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Aliunde percipiendum e onere della prova del datore

La Corte di Cassazione conferma che, in caso di licenziamento illegittimo, spetta al datore di lavoro l’onere di provare l’aliunde percipiendum, ovvero quanto il lavoratore ha guadagnato o avrebbe potuto guadagnare altrove. La mera allegazione della negligenza del lavoratore nella ricerca di un nuovo impiego non è sufficiente; il datore deve fornire prove concrete sulle opportunità lavorative disponibili e sulla professionalità richiesta, dimostrando che il lavoratore avrebbe potuto essere assunto.

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Aliunde percipiendum: La Cassazione chiarisce l’onere della prova a carico del datore di lavoro

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20823 del 2025, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale del diritto del lavoro: l’onere della prova in materia di aliunde percipiendum. Questo principio riguarda la detrazione, dal risarcimento dovuto al lavoratore per licenziamento illegittimo, di quanto egli abbia guadagnato o avrebbe potuto guadagnare altrove. La Corte ha ribadito un orientamento consolidato, stabilendo che spetta esclusivamente al datore di lavoro dimostrare non solo la negligenza del lavoratore nella ricerca di un nuovo impiego, ma anche le concrete opportunità lavorative che quest’ultimo avrebbe potuto cogliere.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dal licenziamento di un lavoratore da parte di una società cooperativa, avvenuto a seguito di un cambio di appalto. La Corte d’Appello, riformando la decisione di primo grado, aveva dichiarato illegittimo il licenziamento, ordinando la reintegrazione del dipendente. Secondo i giudici di merito, la società non aveva fornito la prova dell’impossibilità di ricollocare il lavoratore al proprio interno. Tuttavia, la stessa Corte aveva escluso il risarcimento del danno, ritenendo che il lavoratore avesse rifiutato l’assunzione presso la nuova azienda appaltatrice. Il lavoratore ha quindi proposto ricorso per Cassazione, contestando la decisione e sostenendo, tra i vari motivi, che l’onere di provare l’aliunde percipiendum gravasse sul datore di lavoro.

La Decisione della Corte sull’aliunde percipiendum

La Suprema Corte ha accolto il ricorso del lavoratore, cassando la sentenza impugnata. Gli Ermellini hanno chiarito che il vizio che rendeva illegittimo il licenziamento era la mancata prova, da parte del datore di lavoro, dell’impossibilità di ricollocare il dipendente. Di conseguenza, la tutela applicabile era quella reintegratoria “attenuata”.

Il punto centrale della decisione riguarda la detraibilità dell’aliunde percipiendum. La Corte ha ribadito che, secondo una giurisprudenza consolidata, l’onere di allegare e provare le circostanze specifiche relative al mercato del lavoro e alla professionalità del lavoratore spetta al datore di lavoro. Non è sufficiente una generica contestazione della mancanza di diligenza del dipendente nella ricerca di una nuova occupazione.

Le Motivazioni

La Corte ha fondato la sua decisione sul principio stabilito dall’art. 1227 c.c. e sull’onere della prova sancito dall’art. 2697 c.c. Se il datore di lavoro intende ridurre l’importo del risarcimento dovuto, deve fornire una prova rigorosa. Questa prova non può limitarsi a un’ipotesi astratta, ma deve basarsi su elementi concreti e oggettivi. Il datore di lavoro deve dimostrare:

1. L’esistenza di specifiche e reali opportunità di lavoro sul mercato.
2. La compatibilità di tali opportunità con la professionalità e le competenze del lavoratore licenziato.
3. Che il lavoratore, usando l’ordinaria diligenza, avrebbe potuto cogliere tali opportunità, riducendo così il proprio danno.

Nel caso specifico, la Corte territoriale aveva errato nel ritenere che la mancata assunzione presso la nuova appaltatrice fosse sufficiente a escludere il risarcimento. Tale valutazione non teneva conto che l’onere di provare le condizioni per la detrazione dell’aliunde percipiendum era interamente a carico della società cooperativa, la quale non aveva fornito alcuna prova in tal senso.

Le Conclusioni

La sentenza rafforza la posizione del lavoratore ingiustamente licenziato, ponendo un argine a possibili contestazioni generiche da parte del datore di lavoro. Per le aziende, emerge la chiara indicazione della necessità di un approccio probatorio molto più strutturato e documentato qualora intendano chiedere una riduzione del risarcimento del danno. Non basta affermare che il lavoratore non si è impegnato a cercare un nuovo lavoro; è indispensabile dimostrarlo con fatti concreti, allegando prove di offerte di lavoro specifiche e adeguate al profilo del dipendente. Questa pronuncia consolida un principio di equità, garantendo che il peso della prova gravi sulla parte che ha dato origine al danno con un atto illegittimo.

Chi deve provare che il lavoratore licenziato illegittimamente avrebbe potuto trovare un altro lavoro?
Secondo la Corte di Cassazione, l’onere della prova spetta interamente al datore di lavoro. È l’azienda che deve dimostrare non solo la negligenza del lavoratore, ma anche l’esistenza di concrete opportunità lavorative che il dipendente avrebbe potuto cogliere.

Cosa significa “aliunde percipiendum”?
È un’espressione latina che si riferisce a quanto un lavoratore, vittima di un licenziamento illegittimo, ha guadagnato (perceptum) o avrebbe potuto guadagnare (percipiendum) con un’altra attività lavorativa. Tale importo può essere sottratto dal risarcimento del danno dovuto dal datore di lavoro.

Quali prove deve fornire il datore di lavoro per ridurre il risarcimento del danno?
Il datore di lavoro non può limitarsi a una contestazione generica. Deve allegare e provare circostanze specifiche, come la situazione del mercato del lavoro in relazione alla professionalità del lavoratore, e dimostrare con elementi oggettivi che esistevano reali opportunità di impiego che il lavoratore avrebbe potuto ottenere usando l’ordinaria diligenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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