Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 360 I comma n. 3 c.p.c., in relazione al disposto di cui agli artt. 2697 II Comma e 2935 c.c. e 112 c.p.c. per avere la Corte territoriale accolto l’eccezione di prescrizione delle competenze solutorie, in quanto inammissibile, infondata e non applicabile al rapporto di causa. Reputa la ricorrente che l’eccezione di
prescrizione fosse inammissibile per essere stata sollevata da Unicredit spa con estrema genericità, « senza indicare l’elemento costitutivo dell’eccezione de qua, ovvero l’inerzia del titolare del diritto e la contestuale dichiarazione di volerne profittare, indicato come sopra dalle SS.UU. Civili della Cassazione n.15895/2019 quale contenuto minimo dell’eccezione in esame ».
4.- Il motivo è infondato.
E’ onere del correntista che agisce per la ripetizione dell’indebito ex art. 2033 c.c. «allegare» i fatti costitutivi della domanda che specificamente attengono all’esistenza di un «pagamento» e alla natura «indebita» dello stesso, e detta allegazione si considera assolta con l’indicazione dell’esistenza di versamenti indebiti e con la richiesta di restituzione in riferimento ad un dato conto e ad un tempo determinato; mentre l’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate – ha l’onere di «allegare» solo l’inerzia del titolare del diritto unita alla dichiarazione di volerne profittare, senza che sia necessaria l’indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritte (Cass. Sez. U. n. 15895/2019, confermata da arresti costanti in tal senso dalle sezioni semplici, v. per tutte Cass. n. 34997/2023) poiché il carattere solutorio o ripristinatorio delle singole rimesse non incide sul contenuto dell’eccezione, che rimane lo stesso indipendentemente dalla natura dei singoli versamenti; né deve individuare e specificare le diverse rimesse solutorie in funzione di completare l’allegazione con l’indicazione del momento iniziale o o del termine finale della prescrizione eccepita, trattandosi di questioni di diritto sulla quale il giudice non è vincolato dalle allegazioni di parte (cfr. SS.UU. cit.).
Circa il fatto che il minimum dell’allegazione di cui è onerata la banca che eccepisce la prescrizione sia qui soddisfatto si osserva: a) che la banca ha eccepito che il credito era prescritto, ha, perciò,
invocato l’istituto che implica per definizione l’inerzia del titolare del diritto; b) ciò ha fatto per contestare il diritto di ripetizione fatto valere, il che vuol dire che ha dichiarato di volere profittare di tale inerzia: e ciò è quanto -appunto – necessario sufficiente secondo il consolidato orientamento di legittimità per l’ammissibilità dell’eccezione.
5.- In conclusione il ricorso va accolto con riguardo al primo motivo. La sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Trieste in diversa composizione che provvederà anche a regolare le spese della presente fase di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, e rinvia le parti innanzi alla Corte di appello di Trieste, in diversa composizione, che provvederà anche a regolare le spese della presente fase di legittimità.
Cosí deciso in Roma, nella camera di consiglio della I Sez. Civile