Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20823 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 20823 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 23/07/2025
SENTENZA
sul ricorso 5004-2023 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 832/2022 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 17/01/2023 R.G.N. 233/2021; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME
Oggetto
Licenziamento
R.G.N. 5004/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 28/05/2025
PU
FATTI DI CAUSA
La Corte di Appello di Firenze, con la sentenza impugnata, in riforma della pronuncia di primo grado, ha considerato ‘ingiustificato’ il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato a NOME COGNOME dalla RAGIONE_SOCIALE in seguito a procedura di cambio appalto che veniva acquisito dalla RAGIONE_SOCIALE
La Corte territoriale, per quanto qui ancora rilevi, dal punto di vista della tutela ha ritenuto applicabile il comma 7, secondo periodo, art. 18 St. lav., in relazione al comma 4 della stessa disposizione, per insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo in quanto la società non aveva fornito la prova di non poter ‘ricollocare il Caceres al proprio interno’.
Disposta la reintegrazione, la Corte ha tuttavia escluso il risarcimento del danno in quanto il COGNOME aveva rifiutato l’occupazione presso la nuova appaltatrice, ciò costituendo aliunde percipiendum detraibile sulla base della tutela applicabile; poiché le retribuzioni che il COGNOME avrebbe percepito presso l’impresa subentrante erano dello stesso importo di quelle dovute dalla impresa cessante, la Corte ha quindi ordinato la restituzione a quest’ultima dell’importo pagato in conseguenza della sentenza di primo grado.
Per la cassazione di tale sentenza, il lavoratore ha proposto ricorso con cinque motivi ; ha resistito l’intimata società con controricorso.
La Procura Generale ha comunicato memoria con cui ha illustrato la richiesta di rigetto del ricorso.
La sola società ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I motivi di ricorso possono essere come di seguito sintetizzati.
1.1. Il primo motivo denuncia: “violazione e falsa applicazione dell’art. 18 comma 7 legge n. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori) anche in relazione all’art. 1227 c.c.’; si sostiene che nella specie sarebbe operante la tutela reintegratoria di cui al primo comma dell’art. 18 st. lav. o, in subordine, quella del comma quinto, per cui non sarebbe detraibile l’ aliunde percipiendum; si contesta che possa dirsi in colpa il lavoratore che rifiuti il trasferimento del rapporto di lavoro per cambio appalto.
1.2. Il secondo motivo denuncia: ‘violazione e/o falsa applicazione dell’art. 18 St. lav., anche in relazione all’art. 4 Cost. e all’art. 2697 c.c.’; si deduce che gravava su CFT la dimostrazione e la prova della solvibilità della subentrante nell’appalto.
1.3. Il terzo motivo denuncia: ‘Nullità della sentenza per contraddittorietà e insufficienza della motivazione. Violazione di legge processuale art. 111 Cost. e 132 c.p.c. Violazione dell’art. 1227 c.c.’. Si eccepisce che se il lavoratore avesse accettato il trasferimento presso la subentrante sarebbe stato ‘escluso da socio dalla RAGIONE_SOCIALE uscente, con la perdita di euro 10.000,00 di capitale sociale’.
1.4. Il quarto motivo denuncia: ‘violazione e/o falsa applicazione dell’art. 18 primo comma St. lav. e art. 1227 c.c.’ assumendo che la circostanza secondo cui ai soci uscenti per cambio appalto non veniva rimborsato il capitale sociale avrebbe dovuto far concludere la Corte adita nel senso della sussistenza di un licenziamento intimato per motivo illecito determinante.
1.5. Il quinto motivo denuncia: ‘Nullità della sentenza per contraddittorietà e insufficienza della motivazione. Violazione di legge processuale art. 111 Cost. e 132 c.p.c. Violazione
dell’art. 1227 c.c.’. Si critica ancora la sentenza impugnata per aver trascurato che il RAGIONE_SOCIALE andando via dalla RAGIONE_SOCIALE sarebbe stato escluso come socio, perdendo la quota di capitale sociale.
2. Il ricorso non può trovare accoglimento.
2.1. Il primo motivo è infondato.
Riscontrato che il vizio che aveva reso illegittimo il licenziamento era rappresentato dalla mancanza di prova in ordine all’impossibilità di ricollocare aliunde il lavoratore, l’unica tutela applicabile, sulla base di costante giurisprudenza consolidatasi anche in seguito agli interventi della Corte costituzionale (cfr. Cass. n. 16975 del 2022; Cass. n. 30167 del 2022; Cass. n. 34049 del 2022; Cass. n. 34051 del 2022; Cass. n. 35496 del 2022; Cass. n. 36956 del 2022; Cass. n. 37949 del 2022; Cass. n. 38183 del 2022; Cass. n. 1299 del 2023), era quella cd. reintegratoria ‘attenuata’ che espressamente consente la detraibilità dell’ aliunde percipiendum , cioè di quanto il lavoratore “avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione” (cfr. Cass. n. 1602 del 2023).
Se ordinariamente il datore di lavoro che affermi la detraibilità dall’indennità risarcitoria prevista dal nuovo testo dell’art. 18, comma 4, st.lav., a titolo di ” aliunde percipiendum “, ha l’onere di allegare le circostanze specifiche riguardanti la situazione del mercato del lavoro in relazione alla professionalità del danneggiato, da cui desumere, anche con ragionamento presuntivo, l’utilizzabilità di tale professionalità per il conseguimento di nuovi guadagni e la riduzione del danno (cfr. Cass. n. 17683 del 2018), non par dubbio che correttamente la Corte territoriale ha ritenuto sussistere la prova dell’importo detraibile sulla base del rifiuto conclamato del Caceres di mantenere la retribuzione presso altro datore di lavoro. Né risulta violazione della
norma codicistica, atteso che l’art. 18 co. 4° Stat. tipizza l’ordinaria diligenza esigibile ai fini dell’art. 1227 cpv. c.c.
2.2. Parimenti è da respingere il secondo motivo: nessun parametro normativo consente di ritenere che l’onere probatorio gravante sul datore di lavoro si estenda oltre quello di dimostrare la legittimità del licenziamento, al punto da addossargli anche la prova del la solvibilità dell’impresa subentrante nell’appalto.
2.3. Il terzo, il quarto e il quinto motivo possono essere trattati congiuntamente per connessione e sono tutti inammissibili.
In essi, sotto la deduzione apparente della violazione di legge, nella sostanza si contestano accertamenti di fatto concernenti la perdita di qualità di socio, accertamenti che esorbitano dal controllo di legittimità.
Invero, il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., ricorre o non ricorre per l’esclusivo rilievo che, in relazione al fatto accertato, la norma non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata ‘male’ applicata, e cioè applicata a fattispecie non esattamente comprensibile nella norma (tra le molteplici, Cass. n. 26307 del 2014; Cass. n. 22348 del 2007); sicché il sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata perché è quella che è stata operata dai giudici del merito; al contrario, laddove si critichi la ricostruzione della vicenda storica quale risultante dalla sentenza impugnata, si è fuori dall’ambito di operatività dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., e la censura è attratta inevitabilmente nei confini del sindacabile esclusivamente ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., nella formulazione tempo per tempo vigente, vizio che
appunto postula un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti.
Nella specie, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma, quindi al vizio di cui all’art. 360 n. 3 c.p.c., e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (v. Cass. n. 35922 del 2023; Cass. n. 3340 del 2019; Cass. n. 640 del 2019; Cass. n. 10320 del 2018; Cass. n. 24155 del 2017; Cass. n. 195 del 2016).
Pure inammissibili sono le censure di insufficienza della motivazione, oramai estranee ai vizi che ex art. 360 c.p.c. consentono il ricorso per cassazione, mentre si palesano di mero stile le doglianze di nullità della sentenza per contraddittorietà della motivazione, che non evidenziano alcuna radicale illogicità o incomprensibilità del percorso argomentativo seguito dalla Corte territoriale.
In definitiva, come reiteratamente ribadito dalle Sezioni unite di questa Corte, risultano inammissibili le censure che ‘sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, degradano in realtà verso l’inammissibile richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti storici da cui è originata l’azione’, così travalicando ‘dal modello legale di denuncia di un vizio riconducibile all’art. 360 cod. proc. civ., perché pone a suo presupposto una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti’ (cfr. Cass. SS.UU. n. 34476 del 2019; Cass. SS.UU. n. 33373 del 2019; Cass. SS.UU. n. 25950 del 2020; conf.: Cass. n. 35116 del 2024).
In conclusione, il ricorso deve essere respinto nel suo complesso, con spese regolate secondo soccombenza liquidate come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 4.500,00, oltre euro 200 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 28 maggio 2025.
Il Presidente Dott. NOME COGNOME
Il cons. est. Dott. NOME COGNOME