Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21523 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 21523 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 26/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19146/2020 R.G. proposto da :
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME congiuntamente e disgiuntamente all’Avv. NOME COGNOME presso il cui studio, sito in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO è elettivamente domiciliata
-ricorrente-
contro
Ministero dell’istruzione e del merito (già Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca), in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici, siti in Roma, INDIRIZZO domicilia -controricorrente- nonché contro
NOME
-intimata- avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 3284/2019 depositata il 19/11/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 02/07/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Roma, per quanto qui rileva, ha respinto il gravame proposto da NOME COGNOME che aveva agito unitamente a NOME COGNOME in esito a giudizio in sede amministrativa per ottenere la condanna del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (ora Ministero dell’istruzione e del merito) al risarcimento dei danni da ritardata immissione in ruolo.
La Corte territoriale, dopo aver precisato che era rimasto accertato a seguito delle sentenze del Consiglio di Stato (adito anche in sede di ottemperanza) che la odierna ricorrente, pur avendo diritto ad essere immessa in ruolo nell’anno scolastico 1992/1993, era stata effettivamente assunta molti anni dopo (anno scolastico 2001-2002), ha osservato che la docente aveva agito per ottenere unicamente il pregiudizio patrimoniale derivante dalla ritardata assunzione, instando per il risarcimento del danno parametrato alle retribuzioni perdute, come da conteggi depositati. Rispetto alla motivazione addotta dal primo giudice (secondo cui non era stato allegato alcun danno), ha, quindi, affermato che, trattandosi di posta risarcitoria, occorreva detrarre l’ aliunde perceptum ; poiché era emerso in giudizio che nel periodo dedotto in causa la ricorrente aveva lavorato come supplente, sia pure non continuamente, era stata disposta CTU contabile, in esito alla quale non erano risultate differenze a credito della lavoratrice, fra quanto percepito e quanto spettante ove tempestivamente assunta, come da documentazione reddituale acquisita.
Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione NOME COGNOME articolando quattro motivi, illustrati da memoria, cui resiste il Ministero con controricorso, mentre NOME COGNOME è rimasta intimata.
La ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si deduce il mancato esame del motivo di appello relativo all’omessa contestazione dei fatti e dei
documenti nonché delle voci di danno da parte del Ministero, ai sensi dell’art. 360 , primo comma, n. 4 c.p.c.
1.2. La censura, nei termini formulati, presenta diversi profili di inammissibilità.
In primo luogo, il vizio di omessa pronuncia che determina la nullità della sentenza per violazione dell ‘ art. 112 c.p.c., rilevante ai fini di cui all ‘ art. 360, primo comma, n. 4, dello stesso codice, si configura esclusivamente con riferimento a domande attinenti al merito (Cass. Sez. 6-1, 05/07/2016, n. 13716; nel senso che il vizio di omessa pronunzia è configurabile solo nel caso di mancato esame di questioni di merito, v. anche Cass. Sez. 3, 11/10/2018, n. 25154).
Nella specie, si denuncia il mancato esame di un motivo di appello che non attiene al merito della domanda, bensì alla valutazione delle allegazioni delle parti e delle risultanze istruttorie e, anche sotto questo profilo, la doglianza si rivela comunque inammissibile nella presente sede di legittimità (fra molte, Cass. Sez. 1, 20/09/2013, n. 21603, secondo cui la scelta dei mezzi istruttori utilizzabili per il doveroso accertamento dei fatti rilevanti per la decisione è rimessa all ‘ apprezzamento discrezionale, ancorché motivato, del giudice di merito, ed è censurabile, quindi, in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione e non della violazione di legge).
Inoltre, per consolidata interpretazione di questa Corte, l’onere di contestazione attiene solo alla allegazione delle circostanze di fatti costitutivi, modificativi od estintivi del diritto azionato (fra molte, Cass. Sez. 2, 04/04/2024, n. 8967), e non a mere difese, come va qualificata la detrazione dell’ aliunde perceptum (già Cass. Sez. L, 21/03/2000, n. 3345; in senso conforme, di recente, Cass. Sez. L., 14/06/2022, n. 19163).
Con il secondo motivo di ricorso si formula la stessa censura di cui al mezzo che precede, prospettata in termini di omesso esame circa un fatto decisivo della controversia, rappresentato dalla non contestazione da parte del Ministero del preteso svolgimento di altra attività lavorativa nel
periodo oggetto di mancata immissione in ruolo , ai sensi dell’art. 360 , primo comma, n. 5 c.p.c.
2.1. Anche tale censura non si sottrae alla valutazione di inammissibilità, considerato che l’ art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., come riformulato ex art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, prevede un vizio specifico, relativo all ‘ omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia formato oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo , dovendosi escludere che l’ omesso esame possa riguardare una mera difesa (Cass. Sez. 2, 06/02/2025, n. 2961), come nella specie, la detrazione dell’ aliunde perceptum .
Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1227 e 2697 c.c. nonché degli artt. 115, 116, 414, 416, 420, 433, 434, 436 c.p.c., con riferimento alla acquisizione di ufficio dei documenti reddituali e degli elementi in ordine alla detrazione dell’ aliunde perceptum , calcolato tramite CTU, nella inerzia e non contestazione del Ministero.
3.1. La censura è infondata.
Questa Corte ha già ritenuto che, nel pubblico impiego contrattualizzato, ai fini della quantificazione del risarcimento del danno da tardiva assunzione, costituiscono prova dell ‘ aliunde perceptum le dichiarazioni dei redditi degli anni interessati, se prive di vizi palesi, o le corrispondenti certificazioni fiscali, documenti che, ove non prodotti, vanno acquisiti officiosamente ex artt. 421 e 437 c.p.c., mentre l ‘ allegazione e prova di ulteriori redditi non emergenti dai sopraindicati documenti compete, invece, al datore di lavoro (Cass. Sez. L., 25/07/2023, n. 22294).
Il Collegio ritiene di condividere la motivazione addotta nel richiamato precedente, che deve intendersi richiamata ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c. In particolare, si evidenzia che i dati fiscali, ovverosia le dichiarazioni dei redditi o le certificazioni sul reddito risultante agli uffici finanziari, che siano prodotte dalle parti o acquisite d’ufficio dal giudice,
assumono, in questa tipologia di cause, rilevanza probatoria primaria, cosicché il giudice, in mancanza, quei dati li avrebbe dovuti acquisire anche d’ufficio, ai sensi degli artt. 421 e 437 c.p.c., stante la loro palese decisività e dunque indispensabilità.
Applicando tali principi al caso di specie, occorre concludere che rientrava nei poteri del giudice d’appello acquisire la documentazione reddituale dell’odierna ricorrente ai fini dell’ aliunde perceptum, dal momento che, secondo quanto risulta dalla sentenza impugnata, «era emerso in giudizio che le appellanti avevano, nel periodo dedotto in causa, lavorato, sia pure in modo non continuativo, effettuando supplenze (v. verbale udienza del 15.9.2016)».
Con il quarto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 414, 416, 434, e 436 c.p.c., in ordine alle condizioni per l’esplicazione dei poteri istruttori officiosi , in mancanza di allegazione delle parti.
4.1. La censura è infondata, in quanto ripropone, sotto diverso profilo, la doglianza già disattesa con riferimento al terzo mezzo.
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza, e vanno liquidate in favore del Ministero, mentre non vi è luogo a provvedere per la intimata che non ha svolto attività difensiva.
Occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore del Ministero controricorrente delle spese del giudizio, che liquida in euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello previsto per il ricorso norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 02/07/2025.