Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 8322 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 8322 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2490/2021 R.G. proposto da :
COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (-) rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO SALERNO n. 603/2020 depositata il 11/06/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
– Il ricorso riguarda la sentenza dell’11.6.2020 con cui la Corte d’appello di Salerno ha parzialmente accolto il gravame proposto contro la decisione con cui il Tribunale di Nocera Inferiore ha respinto le domande proposte da NOME COGNOME nei confronti di Deutsche Bank s.p.a. volte all’accertamento dell’ usurarietà del tasso convenuto nel contratto di finanziamento del 7.6.2007 avente oggetto la somma di 380.000 euro a tasso indicizzabile nel quale era computata anche la spesa fissa per insoluti da ritardo con condanna alla restituzione dell’eccedenza versata, ovvero la compensazione con la sorte capitale delle rate ancora a scadere; in via subordinata per l’accertamento e la declaratoria della nullità della clausola contrattuale disciplinante gli interessi per violazione degli artt. 1283 e 1284 c.c. e condanna della convenuta alla rideterminazione del piano d’ammortamento al tasso legale e alla restituzione dell’eccedenza o alla compensazione con la sorte capitale delle rate ancora a scadere; e, in via ulteriormente subordinata, alla declaratoria di nullità, perché meramente potestativa, della clausola di cui all’art. 5 del contratto di mutuo con condanna della convenuta al rideterminazione del piano di ammortamento al tasso legale e alla restituzione dell’eccedenza o alla compensazione con la sorte capitale delle rate ancora a scadere; in ogni caso ad accertare e dichiarare il diritto del ricorrente a continuare il pagamento rateale della sorte capitale residua secondo il piano di ammortamento eventualmente risultante dall’accoglimento delle precedenti domande. Deutsche Bank, per quanto qui interessa, ha contestato il fondamento della domanda per l’assoluta liceità del contratto di mutuo e delle singole clausole
– Il gravame contro la sentenza con cui il Tribunale ha respinto le domande, è stato parzialmente accolto dalla Corte d’appello che ha dichiarato non dovuta la maggiorazione di
1.421,55 euro a titolo di mora per il ritardo di 25 giorni nel pagamento della rata di mutuo di giugno 2013 con condanna della Deutsche Bank al pagamento della predetta somma, ed ha integrato la motivazione con riguardo ad altri profili della decisione gravata, sulla base delle seguenti considerazioni:
a) il mutuo a tasso variabile del 6,979% indicizzato Euribor (365) trimestralmente era puntualizzato, all’art. 5 del contratto, contenente il criterio concreto di calcolo del meccanismo di indicizzazione in dipendenza dell’andamento concreto dei tassi Euribor rilevati trimestralmente sul parametro di riferimento concordamento individuato nella misura del 4,179%; anche il meccanismo del computo degli interessi di mora era dettagliato nell’art. 6, ed automaticamente “calmierato” dalla previsione della c.d. clausola di salvaguardia;
b) la consulenza di parte si presentava generica e contraddistinta dall’essere più che altro una critica astratta e generalizzata verso il sistema di ammortamento del debito c.d. alla francese, utilizzato nello specifico; mancava comunque il riferimento al tasso di interesse praticato in dipendenza dalle variazioni periodiche del TEGM rilevato nello stesso periodo;
d) la domanda relativa all’usurarietà del tasso degli interessi era fondata sull’erronea premessa di una considerazione unitaria del tasso corrispettivo e di mora (che evidenziava che la percentuale degli interessi moratori così ottenuta era pari al 9,344% laddove il limite del tasso soglia al giugno 2007 -data di sottoscrizione del contratto -era pari al 7,965%) donde la conclusione che tutti gli interessi convenzionali sarebbero usurari e sarebbero nulle le relative clausole contrattuali: invero non era corretto procedere al cumulo tra interessi corrispettivi e moratori nonché tra i rispettivi tassi, perché, per la struttura stessa del contratto di mutuo non possono mai essere applicati congiuntamente in relazione ad un medesimo periodo temporale, dal momento che gli interessi
corrispettivi – che costituiscono la remunerazione della messa a disposizione di una somma di denaro da parte del mutuante – si applicano soltanto sul capitale a scadere (ex art. 1282 c.c.) mentre gli interessi di mora – che costituiscono il rimborso del danno patito dal mutuante in conseguenza del ritardo nella restituzione del capitale – si applicano soltanto sul debito scaduto articolo (ex art.1224 c.c.); pertanto, mentre il tasso di mora sostituisce in toto il tasso corrispettivo nel momento in cui matura in capo al mutuatario l’obbligazione restitutoria e si applica solo dopo il suddetto momento, il tasso nominale si applica solo prima; dovendo piuttosto interessi moratori e interessi corrispettivi essere confrontati separatamente con il parametro specifico di usurarietà;
c) nella fattispecie concreta, quanto agli interessi corrispettivi, l’analisi poteva essere condotta solo sulla base della lettura del contratto, mancando alcun analitico dettaglio o allegazioni di parte di circa l’ammontare degli effettivi interessi pagati (non avendo l’appellante prodotto né il piano di ammortamento effettivo, né le singole quietanze di pagamento) con conseguente impossibilità, in sede di eventuale ammissione di esperimento tecnico, di procedere al ricalcolo delle somme corrisposte a titolo di interessi e diversamente ricostruire lo sviluppo concreto del piano d’ammortamento, poiché, in mancanza di indicazione del tasso variabile applicato nei vari trimestri succedutisi, era impossibile verificare se lo stesso avesse superato la soglia usura come fissata dai DM di riferimento; ciò detto, sulla scorta del mero contratto, non poteva che dichiararsi che il tasso convenzionale degli interessi corrispettivi non supera la soglia di usura indicata dallo stesso ricorrente, perciò, in relazione alla previsione contrattuale della misura degli interessi corrispettivi, la domanda principale e anche la domanda subordinata erano infondate;
d) quanto al tasso di mora convenzionale, e con specifico riguardo al ritardato pagamento della rata di giugno 2013 e al
tasso di mora in concreto applicato (accertato che, a fronte della rata pari ad euro 1.361,55, per 25 giorni di ritardo il ricorrente aveva dovuto corrispondere in aggiunta l’importo di 1.421,55) che non risultava applicata la pur pattuita c.d. clausola di salvaguardia, laddove, a fronte della specifica allegazione dall’appellante suffragata dai documenti di pagamento, la banca – al di là di una generica contestazione -aveva mancato di controdedurre, considerato che la pattuizione della c.d clausola si salvaguardia trasformava il divieto legale di pattuire interessi usurari nell’oggetto di una specifica obbligazione contrattuale, con onere, quindi, della stessa banca, in presenza di contestazione di inadempimento, di provare di aver regolarmente adempiuto all’impegno assunto;
e) perciò -considerati la maggiorazione prevista del 2% ed anche l’importo fisso di 60 € per insoluto – quanto al ritardato pagamento della rata predetta la maggiorazione complessiva di 1.421,55 euro si appalesava ictu oculi esorbitante, sproporzionata e irragionevole rispetto all’importo (incontestato) della rata di euro 1.361,55 per un ritardo di soli 25 giorni (tanto più considerato che la quota capitale relativa alla rata era pari ad euro 472,12) avuto riguardo al rilevato TEGM vigente a giugno 2013 pari al 9,0125 %; pertanto, non potendo nello specifico applicarsi il meccanismo di cui all’articolo 1815 2° comma c.c. non essendo la misura contrattuale dell’interesse di mora convenuto in contrasto con i limiti della legge, doveva farsi applicazione dell’art. 1384 c.c. poiché gli interessi convenzionali di mora assolvono la funzione di una penale contrattuale che consente la liquidazione preventiva e forfettaria del danno dal ritardato pagamento, con conseguente reductio ad equitatem della penale in concreto applicata con annullamento della maggiorazione oblata.
– Contro la sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME affidandolo a due motivi di cassazione. Deutsche Bank Mutui s.p.a. ha resistito con controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
– Il Primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione ex art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. dell’art. 112; omesso esame di un fatto decisivo ed omessa pronuncia. Secondo il ricorrente -posto che il giudice di prime cure rigettava la domanda principale e ometteva qualsiasi pronuncia circa le domande subordinate -la Corte d’appello avrebbe omesso di pronunciarsi su tale violazione e di esaminare e di pronunciarsi sulla domanda subordinata proposta e devoluta in appello relativa alla nullità della clausola regolatrice del tasso di interesse, volta ad accertare e dichiarare detta nullità per violazione degli artt. 1283 e 1284 c.c. con rideterminazione del piano d’ammortamento al tasso legale temporalmente vigente e conseguente condanna della banca alla restituzione degli interessi ultralegali versati; tale nullità, infatti, doveva evincersi dal fatto che « il tasso di interesse pattuito era stato disapplicato dalla banca in favore di centinaia di differenti tassi di interesse frutto del piano di ammortamento alla francese » arbitrariamente utilizzato dall’istituto resistente in cui è contenuta la formula di matematica attuariale per la quale l’interesse applicato è quello composto e non già quello semplice (previsto dall’art. 821 comma 3 c.c.) come sarebbe stato comprovato dalle risultanze della CTP versata in atti; né il vaglio di tale domanda poteva ritenersi assorbito nella disamina operata dalla stessa Corte della nullità delle clausole degli interessi moratori né dalla apodittica e infondata valutazione di genericità con cui la Corte d’appello aveva obliterato la puntuale CTP.
2.- Il secondo motivo denuncia violazione falsa applicazione dell’articolo 112 115 e 167 c pc in relazione all’articolo 360 comma 1 n. 5 c.p.c.; omesso esame di un fatto decisivo e omessa
pronuncia. Con detto motivo il ricorrente lamenta che la sentenza sarebbe affetta da nullità laddove pur in presenza di domanda volta ad ottenere la dichiarazione di nullità della clausola relativa al determinazione degli interessi corrispettivi « per violazione dell’art. 1284, in relazione agli artt. 1346 e 1355 c.c. », avrebbe omesso di pronunciarsi sul punto, né potrebbe ritenersi la pronuncia sul rispetto delle norme predette integrata dal mero richiamo al contenuto dell’art. 5 del contratto perché detto articolo costituirebbe una clausola nulla « in quanto recante una condizione meramente potestativa che ha reso ulteriormente indeterminata o indeterminabile la quantificazione degli interessi » che avrebbe portato all’applicazione di interessi anatocistici mascherati nel piano di ammortamento alla francese; gli articoli 167 e 115 c avrebbero imposto al giudice di decidere sulla base di quanto allegato e provato, e quindi di utilizzare il risultanze della perizia contabile di parte ed io ogni altro atto allegato.
3.- I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente stante la loro evidente connessione, sono entrambi infondati, laddove non inammissibili.
3.1.- Anche a prescindere dal fatto che la formulazione dei motivi – che evoca congiuntamente l’omesso esame di un fatto decisivo e l’omessa pronuncia -non contiene una chiara e distinta illustrazione, come previsto dall’articolo 366 comma 1 n. 4 c.p.c., delle questioni volte a criticare la ricostruzione della fattispecie operata dal giudice di merito sotto i detti profili, nonché dal fatto che la violazione dell’art. 360 comma 1 n.5 c.p.c. non è ammissibile a fronte di una pronuncia c.d. doppia conforme com’è nella specie, né, comunque, è deducibile nel paradigma della norma indicata l’omissione di pronuncia riguardando, detto paradigma, l’omesso esame di un «fatto storico», principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le
parti e presenti carattere decisivo e non il malgoverno dell’ esercizio del potere di apprezzamento delle prove (non legali) da parte del giudice di merito, i motivi sono infondati in quanto:
la Corte d’appello non ha affatto omesso di pronunciarsi sulle domande riproposte in appello, avendo il giudice di secondo grado, dopo ampia disamina delle questioni sottoposte (come emerge dalla sintesi dei motivi sopra riportata) ed aver ritenuto generica ed astratta la relazione peritale di parte ed insufficiente la stessa allegazione di parte in mancanza del concreto piano di ammortamento applicato, ha ritenuto, che la previsione negoziale degli interessi corrispettivi non fosse affatto indeterminata (pur prevedendo il contratto un metodo di ammortamento c.d. alla francese) né sussistessero i presupposti per il richiesto accertamento della natura usuraria di detti interessi corrispettivi, con la conseguenza che « tanto la domanda principale quanto la domanda subordinata sono evidentemente infondate »;
il provvedimento impugnato ha deciso la questione di diritto concernente l’ammortamento alla francese in modo conforme alla giurisprudenza della Corte, tenuto conto dei principi fissati dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 15130/2024 che – enunciando la regula iuris con riferimento ai piani di ammortamento « alla francese » standardizzati tradizionali a tasso fisso, hanno osservato che:
(i) con il piano di ammortamento c.d. alla francese il mutuatario si obbliga a pagare rate di importo sempre identico composte dagli interessi, calcolati sull’intero capitale erogato e via via sul capitale residuo, e da frazioni di capitale quantificate in misura pari alla differenza tra l’importo concordato della rata costante e l’ammontare della quota interessi; il piano di ammortamento in questione si sviluppa a partire dal calcolo della quota interessi e deducendo per differenza la quota capitale e non viceversa; il rimborso delle frazioni di capitale conglobate nella rata in scadenza
produce l’abbattimento del capitale (debito) residuo e la riduzione del montante sul quale sono calcolati gli interessi, determinando così la progressiva diminuzione della quota (della rata successiva) ascrivibile agli interessi e il corrispondente aumento della quota ascrivibile a capitale e così via;
(ii) deve escludersi che la quota di interessi in ciascuna rata sia il risultato di un calcolo che li determini sugli interessi relativi al periodo precedente o che generi a sua volta la produzione di interessi nel periodo successivo, poiché il metodo alla francese è costruito in modo tale che ad ogni rata il debito per interessi si estingue, a condizione ovviamente che il pagamento sia avvenuto nel termine prestabilito. « È, perciò, anche solo astrattamente inipotizzabile che siffatto ammortamento sia fondato su un meccanismo che trasforma l’obbligazione per interessi … in base di calcolo di successivi ulteriori interessi »; né « opposta conclusione potrebbe argomentarsi rilevando semplicemente che nel mutuo alla francese la capitalizzazione avviene in regime ‘composto’ che è una espressione descrittiva del fenomeno per cui la quota capitale è incrementata con gli interessi generati, però, non (necessariamente) su altri interessi ma sul capitale (debito) residuo, né destinati (necessariamente) a generare a loro volta (diventando parte della somma fruttifera di) ulteriori interessi nel periodo successivo (quantomeno nel regime di ammortamento «alla francese» standard e nella dinamica fisiologica del rapporto) »; la capitalizzazione composta è, quindi, solo un modo per calcolare la somma dovuta da una parte all’altra in esecuzione del contratto concluso tra loro, una forma di quantificazione di una prestazione;
(iii) il maggior carico di interessi del prestito non è una caratteristica propria dei piani di ammortamento « alla francese » standardizzati e non dipende da un fenomeno di produzione di « interessi su interessi », cioè di calcolo degli interessi sul capitale
incrementato di interessi né su interessi « scaduti » (propriamente anatocistici), ma dal fatto che nel piano concordato tra le parti la restituzione del capitale è ritardata per la necessità di assicurare la rata costante (calmierata nei primi anni) in equilibrio finanziario, il che comporta la debenza di più interessi corrispettivi da parte del mutuatario a favore del mutuante per il differimento del termine per la restituzione dell’equivalente del capitale ricevuto.
Orbene, tali principi trovano parimenti applicazione anche nel caso in cui -come nella specie – il tasso convenuto nel piano di ammortamento standardizzato non sia fisso ma variabile, ancorato ovviamente ad un indice predeterminato (v. clausola 5 del contratto espressamente richiamata dalla Corte), dal momento che, laddove la quota di interessi dovuta per ciascuna rata sia calcolata applicando il tasso convenuto solo sul capitale residuo, è perciò stesso escluso l’anatocismo, e ciò che cambierà sarà solo la quantificazione degli interessi dovuti: e cioè, se il tasso previsto nel mutuo con piano di ammortamento standardizzato alla francese è variabile, l’importo complessivo della rata, con la cadenza temporale di volta in volta prevista, varierà, in positivo o in negativo, in base all’andamento del tasso di interesse di riferimento, comportando di conseguenza un aumento o una riduzione della quota di interessi della rata medesima. (v. in termini Cass. n. 7382/2025)
Ricapitolando, nel mutuo con piano di ammortamento alla francese standardizzato a tasso variabile:
i) non si determina alcuna capitalizzazione degli interessi perché la quota di interessi di ogni rata viene egualmente calcolata, come nel tasso fisso, sul debito residuo del periodo precedente, costituito dalla quota capitale ancora dovuta, detratto l’importo già pagato in linea capitale con le rate precedenti;
ii) se il piano di ammortamento riporta « la chiara e inequivoca indicazione dell’importo erogato, della durata del prestito, del tasso
di interesse nominale (TAN) ed effettivo (TAEG), della periodicità (numero e composizione) delle rate di rimborso con la loro ripartizione per quote di capitale e di interessi » ( fatti nella specie non contestati), neppure sorge alcun vulnus in termini di trasparenza, giacché il mutuatario ha integrale cognizione, nei limiti di ciò che è possibile, degli elementi, giuridici ed economici, del contratto.
Né rileva, in senso contrario, che, per sua natura, il piano di ammortamento di un mutuo a tasso variabile non possa che essere indicativo, recando una mera ipotesi proiettiva dell’ammontare finale dell’importo da restituire, sulla base del tasso individuato al momento della conclusione del contratto: il mutuatario, entro detti limiti, può difatti rappresentarsi quale sarà la somma finale da restituire per interessi sulla base dell’unico parametro noto e disponibile al momento della pattuizione, effettuando quella comparazione tra le possibili offerte sul mercato, che è la principale delle facoltà in funzione delle quali il presidio della trasparenza delle condizioni opera.
4. – Il ricorso in conclusione va respinto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come nel dispositivo, ai sensi del D.M. 12 luglio 2012, n. 140. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese in favore di parte controricorrente, liquidate nell’importo di euro 4200,00 cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis .
Cosí deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1° Sezione