Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1480 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 1480 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 7380-2018 proposto da:
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI REGGIO CALABRIA;
– intimata –
Oggetto
Retribuzione pubblico impiego
R.G.N. 7380/2018
COGNOME
Rep.
Ud. 19/12/2023
CC
avverso la sentenza n. 1081/2017 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 21/12/2017 R.G.N. 330/2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/12/2023 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME adiva il giudice del lavoro del Tribunale di Locri lamentando l’illegittima revoca, da parte dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria (in seguito ASP), dell’incarico di direttore del distretto nord a lui conferito con delibera n. 911 del 10.9.2001 cui era seguito il contratto, di durata triennale a fare tempo dal 16.9.2001, dell’8.4.2002;
il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda disapplicando la delibera 101CS del 22.11.2002 e condannando la ASP al risarcimento del danno, pari ad euro 54.323,00, correlato al compenso che il Cristiano avrebbe percepito dalla cessazione (31.12.2002) fi no alla scadenza naturale dell’incarico (16.9.2004);
con sentenza del 28 ottobre 2008 la Corte di Appello di Reggio Calabria ha dichiarato improcedibile l’appello proposto dalla Azienda Sanitaria n. 9 di Locri, la quale proponeva ricorso dinanzi alla Suprema Corte che, con sentenza n. 18092 del 15.9.2015, annullava la sentenza impugnata con rinvio alla stessa Corte territoriale, in diversa composizione;
quest’ultima, con sentenza del 21.12.2017, accoglieva infine l’appello dell’ASP di Reggio Calabria e, in riforma della statuizione del Tribunale di Locri, rigettava la domanda di NOME COGNOME
rilevava il giudice del rinvio che era fondato il quarto motivo di gravame con assorbimento dei restanti: il primo giudice aveva riconosciuto un danno per anticipata risoluzione del rapporto pari a euro 54.323,00, ma il Cristiano nel periodo gennaio 2003-settembre 2004, al quale il Tribunale aveva commisurato il danno, aveva percepito, come medico di base di medicina generale, complessivamente euro 105.612,67, sicché non v’era prova che egli percepisse quale direttore di distretto somme maggiori; ciò posto il quantum del risarcimento, dovendo dedursi l’ aliunde perceptum , era pari a zero, anche considerando che era incontroverso fra le parti che l’incarico di direttore di distretto ‘era incompatibile con ogni altra forma di lavoro, dipendente e/o convenzionato, con altre strutture pubbliche o pri vate’;
avverso tale decisione propone ricorso per cassazione NOME COGNOME sulla base di sei motivi illustrati da memoria, mentre l’ASP di Reggio Calabria resta intimata.
CONSIDERATO CHE:
nel suo ricorso, rubricato in plurime sotto censure che non trovano però agevole rispondenza nella narrativa dell’atto, il Cristiano denuncia confusamente la violazione dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ. per carenza o contraddittorietà della motivazione, la violazione di contratti collettivi e di norme di diritto, la violazione dell’art. 345 cod. proc. civ, dell’art. 437 cod. proc. civ., in relazione alla legittimità dell’ordinanza istruttoria emessa in appello, nonché l’omesso esame di fatto decisivo ogget to di discussione fra le parti;
secondo il ricorrente errata era l’affermazione del giudice del rinvio secondo cui i motivi di appello circa la legittimità o meno della delibera sarebbero rimasti assorbiti nel quarto mezzo di gravame; nel percorso volto a quantificare un danno non poteva prescindersi, quale presupposto logico, da una valutazione sull’esistenza del diritto, come dimostrava l’iter argomentativo seguito dal giudice di prime cure che il ricorrente si premura di ripercorrere e i cui esiti richiama anche in punto di liquidazione del danno;
il ricorrente censura, poi, la valutazione del giudice del rinvio sulla perimetrazione del petitum al solo ristoro del danno in via equitativa, avendo egli chiesto di poter mantenere, previa declaratoria di illegittimità della revoca, l’incarico in questione e il godimento delle relative indennità retributive che il giudice di primo grado aveva correttamente determinato operando un calcolo della posta risarcitoria residuale in €. 54.323,04 che teneva conto del compenso annuale di £. 160.000.000 indicato nel contratto per l’incarico di Direttore di distretto e dell’ aliunde perceptum (i.e., compenso da lui percepito come medico di base fino alla scadenza del triennio);
il giudice del rinvio aveva errato nell’emettere un’ordinanza istruttoria con la quale lo invitava a produrre nuovamente il conteggio sulla base di documentazione che era stata già acquisita in primo grado, non potendo certo il potere istruttorio essere esercitato «per riparare alla negligenza di chi è preposto alla tenuta dei fascicoli d’ufficio e di parte»;
era da censurare anche il mancato rilievo della tardività ex art. 345 cod. proc. civ. dell’eccezione formulata in appello dalla ASP sull’ aliunde perceptum , calcolato comprendendo peraltro ‘annualità che non possono essere utilizzate’ e non considerando che il medico
avrebbe dovuto percepire nei 21 mesi residui come direttore di distretto €. 144.607,00 e, dunque, un importo largamente superiore a quello portato in detrazione dal giudice del rinvio, pari a €. 105.612,67;
6. il ricorso è inammissibile perché caratterizzato, nel suo complesso, da una oscura tecnica espositiva, che rende le censure non comprensibili appieno senza il continuo confronto con la sentenza impugnata, in violazione del disposto dell’art. 366, n. 3 e 4 cod. proc. civ., il che ne determina l’inammissibilità nel suo complesso, oltre che per le considerazioni che seguono, facenti riferimento ai singoli motivi. Come affermato da questa Corte a Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 37522 del 2021), il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità ai principi di chiarezza e sinteticità espositiva, occorrendo che il ricorrente selezioni i profili di fatto e di diritto della vicenda sub iudice posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 cod. proc. civ.; l’inosservanza di tali doveri può condurre ad una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione soltanto quando si risolva in una esposizione oscura o lacunosa dei fatti di causa o pregiudichi l’intelligibilità delle censure mosse alla sentenza gravata, così violando i requisiti di contenuto-forma stabiliti dai nn. 3 e 4 dell’art. 366 cod. proc. civ. Questo è quanto si è verificato nel caso di specie, in cui il contenuto dei motivi e la stessa vicenda processuale non sono del tutto comprensibili se non integrando la lettura del ricorso con quella della sentenza, e l’esame nel merito dei motivi è precluso dal rischio di una indebita supplenza, da parte della corte, a fronte di varie opzioni
interpretative in ordine all’effettivo contenuto dei motivi, nel tracciare la stessa linea difensiva del ricorrente;
passando in rassegna le singole censure, va rammentato che il cosiddetto aliunde perceptum non costituisce oggetto di eccezione in senso stretto ed è, pertanto, rilevabile d’ufficio dal giudice se le relative circostanze di fatto risultano ritualmente acquisite al processo, anche se per iniziativa del lavoratore (ex plurimis, Cass. n. 14078 del 2020, Cass. n. 18093 del 2013). Trattandosi di un’eccezione in senso lato, la stessa non è subordinata alla specifica e tempestiva allegazione della parte ed è ammissibile anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino documentati ex actis , poiché il regime delle eccezioni si pone in funzione del valore primario del processo, costituito dalla giustizia della decisione, che resterebbe sviato ove pure le questioni rilevabili d’ufficio fossero soggette ai limiti preclusivi di allegazione e prova previsti per le eccezioni in senso stretto(Cass. S.U. 10531 del 2013; conf. Cass. n. 27998 del 2018). Ne consegue che in presenza di una eccezione in senso lato il giudice può esercitare anche i propri poteri officiosi al fine di ammettere le prove indispensabili, cioè quelle idonee ad elidere ogni incertezza nella ricostruzione degli eventi (Cass. 25434 del 2019).
Orbene, il fatto rilevante ai fini della detraibilità dell’ aliunde perceptum è costituito dalla circostanza dello svolgimento – nel periodo in questione – di attività lavorativa diversa da quella di Direttore di distretto e tale fatto costituiva un dato non controverso acquisito al giudizio. Una volta acquisito agli atti come pacifico tra le parti il presupposto di fatto rappresentato dalla prestazione di lavoro autonomo produttiva di reddito svolta dopo la revoca dell’incarico di
Direttore di distretto e considerata la rilevabilità d’ufficio di tale circostanza, deve escludersi la prospettata tardività, che non può riguardare – come già detto – il momento della formulazione dell’eccezione della parte (originariamente) convenuta, trattandosi di questione rilevabile d’ufficio. Quanto alla determinazione della misura del risarcimento e dei redditi detraibili, la Corte di appello ha riferito che non era stata svolta alcuna specifica contestazione da parte del Cristiano ai dati forniti d all’ASP come tratti dalla certificazione dell’Ufficio risorse finanziarie per la determinazione dell’eventuale differenziale. Sicché, trattandosi di pretesa risarcitoria, in cui rileva unicamente il differenziale tra quanto complessivamente spettante nel periodo di (ritenuta) illegittima revoca dell’incarico (ancorché il parametro sia costituito dalle retribuzioni perdute) e quanto invece percepito nello stesso periodo per la prestazione di lavoro diversa, conseguenziale era la reiezione dell’originaria dom anda;
sul punto, del tutto inconferente è il rilievo secondo cui il giudice del rinvio avrebbe dovuto seguire l’ordine logico delle questioni e cominciare quindi la disamina dei motivi di appello affrontando i profili di illegittimità della revoca dell’incarico, come acclarati dal primo giudice;
ed invero, in applicazione del principio processuale della “ragione più liquida”, desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., la causa può essere, infatti, decisa sulla base della questione ritenuta di agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente le altre, imponendosi, a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, un approccio interpretativo che comporti la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica e sostituisca il profilo dell’evidenza a quello dell’ordine delle questioni da
trattare ai sensi dell’art. 276 cod. proc. civ. (tra le tante, Cass., Sez. 5-, n. 11458/2018; Cass., Sez. 5-, n. 363/2019);
10. nel resto, il ricorso sotto l’apparente deduzione di una violazione di legge, mira a conseguire una terza ‘lettura’ del compendio documentale – anche in punto di verifica delle poste risarcitorie ai fini della concreta liquidazione del danno risarcibile-, e dunque a un riesame del merito, precluso in questa sede di legittimità (Cass. n. 6960/2020), senza che in senso contrario possa genericamente evocarsi l’omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti;
11. la censura è inammissibile anche nella restante parte in cui addebita alla sentenza il vizio di motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria perché il ricorrente, lungi dall’indicare il fatto storico, principale o secondario che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass., Sez. U, n. 8053/2014, n. 8054/2014), in conformità al nuovo testo dell’art. 360 comma 1 n. 5 cod. proc. civ., come sostituito dall’art. 54, comma 1, lett. b), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile alla fattispecie dedotta in giudizio, ha, invece, addebitato alla sentenza vizio di motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria secondo uno schema che è estraneo al rimedio impugnatorio disciplinato dal vigente art. 360 comma 1 n. 5 cod. proc. civ.;
12. in conclusione, il ricorso è nel suo complesso inammissibile; non v’è luogo a pronuncia sulle spese essendo la ASP rimasta intimata.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 19 dicembre 2023.