Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 7587 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 7587 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 3736 del ruolo generale dell’anno 20 20, proposto da
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliatosi in Canicattì, al INDIRIZZO, presso lo studio del proprio difensore e procuratore AVV_NOTAIO, giusta procura speciale a margine del ricorso
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE Monte dei Paschi di Siena, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso, giusta procura speciale su foglio separato allegato al controricorso, dall’AVV_NOTAIO, presso lo studio del quale in Canicattì, alla INDIRIZZO, elettivamente si domicilia
-controricorrente-
Oggetto: RAGIONE_SOCIALE– Contratti bancari- Interesse legale e interesse extralegale.
Palermo n.
per la cassazione della sentenza de lla Corte d’appello di 139/19, depositata in data 18 gennaio 2019;
udita la relazione sulla causa svolta nell’adunanza camerale del 21 febbraio 2024 dal consigliere NOME COGNOME.
Fatti di causa
Emerge dalla sentenza impugnata che RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE Monte dei Paschi di Siena per ottenere il ricalcolo dei saldi di due conti correnti, sulla base dell’applicazione della convenzione tra il RAGIONE_SOCIALE, del quale era socia, e la banca: in base a tale convenzione le operazioni di credito sarebbero state regolate secondo le condizioni del ‘Prime Rate Istituto’, l’applicabilità delle quali era contestata dalla banca, con una maggiorazione dello 0,50%+0,125% per cms, con decorrenza dal 13 giugno 1994.
Il Tribunale di Agrigento, in esito all’espletamento di due consulenze tecniche d’ufficio, ritenne nulla la clausola di capitalizzazione degli interessi e condannò la banca a pagare all’attrice la somma di euro 7.755,61, in luogo della maggiore somma richiesta.
La Corte d’appello di Palermo ha accolto l’appello successivamente proposto dalla società, ma limitatamente alla debenza degli interessi sulla somma oggetto della condanna di primo grado.
A sostegno della decisione ha anzitutto sottolineato che con l’impugnazione la società, in luogo d’insistere sull’applicazione dei tassi indicati nella convenzione stipulata col RAGIONE_SOCIALE, ha chiesto soltanto in appello, in violazione dell’art. 345 c.p.c. , l’applicazione del tasso legale, ovvero di quello previsto dall’art. 117 , comma 7, del d.lgs. n. 385/93, allegando la mancata pattuizione degli interessi e l’inesistenza dei contratti . Queste deduzioni, ha comunque aggiunto, erano smentite, quanto a uno dei due conti correnti, dalla
copia in atti del contratto, nel quale erano specificamente indicati i tassi debitori su fido ed extrafido; la banca aveva anche dimostrato di aver attuato la reciprocità della capitalizzazione trimestrale degli interessi con atto a firma della correntista del 28 maggio 2002.
Inoltre, ha sottolineato il giudice d’appello , non emergeva da nessuna delle due relazioni di consulenza tecnica succedutesi in primo grado il superamento del tasso soglia.
Contro questa sentenza la correntista propone ricorso per ottenerne la cassazione, che affida a tre motivi, cui la banca reagisce con controricorso.
Motivi della decisione
1.- Il primo motivo di ricorso , col quale si deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., 1283, 1284, 1460 e 2697 c.c. e 117 del TUB, perché non sarebbe stata proposta alcuna domanda nuova, né la banca aveva provato l’avvenuta pattuizione e la conseguente illegittimità degli addebiti in conto di interessi ultralegali mediante produzione dei contratti scritti, è inammissibile.
La corte d’appello ha esaminato gli atti e ha sottolineato che soltanto in secondo grado la società aveva allegato la mancata pattui zione degli interessi e l’inesistenza dei contratti , a sostegno della domanda di applicazione degli interessi legali.
Di contro, la ricorrente si limita a far leva sulla sola frase contenuta in citazione che « nel corso del rapporto sono stati applicati illegittimamente tassi debitori non dovuti, arbitrari ed eccessivi, e non il tasso debitore dovuto nella misura legale », in cui effettivamente non compare alcun riferimento alla mancata pattui zione degli interessi e all’inesistenza dei contratti .
S i tratta di un’espressione troppo generica, idonea a ricomprendere nel proprio ambito una gamma eccessivamente ampia di possibili ragioni tali da rendere i tassi debitori appunto non dovuti, arbitrari o eccessivi: l’omessa indicazione di una specifica
causa petendi rende indeterminata la censura, attesa la molteplicità delle possibili combinazioni e la postulazione di un inammissibile ruolo attivo e selettore da parte del giudice (per analoghi rilievi, v. Cass. n. 12059/15).
1.1.L’omessa puntuale e tempestiva allegazione in primo grado dei fatti costitutivi sui quali la correntista ha poi fondato, in appello, la domanda di applicazione degli interessi al tasso legale non avrebbe d’altronde consentito alla corte d’appello di rilevare d’ufficio le nullità prospettate. Le nullità negoziali che non siano state rilevate d’ufficio in primo grado possono difatti essere rilevate d’ufficio in appello (o in cassazione) a condizione, appunto, che i relativi fatti costitutivi siano stati ritualmente allegati dalle parti (Cass. n. 20713/23): le nuove censure devono necessariamente coordinarsi con allegazioni tempestive (Cass. n. 28983/23).
2.- Queste considerazioni travolgono l’ulteriore profilo in cui si articola il motivo, concernente l’onere della prova gravante sulla banca, e determinan o l’assorbimento del versante del terzo motivo col quale si lamenta la contraddittorietà della motivazione per contrasto irriducibile fra l’affermazione dell’insuss istenza della prova scritta di uno dei contratti e la sussistenza della prova delle variazioni contrattuali.
3.- Il secondo motivo , col quale si denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1283, 1284, 2697 c.c., 7 della delibera CICR del 9 febbraio 2000, 117 e 118 del TUB, là dove la corte d’appello avrebbe trascurato che il secondo consulente tecnico aveva svolto illegittimamente i conteggi, rilevando i tassi e le commissioni direttamente dagli estratti conto in atti e computando gli interessi anatocistici dal 9 febbraio 2000, e non già dal 28 maggio 2002, è inammissibile: con esso, dietro lo schermo della violazione di legge, si svolge una contestazione del ragionamento del consulente tecnico, sollecitandone la revisione, inibita in questa sede.
Questa Corte ha già stabilito che il giudice di merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto dei rilievi delle parti, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento, e non deve necessariamente soffermarsi anche sulle allegazioni contrarie, che, anche se non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili: le critiche di parte, che tendono al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono difatti in mere argomentazioni difensive (Cass. n. 33742/22; n. 4344/23; conf., n. 18886/23).
3.1.- Nel caso in esame, difatti, come riferisce il giudice d’appello, dopo il deposito di una prima relazione del c.t.u. nominato, il giudice di primo grado, tenendo conto delle contestazioni della banca secondo le quali si dovevano applicare i tassi pattuiti, aveva richiamato il consulente tecnico incaricandolo di procedere al ricalcolo tenendo conto di tutti i periodi e anche del tasso contrattuale, nei limiti di quello tasso soglia; e poi, dopo vari ulteriori richiami e il deposito di una relazione integrativa, ha disposto la rinnovazione della consulenza, che ha tenuto conto del tasso convenzionale, in esito al deposito della quale ha rinviato per la precisazione delle conclusioni su conforme richiesta di entrambe le parti.
Il succedersi di ricalcoli, relazioni integrative e, infine, il rinnovo della consulenza hanno appunto tenuto conto delle diverse prospettazioni delle parti, considerato che il tribunale è partito dall’incarico di ricalcolare i saldi applicando per un conto il tasso convenzionale e per l’altro quello richiesto dall’attore ( prime rate ) ed è giunto a far ricalcolare per entrambi il saldo tenendo conto del tasso convenzionale.
4.- Il terzo motivo, in relazione al profilo riguardante l’omessa esplicitazione delle ragioni per le quali sono state disattese le
conclusioni raggiunte con la prima consulenza tecnica, è del pari inammissibile, perché si traduce in una censura d’insufficienza della motivazione, che è preclusa dal testo novellato dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., al regime del quale era soggetta l’impugnazione della sentenza.
Si è già chiarito al riguardo (Cass. n. 31511/22; conf., n. 6388/23) che, qualora nel corso del giudizio di merito siano espletate più consulenze tecniche in tempi diversi con risultati difformi, la sentenza che abbia motivato uniformandosi a una sola di esse può essere censurata per cassazione solo qualora l’omessa considerazione dell’altra relazione si sia tradotta nell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che abbia costituito oggetto di discussione e il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, e non già -come si pretenderebbe nella specie- mediante il confronto con le risultanze processuali.
Nel caso in esame, invece, col motivo la società si limita a evidenziare di aver rappresentato in sede di conclusioni la non condivisibilità della seconda consulenza, condividendo, invece, i conteggi sviluppati nella prima.
4.1.- L ‘indirizzo richiamato è preferibile rispetto a quello (espresso da Cass. n. 19372/21 ed evocato in ricorso) secondo il quale, qualora nel corso del giudizio di merito siano espletate più consulenze tecniche in tempi diversi con risultati difformi, il giudice, che intenda uniformarsi alla seconda consulenza, non potrebbe limitarsi a una adesione acritica a quest’ultima, ma dovrebbe espressamente giustificare la propria preferenza, indicando le ragioni per cui ritiene di disattendere le conclusioni del primo consulente: il principio così stabilito, come risulta dal richiamo nella motivazione di Cass. n. 19372/21 a Cass. nn. 3787/01, 13940/06, 23063/09, 5148/11 e 19572/13, risulta elaborato in epoca anteriore alla modifica apportata all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. dall’art. 54, d.l.
83/2012 (conv. con l. n. 134/2012), ossia in un tempo in cui era appunto possibile denunciare per cassazione anche la semplice “insufficienza” della motivazione; ciò che invece adesso non è più possibile.
4.2.- Pure inammissibile è il profilo del motivo col quale si lamenta la contraddizione tra l’affermazione della pattuizione della reciprocità a partire dal 28 maggio 2002 e la sua applicazione retroattiva: in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non è più ammissibile nel ricorso per cassazione la censura di contraddittorietà della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione richiede che vi sia un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, sempre che il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. n. 7090/22).
Il che non è nel caso in esame, in cui si fa leva sulla contraddizione delle affermazioni in questione, in base al raffronto tra il testo della sentenza e il computo del consulente.
5.- Il ricorso è in definitiva inammissibile, per l’inammissibilità dei motivi in cui è articolato e le spese seguono la soccombenza.
Per questi motivi
la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a pagare le spese di lite, che liquida in euro 3000,00 per compensi, oltre euro 200,00 per esborsi, al 15% a titolo di spese forfetarie, iva e cpa. Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2024.