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Amministratore giudiziario società di persone: no

Un socio di una società di persone, preoccupato per un conflitto insanabile e per le conseguenze di una sua potenziale condanna penale, ha richiesto la nomina urgente di un amministratore giudiziario. Il Tribunale ha dichiarato la richiesta inammissibile. La motivazione si fonda sul principio che, a differenza delle società di capitali, nelle società di persone la legge non conferisce al giudice il potere di imporre un amministratore esterno. Tale intervento contrasterebbe con la natura personale e contrattuale della società, dove i soci sono illimitatamente responsabili. La via corretta per risolvere una paralisi gestionale è la liquidazione della società, non la nomina di un amministratore giudiziario in società di persone.

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Amministratore Giudiziario in Società di Persone: Quando il Giudice Dice “No”

In situazioni di grave conflitto tra soci, la tentazione di chiedere l’intervento del tribunale per risolvere la paralisi gestionale è forte. Tuttavia, una recente ordinanza del Tribunale di Venezia ribadisce un principio consolidato: la nomina di un amministratore giudiziario in società di persone non è una strada percorribile. Analizziamo insieme questo interessante caso e le sue importanti implicazioni pratiche.

I Fatti del Caso: Conflitto e Rischio di Paralisi Societaria

Il caso ha origine dalla richiesta di un socio di una società di persone, operante nel settore della pulizia industriale. Il socio, insieme a un altro amministratore, era stato condannato in primo e secondo grado per bancarotta fraudolenta, con un ricorso pendente in Cassazione.

Preoccupato che un’eventuale conferma della condanna avrebbe comportato l’interdizione dalla carica di amministratore, portando la società alla paralisi, e lamentando un grave e insanabile conflitto con gli altri soci sulla gestione aziendale, ha adito il tribunale in via d’urgenza (ex art. 700 c.p.c.). La sua richiesta era chiara: nominare un amministratore giudiziario per garantire la continuità operativa della società e delle sue controllate.

La Richiesta del Socio e il Principio di Inammissibilità

Il ricorrente basava la sua richiesta su due pilastri: il fumus boni iuris, ovvero la probabile fondatezza del suo diritto a vedere tutelata la società, e il periculum in mora, cioè il rischio di un danno grave e irreparabile derivante sia dalla possibile interdizione che dal conflitto interno.

Di contro, la difesa sosteneva l’inapplicabilità alla fattispecie delle norme invocate e l’assenza di un pericolo attuale e concreto. Il Tribunale, tuttavia, ha tagliato corto, dichiarando il ricorso inammissibile senza nemmeno entrare nel merito della questione.

Le Motivazioni della Decisione del Tribunale

La decisione del giudice si fonda su un orientamento giurisprudenziale solido e coerente, che traccia una linea netta tra società di persone e società di capitali. Ecco i punti chiave del ragionamento:

1. Assenza di una Norma Specifica: Non esiste nel nostro ordinamento una legge che autorizzi esplicitamente il giudice a nominare un amministratore giudiziario per una società di persone. Il potere di amministrare, in queste società, è intrinsecamente legato alla qualità di socio illimitatamente responsabile (art. 2257 c.c.), salvo diverso accordo tra le parti.

2. Incompatibilità Strutturale: La natura delle società di persone è puramente contrattualistica e fondata sulla fiducia personale tra i soci (intuitu personae). L’imposizione di un amministratore esterno (iussu iudicis) snaturerebbe questo patto. Il giudice, così facendo, si sostituirebbe alla volontà dei soci e vincolerebbe il loro patrimonio (di cui rispondono illimitatamente) alle decisioni di un terzo.

3. Inapplicabilità per Analogia: Le norme che prevedono l’intervento giudiziario per le società di capitali (come l’art. 2409 c.c. per le gravi irregolarità) o per la comunione (art. 1105 c.c.) non possono essere estese per analogia. L’assetto delle società di persone è profondamente diverso e incompatibile con tali interventi.

Le Conclusioni: Il Rimedio Corretto è la Liquidazione, non l’Intervento del Giudice

L’ordinanza è categorica: di fronte a un’insanabile discordia tra i soci che rende impossibile il funzionamento della società, la legge prevede una soluzione specifica e radicale. Non si tratta di sostituire gli amministratori, ma di prendere atto che il patto sociale è venuto meno.

Il rimedio corretto, indicato dal codice civile all’art. 2272, n. 2, è lo scioglimento della società per impossibilità di conseguire l’oggetto sociale, seguito dalla nomina di un liquidatore. Questa pronuncia conferma che il giudice non può essere chiamato a ‘gestire’ i conflitti interni delle società di persone imponendo un amministratore, ma solo a certificare la fine del rapporto societario quando questo è irrimediabilmente compromesso. Per i soci in lite, dunque, la strada da percorrere non è quella del ricorso d’urgenza per un nuovo gestore, ma quella, ben più definitiva, della liquidazione.

È possibile per un tribunale nominare un amministratore giudiziario in una società di persone?
No, l’ordinanza stabilisce che, in assenza di una norma specifica, il giudice non ha il potere di nominare un amministratore giudiziario per una società di persone. Il potere di amministrare è legato alla figura del socio.

Perché le norme sull’amministrazione giudiziaria delle società di capitali (es. art. 2409 c.c.) non si applicano alle società di persone?
Perché la natura delle società di persone è puramente contrattualistica e fondata sul rapporto personale tra i soci, i quali sono illimitatamente responsabili. L’imposizione di un amministratore esterno snaturerebbe questo assetto e violerebbe la volontà contrattuale dei soci.

Qual è il rimedio previsto dalla legge se un grave conflitto tra i soci paralizza l’attività di una società di persone?
Il rimedio corretto non è la nomina di un amministratore da parte del giudice, ma la messa in liquidazione della società, come previsto dall’art. 2272 n. 2 c.c. per impossibilità di funzionamento o di conseguimento dell’oggetto sociale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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