Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 24241 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 24241 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/08/2025
Oggetto: Consob -Amministratore senza delega.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7627/2019 R.G. proposto da
COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME nel cui studio in Roma, INDIRIZZO è elettivamente domiciliato.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE – Commissione Nazionale per le Società e la Borsa, rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME NOME COGNOME e domiciliata presso la propria sede in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’Appello di Venezia n. 115/2018, depositata il 26 luglio 2018 e non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4
aprile 2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con delibera n. 19932/2017, emessa all’esito del procedimento disciplinato dall’art. 195 d.lgs. n. 58/98 T.U.F., riscontrata l’omissione delle informazioni riguardanti i due aumenti di capitale deliberati dalla banca nel 2014 nei relativi prospetti, la Consob applicò, ai sensi dell’art. 191 T.U.F. a NOME COGNOME consigliere di amministrazione della Banca Popolare di Vicenza dal 26/04/2014, la sanzione amministrativa pecuniaria d euro 30.000,00, così determinata per effetto del cumulo giuridico tra la sanzione prevista per il primo aumento di capitale, mediante emissione di azioni in opzione ai soci con periodo di offerta compreso tra il 12/05/2014 e il 08/08/2014, pari a euro 20.000,00, e quella prevista per il secondo aumento di capitale, mediante emissione di azioni, finalizzato all’ampliamento della base sociale, da offrire, quindi, esclusivamente a non soci, con periodo di offerta compreso tra il 12/05/2014 e il 19/12/2014, pari a euro 15.000,00.
Era stata, in particolare, contestata:
l’omessa indicazione, nei Prospetti del 2014, delle modalità di determinazione del prezzo di emissione delle azioni, avendo disatteso la normativa interna in materia di pricing approvata dal Consiglio di Amministrazione il 12/04/2011 e costituita dall’architettura metodologica e dal decalogo dei requisiti che rappresentavano, rispettivamente, l’impianto metodologico e i requisiti valutativi da porre a fondamento dell’attività estimativa dall’esperto indipendente, incaricato della stima del valore del titolo azionario, e avendo dato preminenza al criterio reddituale, ciò che aveva comportato la determinazione di prezzi sensibilmente differenti;
l’omessa informativa in merito alla sussistenza, entità ed effetti della concessione di finanziamenti strumentali alla sottoscrizione e acquisto di azioni della Banca, ossia all’impiego, da parte della
clientela, di somme rinvenienti da finanziamenti erogati dalla Banca, funzionali alla sottoscrizione degli aumenti di capitale e all’acquisto di azioni proprie nel periodo antecedente agli aumenti di capitale del 2014 e a partire dal 2008, essendo stato accettato che la Banca, nel 2013 e nel 2014, aveva accordato finanziamenti correlati all’acquisto o alla sottoscrizione di azioni proprie per rilevanti importi atti a dimostrare il ricorso, da parte sua, alla pratica del capitale finanziato ben prima della conclusione degli aumenti di capitale sociale del 2014;
3) l’omessa rappresentazione, nella documentazione d’offerta della compravendita delle azioni BPVi, di notizie attinenti 1) al persistere di una situazione di significativa mancata evasione delle richieste di vendita di azioni della Banca (periodo fine 2013-primi quattro mesi 2014), 2) alla decisione, adottata dal C.d.A. il 03/12/2013, di stabilire l’avvio del c.d. blocking period , ossia la sospensione dell’operatività sulle azioni con decorrenza dal 04/12/2013 fino all’assemblea dei soci per l’approvazione del bilancio, ancorché ciò incidesse sulla possibilità per l’investitore di rappresentarsi una corretta aspettativa circa l’effettiva possibilità di disinvestire i titoli illiquidi acquistati, con conseguente violazione dell’art. 94, comma 2, T.U.F.
Ad avviso della Consob, il ricorrente, nella sua qualità di componente del C.d.A., non aveva assicurato che queste rilevanti informazioni venissero incluse nei Prospetti del 2014, con conseguente impossibilità per gli investitori di acquisire notizie utili a pervenire a un giudizio di investimento sui prodotti finanziari offerti, sulla situazione patrimoniale e finanziaria della Banca, sui risultati economici e sulle prospettive dell’emittente, nonché sulla possibilità di rappresentarsi correttamente l’aspettativa in ordine alla realizzazione del disinvestimento delle azioni oggetto di offerta dopo l’eventuale sottoscrizione.
Il periodo rilevante ai fini delle violazioni contestate era compreso tra il 8/5/2014 (data di approvazione, da parte della Consob, del DR pubblicato il giorno successivo) e il 19/12/2014 (data in cui ebbe termine il periodo di offerta del secondo aumento di capitale). Il giudizio di opposizione avverso la suddetta delibera, interposto da NOME COGNOME con ricorso depositato il 26/6/2017, si concluse, nella resistenza della Consob, con la sentenza n. 115/2018, pubblicata il 26/7/2018, con la quale la Corte d’Appello di Venezia accolse in parte il ricorso, riducendo l’ammontare della sanzione da euro 30.000,00 a euro 26.500,00.
Per quanto qui interessa, i giudici di merito ritennero sussistenti le violazioni contestate e la responsabilità dei componenti del C.d.A., avendo essi aderito acriticamente alle conclusioni raggiunte dall’esperto formatore sui prezzi delle azioni, omesso di segnalare l’irregolarità dei Prospetti dei finanziamenti strumentali all’acquisto di azioni e omesso di indicare, nella documentazione di offerta, la persistente mancata evasione delle richieste di vendita; ritennero non applicabile né il favor rei e, dunque, gli artt. 190, 190-bis e 190-sexies T.U.F., come modificati dal d.lgs. n. 72 del 2015, né il principio di specialità ex art. 8, comma 1, legge n. 689 del 1981, e, in particolare, il concorso formale tra violazioni contestate, in ragione della diversità delle condotte contestate con le diverse delibere nn. 19932, 19933, 19934 e 19935; esclusero la violazione del principio del contraddittorio; valutarono la rilevanza delle informazioni omesse nel Prospetti 2014.
Ritennero, inoltre, il ricorrente responsabile, nonostante la breve permanenza nel C.d.A., in quanto l’illecito a lui ascritto aveva carattere permanente e in quanto lo stesso aveva omesso di garantire la veridicità e completezza dei dati contenuti nei Prospetti e di tenersi adeguatamente informato sulla gestione e sull’organizzazione aziendale, benché a conoscenza delle questioni,
come evincibile dal verbale dell’assemblea del 26/4/2014, dalla nota Consob del 16/5/2014 e dalle enormi quantità di richieste di cessione di azioni della Banca da parte della clientela e di reclami sul punto.
Ritennero, infine, che la sanzione andasse ridotta in quanto non poteva essere imputata al ricorrente l’omissione di cui alla terza contestazione, relativa alle informazioni afferenti al blocking period .
Avverso la predetta sentenza NOME COGNOME propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, illustrati anche con memoria. Consob – Commissione Nazionale per le Società e la Borsa si difende con controricorso, illustrato anche con memoria.
Considerato che :
1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 94, commi 2 e 8, 191, comma 2, e 195 T.U.F., nonché dell’art. 1, legge n. 689 del 1981, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello applicato alla posizione del ricorrente la suddetta normativa, benché questi non fosse in carica al tempo della redazione e dell’approvazione dei Prospetti, né avesse avuto affidata alcuna attività rispetto ad essi e nonostante nei documenti d’offerta fosse espressamente indicato il soggetto emittente.
Il ricorrente, dopo avere premesso che l’art. 94, comma 2, T.U.F. individuava come soggetti responsabili del Prospetto l’emittente, l’offerente e l’eventuale garante, nonché le persone responsabili delle informazioni nello stesso contenute, secondo quanto stabilito dall’art. 6 Direttiva 2003/71/CE, che il legislatore aveva optato, con l’art. 94, comma 8, per l’esclusione degli organi di direzione, amministrazione e controllo tra i responsabili del prospetto e che i soggetti responsabili andavano indicati nel medesimo documento, ha evidenziato come quest’ultimo indicasse, nella specie, come
emittente e responsabile BPVi, come le dichiarazioni attestanti la conformità delle informazioni non fossero mai state da lui sottoscritte, con conseguente sua estraneità a tale attività, come ben prima della sua accettazione della carica, intervenuta il 29/4/2014, il C.d.A. avesse conferito ampia delega a soggetti ben determinati e individuati dalla Consob, come l’art. 191, comma 2, T.U.F. sanzionasse i soggetti responsabili della redazione e pubblicazione di prospetti non completi, individuando i soggetti delegati a tale attività, in correlazione con quanto stabilito dal comma 8 dell’art. 94, come gli amministratori privi di deleghe non avessero compiuto alcuna attività finalizzata alla redazione dei prospetti, configurandosi altrimenti una responsabilità oggettiva, e come la ricostruzione di cui alla sentenza confliggeva col principio personalistico delle sanzioni amministrative.
Era, peraltro, paradossale che l’offerente BPVi non fosse stato destinatario di alcuna sanzione, pur recando l’atto di accertamento il suo nominativo, dovendosi ritenere che la Consob attribuisse alla persona giuridica Banca la responsabilità del contenuto del prospetto che l’art. 194 avrebbe consentito di sanzionare.
2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 94, comma 2, e 195 TUF, nonché dell’art. 1 legge n. 689 del 1981, la violazione degli artt. 94 bis , 13 e 14 della direttiva 2003/71CE e dell’art. 8 del Regolamento emittenti -Inapplicabilità a soggetti entrati in carica successivamente all’approvazione dei prospetti e senza previa contestazione degli addebiti ascritti in sentenza, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte veneta confermato le sanzioni a carico di un soggetto non ancora consigliere durante lo svolgimento di tutte le attività sui prospetti.
Infatti quand’anche non si fosse voluta riconoscere una responsabilità esclusiva dell’emittente BPVi, le norme sopra
richiamate erano comunque inapplicabili al ricorrente in ragione dell’esaurimento, alla data del suo ingresso in carica, delle attività compiute dall’emittente in vista della pubblicazione del prospetto, secondo le procedure dettate dall’art. 94, comma 1, T.U.F., la quale si era arrestata al momento dell’inoltro della comunicazione corredata dal prospetto alla Consob, mentre il ricorrente, tanto alla data della deliberazione e approvazione dei prospetti da parte del Consiglio di Amministrazione (01/04/2014 e 15/4/2014), quanto a quella di invio alla Consob, non aveva ancora accettato la carica di consigliere di amministrazione, avvenuta il 29/04/2014, sicché nessuna attività sui Prospetti aveva potuto compiere, posto che, successivamente alle deliberazioni consiliari del 01/04/2014 e del 15/4/2014, la tematica del prospetto d’offerta riferito all’aucap e al mini-aucap non era stata più sottoposta al Consiglio di Amministrazione della Banca.
I giudici di merito avevano in sostanza dato atto che la conoscenza dei fatti da parte del ricorrente rimanesse successiva alla pubblicazione e approvazione, da parte della Consob, del Prospetto, riconoscendo che vi fosse non già una possibilità di intervenire su di esso in fase di pubblicazione, bensì la necessità di un supplemento ai sensi del comma 7 dell’art. 94 T.U.F., così da determinare un sostanziale mutamento della sanzione rispetto al fatto contestato (non il mancato aggiornamento della documentazione d’offerta, ma la redazione del prospetto originario), in contrasto col principio del contraddittorio.
Ad avviso del ricorrente, il richiamo ha l’obbligo di agire in formato non era pertinente, in quanto l’azione contestata non era a lui riferibile.
3.1 Il primo e il secondo motivo, da trattare congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono infondati.
L’art. 94 d.lgs. del 24/02/1998 n. 58 (T.U.F.), come modificato dall’art. 6 del d.lgs. 4 marzo 2014, n. 44 e in vigore dal 9/4/2014, e, dunque, nella versione ratione temporis applicabile, avendo il ricorrente rivestito la qualifica di componente del Consiglio di Amministratore dal 26/4/2014, prevedeva, al comma 2, che coloro che intendessero effettuare un’offerta al pubblico avrebbero dovuto redigere, in conformità agli schemi previsti dai regolamenti comunitari che disciplinano la materia, e pubblicare preventivamente, previa approvazione della Consob, il Prospetto che doveva contenere, ‘ in una forma facilmente analizzabile e comprensibile, tutte le informazioni che, a seconda delle caratteristiche dell’emittente e dei prodotti finanziari offerti, sono necessarie affinché’ gli investitori possano pervenire ad un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria, sui risultati economici e sulle prospettive dell’emittente e degli eventuali garanti, nonché sui prodotti finanziari e sui relativi diritti. Il prospetto contiene altresì una nota di sintesi la quale, concisamente e con linguaggio non tecnico, fornisce le informazioni chiave nella lingua in cui il prospetto è stato in origine redatto. Il formato e il contenuto della nota di sintesi forniscono, unitamente al prospetto, informazioni adeguate circa le caratteristiche fondamentali dei prodotti finanziari che aiutino gli investitori al momento di valutare se investire in tali prodotti ‘ (comma 1), mentre ‘ Qualunque fatto nuovo significativo, errore materiale o imprecisione relativi alle informazioni contenute nel prospetto che sia atto ad influire sulla valutazione dei prodotti finanziari e che sopravvenga o sia rilevato tra il momento in cui è approvato il prospetto e quello in cui è definitivamente chiusa l’offerta al pubblico deve essere menzionato in un supplemento del prospetto ‘ (comma 7). Il successivo comma 8 della medesima disposizione stabiliva, infine, che ‘ l’emittente, l’offerente e l’eventuale garante,
a seconda dei casi, nonché le persone responsabili delle informazioni contenute nel prospetto rispondono, ciascuno in relazione alle parti di propria competenza, dei danni subiti dall’investitore che abbia fatto ragionevole affidamento sulla veridicità e completezza delle informazioni contenute nel prospetto, a meno che non provi di aver adottato ogni diligenza allo scopo di assicurare che le informazioni in questione fossero conformi ai fatti e non presentassero omissioni tali da alterarne il senso ‘.
Come chiarito da Cass., Sez. 2, 2/3/2023, n. 6295, il destinatario del Prospetto non è la Consob, non essendo detto documento posto a tutela dell’attività di controllo e vigilanza della stessa in occasione della sua approvazione, ma il pubblico degli investitori cui sono dirette in una forma facilmente analizzabile e comprensibile, tutte le informazioni che, a seconda delle caratteristiche dell’emittente e dei prodotti finanziari offerti, sono necessarie affinché possano pervenire ad un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria, sui risultati economici e sulle prospettive dell’emittente e degli eventuali garanti, nonché sui prodotti finanziari e sui relativi diritti, onde porre l’investitore o sottoscrittore nelle condizioni ottimali per valutare la convenienza dell’offerta. L’approvazione del prospetto da parte della Consob costituisce un’attività strumentale alla tutela dell’investitore, fine ultimo a presidio del quale è posta l’esigenza di trasparenza sottesa alla norma in esame. Ne consegue che il momento di consumazione dell’illecito non è quello della approvazione del prospetto mancante di informazioni rilevanti, ma quello della sua pubblicazione.
L’art. 191 T.U.F., nella versione applicabile ratione temporis , poi, sanzionava chiunque violasse la disposizione in esame, non potendosi applicare, invece, la versione di tale norma come modificata dall’art. 5 del d.lgs. 12 maggio 2015, n. 72, il quale stabilisce ora al comma 2bis che ‘ Se all’osservanza delle
disposizioni previste dai commi 1 e 2 è tenuta una società o un ente, le sanzioni ivi previste si applicano nei confronti di questi ultimi; la stessa sanzione si applica nei confronti degli esponenti aziendali e del personale della società o dell’ente nei casi previsti dall’articolo 190-bis, comma 1, lettera a). Se all’osservanza delle medesime disposizioni è tenuta una persona fisica, in caso di violazione, la sanzione si applica nei confronti di quest’ultima ‘, stante il riferimento al letterale dettato del comma 2 dell’art. 6 d.lgs. n. 72/2015, secondo cui ” le modifiche apportate alla parte V del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, si applicano alle violazioni commesse dopo l’entrata in vigore delle disposizioni adottate dalla Consob e dalla Banca d’Italia secondo le rispettive competenze ai sensi dell’articolo 196-bis del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. Alle violazioni commesse prima della data di entrata in vigore delle disposizioni adottate dalla Consob e dalla Banca d’Italia continuano, dunque, ad applicarsi le norme della parte V del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, vigenti prima della data di entrata in vigore del presente decreto legislativo ‘, essendo stata la violazione contestata commessa antecedentemente alla sua entrata in vigore.
Deve perciò trovare applicazione l’insegnamento ricordato da Cass., Sez. 2, 2/3/2023, n. 6295, secondo cui ‘in tema di sanzioni amministrative, i principi di legalità, irretroattività e di divieto dell’applicazione analogica di cui all’art. 1 della legge 24.11.1981, n. 689, comportano l’assoggettamento della condotta illecita alla legge del tempo del suo verificarsi, con conseguente inapplicabilità della disciplina posteriore più favorevole, sia che si tratti di illeciti amministrativi derivanti da depenalizzazione, sia che essi debbano considerarsi tali ab origine , senza che possano trovare applicazione analogica, attesa la differenza qualitativa delle situazioni considerate, gli opposti principi di cui all’art. 2, secondo e terzo
comma, cod. pen., i quali, recando deroga alla regola generale dell’irretroattività della legge, possono, al di fuori della materia penale, trovare applicazione solo nei limiti in cui siano espressamente richiamati dal legislatore (cfr. Cass. 28/12/2011, n. 29411; si veda anche Corte cost. 24/4/2002, n. 140, secondo cui è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, secondo comma, della legge n. 689 del1981, nella parte in cui non prevede che, se la legge in vigore al momento in cui fu commessa la violazione e quella posteriore stabiliscono sanzioni amministrative pecuniarie diverse, si applichi la legge più favorevole al responsabile)’.
Come chiarito da Cass., Sez. 2, 30/12/2015, n. 26132, il criterio d’imputazione di tale responsabilità è, dunque, chiaramente individuato dall’art. 6 della legge n. 689 del 1981, il quale, richiedendo che l’illecito sia stato commesso dalla persona fisica nell’esercizio delle proprie funzioni o incombenze, stabilisce un criterio di collegamento che costituisce al tempo stesso il presupposto ed il limite della responsabilità dell’ente, nel senso che a tal fine si esige soltanto che la persona fisica si trovi con l’ente nel rapporto indicato, e non anche che essa abbia operato nell’interesse dell’ente (cfr. Cass. 12.3.2012, n. 3879).
Va inoltre osservato come il d.lgs. n. 58 del 1998 individui una serie di fattispecie a carattere ordinatorio, destinate a salvaguardare procedure e funzioni ed incentrate su mere condotte considerate doverose, sicché il giudizio di colpevolezza è ancorato a parametri normativi estranei al dato puramente psicologico, con limitazione dell’indagine sull’elemento oggettivo dell’illecito all’accertamento della suitas della condotta inosservante, per cui, una volta integrata e provata dall’autorità amministrativa la fattispecie tipica dell’illecito, grava sul trasgressore, in virtù della presunzione di colpa posta dall’art. 3 della legge n. 689 del 1981,
l’onere di provare di aver agito in assenza di colpevolezza (Cass., Sez. 1, 2/3/2016, n. 4114).
3.2 Orbene, con specifico riferimento alle sanzioni amministrative previste dall’art. 191, comma 2, del d.lgs. n. 58 del 1998, nella formulazione applicabile ratione temporis , il consigliere di amministrazione non esecutivo di società per azioni, in conformità al disposto dell’art. 2392, secondo comma, cod. civ., che concorre a connotare le funzioni gestorie tanto dei consiglieri non esecutivi, quanto di quelli esecutivi, è solidalmente responsabile per omessa vigilanza, allorché, venuto a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non abbia fatto ciò che poteva per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose (Cass., Sez. 2, 29/10/2018, n. 27365), sicché il dovere di agire informati dei consiglieri non esecutivi delle società bancarie, sancito dalla ridetta norma e dall’art. 2381, commi 3 e 6, cod. civ., non va rimesso, nella sua concreta operatività, alle segnalazioni provenienti dai rapporti degli amministratori delegati, dovendo anche essi possedere ed esprimere costante e adeguata conoscenza del business bancario e avendo anche essi l’obbligo, in quanto compartecipi delle decisioni di strategia gestionale assunte dall’intero consiglio, di contribuire ad assicurare un governo efficace dei rischi di tutte le aree della banca e di attivarsi in modo da poter efficacemente esercitare una funzione di monitoraggio sulle scelte compiute dagli organi esecutivi, non solo in vista della valutazione delle relazioni degli amministratori delegati, ma anche ai fini dell’esercizio dei poteri, spettanti al Consiglio di Amministrazione, di direttiva o avocazione concernenti operazioni rientranti nella delega (Cass., Sez. 2, 4/10/2019, n. 24851; anche Cass., Sez. 2, 18/09/2020, n. 19556; Cass., Sez. 2, 11/12/2024, n. 32010).
Cass., Sez. 2, 29/10/2018, n. 27365, ha, sul punto, chiarito, in particolare, che la portata precettiva del comma 2 dell’art. 191 T.U.F., nella formulazione applicabile ratione temporis , si specifica anche in conformità al disposto del secondo comma dell’art. 2392 cod. civ., che concorre a connotare le funzioni gestorie – e dunque pure le funzioni sottese alla prefigurazione normativa di cui al vigente comma 2 dell’art. 191 cit., “chiunque viola gli articoli 94, commi 2, 3, 5, 6 e 7 (…) ” – e dei consiglieri esecutivi e dei consiglieri non esecutivi di società per azioni altresì “in chiave omissiva”, alla stregua dell’inciso ” in ogni caso gli amministratori (…) sono solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose “, ritenendo che, in tal guisa, si giustificasse appieno la contestazione di ” omessa vigilanza ‘.
Peraltro, se è vero che la “riforma” del 2003 ha espunto dall’incipit del secondo comma dell’art. 2392 cod. civ. l’obbligo di vigilanza sul generale andamento della gestione, è anche vero che la prima parte dell’ultimo comma dell’art. 2381 cod. civ. dispone che ” gli amministratori sono tenuti ad agire in modo informato ” e che, al contempo siffatto potere – dovere, benché destinato a ” compiersi ” in sede collegiale (” ciascun amministratore può chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della società “: art. 2381, ultimo comma, seconda parte, cod. civ.), si qualifica teleologicamente, ex art. 2381, terzo comma, ultima parte, cod. civ. nella valutazione – ” sulla base della relazione degli organi delegati ” – del generale andamento della gestione.
3.3 Nella specie, la Consob ha addebitato ai componenti del C.d.A. l’acritica adesione alle conclusioni raggiunte dall’esperto formatore sui prezzi delle azioni, l’omessa segnalazione di dar conto dei Prospetti dei finanziamenti strumentali all’acquisto di azioni e
l’omessa indicazione, nella documentazione di offerta, della persistente mancata evasione delle richieste di vendita.
A questi principi si sono attenuti i giudici di merito, allorché hanno ritenuto sussistente la responsabilità del ricorrente, nonostante il limitato periodo di sua permanenza nel Consiglio di Amministrazione, sostenendo che le violazioni a lui ascritte costituissero illecito permanente, che i componenti del Consiglio di Amministrazione avessero assunto l’impegno di garantire la veridicità e completezza dei dati contenuti nei Prospetti, che la violazione non potesse ricondursi al solo operato di colui che era stato incaricato della redazione del Prospetto (nella specie il Direttore Generale), posto che il DR era stato approvato dal C.d.A. il 1/4/2014 e che, in quell’occasione, erano state conferite deleghe anche al Direttore Generale per la sua integrazione, non rilasciate invece nel periodo 7/10/2011-12/2/2015, così dimostrando che la prima stesura non era riconducibile al solo incaricato; che la governance della Banca (supervisione strategica e gestione) era affidata, fino a quel momento, al C.d.A. e che le regole di governo della Banca previste nella normativa di settore (circolare Banca d’Italia n. 285/2013; art. 53, comma 1, T.U.B.; Direttiva 2013/36/UE; art. 2381, comma terzo, cod. civ.) smentissero l’assunto della ridotta portata degli obblighi facenti capo agli amministratori privi di delega.
Il ricorrente, inoltre, non aveva dimostrato, ad avviso dei giudici, di avere adempiuto al dovere di tenersi adeguatamente informato sulla gestione e sull’organizzazione aziendale – obbligo gravante anche sull’amministratore senza deleghe -, ed era certamente a conoscenza delle questioni, sia perché aveva certamente letto il verbale dell’assemblea del 26/4/2014, che conteneva oltre alla sua nomina, anche l’intervento del socio NOME COGNOME che aveva segnalato tutti gli inadempimenti di cui si discute, senza che
a ciò seguisse un approfondimento delle questioni dibattute, né la segnalazione della necessità di integrare i prospetti, sia perché il C.d.A. di cui faceva parte aveva autorizzato operazioni di rilevante importo di finanziamento delle azioni proprie, sia perché vi erano indicazioni nella nota Consob del 16/5/2014, cui era seguita comunque l’autorizzazione ad un’operazione di finanziamento di alcuni soci, sia perché vi erano enormi quantità di richieste di cessione di azioni della Banca da parte della clientela e di reclami sul punto.
Essendosi i giudici di merito attenuti ai principi sopra esposti, deriva l’infondatezza delle censure.
4.1 Con il terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 49 Carta Diritti Fondamentali Unione Europea – Legge successiva più favorevole consistente nell’esclusione della punibilità di persone fisiche in caso di condotte poco rilevanti prevista dall’art. 190 -bis , introdotto dall’art. 5 del d.lgs. n. 72 del 2015 Necessità di disapplicazione dell’art. 6 d.lgs. n. 72 del 2015, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito negato in radice la natura penale dell’illecito contestato e l’applicazione dello ius superveniens , facendo leva anche sull’art. 6 d.lgs. n. 72 del 2015, contravvenendo alla consolidata giurisprudenza eurounitaria che avrebbe imposto la disapplicazione di questa norma.
Il ricorrente ha, infatti, affermato che la particolare afflittività della pena, nella misura massima di euro 500.000,00, consentiva di ritenere la violazione contestata di natura sostanzialmente penale, secondo i criteri Engel, che la Consob aveva lo scopo di garantire la protezione degli investitori e l’efficacia, la trasparenza e lo sviluppo dei mercati azionari e dunque interessi generali normalmente tutelati dal diritto penale e che la responsabilità da Prospetto era governata dal diritto eurounitario, con garanzie assicurate dalla
stessa Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, sicché avrebbe dovuto trovare applicazione la legge più favorevole e, dunque, la modifica apportata all’art. 191 T.U.F. dal d.lgs. n. 71 del 2016, che impone l’applicazione delle sanzioni alla società o ente che abbiano disatteso le disposizioni previste dai commi 1, 2, 3 e 4, sostituendo il precedente assetto con quello dell’imputazione generale delle condotte stigmatizzate alle società vigilate e mantenendo una responsabilità delle persone fisiche componenti di organi di gestione e controllo di impresa.
4.2 Il terzo motivo è infondato.
Deve, innanzitutto, premettersi che, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, le modifiche alla parte V del d.lgs. n. 58 del 1998 apportate dal d.lgs. n. 72 del 2015, si applicano alle violazioni commesse dopo l’entrata in vigore delle disposizioni di attuazione adottate dalla Consob, in tal senso disponendo l’art. 6 del medesimo decreto legislativo, senza che sia possibile ritenere l’applicazione immediata della legge più favorevole, atteso che il principio cd. del favor rei , di matrice penalistica, non si estende, in assenza di una specifica disposizione normativa, alla materia delle sanzioni amministrative, che risponde, invece, al distinto principio del tempus regit actum . Né tale impostazione viola i principi convenzionali enunciati dalla Corte EDU nella sentenza 4 marzo 2014 (COGNOME ed altri c/o Italia), secondo la quale l’avvio di un procedimento penale a seguito delle sanzioni amministrative comminate dalla Consob sui medesimi fatti violerebbe il principio del ne bis in idem , atteso che tali principi vanno considerati nell’ottica del giusto processo, che costituisce l’ambito di specifico intervento della Corte, ma non possono portare a ritenere sempre sostanzialmente penale una disposizione qualificata come amministrativa dal diritto interno, con conseguente irrilevanza di un’eventuale questione di costituzionalità ai sensi dell’art. 117
Cost. (Cass., Sez. 1, 30/06/2016, n. 13433; Cass., Sez. 2, 9/8/2018, n. 20689).
Non sarebbe conferente, ai fini voluti, la sentenza della Corte Costituzionale n. 63 del 5/2/2019, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo – in via consequenziale (ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953) – l’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 72 del 2015, nella parte in cui esclude l’applicazione retroattiva delle modifiche apportate dal comma 3 dello stesso art. 6 alle sanzioni amministrative previste per l’illecito di manipolazione del mercato di cui all’art. 187ter del d.lgs. n. 58 del 1998, affermando altresì l’identità del quadro sanzionatorio all’abuso di informazioni privilegiate, previsto dall’art. 187bis , rispondente esso pure a un’evidente logica punitiva, e la conseguente irragionevolezza della deroga al principio della retroattività della lex mitior , atteso che essa si riferisce a una fattispecie (l’abuso di informazioni privilegiate ex art. 187ter ) che ha certamente carattere penale e per la quale opera l’applicazione retroattiva del trattamento sanzionatorio più favorevole introdotto dal d.lgs. n. 72 del 2015 (in questi termini, Cass., Sez. 2, 13/4/2022, n. 12031).
Le sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dalla CONSOB, diverse da quelle di cui all’art. 187ter T.U.F., non sono, invece, equiparabili, quanto a tipologia, severità, incidenza patrimoniale e personale, a quelle appunto irrogate dalla CONSOB per manipolazione del mercato, sicché esse non hanno la natura sostanzialmente penale che appartiene a queste ultime, né pongono, quindi, un problema di compatibilità con le garanzie riservate ai processi penali dall’art. 6 CEDU, agli effetti, in particolare, della violazione del ” ne bis in idem ” tra sanzione penale ed amministrativa comminata sui medesimi fatti (cfr. Cass., Sez. 2, 6/6/2022, n. 18032; Cass., Sez. 2, 3/1/2019, n. 4; Cass., Sez. 2,
3/1/2019, n. 5 in ordine all’art. 193; Cass., Sez. 5, 4/12/2019, n. 31632; Cass., Sez. 2, 5/4/2017, n. 8855; Cass., Sez. 2, 23/1/2018, n. 1621).
Ciò comporta che per esse la disciplina applicabile è quella vigente al momento di consumazione dell’illecito, atteso che, come si è detto, nella materia dell’illecito amministrativo, il principio di legalità ed irretroattività comporta l’assoggettamento del fatto alla legge del tempo del suo verificarsi in base al principio tempus regit actum (Cass., Sez. 2, 2/3/2023, n. 6295).
5.1 Con il quarto motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 25 della Direttiva 2003/71/CE – la violazione del principio di proporzionalità tra violazione contestata e sanzione irrogata -la violazione e falsa applicazione dell’art. 49 Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea -la violazione e falsa applicazione dell’art. 11 legge n. 689 del 1981, da interpretarsi anche alla luce dell’art. 39, comma 1, lett. a), del Regolamento (UE) 2017/1129 e dell’art. 194 -bis con riferimento alla durata della carica, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché i giudici di merito, non applicando il minimo edittale previsto dall’art. 191, comma 2, T.U.F., in ragione del periodo minore di responsabilità del ricorrente, avevano omesso di attuare il criterio della proporzionalità sancito dall’art. 25 della Direttiva 2003/71/CE, che, pur destinato agli Stati membri, incideva sull’assetto delle fonti primarie e secondarie dell’Unione, imponendo all’Autorità di farne diretta applicazione nello svolgimento dell’attività amministrativa, dall’art. 39 del Regolamento (UE) 2017/1129, che imponeva di tener conto della gravità e della durata della violazione, e dall’art. 11, legge n. 689 del 1981.
I giudici avevano, infatti, applicato al ricorrente la medesima sanzione comminata anche a soggetti che erano stati in carica più a
lungo e durante la redazione della documentazione d’offerta e che erano, perciò, in grado di intercettare le mancanze in fase di redazione e approvazione del prospetto e integrarle prima, benché proprio per la ridotta durata dell’incarico (meno di un anno) la Banca d’Italia e la Banca Centrale Europea, quali autorità di vigilanza, non lo avevano sanzionato, senza considerare che non sarebbe stato possibile per lui rilevare da subito, in una organizzazione grande e complessa come una Banca, criticità mai emerse prima.
5.2 Il quarto motivo è infondato.
Secondo quanto già affermato da questa Corte, nel caso di contestazione della misura della sanzione, il giudice è autonomamente chiamato a controllarne la rispondenza alle previsioni di legge, senza essere soggetto a parametri fissi di proporzionalità, correlati al numero ed alla consistenza degli addebiti, e a reputare congrua l’entità della sanzione inflitta in riferimento ad una molteplicità di incolpazioni anche qualora escluda l’esistenza di alcune di esse (Cass., Sez. 2, 2/4/2015, n. 6778).
Non è, invece, tenuto a controllare la motivazione dell’ordinanzaingiunzione, dovendo determinare la sanzione entro i limiti edittali previsti, allo scopo di commisurarla all’effettiva gravità del fatto concreto, desumendola globalmente dai suoi elementi oggettivi e soggettivi, senza che sia tenuto a specificare i criteri seguiti, dovendosi escludere che la sua statuizione sia censurabile in sede di legittimità ove quei limiti siano stati rispettati e dalla motivazione emerga come, nella determinazione, si sia tenuto conto dei parametri previsti dall’art. 11 della legge n. 689 del 1981 (Cass., Sez. 2, 15/06/2020, n. 11481; Cass., Sez. 2, 17/07/2024, n. 19716).
Nella specie, i giudici di merito hanno ritenuto che, tenuto conto della forbice edittale da 5.000 a 500.000 euro e dei parametri obiettivi (norme violate, conseguenze pericolose e dannose, frequenza, diffusione, durata, natura comportamentale della violazione) e soggettivi (colpa dell’agente, permanenza nella carica sociale, natura della carica ricoperta e delle funzioni espletate, sue condizioni patrimoniali) l’ingiunzione apparisse proporzionata, così adeguatamente motivando sulle ragioni della decisione.
6.1 Con il quinto motivo di ricorso si lamenta, infine, la violazione e falsa applicazione dell’art. 49 Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea La violazione e falsa applicazione dell’art. 11 legge n. 689 del 1981 da interpretarsi anche alla luce dell’art. 39, comma 1, lett. c), del Regolamento (UE) 2017/1129 e dell’art. 194 -bis in relazione alle condizioni economiche, in assenza di prova a carico della Consob ex art. 6bis , comma 5, lett. d), T.U.F., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché la Corte d’Appello non aveva tenuto conto delle capacità finanziarie del ricorrente, che invece, alla stregua delle norme citate, l’avrebbero dovuta guidare nella determinazione della pena.
6.2 Il quinto motivo è inammissibile.
Occorre evidenziare come nella sentenza impugnata non vi sia alcun richiamo alla questione giuridica afferente alla contestazione sull’omesso esame dei documenti reddituali del ricorrente, con la conseguenza che, implicando essa un accertamento di fatto, il ricorrente, nel proporla in sede di legittimità, avrebbe dovuto, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, indicare in quale atto del giudizio precedente lo avesse fatto, onde consentire a questa Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di
esaminare nel merito la censura stessa (Cass., Sez. 6-5, 13/12/2019, n. 32804; Cass., Sez. 6-1, 13/6/2018, n. 15430), non essendo consentita la prospettazione di nuove questioni di diritto o contestazioni che modifichino il thema decidendum e implichino indagini e accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito, anche ove si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass., Sez. 2, 15/3/2022, n. 12877; Cass., Sez. 2, 06/06/2018, n. 14477).
Non essendosi, perciò, il ricorrente attenuto a tali incombenti, la censura deve ritenersi, sotto questo profilo, inammissibile.
In conclusione, dichiarata l’infondatezza del primo, secondo, terzo e quarto motivo e l’inammissibilità del quinto, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico del ricorrente.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte
del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda