Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 34737 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 34737 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6433/2022 R.G. proposto da :
COGNOME difeso dall’ avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COGNOME difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO PALERMO n. 1246/2021 depositata il 23/07/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME conveniva NOME COGNOME dinanzi al Tribunale di Palermo per l’accertamento dell’aggravamento di una servitù di passaggio, in particolare per: (a) la rimozione di due nuovi varchi realizzati sulla strada di sua proprietà gravata da servitù di
passaggio esercitata in precedenza, utilizzando un unico preesistente varco, dal convenuto, titolare del fondo dominante; (b) la rimozione, sempre sulla strada, di condotte interrate di acqua e di gas, funzionali alle esigenze abitative del fabbricato sito sul fondo dominante; (c) il risarcimento dei danni conseguenti. In primo grado il Tribunale rigettava la domanda. L’attore ha impugnato la sentenza, sostenendo che i due nuovi varchi aggravavano la servitù, rendendo più difficile l’utilizzo del proprio fondo. In particolare, ha lamentato la lunghezza del tratto di strada utilizzato per il transito, i danni derivanti dalla riduzione di spazio per il parcheggio e i pregiudizi alla riservatezza e alla tranquillità dei luoghi . L’appellante ha inoltre contestato la decisione del giudice di non ordinare la rimozione di una tubazione installata dal convenuto lungo la strada, nonostante quest’ultimo si fosse impegnato a non utilizzarla in futuro, poiché tale promessa non annullava il suo diritto di chiedere l’immediata rimozione.
La Corte di appello , decidendo sull’appello dell’attore, ha riformato la sentenza accogliendo la domanda e ordinando la chiusura dei varchi e la rimozione del tubo con le condutture. Ha ritenuto, in primo luogo, che l’apertura dei nuovi varchi, in assenza di indicazioni precise nel titolo della servitù, comportasse un maggiore aggravio per il fondo servente. Infatti, l’art. 1065 c.c. prevede che, in mancanza di specifiche modalità nel titolo costitutivo, la servitù deve essere esercitata con il minor aggravio possibile per il fondo servente. La presenza di due varchi addizionali, più vicini all’abitazione dell’appellante rispetto a quello originario, comporta un aggravio, sia per l’aumento della lunghezza della strada percorsa che per i problemi relativi alla privacy e al rumore.
In secondo luogo, la Corte di merito ha riconosciuto che l’impegno del convenuto a non utilizzare la tubazione non elimina il diritto dell’appellante a ottenere la sua rimozione. La tubazione era stata installata senza un titolo giuridico e a una profondità che
compromette l’uso della strada da parte del proprietario, giustificando quindi la richiesta di rimozione.
Ricorre in cassazione la parte convenuta con cinque motivi. Resiste la parte attrice con controricorso. Il consigliere delegato ha proposto di definire il ricorso nel senso della inammissibilità e/o manifesta infondatezza. Il ricorrente ne ha chiesto la decisione e ha, in prossimità dell’adunanza, depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. – Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 132, co. 2 n. 4 c.p.c., 191 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 111 Cost. per difetto assoluto di motivazione o motivazione apparente della sentenza di appello che ha accolto il primo motivo di appello e ordinato la rimozione dei nuovi varchi pedonale e carrabile realizzati dal ricorrente. La Corte di appello ha omesso di esaminare il titolo costitutivo della servitù (atto di divisione del 28/05/83) che asserviva l’intera strada al passaggio, anche con mezzi pesanti, in favore di tutti gli appezzamenti del ricorrente ed ha disatteso senza alcuna motivazione le conclusioni della c.t.u. che aveva accertato la conformità dei nuovi varchi al diritto di servitù e al progetto approvato dal Comune. La Corte si è limitata ad applicare l’art. 1065 c.c. come mera petizione di principio, senza spiegare perché il titolo non indicasse estensione e modalità di esercizio della servitù, né perché i nuovi varchi costituissero aggravio per il fondo servente, formulando affermazioni apodittiche e prive di riscontro probatorio circa presunte negative ricadute sulla privacy, sui rumori e sulla riduzione degli spazi di parcheggio del resistente.
1.2. – Il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 1063, 1065, 1362 ss. c.c. in relazione alla dichiarazione della Corte di appello che i nuovi varchi pedonale e carrabile costituiscono aggravio di una preesistente servitù di passaggio. Il ricorrente sostiene che la Corte ha erroneamente interpretato il titolo costitutivo della servitù che prevede espressamente una servitù di passaggio, anche con
mezzi pesanti, sull’intera striscia di terreno destinata a strada (particelle 2431, 2422, 2430 e 2428) in favore di tutti gli appezzamenti di terreno del La Barbera. La c.t.u. ha confermato che la servitù si estende all’intera superficie stradale senza vincoli sul punto di accesso, che il nuovo cancello carrabile rappresenta il percorso meno gravoso per l’accesso al fondo e che i nuovi varchi non occupano il fondo servente. La Corte si è discostata immotivatamente dalle risultanze peritali e ha violato il principio per cui l’estensione della servitù va dedotta prioritariamente dal titolo, tenendo conto anche dello stato dei luoghi e della destinazione dei fondi.
1.3. – Il terzo motivo (p. 46) denuncia violazione dell’art. 1065 c.c. in relazione alla dichiarazione che i varchi pedonale e carrabile costituiscono aggravio di una preesistente servitù di passaggio e all’ordine di rimozione. Si sostiene che la Corte di appello non ha correttamente applicato i principi di contemperamento tra le esigenze del fondo dominante e servente, dando esclusivo peso a quest’ultimo e sopprimendo di fatto la servitù esistente. Il ricorrente evidenzia che, secondo la c.t.u., il cancello originario può essere utilizzato solo come accesso pedonale secondario, non essendo possibile realizzare un percorso carrabile sulla particella 248 destinata a verde pubblico ed espropriabile. Inoltre, la presenza di una conduttura comunale impedisce l’attraversamento con mezzi meccanici. Pertanto, l’unico modo per esercitare la servitù di passaggio anche con mezzi pesanti è attraverso il nuovo varco carrabile, che non può quindi considerarsi un aggravio. Si lamenta che la Corte ha basato la decisione su asseriti fastidi personali privi di prova e non ha spiegato come l’utilizzo di un terreno destinato a strada possa aggravare una servitù preesistente.
– I primi tre motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono fondati.
Questa Corte ha più volte affermato che «in tema di servitù prediali, l’art. 1063 c.c. stabilisce una graduatoria delle fonti regolatrici
dell’estensione e dell’esercizio delle servitù, ponendo quale fonte primaria il titolo costitutivo del diritto, mentre i precetti dettati dai successivi artt. 1064 e 1065 c.c. rivestono carattere meramente sussidiario. Tali precetti, pertanto, possono trovare applicazione soltanto quando il titolo manifesti al riguardo lacune o imprecisioni non superabili mediante l’impiego di adeguati criteri ermeneutici; ove, invece, il contenuto e le modalità di esercizio risultino puntualmente e inequivocabilmente determinati dal titolo, a questo soltanto deve farsi riferimento, senza possibilità di ricorrere al criterio (c.d. del minimo mezzo) del soddisfacimento del bisogno del fondo dominante col minor aggravio del fondo servente » (così, Cass. 17956/2024, p. 14, con indicazioni di altri precedenti conformi, tra cui Cass. 23455/2021, n. 20696/2018, n. 7654/2017). Sempre su questa linea, si è altresì chiarito che non costituisce aggravamento della servitù l’uso più intenso del diritto da parte del proprietario del fondo dominante, purché esso rimanga nei limiti stabiliti dal titolo o dal possesso (Cass. n. 8853/2004). Inoltre, «l ‘estensione e le modalità di esercizio delle servitù costituite per contratto devono essere desunte dal titolo e solo in caso di formulazione equivoca o insufficiente è possibile fare ricorso al comportamento complessivo delle parti per la ricerca della comune intenzione dei contraenti e al criterio sussidiario di cui all’art. 1065 cod. civ.; il relativo accertamento compiuto dal giudice di merito, se correttamente motivato, è sottratto al sindacato di legittimità » (cfr. Cass. n. 3286/1999).
Nel caso di specie, la Corte di appello ha violato tali principi, incorrendo nei vizi denunciati dal ricorrente. In primo luogo, la sentenza impugnata presenta un evidente difetto di motivazione, in quanto ha omesso di esaminare il titolo costitutivo della servitù, rappresentato dall’atto di divisione del 28 maggio 1983. Tale omissione ha impedito alla Corte territoriale di accertare l’effettiva estensione e le modalità di esercizio della servitù originariamente previste dalle parti. Inoltre, la Corte d’appello non ha adeguatamente motivato le
ragioni per cui i nuovi varchi pedonale e carrabile realizzati dal ricorrente costituirebbero un aggravamento della servitù preesistente. La sentenza si è limitata ad affermare apoditticamente che tali opere avrebbero determinato negative ricadute sulla privacy, sui rumori e sulla riduzione degli spazi di parcheggio del resistente, senza tuttavia fornire alcun riscontro probatorio a sostegno di tali asserzioni. In conclusione, la Corte d’appello ha erroneamente qualificato come aggravamento della servitù la realizzazione dei nuovi varchi, senza procedere ad un’adeguata valutazione del titolo costitutivo, dello stato dei luoghi e delle effettive esigenze del fondo dominante.
In sede di rinvio, tale giudizio dovrà essere rinnovato seguendo le precedenti indicazioni.
-L’accoglimento dei primi tre motivi determina l’assorbimento del quarto motivo (p. 50) con cui si denuncia violazione dell’art. 345 c.p.c. (la sentenza impugnata avrebbe accolto il primo motivo di appello basandosi su ragioni non indicate dalla controparte nell’atto di citazione né in altri atti del primo grado).
-Rigettato è invece il quinto motivo (p. 62), che denuncia violazione degli art. 99 e 112 c.p.c. e dei principi in materia di preclusioni assertive e probatorie. Si contesta la nullità della sentenza impugnata per aver la Corte di appello pronunciato su una domanda (rimozione di un tubo interrato) proposta tardivamente dalla controparte solo con le note conclusionali in primo grado, dopo il sopralluogo del c.t.u., e non con l’atto introduttivo.
Dall’esame degli atti processuali emerge che l’attore, sin dall’atto di citazione, aveva lamentato la creazione di tubature e condutture sul proprio fondo, chiedendone espressamente la rimozione. In particolare, come riportato dallo stesso ricorrente alle pagine 9 e 11 del ricorso, l’attore aveva formulato domanda di rimozione di ogni manufatto, tubatura, conduttura realizzati sul suo terreno. Pertanto, la domanda di rimozione del tubo interrato non può considerarsi tardiva o estranea al thema decidendum originario, essendo già
virtualmente compresa nella più ampia richiesta di rimozione di ogni tubatura formulata nell’atto introduttivo. La specificazione relativa al tubo interrato, emersa a seguito del sopralluogo del c.t.u., rappresenta una mera precisazione della domanda originaria, rientrante nel potere delle parti di meglio articolare le proprie pretese alla luce delle risultanze istruttorie.
– In sintesi, la Corte accoglie i primi tre motivi di ricorso, dichiara assorbito il quarto motivo, rigetta il quinto motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi tre motivi di ricorso, dichiara assorbito il quarto motivo, rigetta il quinto motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 06/11/2024.