Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4593 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1   Num. 4593  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: AMATORE NOME
Data pubblicazione: 21/02/2024
art. 186ter c.p.c.
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
Presidente
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
AVV_NOTAIO
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
AVV_NOTAIO
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
AVV_NOTAIO
Ud. 8/2/2024 CC
AVV_NOTAIO. NOME COGNOME
AVV_NOTAIO – COGNOME.
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso n. 27993-2017 r.g. proposto da:
NOME COGNOME (cod. fisc. CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso, giusta procura  speciale  apposta  in  calce  al  ricorso,  dall’AVV_NOTAIO NOME  AVV_NOTAIO  e dall’AVV_NOTAIO NOME , con cui elettivamente domicilia in Roma, INDIRIZZO , presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME.
-ricorrente -contro
RAGIONE_SOCIALE  (cod.  fisc.  CODICE_FISCALE),  con  sede  in Bisaccia INDIRIZZO), alla INDIRIZZO, in persona del legale rappresentante pro  tempore curatori  fallimentari  Prof.  AVV_NOTAIO  e  AVV_NOTAIO,  rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, dall’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO , con il quale elettivamente domicilia  in  Roma,  alla  INDIRIZZO ,  presso  lo  studio  dell’AVV_NOTAIO.
-controricorrente –
avverso il decreto del Tribunale di Avellino, depositato in data 18.10.2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 8/2/2023 dal AVV_NOTAIO;
RILEVATO CHE
1.Con ricorso ex artt. 98 e 99 l. fall. NOME COGNOME proponeva opposNOMEne allo stato passivo del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, in relazione al rigetto disposto dal g.d. della sua domanda di ammissione al passivo per euro 1.033.259,52, per prestazioni di opera professionale effettuate in favore della società poi fallita, per la realizzazione di impianti da fonte eolica.
2.La domanda di insin uazione era stata fondata sull’ ordinanza emessa in data 14 marzo 2016, ai sensi dell’art. 186ter c.p.c. da parte del Tribunale di Avellino, per euro 1.034.487,17, nell’ambito del NOMENOME di cognNOMEne incardinato da NOME COGNOME per il riconoscimento dei suoi compensi professionali, ordinanza poi revocata in seguito alla sentenza n. 1017/2017, con l a quale era stata dichiarata l’ improcedibilità della domanda per intervento fallimento della RAGIONE_SOCIALE
Il  g.d.  decideva  tuttavia  per  il  rigetto  della  domanda  di  insinuazione,  su conforme parere del curatore, non ritenendo l’ordinanza ex art. 186ter c.p.c. opponibile al fallimento, in quanto non definitiva e poi revocata a seguito della sentenza dichiarativa dell’ improcedibilità del NOMENOME nel corso del quale la stessa era stata emessa.
Il Tribunale di Avellino, con il decreto qui oggetto di ricorso per cassazione, ha rigettato la proposta opposNOMEne di NOME COGNOME, confermando pertanto il provvedimento reso dal g.d.
Il Tribunale ha rilevato che: (i) l’opponente, fondatore e socio della RAGIONE_SOCIALE , non aveva addotto elementi istruttori sufficienti a far ritenere fondata la sua domanda di insinuazione al passivo del fallimento; (ii) mancava infatti la prova del conferimento di un incarico professionale di diretta committenza da parte della società in bonis all’opponente e dunque anche della predisposNOMEne dei criteri per la determinazione dei compensi; (iii) l’opponente si era infatti limitato a produrre nel NOME di opposNOMEne una consulenza tecnica di parte (con integrazione) che sarebbe stata ricognitiva
degli incarichi da lui svolti e portati a termine e che conteneva una mera elencazione degli incarichi che l’opponente aveva svolto, risultando dunque tale Ctp inidonea a fornire la prova del credito; (iv) elementi contrari alla domanda di credito avanzata dall’opponente si rinvenivano invece dal verbale dell’assemblea soci della RAGIONE_SOCIALE del 3 marzo 2012, da cui emergeva, come anche eccepito dalla curatela, che l’attività di progettazione era stata svolta anche da altri soggetti; (v) anche l’ulter iore circostanza che il consiglio di amministrazione della RAGIONE_SOCIALE aveva definito tutte le attività svolte dai soci in qualità di consulenti sino al 31 dicembre 2010 rappresentava ulteriore elemento indiziario di segno contrario alla pretesa cred itoria dell’opponente; (vi) inammissibile doveva anche ritenersi la richiesta di Ctu in assenza di un solido supporto probatorio, invece non fornito dall’opponente; (vii) la documentazione fornita non era comunque opponibile al fallimento per la mancata dimostrazione della sua anteriorità alla dichiarazione di fallimento.
2.Il  decreto,  pubblicato  il  18.10.2017,  è  stato  impugnato  da  NOME  COGNOME con ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, cui il RAGIONE_SOCIALE  ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO CHE
1.Con  il  primo  motivo  il  ricorrente  lamenta,  ai  sensi  dell’art.  360,  primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 96, 3 ° comma, l. fall., sul rilievo che il tribunale avrebbe errato nel non considerare che aveva, in sede di illustrazione del ricorso in opposNOMEne allo stato passivo, evidenziato la natura condNOMEnale del credito per essere il credito sospensivamente condNOMEnato all’accert amento NOMEiziale in corso.
1.1 La doglianza così proposta non è fondata in quanto non sussiste neanche in astratto la possibilità di considerare condNOMEnato il credito di cui alla domanda di insinuazione al passivo, posto che il titolo NOMEiziale – e cioè l’ ordinanza ingiunzione ex art. 186 ter c.p.c., sulla cui base era stata richiesta l’ammissione al passivo del credito professionale era stato invero revocato con la sentenza dichiarativa dell’ improcedibilità della domanda avanzata nella sede cognitoria ordinaria, con la conseguenza che il predetto credito non
avrebbe potuto rientrare né nella previsione di cui all’art. 96, secondo comma, n. 3, l. fall. (in quanto lo stesso non era stato accertato con sentenza dal NOMEice ordinario o speciale, sentenza non ancora passata in NOMEicato) né tanto meno nel paradigma applicativo del n. 1 della norma da ultima citata, non  potendosi  ritenere  in  alcun  modo  il  credito  insinuato  come  credito condNOMEnato (non essendo stata neanche allegata dal ricorrente la circostanza condNOMEnante la richiesta ammissione).
Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., dell’art. 98 l. fall. in ordine ‘alla natura del NOMENOME di opposNOMEne allo stato passivo’.
2.1 Il secondo motivo è invece inammissibile.
2.1.1 Le doglianze proposte dal ricorrente risultano infatti completamente decentrate rispetto alla ratio decidendi su cui poggia il provvedimento impugnato, che ha invero giustificato il diniego della richiesta ammissione del credito al passivo sul rilievo della mancata prova da parte del creditore opponente dei fatti costitutivi del credito, risolvendosi, invece, il motivo di ricorso qui in esame in una lunghissima, quanto inutile, elencazione di principi giurisprudenziali sulla natura del NOMENOME di opposNOMEne allo stato passivo, che non rivestono alcun rilievo in ordine all’ impugnativa delle ragioni decisorie del decreto adottato al Tribunale e che, peraltro, neanche risultano applicabili al caso di specie perché riguardano procedure governate dal precedente testo della legge fallimentare, ante riforma 2005/2007, e dunque non riferibili alla fattispecie processuale qui oggi in esame.
2.1.2 Il motivo di ricorso conclude, al solito, insistendo in ordine alla fondatezza del credito insinuato perché portato dalla predetta ordinanza ingiunzione ex art. 186ter c.p.c., senza che le censure si confrontino, ancora una volta, con il dirimente rilievo, peraltro corretto, messo in luce dal decreto impugnato, e cioè che l’ ingiunzione di pagamento adottato nel corso del NOMENOME di cognNOMEne era stata revocata con la sentenza dichiarativa dell’improcedibilità della relativa domanda NOMEiziale per in tervenuto fallimento della società debitrice.
Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360,  primo  comma,  n.  4,  cod.  proc.  civ.,  per  violazione dell’art.  132,  2 °
comma, c.p.c. per aver affermato il provvedimento impugnato in maniera irriducibilmente contraddittoria che ‘la documentazione allegata non fornisce elementi di  valutazione  sicuri  in  ordine  al  fatto  che  l’attività  professionale prestata dal COGNOME fosse svolta in favore della società fallita e non invece nei confronti dell’effettivo beneficiario della prestazione’.
3.1 Il motivo, così formulato, è inammissibile.
3.1.1  Sotto  il  profilo  della  denunciata  contraddittorietà  della  motivazione impugnata, va qui solo ricordato che il vNOME, così declinato, non risulta più deducibile sotto l’egida applicativa del paradigma normativo di cui all’art. 360, primo  comma,  n.  5,  c.p.c.,  per  come  da  ultimo  novellato  e  per  come perimetrato dalla giurisprudenza di legittimità (v. Cass. Sez. Un. n. 8053/2014).
3.1.2  Sotto  altro  profilo,  le  censure  pretenderebbero  da  questo  NOMEice  di legittimità un nuovo apprezzamento della prova documentale (parcella e ctp), tramite rilettura diretta degli atti istruttori, scrutinio invece inibito, come noto, alla Corte di cassazione.
3.1.3 A ciò va aggiunto che se è pur vero, per consolidato insegnamento di questa Corte, che nel NOMENOME di opposNOMEne allo stato passivo è possibile, in relazione alla prova documentale già versata nella fase di verifica dello stato passivo, anche solo la mera indicazi one nell’atto di opposNOMEne dei documenti dei quali ci si vuole avvalere probatoriamente affinché scatti la doverosa loro acquisNOMEne officiosa (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 25663 del 13/11/2020; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 12549 del 18/05/2017), tuttavia tale rilievo risulta essere ancora una volta fuori fuoco rispetto alla ratio decidendi del provvedimento qui in esame, posto che, per stessa ammissione di parte ricorrente, quest’ultima si era riservata, quale opponente, di chiedere l’acquisNOMEne della documentazione nel corso del NOMENOME, senza neanche averla indicata nell’atto di opposNOMEne, operazione processuale invece non consentita dall’art. 99 l. fall.
 Con  il  quarto  motivo  si  censura  il  provvedimento  impugnato  per  la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 350, primo comma, n. 5, sul rilievo della manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione
in  ordine  alla  valutazione  probatoria  della  Ctp  versata  nel  NOMENOME  di opposNOMEne.
4.1 Il motivo è inammissibile perché solo genericamente formulato e volto, ancora  una  volta,  a  richiedere  a  questa  Corte  di  legittimità  un  rinnovato esame della prova documentale.
Sotto il profilo degli indici normativi di cui si invoca la violazione, occorre ulteriormente ricordare che, secondo la giurisprudenza di legittimità, espressa anche nel suo massimo consesso (cfr. Sez. U., Sentenza n. 20867 del 30/09/2020), in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il NOMEice, in contraddNOMEne espressa o implicita con la prescrNOMEne della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (cfr. anche: Cass. 5, Ordinanza n. 16016 del 09/06/2021).
5.  Il  ricorrente  propone  inoltre  un  quinto  mezzo  con  il  quale  deduce  la ‘violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in particolare dell’art. 116 c.p.c., in relazione agli artt. 1173, 1174, 2232 e 2233, ai sensi dell’art. 360, n.  3’,  sul  rilievo  che  il  Tribunale  avrebbe  attribuito  alla  ‘documentazione utilizzata per la decisione una affermazione decisiva esattamente contraria al suo contenuto ‘ .
5.1 Anche in tal caso, le doglianze sono inammissibili perché, sotto l’egida applicativa del vNOME di violazione e falsa applicazione di norme di legge ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la parte ricorrente pretenderebbe una nuova rivalutazione della quaestio facti , tramite la rilettura della prova documentale, ed un nuovo scrutinio della prova indiziaria, valutazioni che invece esulano dal sindacato del NOMEice di legittimità (così, Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019; cfr. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017;Sez. 1, Ordinanza n. 640 del 14 /01/2019).
6. Il sesto ed ultimo mezzo denuncia ‘violazione degli artt. 2697 e 2698 c.c. in riferimento all’art. 360 n. 3 e n. 5 per contraddittoriet à processuale della motivazione’,  sul  rilievo  dell’ erroneità  della  motivazione  impugnata  per  il diniego di ammissione di Ctu.
6.1 Il motivo è generico e al solito volto ad un nuovo apprezzamento delle prove e, dunque, per quanto già sopra detto, inammissibile.
Sul punto va precisato che se è pur vero che possono essere utilizzati, nel NOMENOME civile, documenti formati in altro processo, come tali liberamente apprezzabili dal NOMEice del merito, tuttavia tale rilievo non scalfisce la ratio decidendi del provvedimento impugnato che ha invece ritenuto che i documenti depositati (parcella e Ctp) non fossero idonei a far ritenere il quadro probatorio offerto dal ricorrente sufficientemente solido per richiedere ed ottenere l’ammissione di una C.t.u., ch e dunque sarebbe risultata meramente esplorativa, qualora ammessa.
Ne consegue il complessivo rigetto del ricorso.
Le  spese  del  NOMENOME  di  legittimità  seguono  la  soccombenza  e  vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
rigetta  il  ricorso  e  condanna  il  ricorrente  al  pagamento,  in  favore  del fallimento controricorrente, delle spese del NOMENOME di legittimità, che liquida in euro 9.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai  sensi  dell’art.  13  comma  1  quater  del  d.P.R.  n.  115  del  2002,  inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 8.2.2024