Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8250 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8250 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 24978/2021 R.G. proposto da:
COGNOME RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente agli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura in atti;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente all’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-controricorrente – avverso la sentenza n. 130/2021 della CORTE D’APPELLO di TRENTO, depositata il 04/06/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Osserva
RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, nata per scissione dalla RAGIONE_SOCIALE, citò in giudizio quest’ultima società lamentando che la convenuta aveva aggravato l’esercizio di una servitù di passaggio pedonale e carrabile, della quale godeva il fondo alla medesima assegnato a séguito della divisione societaria.
Il Tribunale, tenendo contro della clausola del negozio a suo tempo intervenuto tra le parti e dello stato dei luoghi, accertato l’aggravamento, condannò la convenuta alla rimessione in pristino.
La Corte d’appello di Trento rigettò l’impugnazione di NOME RAGIONE_SOCIALE
L’insoddisfatta appellante ricorreva sulla base di quattro motivi. RAGIONE_SOCIALE resisteva con controricorso.
Il Consigliere delegato della Sezione ha proposto definirsi il ricorso ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.
NOME RAGIONE_SOCIALE con istanza sottoscritta dal difensore munito di una nuova procura speciale, ha chiesto decidersi il ricorso.
Il processo è stato fissato per l’adunanza camerale del 29 ottobre 2024, in prossimità della quale entrambe le parti hanno depositato memorie.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 1063, 1362, 1363, 1366 e 1367 cod. civ., assumendo che la Corte territoriale aveva errato nell’apprezzare il contenuto della clausola 9 del ‘ compromesso divisionale ‘, la quale prevedeva che <>. In particolare la ricorrente addebita alla sentenza di avere inteso che la disposizione legittimasse solo lo spostamento in altra parte del fondo asservito, nel senso di diversa dislocazione e non già nel senso di consentire modifica del percorso esistente.
6.1. Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente, indulge in valutazioni generali e astratte sui margini dell’autonomia negoziale, senza, tuttavia estrinsecare in che sia consistita la violazione delle norme sull’ermeneutica negoziale e meno che mai, dell’art. 1063 cod. civ.
In punto di violazione o falsa applicazione delle norme sull’ermeneutica negoziale la vicenda resta confinata negli apprezzamenti di merito, non bastando, come più volte chiarito in questa sede, la enunciazione della pretesa violazione di legge in relazione al risultato interpretativo favorevole, disatteso dal giudice del merito, occorrendo individuare, con puntualità, il canone ermeneutico violato correlato al materiale probatorio acquisito; in quanto, <<L'opera dell'interprete, mirando a determinare una realtà storica ed obiettiva, qual è la volontà delle parti espressa nel contratto, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d'ermeneutica contrattuale posti dagli artt. 1362 ss. c.c., oltre che per vizi di motivazione nell'applicazione di essi: pertanto, onde far valere una violazione sotto entrambi i due cennati profili , il ricorrente per cassazione deve, non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d'interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito siasi discostato dai canoni legali assertivamente violati o questi abbia applicati sulla base di
argomentazioni illogiche od insufficienti; di conseguenza, ai fini dell'ammissibilità del motivo di ricorso sotto tale profilo prospettato, non può essere considerata idonea – anche ammesso ma non concesso lo si possa fare implicitamente – la mera critica del convincimento, cui quel giudice sia pervenuto, operata, come nella specie, mediante la mera ed apodittica contrapposizione d'una difforme interpretazione a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d'argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità ( ex pluribus , Cass. n. 15381/2004; Cass. n. 13839/2004; Cass. n. 13579/2004; Cass. n. 5359/2004; Cass. n. 753/2004; Cass. n. 18587/2012; si veda inoltre, per la ricchezza di richiami, Cass. n. 2988/2013; da ultimo, Cass. n. 2050/2024).
Sotto altro profilo, la denuncia di violazione di legge non determina nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l'accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all'evidenza, occorrente che l'accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente ( ex multis , Cass., Sez. Un., n. 25573 del 12/11/2020). E ancora, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all'esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. Cass., Sez. 1, n. 3340 del 05/02/2019).
Siccome ha già avuto modo questa Corte di più volte chiarire, la riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è pertanto, denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; anomalia che si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione (Cass., Sez. Un., n. 8053 del 7/4/2014; Cass., Sez. Un., n. 8054 del 7/4/2014; Cass., Sez. 6-2, n. 21257 del 8/10/2014).
In disparte, val la pena soggiungere che la Corte di Trento ha spiegato, con dovizia di argomenti e compiuto richiamo alle emergenze di causa (in ispecie la c.t.u.), che il radicale implemento della pendenza del percorso (e anche la sua riduzione d'ampiezza) aveva reso la percorribilità di esso di particolare incomodità, sia a piedi, che con mezzi meccanici, specie in presenza di avverse condizioni atmosferiche (pioggia, neve o ghiaccio). Pendenza che per larghi tratti aveva finito per coincidere con quella massima (20%) stabilita per le rimesse interrate dal d.m. 1/2/1986. L'esposta ratio, in questa sede incensurabile, in quanto espressiva di un insindacabile giudizio di merito, peraltro, neppure viene specificamente attinta dalla censura.
Con il secondo motivo viene denunciato l'omesso esame di un fatto controverso e decisivo, dolendosi del fatto che la Corte locale non aveva motivato in ordine allo specifico intento che le parti avevano inteso perseguire con l'anzidetta clausola e aveva, altresì, negato l'ingresso a prove orali richieste dall'esponente.
7.1. Il motivo è inammissibile.
In primo luogo risulta del tutto evidente che la lamentela non attiene all'omesso esame di un fatto storico/documentale, bensì, ancora una volta, al vaglio delle emergenze di causa.
In via generale, peraltro, va ricordato che in presenza di 'doppia conforme', sulla base dell'art. 348 ter, co. 5, cod. proc. civ., il ricorrente in cassazione, per evitare l'inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell'art. 360 cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell'appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass., Sez. 2, n. 5528 del 10/03/2014; conf., ex multis , Cass. n. 19001/2016; Cass. n. 26714/2016), evenienza che nel caso in esame non ricorre affatto.
Con il terzo motivo, posto in via di subordine, viene denunciata la violazione degli artt. 1063, 1065, 1067 e 1068, co. 2, cod. civ., addebitandosi alla decisione di aver valorizzato solo <>, senza apprezzare la necessità di contemperare i contrapposti interessi.
8.1. Il motivo è inammissibile.
Anche in questo caso, sotto il paravento della dedotta violazione di legge, il ricorrente invoca un nuovo e improprio diverso esame di merito, evocando, peraltro del tutto aspecificamente, supposte emergenze di causa, che la sentenza d’appello avrebbe omesso di valutare o che avrebbe malamente valutato.
Il quarto motivo, con il quale si denuncia l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo consistito nel mancato esame critico delle risultanze della c.t.u., è inammissibile per le stesse ragioni esposte sub § 7.1.
Di conseguenza, siccome affermato dalle Sezioni Unite (sent. n. 7155 del 21/3/2017), lo scrutinio ex art. 360-bis, n. 1, cod. proc. civ., da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334, comma 2, cod. proc. civ., sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis cod. proc. civ. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”.
Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso, conforme alla proposta di definizione anticipata, consegue, ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., vigente art. 96, co. 3 e 4, cod. proc. civ., la condanna dei ricorrenti al pagamento in favore della controparte e della cassa delle ammende, delle somme, stimate congrue, di cui in dispositivo (cfr. Cass., Sez. Un., n. 27195/2023).
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento e agli accessori di legge; condanna, altresì, la ricorrente al pagamento dell’ulteriore somma di € 7.000,00 in favore della controricorrente, ai sensi dell’art. 96, co. 3, cod. proc. civ.; nonché della somma di € 3.000,00, ai sensi dell’art. 96, co. 4, cod. proc. civ., in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda