Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 27588 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 27588 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30388/2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME, con domicilio digitale ex lege ;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, con domicilio digitale ex lege ;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1104/2021 del TRIBUNALE DI TORINO depositata in data 3/3/2021, nonché dell’ordinanza n. 1108/2021 della CORTE D’APPELLO DI TORINO depositata il 28/9/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 2/10/2025 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
ritenuto che,
con ordinanza resa in data 28/9/2021, la Corte d’appello di Torino ha dichiarato inammissibile, ai sensi dell’art. 436bis c.p.c. l’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE in liquidazione avverso la decisione con la quale il giudice di primo grado ha dato atto dell’avvenuta risoluzione di diritto, per inadempimento della conduttrice RAGIONE_SOCIALE, dei contratti di locazione mediante i quali la RAGIONE_SOCIALE aveva concesso in godimento due immobili in favore della RAGIONE_SOCIALE;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha rilevato come l’impugnazione proposta dalla RAGIONE_SOCIALE non avesse alcuna ragionevole probabilità di essere accolta, avendo il giudice di primo grado correttamente sottolineato il carattere totalmente ingiustificato dell’interruzione, da parte della società conduttrice, del pagamento dei canoni dalla stessa dovuti, dovendo ritenersi totalmente priva di fondamento la pretesa della conduttrice di veder accertato l’inadempim ento della controparte asseritamente consistito nel mancato conseguimento del certificato di agibilità dei locali concessi in godimento, non avendo la parte locatrice mai assunto alcuna obbligazione in ordine al conseguimento di tale certificato, essendo risultato esattamente il contrario sulla base degli
accordi delle parti; certificato di agibilità che, peraltro, la conduttrice avrebbe agevolmente potuto conseguire in proprio, là dove avesse rimosso le opere abusive dalla stessa realizzate sui beni locati, come nella specie comprovato dall’immediato ottenimento di tale certificato di agibilità da parte della locatrice a seguito della riconsegna degli immobili locati;
avverso la sentenza del giudice di primo grado e l’ordinanza del giudice d’appello, la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione propone ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi d’impugnazione;
RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso, cui ha fatto seguito il deposito di memoria;
considerato che,
con il primo motivo, la società ricorrente censura i provvedimenti impugnati per violazione o falsa applicazione degli artt. 1337 e 1338 c.c. in combinato disposto con l’art. 1175 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere i giudici del merito erroneamente omesso di conferire rilievo, ai fini della decisione della controversia, alla condotta tenuta dalla locatrice nella fase delle trattative e nella formazione dei contratti di locazione in esame, con particolare riguardo al mancato riconoscimento dell’avvenuta violazione, ad opera della controparte, della buona fede precontrattuale atta a fondare e legittimare la domanda di risoluzione del contratto di locazione e di risarcimento dei quantificati danni azionata dalla conduttrice ricorrente;
il motivo è inammissibile;
ferma la radicale infondatezza dell’affermazione secondo cui l’eventuale violazione della buona fede precontrattuale valga a
legittimare la risoluzione del contratto di locazione concluso, varrà sottolineare come la censura in esame faccia riferimento a due specifiche domande (la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno come conseguenze della violazione della buona fede precontrattuale) di cui non vi è alcun accenno in nessuno dei due provvedimenti impugnati;
al riguardo, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di puntuale e completa allegazione del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (cfr. ex plurimis , Sez. 2, Sentenza n. 20694 del 09/08/2018, Rv. 650009 -01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 15430 del 13/06/2018, Rv. 649332 – 01);
non avendo la ricorrente in alcun modo provveduto alle ridette allegazioni, il motivo deve ritenersi per ciò stesso inammissibile;
con il secondo motivo, la società ricorrente censura i provvedimenti impugnati per violazione o falsa applicazione dell’art. 1375 c.c. in combinato disposto con l’art. 1175 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere i giudici del merito erroneamente omesso di conferire rilievo, ai fini della decisione della controversia, alla condotta tenuta dalla locatrice in violazione e lesione della buona fede contrattuale nella
fase della stipulazione e perfezionamento dei contratti di locazione, nonché nella relativa fase di esecuzione, atta a fondare la domanda di risoluzione del contratto di locazione e di risarcimento dei quantificati danni azionata dalla conduttrice ricorrente;
il motivo è inammissibile;
d ev’essere in primo luogo rilevata l’inammissibilità della censura in esame nella parte in cui torna a richiamare la pretesa avvenuta proposizione di domande fondate sulla responsabilità precontrattuale della controparte (cfr. quanto rilevato a proposito della decisione del primo motivo);
parimenti inammissibile deve ritenersi il motivo in esame nella parte in cui intende contestare i provvedimenti impugnati nella parte in cui non avrebbero conferito rilievo alla violazione della buona fede contrattuale (1375 c.c.) in cui sarebbe incorsa la parte locatrice;
la doglianza così impostata, infatti, vale a prospettare al giudice di legittimità una rivalutazione dei fatti di causa (con particolare riferimento alla valutazione dei fatti rilevanti nell’ambito dell’esecuzione del rapporto contrattuale), al fine di individuare una pretesa obbligazione del locatore di assicurare, in favore del conduttore, il certificato di agibilità dell’immobile locato;
e tuttavia, entrambi i provvedimenti impugnati hanno con chiarezza specificato come, sulla base dell’insegnamento consolidato dalla giurisprudenza di legittimità, il conseguimento dei titoli amministrativi necessari per l’esecuzione delle attività all’interno dell’im mobile locato costituiscono oggetto di un impegno proprio del conduttore, a meno che il locatore non abbia assunto un espresso obbligo in tal senso, o a meno che l’immobile non presenti
caratteristiche strutturali tali da impedire il conseguimento dei titoli richiesti (cfr., da ultimo, per tutte, Sez. 3, Ordinanza n. 2791 del 04/02/2025, Rv. 674033 -01);
nella specie, entrambi i giudici del merito hanno escluso che il principio di buona fede fosse valso a giustificare l’imposizione, a carico del locatore, di alcun obbligo di ottenere i titoli amministrativi pretesi dalla società conduttrice (avendo piuttosto la parte conduttrice espressamente assunto l’impegno di conseguirli), sottolineando l’inesistenza di alcuna caratteristica intrinseca del bene locato tale da impedire l’ottenimento dei titoli che la stessa parte locatrice ottenne agevolmente non appena tornata in possesso dei beni locati;
da qui l’ evidente inammissibilità della censura in esame, trattandosi di una doglianza destinata a ridiscutere le premesse in fatto su cui risultano fondate entrambe le decisioni di merito impugnate, sulla base di un’impostazione critica non consentita in sede di legittimità;
con il terzo motivo, la ricorrente censura i provvedimenti impugnati per violazione o falsa applicazione di legge (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere entrambi i giudici del merito erroneamente omesso di conferire rilievo, ai fini della decisione della controversia, alla condotta tenuta dalla controparte nella fase precontrattuale, in quella di perfezionamento del vincolo, nonché in sede di esecuzione, al fine di riconoscere l’applicabilità, al caso di specie, della disciplina del dolo incidente contrattuale, atto a fondare e legittimare la richiesta di risoluzione del contratto di locazione e di risarcimento dei danni azionata dalla conduttrice ricorrente;
il motivo è inammissibile;
ferma la radicale infondatezza dell’affermazione secondo cui l’eventuale accertamento del dolo incidente del locatore valga a legittimare la risoluzione del contratto di locazione concluso, varrà sottolineare come la censura in esame faccia riferimento a due specifiche domande (la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno come conseguenze dell’accertamento del dolo incidente del locatore) di cui non vi è alcun accenno in nessuno dei due provvedimenti impugnati;
al riguardo, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di puntuale e completa allegazione del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (cfr. ex plurimis , Sez. 2, Sentenza n. 20694 del 09/08/2018, Rv. 650009 -01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 15430 del 13/06/2018, Rv. 649332 – 01);
non avendo la ricorrente in alcun modo provveduto alle ridette allegazioni, il motivo deve ritenersi per ciò stesso inammissibile;
con il quarto motivo, la ricorrente censura i provvedimenti impugnati per violazione o falsa applicazione dell’art. 24 del T.U edilizia n. 380/2001 in merito all’identificazione e qualificazione giuridica dell’agibilità e del suo onere di acquisizione e delle diverse
autorizzazioni amministrative per lo svolgimento dell’attività commerciale condotta all’interno di un immobile locato, nonché per violazione e falsa applicazione dell’art. 1578 c.c. in merito ai vizi della cosa locata;
con il quinto motivo, la ricorrente censura i provvedimenti impugnati per violazione o falsa applicazione dell’art. 1578 c.c., in combinato con la disciplina di cui all’art. 1351 c.c. e agli artt. 1453 e 1497 c.c., in rispondenza al concorde principio di diritto statuito dalla giurisprudenza di legittimità in merito all’identifi cazione e qualificazione delle conseguenze giuridiche connesse al difetto della certificazione di agibilità edilizia in capo all’immobile concesso in locazione, di per sé idoneo a legittimare la domanda di risoluzione del contratto di locazione e di risarcimento dei danni;
entrambi i motivi -congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono inammissibili;
al riguardo, varrà evidenziare come, ai sensi dell’art. 360bis n. 1 c.p.c., il ricorso è inammissibile quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa;
in particolare, in tema di giudizio di legittimità, anche un solo precedente, se univoco, chiaro e condivisibile, integra l’orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte di cui all’art. 360bis , n. 1, c.p.c., con conseguente dichiarazione di inammissibilità del relativo ricorso per cassazione che non ne contenga valide critiche (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 4366 del 22/02/2018, Rv. 648036 – 02);
nel caso di specie, entrambi i giudici del merito hanno escluso che il principio di buona fede fosse valso a giustificare l’imposizione, a carico del locatore, di alcun obbligo di ottenere i titoli amministrativi pretesi dalla società conduttrice (avendo piuttosto la parte conduttrice espressamente assunto l’impegno di conseguirli), sottolineando l’inesistenza di alcuna caratteristica intrinseca del bene locato tale da impedire l’ottenimento dei titoli che la stessa parte locatrice ottenne agevolmente non appena tornata in possesso dei beni locati, così uniformandosi all’orientamento già fatto proprio dalla giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, in materia di locazione ad uso non abitativo, il mancato conseguimento, da parte del conduttore, dei titoli amministrativi necessari allo svolgimento della sua attività imprenditoriale può dar luogo a responsabilità del locatore se il loro ottenimento è impossibile in ragione delle caratteristiche intrinseche del bene locato oppure se il concedente ha formalmente assunto l’impegno di conseguirli o se, in forza del principio della buona fede contrattuale, deve ritenersi comunque tenuto a collaborare con il conduttore, in quanto la sua fattiva partecipazione al corrispondente procedimento amministrativo è indispensabile per la realizzazione della causa contrattuale desumibile dalla volontà negoziale delle parti: Sez. 3, Ordinanza n. 2791 del 04/02/2025, Rv. 674033 -01);
rispetto a tale arresto della giurisprudenza di legittimità, l’odiern a società ricorrente ha sostanzialmente omesso di confrontarsi in termini diretti, limitandosi ad esprimere unicamente il proprio dissenso attraverso l’illustrazione di argomentazioni da ritenersi non decisive o pertinenti;
sulla base di tali premesse, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1quater , dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore della parte controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 7.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1quater , dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione del 2/10/2025.
Il Presidente NOME COGNOME