Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 11660 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 11660 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 04/05/2025
Oggetto: Società Art. 2390 c.c.
ORDINANZA
sul ricorso proposto da
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da ll’ Avv. NOME COGNOME del foro di Bologna -ricorrente-
Contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso da ll’ Avv. NOME COGNOME del foro di Bologna
-controricorrente-
Avverso la sentenza della Corte di Appello di Bologna n. 541/2021, pubblicata il 16.3.2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23.4.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1 .-La RAGIONE_SOCIALE esponeva di operare nel settore ortofrutticolo dal 1964 e che – pur avendo come soci NOME e NOME COGNOME e come amministratore la moglie di NOME, NOME COGNOME – di fatto essa era gestita dai figli dei due predetti soci, i cugini NOME e NOME.
Nel 2010 questi ultimi avevano deciso di cedere l’azienda, costituita dallo spazio e dalla struttura all’interno del mercato ortofrutticolo di Bologna ed avevano quindi concluso un accordo di vendita con la RAGIONE_SOCIALE, nonché, sempre con quest’ultima, due distinti contratti di collaborazione commerciale: l’uno st ipulato da NOME COGNOME perso nalmente e l’altro dalla COGNOME RAGIONE_SOCIALE I l prezzo di cessione dell’azienda era pari ad € 250 mila; che solo € 100 mila erano stati regolarmente pagati da RAGIONE_SOCIALE; che gli altri 150 mila erano stati invece pagati senza emissione di fattura; che di questi € 35 mila erano stati pagati a NOME COGNOME ed erano stati successivamente restituiti alla società; che, per contro, i residui € 115 mila erano stati versati a NOMECOGNOME che si era sempre rifiutato di renderli alla RAGIONE_SOCIALE
Inoltre, sempre second o l’attrice, l’accordo di colla borazione concluso dal convenuto le aveva procurato un rilevante danno, patrimoniale e non patrimoniale, in ragione della indebita spoliazione ad opera dell’amministratore di fatto del suo portafoglio-fornitori, nonché della indebita appropriazione dei compensi provvigionali derivanti dagli affari conclusi con la società RAGIONE_SOCIALE e, invece, spettanti alla RAGIONE_SOCIALE
2.─ Con sentenza n. 1396/2019 il tribunale di Bologna rigettava le domande proposte dalla RAGIONE_SOCIALE contro NOME COGNOME con le quali l’attrice chie deva che il convenuto fosse condannato alla
restituzione di somme indebitamente percepite e, invece, spettanti alla RAGIONE_SOCIALE oltre al risarcimento del danno.
3 .─ RAGIONE_SOCIALE in liquidazione proponeva gravame dinanzi alla Corte di Appello di Bologna. La Corte adita, con la sentenza qui impugnata, rigettava l’appello .
Per quanto qui di interesse la Corte di merito ha precisato che:
la società pretende che NOME COGNOME sia condannato alla restituzione di quanto indebitamente percepito, ed invece spettante alla RAGIONE_SOCIALE, a titolo di parziale prezzo per la cessione dell’azienda di proprietà della RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE, nella misura par i al valore dell’avviamento commerciale dell’azienda stessa (compreso il patrimonio clienti/fornitori), oltre alla somma di € 115.000 incassata dallo stesso NOME COGNOME, ed al risarcimento degli ulteriori danni ex artt. 2043 e 2041 c.c.;
b) nessun elemento in atti comprova che il prezzo di cessione dell’azienda pattui to tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE fosse superiore ad € 100 mila, che è la somma documentata dalla fattura della RAGIONE_SOCIALE. n° 12504 del 4 ottobre 2010.
L’accordo sul corrispettivo di € 100 mila è stato anche confermato dai testi escussi in primo grado all’udienza del 6 aprile 2017 (COGNOME, COGNOME e NOME COGNOME), i quali hanno riferito che il prezzo della cessione fu, per l’appunt o, pari alla predetta cifra; tale quadro probatorio, sfavorevole all’appellante, non è contrastato nemmeno dal file audio contenente la conversazione tra NOME COGNOME e NOME COGNOME, contenuta nel Cd in atti (prodotto senza numerazione), il cui contenuto è trascritto nel documento n° 156, trattandosi di due brevi frasi estratte da un contesto rimasto totalmente sconosciuto in causa;
c) anche le espressioni utilizzate dai sottoscrittori nella scrittura privata allegata, intitolata ‘Accordo per rinuncia anticipata alla licenza’ , anche a tacere della complessiva ambiguità del testo, che appare essere (più che un accordo) una puntuazione di un
programma negoziale, non paiono confortare la tesi attorea; tale scrittura, inoltre è intervenuta tra NOME e NOME COGNOME
Furono pertanto questi ultimi a convenire che la somma di euro 150 mila sarebbe stata loro corrisposta facendola figurare come una provvigione a procacciatori di affari; ancora una volta nessun elemento porta a ritenere che gli € 150.000 dovessero essere destinati, nel programma negoziale, alla RAGIONE_SOCIALE e non, invece, ai due cugini personalmente;
del pari infondati sono anche il secondo ed il terzo mezzo, poiché -salva la parte in cui si denuncia l’errore del primo giudice nell’affermare che l’accordo negoziale per la cessione d’azienda era stato sotto scritto dall’amministratore unico, NOME COGNOME (in quanto non vi è alcuno scritto, a parte la fattura di vendita, che attesti la cessione d’azienda, mentre il doc. n° 10 venne firmato da NOME COGNOME) -l’assunzione in proprio, da parte di NOME COGNOME, della collaborazione con RAGIONE_SOCIALE ed i l pagamento da parte di quest’ultima delle provvigioni non integrano alcun illecito, contrattuale o extracontrattuale.
Quanto al richiamo dell’art. 2041 cc, contenuto nella terza doglianza, il primo giudice aveva già chiarito che l’azione ha carattere sussidiario e che, per tale ragione, essa era infondata.
─ COGNOME RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ha presentato ricorso per cassazione con un motivo ed anche memoria. NOME COGNOME ha presentato controricorso ed anche memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La ricorrente deduce:
5. ─ Con l’unico motivo: Violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 c.p.c. e 2390, 2391, 2392, 1476, e 1639 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. a) Le risultanze probatorie non appaiono concludenti al fine di dirimere nel senso indicato in sentenza, l’interpretazione complessiva delle prove
acquisite con riferimento all’attività di amministratore di fatto svolta dal convenuto ed alla conseguente violazione della disciplina sul divieto di concorrenza dell’amministratore ex art. 2390 c.c. realizzata dal signor NOME COGNOME
b) Il Giudice di seconde cure non ha verificato se le condotte poste in atto dal convenuto, NOME COGNOME presentassero le connotazioni della figura dell’amministratore di fatto , né ha fornito una congrua e logica motivazione a sostegno della scelta di non ritenere il convenuto in tale funzione. Pur se la Suprema Corte ha stabilito il principio generale secondo il quale l’accertamento della sussistenza della qualifica di amministratore di fatto costituisce una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ciò opera a patto che detta valutazione sia sostenuta da congrua e logica motivazione. La Corte nulla ha detto riguardo il ruolo svolto dal convenuto nell’ambito di operatività della società, né ha argomentato in merito alle attività gestorie ed organizzative dallo stesso esercitate. Lo svolgimento delle funzioni dell’amministratore di fatto da parte del convenuto costituisce il presupposto logicogiuridico per l’applicazione della disciplina che carica l’amministratore del divieto di operare in concorrenza con gli interessi della società che rappresenta anche in via di fatto, positivizzato dall’art. 2390 c.c.
c) L ‘altro socio, firmatario del famoso accordo per cui è causa insieme al convenuto NOME COGNOME ha tenuto ben altra condotta, ovvero ha rispettato la ratio degli accordi di procacciamento, e cioè non ha beneficiato personalmente delle provvigioni, ma ha operato nell’interesse della RAGIONE_SOCIALE fino a tutto il 2016, consentendo alla società di recuperare i crediti occorrenti per la parziale estinzione dei suoi debiti verso le banche.
5.1 -La doglianza delinea varie censure. Sostanzialmente contesta la valutazione delle prove delineata dalla Corte. Ed in particolare focalizza la ricostruzione dei fatti sulla figura del
convenuto quale amministratore di fatti che avrebbe compiuto atti lesivi degli interessi della società al fine di procurarsi indebiti arricchimenti.
Le censure sono inammissibili. Non integra violazione, né falsa applicazione di norme di diritto, la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poiché essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretative ed applicativo della norma di legge; il discrimine tra violazione di legge in senso proprio (per erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa) ed erronea applicazione della legge (in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, diversamente dalla prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr. Cass. n. 10313/2006; Cass. n. 195 /2016; Cass. n. 26110/2015; Cass. n. 8315/2013; Cass. n. 16698/2010; Cass. n. 7394/2010). Anche in questa censura le doglianze sono attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, che ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito (cfr. Cass., n. 13238/2017; Cass., n. 26110/2015). In altri termini, il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., non può essere mediato dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie.
Né il motivo è riqualificabile come denuncia di vizio motivazionale, stante l’esistenza di doppia conforme .
-Per quanto esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M .
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che
liquida in € 4.000 per compensi e € 200 per esborsi oltre spese generali, nella misura del 15% dei compensi, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30.5.2002, n.115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione