Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31005 Anno 2024
AULA B
Civile Ord. Sez. L Num. 31005 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18844/2020 R.G. proposto
da
COMUNE DI COGNOME DELLA COGNOME , in persona del Sindaco pro tempore ed elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME e NOME COGNOME
-ricorrente – contro
a
Oggetto: Lavoro pubblico
contrattualizzato
–
Comune
–
Contratto
tempo
determinato
–
Recesso
anticipato
–
Illegittimità
–
Risarcimento
danni
–
NOME
perceptum
–
Quantificazione – Criteri
R.G.N. 18844/2020
Ud. 21/11/2024 CC
COGNOME NOME COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME COGNOME NOME
-controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 314/2019 depositata il 23/10/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 21/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 314/2019, pubblicata in data 23 ottobre 2019, la Corte d’appello di Venezia, nella regolare costituzione dell’appellato ed appellante incidentale NOME COGNOME ha respinto l’appello principale proposto dal COMUNE DI NERVESA DELLA BATTAGLIA avverso la sentenza del Tribunale di Treviso n. 66/2016, pubblicata in data 10 febbraio 2016 e, in accoglimento dell’appello incidentale, ha rideterminato la misura del risarcimento del danno spettante al lavoratore.
Il Tribunale di Treviso, in accoglimento della domanda originariamente proposta da NOME COGNOME aveva accertato l’illegittimità del recesso anticipato del COMUNE DI NERVESA RAGIONE_SOCIALE dal contratto a tempo determinato concluso con lo stesso ricorrente, ritenendo, in particolare, la nullità della clausola n. 5 di tale contratto – che riconosceva al COMUNE la facoltà di revoca con valutazione discrezionale – e condannando lo stesso COMUNE al risarcimento del danno, commisurato alle retribuzioni che il ricorrente avrebbe percepito sino alla scadenza naturale del contratto, dedotto
l’ aliunde perceptum in relazione allo svolgimento dell’attività libero -professionale, consentita dal contratto medesimo.
La Corte territoriale ha disatteso il gravame proposto dal COMUNE DI NERVESA DELLA BATTAGLIA, osservando, in sintesi, che:
-l’ipotesi di recesso dal contratto a tempo determinato di cui all’art. 110, D. Lgs. n. 267/2000 doveva ritenersi sottordinata al rispetto dei principi stabiliti dal codice civile e dalle leggi sul pubblico impiego, con conseguente applicabilità dell’art. 2119 c.c., previsione con la quale la clausola contrattuale di recesso anticipato si veniva a porre in contrasto, in quanto non definiva in modo puntuale le ipotesi che non avrebbero consentito la prosecuzione del rapporto;
-il disposto di cui all’art. 110, D. Lgs. n. 267/2000 non attribuisce al Regolamento dell’Ente locale la facoltà di regolamentare in maniera autonoma e diversa le ipotesi di recesso anticipato, contemplando unicamente l’ipotesi della risoluzione di diritto collegata al dissesto dell’Ente o ad una situazione di deficit strutturale;
-la clausola contrattuale si poneva in contrasto anche con l’art. 41, comma 2, lett. c), del Regolamento del COMUNE DI NERVESA RAGIONE_SOCIALE, dal momento che quest’ultimo comunque subordina la revoca dell’incarico precise e concrete ragioni di interesse pubblico, nella specie non individuate né dimostrate.
La Corte d’appello ha invece accolto l’appello incidentale di NOME COGNOME ritenendo che la detrazione dal risarcimento dell’ aliunde perceptum costituito dai proventi dell’attività libero -professionale dovesse essere effettuato in via equitativa, non essendo possibile stabilire quale incidenza l’ipotetica prosecuzione del contratto
con il COMUNE avrebbe avuto sullo svolgimento della stessa attività libero-professionale.
La Corte territoriale ha quindi ritenuto che tale aliunde perceptum dovesse essere determinato nella quota proporzionale dell’importo medio dei compensi professionali percepiti da NOME COGNOME nel corso del rapporto.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Venezia ricorre ora il COMUNE DI NERVESA RAGIONE_SOCIALE.
Resiste con controricorso NOME COGNOME
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
Le parti hanno depositato entrambe memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a tre motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 158 c.p.c. e la nullità della sentenza; formulando ‘eccezione di incostituzionalità 62, comma 1, 65, commi 1, 4, 66, 67 commi 1 e 2, 68 comma 1, 72, comma 1, del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni nella legge 9 agosto 2013 n. 98, per contrasto con gli arti. 102 comma 1, 106 c ommi 1 e 2 della Costituzione’ .
Il ricorrente deduce la nullità della decisione impugnata per vizio di costituzione del Giudice, in quanto viene indicato come componente del collegio giudicante ed estensore della motivazione un giudice ausiliario.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c.
Argomenta, in particolare, il ricorso che la Corte territoriale avrebbe erroneamente applicato gli artt. 2727 e 2729 c.c., ritenendo che ‘per il solo fatto che prima della cessazione del rapporto di lavoro il resistente COGNOME svolgesse attività libero-professionale, anche dopo la cessazione sussistesse detta compatibilità’ , e deduce che ‘nel procedimento logico svolto dal Giudice di secondo grado manca la considerazione che l’attività libero professionale, svolta dal resistente durante il rapporto di lavoro, era stata autorizzata dal Comune ricorrente e che, quindi, l’argomentare presuntivo avrebbe dovuto svolgersi chiedendosi se l’amministrazione comunale avrebbe autorizzato lo svolgimento libero professionale nella misura e qualità, in cui si è svolta dopo la cessazione del rapporto lavorativo con l’ente’ .
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 c.c. e 432 c.p.c.
Il COMUNE deduce la illogicità del criterio di determinazione dell’ aliunde perceptum evidenziando che lo stesso è stato operato sui proventi dell’attività libero -professionale prima del recesso, mentre avrebbe dovuto essere operato sui proventi del periodo successivo al recesso periodo.
Il ricorrente censura, poi, l’incomprensibilità che, a suo dire, palesa vera e propria arbitrarietà -del criterio finale adottato dalla Corte territoriale.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
Come da questa Corte osservato anche recentemente (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 29087 del 2024), con la sentenza n. 41/2021, la Corte costituzionale, nel pronunciare l’illegittimità costituzionale degli artt. 62, 63, 64, 65, 66, 67, 68, 69, 70, 71 e 72 del decreto-legge 21 giugno 2013 n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia),
convertito, con modificazioni, in legge 9 agosto 2013, n. 98, ha contestualmente disposto che l’efficacia di tale pronuncia di illegittimità avesse a prodursi esclusivamente a seguito del completamento del ‘riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria nei tempi stabiliti dall’art. 32 del decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116 (Riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace, nonché disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio, a norma della legge 28 aprile 2016, n. 57)’ .
Con la propria pronuncia, quindi, il giudice delle leggi ha ritenuto di modulare il principio dell’ordinaria retroattività delle sentenze di incostituzionalità delle leggi, armonizzandone e bilanciandone l’efficacia con la concreta incidenza degli altri valori d’indole costituzionale specificamente richiamati nella medesima sentenza, in tal modo sospendendo l’efficacia di incostituzionalità delle norme impugnate per tutto il periodo indispensabile al completamento della riforma della magistratura onoraria (nel rispetto di una sorta di temporanea ‘tollerabilità costituzionale’), prevedendo testualmente che ‘in tale periodo rimane anche con riguardo ai giudizi a quibus -legittima la costituzione dei collegi delle corti d’appello con la partecipazione di non più di un giudice ausiliario a collegio e nel rispetto di tutte le altre disposizioni, sopra richiamate, che garantiscono l’indipendenza e la terzietà anche di questo magistrato onorario’ .
Sul punto, questa stessa Corte di legittimità ha in precedenti occasioni affermato come, a seguito della sentenza della Corte Cost. n. 41 del 2021, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di quelle disposizioni, contenute nel D.L. n. 69 del 2013 (conv. con modif. con Legge n. 98/2013), che conferiscono al giudice ausiliario di appello lo status di componente dei collegi nelle sezioni delle corti di appello, queste ultime potranno legittimamente continuare ad avvalersi dei
giudici ausiliari, fino a quando, entro la data del 31/10/2025, si perverrà ad una riforma complessiva della magistratura onoraria.
Sino a quel momento, infatti, la temporanea tollerabilità costituzionale dell’attuale assetto è volta ad evitare l’annullamento delle decisioni pronunciate con la partecipazione dei giudici ausiliari e a non privare immediatamente le corti di appello dei giudici onorari al fine di ridurre l’arretrato nelle cause civili (Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 32065 del 05/11/2021, derivando da tali premesse che la partecipazione di un giudice ausiliario quale componente il collegio responsabile della decisione impugnata deve ritenersi pienamente legittima, senza che tali conclusioni possano essere superate dalle deduzioni svolte sul punto dal ricorrente nella propria memoria ex art. 380bis .1 c.p.c., avendo la stessa Corte costituzionale valutato la compatibilità della propria decisione con l’art. 136 Cost.
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile, sotto plurimi profili.
In primo luogo, la decisione impugnata ha svolto un ragionamento di tipo equitativo, senza che tuttavia in tale ragionamento sia possibile in concreto ravvisare -come invece argomenta il ricorrente -il ricorso a meccanismi presuntivi, essendosi, anzi, la decisione basata su un dato fattuale non contestato, e cioè la possibilità per il controricorrente di svolgere attività libero professionale in costanza di rapporto con il COMUNE.
In secondo luogo, si deve rilevare che le argomentazioni del motivo di ricorso si vengono ad imperniare su un profilo in via di fatto -e cioè la discrezionalità che il ricorrente medesimo avrebbe conservato nel consentire la prosecuzione dell’attività libero -professionale del controricorrente -che non risulta in alcun modo fosse stata dedotta in precedenza e che non emerge in alcun modo dagli atti.
Si palesa, anzi, in tal modo, anche un profilo di carenza di rispetto del canone di specificità di cui all’art. 366 c.p.c. -non essendo stati né riprodotti né localizzati gli atti dai quali sarebbe dovuta emergere tale circostanza -come peraltro sostanzialmente rilevato dallo stesso controricorrente nella propria memoria ex art. 380bis .1 c.p.c., ove la ricostruzione fattuale del ricorrente viene contestata.
In terzo luogo, il motivo non si confronta con il principio per cui l’ aliunde perceptum costituisce un’eccezione e, come avviene per tutte le eccezioni, deve essere provata da chi la sollevi, vale a dire dal datore di lavoro ogni qual volta si discuta di danno da lucro cessante (cfr., ad esempio, Cass. 14 giugno 2022, n. 19163; Cass. 31 gennaio 2017 n. 2499; Cass. 12 maggio 2015, n. 9616; Cass. 17 novembre 2010, n. 23226; Cass. 26 ottobre 2010, n. 21919; Cass. 1° giugno 2004 n. 10531; Cass. 9 aprile 2003 n. 5532; Cass. 29 agosto 2000 n. 11341; Cass. 22 ottobre 1998 n. 10522; Cass. 27 marzo 1996 n. 2756; Cass. 19 luglio 1990 n. 7380; Cass. 20 giugno 1990 n. 6193 e altre), di talché sarebbe stato onere del datore di lavoro -e non del lavoratore provare anche il quantum di detto aliunde perceptum , senza limitarsi a contestare la quantificazione equitativa cui il giudice del merito è stato costretto a ricorrere proprio per la carenza delle allegazioni dello stesso COMUNE.
Infine -postulando che la decisione impugnata sia ricorsa a meccanismi di tipo presuntivo -deve comunque richiamarsi il duplice principio per cui:
-spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di
legittimità (Cass. Sez. L -Ordinanza n. 22366 del 05/08/2021);
-la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 9054 del 21/03/2022).
Il terzo motivo è infondato.
Richiamato il principio per cui l’esercizio del potere di liquidazione ex art. 432 c.p.c. non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità, purché la motivazione della decisione dia adeguatamente conto del processo logico attraverso il quale si è pervenuti alla liquidazione, indicando i criteri assunti a base del procedimento valutativo (Cass. Sez. L, Sentenza n. 10401 del 06/05/2009; Cass. Sez. L, Sentenza n. 50 del 07/01/2009), si deve osservare che, nella specie, la Corte territoriale ha dato adeguato conto del criterio individuato per la determinazione dell’ aliunde perceptum -rammentato sempre che la prova del quantum di quest’ultimo incombeva comunque sull’odierno ricorrente -in quanto, una volta constatato che nello specifico l’attività liberoprofessionale era compatibile con l’incarico ex art. 110 TUEL , ha proceduto ad applicare un criterio equitativo che teneva conto
dell’unico dato efficacemente disponibile, e cioè l’entità dei proventi dell’attività libero -professionale svolta nel corso del rapporto con il COMUNE, giungendo ad una quantificazione che non è censurabile nella presente sede, essendo adeguatamente motivata.
Il ricorso deve quindi essere respinto, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 5.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione