Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24222 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 24222 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 12284-2024 proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 164/2023 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 21/12/2023 R.G.N. 105/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
09/07/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Oggetto
R.G.N. 12284/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 09/07/2025
CC
La Corte d’Appello di Perugia, con sentenza n. 164/2023, pubblicata il 21.12.2023, in accoglimento dell’appello proposto da Poste Italiane S.p.A., ha riformato la sentenza n. 211/2022 del Tribunale di Spoleto che aveva accolto parzialmente il ricorso proposto da NOME COGNOME condannando Poste Italiane al pagamento di € 8.561,37 per quote contributive illegittimamente trattenute, oltre accessori nonché ad indicare nei prospetti paga della ricorrente la data dell’1.4.1999 come data di assunzione e a riconoscerle, ai fini dell’anzianità, i periodi in cui non aveva prestato servizio per causa imputabile alla datrice di lavoro oltre che al risarcimento del danno di € 53.040,00, oltre interessi legali, a titolo di danno da maggiore penosità dell’attività lavorativa svolta senza una zona fissa di assegnazione.
La Corte d’appello, nell’andare di contrario avviso rispetto al giudice di primo grado, ha ritenuto che il ricorso introduttivo fosse privo di specifiche allegazioni sulle concrete modalità di svolgimento delle mansioni da cui desumere un aggravio apprezzabile delle condizioni di lavoro e, quindi, un danno non patrimoniale. Ha altresì escluso che le lacune allegatorie potessero essere sanate dalle dichiarazioni testimoniali o da allegazioni tardive in appello. Su tali premesse ha condannato, quindi, NOME COGNOME a restituire a Poste Italiane quanto corrispostole a titolo di risarcimento del danno in esecuzione della sentenza impugnata; in parziale accoglimento dell’appello incidentale, poi, ha dichiarato che gli interessi legali spettanti alla COGNOME lli sull’importo di € 8.561,37 liquidatole dal Tribunale di Spoleto dovessero essere
calcolati, a decorrere dal 14 dicembre 2018, nella misura prevista dall’art. 1284, quarto comma c.p.c. Ha confermato, nel resto, la sentenza impugnata.
In particolare, la Corte d’Appello ha ritenuto inammissibile la richiesta di Poste Italiane di riformare la sentenza di primo grado sul riconoscimento dell’anzianità ai fini della graduatoria per l’assegnazione delle zone, ritenendo tale statuizione “inesistente” nel dispositivo e nella motivazione di primo grado. Ha invece ritenuto definitivamente accertato che l’anzianità di servizio di NOME COGNOME comprendesse, a tutti gli effetti, i periodi dal 1° aprile al 31 maggio 1999 e dal 9 aprile 2003 all’8 agosto 2007.
Per la cassazione della sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a quattro motivi.
Resiste, con controricorso, RAGIONE_SOCIALE
Entrambe le parti hanno presentato memorie.
CONSIDERATO che
Con il primo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza per mancanza di motivazione logica sul contenuto globale della decisione di primo grado e per mancanza di motivazione sul contenuto di pagina 8 della stessa e, quindi, per violazione dell’art. 111, 6° comma, Cost. e dell’art. 132, 2° comma, n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., nonché per omesso esame del contenuto di pagina 8 della sentenza di primo grado in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c. Si deduce, altresì, la nullità del procedimento e della sentenza per omessa pronuncia di merito su motivo di appello in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.
1.1. Con il secondo motivo si allega la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 6 d.lgs. 6.9.2001 n. 368, dell’art. 25 d.lgs. 15.6.2015 n. 81, degli artt. 15 e 18 l. 20.5.1970 n. 300, degli artt. 3, 4 e 41 Costituzione, dell’art. 21 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea proclamata a Nizza il 7.12.2000, adattata a Strasburgo il 12.12.2007 e recepita nel Trattato sull’Unione Europea con l’art. 6, 1° comma, del Trattato stesso, dell’art. 28 d.lgs 1.9.2011 n. 150 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
1.2. Censura il terzo motivo di ricorso la decisione impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 244, 253, 414, 421 e 429 c.p.c. e degli artt. 24 e 111 Cost. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. Lamenta la ricorrente l’illegittimità della sentenza per aver ritenuto insufficiente l’allegazione degli elementi del danno subito nel ricorso introduttivo, per non aver considerato il contenuto delle prove testimoniali svolte e per aver ritenuto che la parte appellata avesse introdotto elementi nuovi, qualificati dalla ricorrente come fatti notori.
1.3. Con il quarto motivo si allega la violazione degli artt. 1, 3, 4, 35, 36, 41 Cost., degli artt. 2094 e seguenti c.c., dell’art. 2729 c.c., dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., e nullità della sentenza per violazione dell’art. 111, 6° comma, Costituzione e dell’art. 132, 2° comma, n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. Si duole parte ricorrente dell’illegittimità della sentenza per aver ritenuto insussistenti i requisiti per il risarcimento del danno derivante dalla violazione di interessi asseritamente di rilevanza costituzionale.
Tutti i motivi, da esaminarsi congiuntamente per ragioni logico – sistematiche, non possono trovare accoglimento.
Va preliminarmente rilevato che, come chiarito da questa Corte (cfr., sul punto, Cass. n. 3397 del 2023) è inammissibile la
mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di legge e dell’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, in quanto una tale formulazione mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse.
2.1. Giova, poi, rilevare che, come definitivamente chiarito di recente dal Supremo Collegio (cfr., sul punto, S.U. n. 11167 del 06/04/2022) la violazione delle norme costituzionali può essere prospettata direttamente come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., soltanto qualora le norme considerate siano di immediata applicazione, non essendovi disposizioni di rango legislativo di cui si possa misurare la conformità ai precetti della Carta fondamentale.
2.2. Questa Corte ha, inoltre, ripetutamente affermato che, in caso di censura per motivazione mancante, apparente o perplessa, spetta al ricorrente allegare in modo non generico il “fatto storico” non valutato, il “dato” testuale o extratestuale dal quale esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale e la sua “decisività” per la definizione della vertenza (Cass. n. 13578 del 02/02/2020) e, d’altra parte, per aversi motivazione apparente occorre che la stessa, pur se graficamente esistente ed eventualmente
sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regola la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 comma 6 Cost. (sul punto, fra le altre, Cass. n. 13248 del 30/06/2020).
Con riferimento alla dedotta omessa e contraddittoria motivazione, occorre rilevare, poi, che si verte nell’ambito di una valutazione di fatto totalmente sottratta al sindacato di legittimità, in quanto in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1 , n. 5 del cod. proc. civ., al di fuori dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte -formatasi in materia di ricorso straordinario- in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (fra le più recenti, Cass. n. 13428 del 2020; Cass. n. 23940 del 2017; Cass. n. 3752 del 2021).
Va, altresì, evidenziato che, come noto, con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 360, co. 1, n. 5 cod. proc. civ., si verte nell’ambito di una valutazione di fatto, totalmente sottratta al sindacato di legittimità, in quanto, in seguito alla rifo rmulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 del cod. proc. civ.,
al di fuori dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte -formatasi in materia di ricorso straordinario- in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (fra le più recenti, Cass. n. 13428 del 2020; Cass. n. 23940 del 2017).
Non solo, nel caso di specie, la motivazione è presente e ben chiara nel suo svolgimento, ma parte ricorrente non deduce l’omessa valutazione di un fatto storico ma appunta le proprie censure su aspetti valutativi dell’ iter motivazionale, concernenti la asseritamente erronea valutazione della Corte d’appello.
2.4.Quanto alla dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c., va rilevato che, secondo quanto statuito dalle Sezioni Unite, per la violazione delle disposizioni che presiedono all’ammissione delle prove, occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione delle relative norme, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è
inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (cfr., SU n. 20867 del 20/09/2020), ed inoltre anche che una violazione delle disposizioni concernenti le prove non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte di ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione (cfr. Cass. 27.12.2016 n. 27000; Cass. 19.6.2014 n. 13960).
3. La ricorrente censura, in primo luogo, la sentenza d’appello per aver dichiarato inammissibile il motivo di impugnazione di Poste Italiane relativo al riconoscimento dell’anzianità ai fini della graduatoria per l’assegnazione delle zone, sul presupposto che tale statuizione fosse “inesistente” nella sentenza di primo grado.
Sostiene al riguardo che la sentenza di primo grado, pur non ripetendo letteralmente nel dispositivo l’intero contenuto della domanda sub 4) del ricorso introduttivo, abbia accolto integralmente la domanda, come desumibile dalla globalità del riconoscimento “ai fini della sua anzianità di servizio equiparato ed effettivo” del periodo 9.4.2003/8.8.2007. A supporto di ciò, la ricorrente evidenzia il riferimento specifico contenuto a pagina 8 della sentenza di primo grado, dove si legge che “illegittimamente parte resistente non li ha riconosciuti e ha collocato la ricorrente al trentanovesimo posto della graduatoria”.
La Corte d’Appello, invece, avrebbe limitato la propria valutazione al punto 2 del dispositivo della sentenza di primo grado e al paragrafo 1.2 della motivazione, escludendo qualsiasi accenno al riconoscimento dell’anzianità ai fini della graduatoria.
3.1. Il Collegio osserva che l’interpretazione del contenuto di una sentenza di merito deve avvenire in modo complessivo, tenendo conto sia del dispositivo che della motivazione.
Nella specie, poi, il motivo di impugnazione non si confronta con la ratio decidendi della sentenza che, in ragione dell’effetto devolutivo, ha riesaminato, nel merito, l’intera vicenda, giungendo a ritenere l’insussistenza degli elementi probatori a sostegno del lamentato danno, già in punto di allegazione dei medesimi.
Peraltro, la stessa formulazione del motivo, là dove sostiene, conclusivamente, che l’appello di Poste Italiane avrebbe dovuto essere non dichiarato inammissibile per inesistenza della statuizione impugnata, bensì per mancanza di motivazione e, comunque infondato per la correttezza della statuizione stessa, mostra in maniera lampante la propria inconsistenza, oltre che un’evidente mancanza di interesse ad una pronuncia siffatta, anche alla luce dell’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata.
4.Nei motivi di ricorso nn. 3 e 4, la ricorrente censura la sentenza d’appello per aver ritenuto non allegati nel ricorso introduttivo gli elementi costitutivi della pretesa risarcitoria per il danno subito, per aver escluso la considerazione delle prove testimoniali e per aver ritenuto che la ricorrente avesse introdotto elementi nuovi in appello. Denuncia, inoltre, la violazione di norme costituzionali e del codice civile, lamentando che la sentenza d’Appello abbia erroneamente escluso la
sussistenza dei requisiti per il risarcimento del danno derivante dalla violazione di interessi di rilevanza costituzionale.
Va rilevato, al riguardo, come la Corte d’Appello abbia ritenuto che il ricorso introduttivo mancasse di “puntuale allegazione degli elementi da cui desumere che la mancata attribuzione della titolarità di una zona avesse comportato per la COGNOME un aggravio apprezzabile delle condizioni di lavoro e, quindi, un danno non patrimoniale”. Inoltre, ha ritenuto che le dichiarazioni dei testimoni su circostanze non dedotte nell’atto introduttivo (prolungamento dell’orario, giacenza di posta, cambio di casellario) fossero inammissibili per violazione del contraddittorio e del diritto di difesa. Analogamente, ha ritenuto inammissibili le allegazioni nella memoria d’appello relative alla conformazione del territorio (estensione del Comune di Spoleto e numero di frazioni) in quanto “nuovi temi d’indagine”.
Al di là della affermazione della Corte di richiamo all’orientamento di questa Corte (Ord. n. 29206/2019) secondo cui il danno non patrimoniale è risarcibile a condizione che l’interesse leso abbia rilevanza costituzionale, che la lesione sia grave (superi la soglia minima di tollerabilità) e che il danno non sia futile, con l’ulteriore requisito della “specifica allegazione del pregiudizio”, va puntualizzato come la stessa abbia concluso per la mancata allegazione specifica del danno che, quindi, per tale via, proprio alla luce di tale incolmabile difetto strutturale, abbia inibito una ulteriore fase di accertamento probatorio.
Deve concludersi che parte ricorrente, nel formulare le proprie censure mediante ricorso per cassazione, non si è conformata a quanto statuito dal Supremo Collegio in ordine alla apparente deduzione di vizi ex artt. 360 co. 1 nn.3 e 5 e, cioè, che è inammi ssibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di
mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (cfr., SU n. 34476 del 2021).
5.Quanto al profilo relativo alla violazione di norme di legge e costituzionali, nonché dell’art. 21 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, deduce parte ricorrente che la sentenza impugnata abbia erroneamente escluso la natura discriminatoria del comportamento di Poste Italiane.
La discriminazione sarebbe derivata dalla differenziazione di trattamento tra lavoratori reinseriti o reintegrati in base a sentenza non ancora passata in giudicato e lavoratori a tempo indeterminato, in particolare ai fini dell’assegnazione delle zone di recapito.
La controricorrente RAGIONE_SOCIALE ha replicato che gli accordi sindacali sulla base dei quali è avvenuta l’assegnazione lamentata, sono legittimi ed efficaci erga omnes , rientrando nei poteri organizzatori dell’imprenditore garantiti dall’art. 41 Cost. Ha sostenuto che la differenziazione tra lavoratori “definitivamente inseriti in azienda” (per contratto a tempo indeterminato o sentenza passata in giudicato o conciliazione sindacale) e lavoratori con rapporto “sub judice” è razionale, in quanto garantisce la continuità del servizio e risponde a scelte organizzative volte a fronteggiare le numerose sentenze di conversione di contratti a termine .
5.1. Il principio di non discriminazione, sancito sia a livello interno che sovranazionale, vieta trattamenti differenziati non giustificati da ragioni obiettive e ragionevoli. Sebbene non esista un principio generale di parità di trattamento in senso assoluto nel diritto del lavoro privato, al di là delle specifiche disposizioni antidiscriminatorie, le differenziazioni devono trovare una
giustificazione in base a elementi oggettivi e non devono tradursi in una lesione della dignità del lavoratore o dei suoi diritti fondamentali (v. fra le tante, quanto alla giurisprudenza della Corte di giustizia, la sentenza del 3 luglio 2025, C-268/24). Va rilevato, al riguardo, come la questione centrale verta sul se la provvisorietà dello status giuridico, derivante dalla pendenza di un giudizio di legittimità sulla definitività del rapporto di lavoro (pur in presenza di sentenze esecutive di primo e secondo grado), possa costituire un giustificato motivo per negare l’accesso a determinate opportunità lavorative o per applicare trattamenti deteriori.
Sul punto, va premesso, in termini generali, che l’esecutività delle sentenze (art. 282 c.p.c.) implica che gli effetti giuridici delle pronunce debbano essere riconosciuti anche prima del passaggio in giudicato, salvo specifiche eccezioni.
Quanto al merito della censura, giova rilevare che hanno precisato, al riguardo, le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. n. 34469 del 27/12/2019), non solo che sono inammissibili, per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c. p. c., le censure afferenti a domande di cui non vi sia compiuta riproduzione nel ricorso, ma anche quelle fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità.
D’altra parte, è consolidato il principio secondo cui i requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366, comma 1, c. p. c., nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso ( ex plurimis, Cass. n. 29093 del 13/11/2018).
Nella specie, parte ricorrente non riproduce, neanche per estratto, il testo degli accordi della cui applicazione si lamenta, mentre, peraltro, nessun elemento viene altresì addotto circa la previa, imprescindibile, presenza della censura afferente alla dedotta violazione dei principi antidiscriminatori anche nei precedenti gradi di giudizio.
La questione deve ritenersi, quindi, del tutto inammissibile in considerazione della assoluta novità della stessa, per essere stata posta, in assenza di qualsivoglia elemento di segno contrario, per la pima volta in sede di legittimità.
Alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere respinto.
6.1. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
6.2. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.
1 -bis dell’ articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 3000,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nell’Adunanza camerale del 9 luglio 2025.
La Presidente
NOME COGNOME