Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27248 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 27248 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21415/2019 R.G. proposto da :
CONDOMINIO DI INDIRIZZO-36-38-40 E DI INDIRIZZO-25-27-29/A-29/B in MILANO, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME;
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME;
-controricorrenti-
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 289/2019, depositata il 21/01/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME NOME.
PREMESSO CHE
1. Nel 2012 il RAGIONE_SOCIALE di INDIRIZZO e INDIRIZZO, in Milano, convenne in giudizio NOME COGNOME e gli eredi dell’ex amministratore NOME COGNOME (NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME), chiedendo di accertare che al momento del passaggio delle consegne al nuovo amministratore, avvenuto il 1° febbraio 2011, il RAGIONE_SOCIALE vantava un credito di euro 51.846,02 e, conseguentemente, di condannare al pagamento di euro 35.537,89 in INDIRIZZO principale la COGNOME (quale amministratore di fatto) e in via subordinata e/o alternativa gli eredi del precedente amministratore. Si costituì la COGNOME, chiedendo di dichiarare il proprio difetto di legittimazione passiva rispetto alle domande dell’attore e, comunque, di rigettare nel merito le medesime in quanto infondate, essendo stata la somma già restituita ai condomini quale anticipazione della seconda rata del preventivo dell’esercizio 2010 -2011. Gli eredi di COGNOME restarono contumaci.
Con la sentenza n. 9167/2015 il Tribunale di Milano condannò NOME COGNOME a pagare al RAGIONE_SOCIALE euro 35.537,89, a titolo di differenza contabile dovuta dall’amministrazione condominiale che, ad avviso del Tribunale, sarebbe stata gestita di fatto dalla predetta convenuta , collaboratrice dell’amministratore NOME COGNOME, dalla morte di quest’ultimo (avvenuta il 25 novembre 2010) sino al
passaggio delle consegne al nuovo amministratore, nominato dall’assemblea condominiale il 15 dicembre 2010.
La sentenza è stata appellata in via principale da COGNOME, che ha riproposto l’eccezione di carenza di legittimazione passiva e la richiesta di rigetto nel merito delle domande dell’attore. Il RAGIONE_SOCIALE si è costituito in udienza e ha chiesto di rigettare il gravame e, ‘nella denegata ipotesi di accoglimento del medesimo’, di condannare gli eredi di COGNOME al pagamento della somma di euro 35.537,89. Si sono costituiti anche gli eredi di COGNOME che hanno chiesto di dichiarare l’inammissibilità dell’appello incidentale del RAGIONE_SOCIALE e comunque l’infondatezza nel merito del medesimo.
Con la sentenza n. 289/2019 la Corte d’appello di Milano ha accolto il gravame della RAGIONE_SOCIALE e ha rigettato l’appello incidentale tardivo del RAGIONE_SOCIALE.
Avverso la sentenza ricorre per cassazione il RAGIONE_SOCIALE di INDIRIZZO e INDIRIZZO, in Milano, deducendo quattro motivi.
Resistono con distinti atti di controricorso NOME COGNOME e gli eredi di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME.
I controricorrenti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
1 . Preliminarmente va esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso che, ad avviso della controricorrente COGNOME, risulta proposto dall’amministratore del RAGIONE_SOCIALE senza la preventiva autorizzazione assembleare.
L’eccezione è priva di fondamento.
La controricorrente si limita a contestare la mancata autorizzazione assembleare a proporre il ricorso per cassazione, ma non deduce che tale autorizzazione non sia stata data in relazione alla proposizione della domanda in primo grado da parte del
RAGIONE_SOCIALE. È infatti vero che, trattandosi di controversia non rientrante tra quelle per le quali l’amministratore è legittimato ad agire ai sensi degli artt. 1100 e 1131, comma 1 c.c., è necessaria la preventiva autorizzazione alla proposizione della domanda da parte dell’assemblea, eventualmente anche in via di ratifica del suo operato, ma appunto si deve trattare di una mancanza relativa alla proposizione della domanda. Per quanto concerne invece la proposizione del ricorso per cassazione, non è necessaria una specifica preventiva autorizzazione. La delibera condominiale con la quale si autorizza l’amministratore a promuovere un giudizio vale infatti per tutti i gradi del processo e conferisce quindi, implicitamente, la facoltà di proporre ogni genere di impugnazione, compreso il ricorso per cassazione (cfr. in tal senso Cass., n. 11863/2024).
Passando all’esame dei motivi di ricorso, col primo di essi si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto, nonché omessa valutazione di un fatto storico decisivo ex art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c. in stretta relazione alla questione della legittimazione passiva della RAGIONE_SOCIALE: secondo la tesi del ricorrente, è pacifico che la RAGIONE_SOCIALE aveva gestito la rendicontazione del RAGIONE_SOCIALE dal 25 novembre 2010 fino alla nomina del nuovo amministratore in data 14 dicembre 2010; in tale periodo RAGIONE_SOCIALE eseguiva in favore del RAGIONE_SOCIALE la compilazione del modello NUMERO_DOCUMENTO del 2011, la predisposizione del bilancio consuntivo 2009/2010 e del bilancio preventivo 2010/2011, depositava con propria sottoscrizione la richiesta amministrativa per la realizzazione di un passo carraio, svolgeva gli atti di ordinaria amministrazione e redigeva il rendiconto finale curando il passaggio delle consegne al nuovo amministratore, attività per le quali COGNOME ha ricevuto un compenso a titolo di prestazione professionale, fatto storico che è stato del tutto disatteso dal giudice d’appello, nonostante avesse carattere decisivo.
Il motivo è inammissibile in quanto non contesta specificamente la ratio decidendi della pronuncia impugnata ( sull’esito di siffatte censure, cfr. tra le tante, Cass. n. 19989/2017).
La Corte d’appello ha sì negato lo svolgimento dell’attività di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE (con accertamento comunque insindacabile da parte di questa Corte di legittimità), ma ha poi ritenuto ‘ assorbente ‘ il rilievo della mancanza di prova di un prelievo da parte della medesima e della mancata dimostrazione che si sia impossessata del denaro mancante (v. sentenza pag. 6 rigo 3). Con questa decisiva ratio, il motivo non si confronta.
2. Il secondo motivo prospetta nullità della sentenza ex art. 112 c.p.c., nella forma del vizio di ultrapetizione avendo la Corte d’appello deciso su una questione non formulata in appello: con l’atto d’appello COGNOME ha rimarcato con forza la propria estraneità ai fatti di causa, tralasciando di riproporre le eccezioni sull’esatta quantificazione del dare e avere; gli eredi di COGNOME hanno imputato alla COGNOME l’esercizio di un’errata gestione di cassa successiva al decesso di COGNOME, rispetto al quale non sussisterebbe alcuna loro responsabilità; nessuna delle parti fa riferimento alla fondatezza delle richieste del RAGIONE_SOCIALE sia nell’ an che nel quantum , richieste che devono pertanto considerarsi pacifiche; la Corte d’appello, nel decidere che sarebbe mancante la prova del prelievo e ci sarebbe un disavanzo a favore dei condomini, è quindi andata oltre i limiti delle domande proposte dalle parti.
Il motivo è infondato.
La Corte d’appello non si è pronunciata ultrapetita, costituendo l’ an e il quantum delle pretese del RAGIONE_SOCIALE l’oggetto del dibattito processuale (v. in particolare le difese svolte da COGNOME in primo grado). D’altro canto l’appellante COGNOME (cfr. gli estratti dell’atto d’appello trascritti alle pagg. 15 -16 del suo controricorso) non si è affatto limitata a ribadire di non avere svolto attività di
amministratore di fatto, ma ha contestato il richiamo alla consulenza tecnica d’ufficio operato dal giudice di primo grado, ha sottolineato la mancanza di prova del fatto che avesse percepito somme di pertinenza del RAGIONE_SOCIALE, in particolare contestando di avere ricevuto la somma di euro 35.537,89 e sottolineando che nel processo il RAGIONE_SOCIALE non aveva neppure allegato l’effettuazione di prelievi da parte sua. Gli eredi di COGNOME, a loro volta, costituendosi in appello, hanno sostenuto il corretto adempimento all’incarico del proprio de cuius, evidenziando come non fosse emersa alcuna prova di una sua responsabilità e come né il RAGIONE_SOCIALE né RAGIONE_SOCIALE avessero prodotto o chiesto l’esibizione degli estratti del conto corrente condominiale (cfr. gli estratti della costituzione in appello trascritti alle pagg. 16-17 del loro controricorso).
3. Il terzo motivo contesta nullità della sentenza ai sensi dell’art. 112 c.p.c., nella forma di vizio di omessa pronuncia ex n. 4 dell’art. 360 c.p.c., avendo la Corte d’appello tralasciato di pronunziare sulla questione della legittimazione passiva o meglio della titolarità passiva del rapporto in capo agli eredi. Dopo avere escluso che potesse riconoscersi alla COGNOME la qualifica di amministratore di fatto, la Corte d’appello non ha, come avrebbe dovuto fare, dichiarato la titolarità passiva del rapporto in capo agli eredi COGNOME: l’obbligo di rendiconto non viene meno nel caso di morte del mandatario, ma si trasmette ai suoi eredi; l’estinzione del mandato per morte del mandatario e l’obbligo del rendiconto a carico dello stesso si pongono su piani diversi e non confondibili, nel senso che l’evento morte ha l’effetto giuridico di trasferire l’obbligo di rendiconto dal mandatario ai suoi eredi.
Il motivo è inammissibile per mancanza di interesse: la Corte d’appello non ha affatto negato la legittimazione passiva degli eredi, ma al contrario tale legittimazione ha implicitamente
affermato avendo ritenuto infondata la domanda proposta nei loro confronti.
4. Il quarto motivo, infine, contesta violazione e falsa applicazione di ‘ norme di diritto ‘ , nonché omessa valutazione di un fatto storico decisivo risultante dagli atti di causa in relazione alla consulenza tecnica d’ufficio: a suo dire, il consulente tecnico d’ufficio ha rilevato la presenza della sola voce ‘conguagli a debito’, cosicché la sentenza è viziata per mancato esame delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio; sempre a dire del ricorrente, la sbrigativa argomentazione della Corte d’appello non solo integra un vizio della sentenza ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., ma non considera che, a norma dell’art. 1713 c.c., alla scadenza l’amministratore è tenuto a restituire tutto ciò che ha in cassa; la Corte d’appello avrebbe quindi dovuto condannare l’amministratore uscente alla restituzione a favore del RAGIONE_SOCIALE della somma a titolo di ammanco.
Il motivo è inammissibile.
A parte l’assoluto silenzio del ricorrente sulle norme che si assumo violate o falsamente applicate, rileva la Corte che la censura, genericamente invocando la violazione e falsa applicazione di norme di diritto nonché l’omessa valutazione di un fatto storico, si sostanzia in una censura alla valutazione delle risultanze della consulenza tecnica posta in essere dalla Corte d’appello, valutazione che spettava alla Corte compiere nella sua qualità di peritus peritorum e che è insindacabile da parte di questa Corte, essendo stata ampiamente motivata.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si d à atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo
di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore della controricorrente NOME COGNOME, che liquida in euro 4.200,00 di cui euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge, e in favore dei controricorrenti NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME, che liquida in euro 4.200,00 di cui euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, ex art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione seconda civile, in data 6 maggio 2025.
Il Presidente NOME COGNOME