Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27355 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 27355 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14116/2019 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, domiciliato ex lege in INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 2273/2018 depositata il 18/05/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Premesso che:
1.la spa RAGIONE_SOCIALE ricorre con due motivi avversati, con controricorso, dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, per la cassazione della sentenza n.2273 emessa dalla Corte di Appello di Napoli il 18 maggio 2018, avente ad oggetto, e per quanto interessa ai fini del ricorso, una causa concernente un rapporto di agenzia per la promozione della vendita di orologi, intrattenuto tra le parti tra il 1995 e il 2002. La Corte distrettuale ha in primo luogo deciso che la ricorrente (preponente) doveva pagare alla controricorrente (agente) l’indennità di preavviso, come liquidata dal giudice di primo grado nella misura stabilita in base all’art.9 dell’accordo economico collettivo del 16 novembre 1988 per l’agente impegnato in esclusiva . Era, infatti, infondata la contestazione della COGNOME, per cui tale misura era riferibile solo alla figura dell’agente ‘esclusivo’ , cioè monomandatario e non anche a quella dell’agente ‘in esclusiva’ , ed essendo da ritenersi che la RAGIONE_SOCIALE. fosse stata agente in esclusiva, dato che da un estratto dell’RAGIONE_SOCIALE era risultato che nel periodo di riferimento solo la RAGIONE_SOCIALE aveva fatto versamenti per la Pi.RAGIONE_SOCIALE E’ stato inoltre dalla Corte di Appello deciso che alla RAGIONE_SOCIALE doveva essere riconosciuta l’indennità di cessazione del rapporto ex art. 1751 c.c., nella misura base quantificata dal giudice di primo grado, ma senza la riduzione di ¼ da questo applicata per la tendenziale diminuzione subita dal volume di affari della preponente nel periodo successivo al 1997. Ciò in quanto doveva ritenersi fondata la contestazione della RAGIONE_SOCIALE per cui tale
tendenza, per un verso, era contraddetta dall’aumento del volume di affari nel 2000 rispetto al 1999, per altro verso, era stata ravvisata dal giudice di primo grado senza tener conto del fatto che nel 1997 le parti avevano convenuto, rispetto alla promozione delle vendite degli orologi di uno dei marchi della RAGIONE_SOCIALE, di eliminare dall’area di operatività della RAGIONE_SOCIALE, per l’innanzi coincidente con la Campania, le province di Avellino, Benevento e Salerno;
la parte ricorrente ha depositato memoria;
considerato che:
1.occorre preliminarmente spendere parole sulle infondate eccezioni di nullità e inammissibilità del ricorso.
1.1. La nullità deriverebbe dalla non individuazione del provvedimento richiesto a questa Corte. Nella prima pagina del ricorso si legge: ‘Ricorso … per la cassazione della sentenza n.2273/2018 della Corte di Appello di Napoli’.
1.2. La inammissibilità deriverebbe dalla ‘assenza di valida e tempestiva procura’ perché ‘conferita su supporto cartaceo e notificata a mezzo pec insieme al ricorso senza l’asseverazione di conformità all’originate mediante sottoscrizione del procuratore con firma digitale’. La procura è a margine della prima pagina del ricorso ed il ricorso è stato notificato digitalmente con attestazione di conformità.
1.3. La inammissibilità deriverebbe altresì da ciò che vi sarebbe una ‘confusione assoluta tra il fatto e i motivi in diritto’. Premesso che ai sensi dell’art. 366 c.p.c. il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità ‘… 3) la chiara esposizione dei fatti della causa essenziali alla illustrazione dei motivi di ricorso e … 4) la chiara e sintetica esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto’, nel caso di specie il ricorso contiene una esposizione dei fatti di causa e formula i motivi di cassazione in modo tale da consentire alla Corte di avere esatta
conoscenza dei termini della controversia e di cogliere il significato delle censure rivolte alla sentenza impugnata;
2.con il primo motivo di ricorso viene lamentata, in riferimento all’art. 360, primo comma n.3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art.9 dell’accordo economico collettivo del 20 marzo 2002. Sostiene la ricorrente, per un verso, che l’accordo, <>, ha riguardo all’agente ‘in esclusiva per una sola ditta’ ossia all’agente monomandatario e che la contraria interpretazione della Corte di Appello è errata, per altro verso, che la RAGIONE_SOCIALE, come emergeva dal testo del contratto stipulato tra le parti nel 1995 e dal testo degli accordi con cui tale contratto era stato modificato nel tempo, era tenuta ‘in via esclusiva’ a promuovere la vendita dei prodotti di essa ricorrente con ‘divieto di trattare affari per conto di altre ditte concorrenti’ ed era quindi non un agente monomandatario ben potendo essa assumere incarichi di agente rispetto a più preponenti purché questi operassero in ambiti commerciali diversi da quello di essa ricorrente. Da questo punto di vista, aggiunge la ricorrente, non aveva alcun rilievo il fatto valorizzato dalla Corte di Appello per cui dall’estratto RAGIONE_SOCIALE risultavano versamenti effettuati solo da essa ricorrente.
Il motivo pone essenzialmente un tema di legittimità della decisione della Corte di Appello rispetto ai canoni di ermeneutica contrattuale (art. 1362 e ss. c.c.).
3.1. Merita ricordare che per costante giurisprudenza di questa Corte ‘L’interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune è rimessa al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione o per violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale’ (tra molte Cass. Sez. L, sentenza n.11878 del 06/08/2003).
3.2. Il motivo è fondato.
La Corte di Appello ha affermato che ‘da una interpretazione letterale dell’art. 9 dell’AEC facendo quest’ultimo espresso riferimento all’agente in esclusiva non risulta integrato il presupposto prospettato dall’appellante vale a dire che le parti contraenti l’accordo di categoria abbiano inteso riferirsi al solo agente monomandatario e non anche a quello plurimandatario’.
L’art.9 dell’accordo economico collettivo per gli agenti del settore industria, in data 16 novembre 1988, stabiliva che ‘In caso di risoluzione di un rapporto a tempo indeterminato, la parte recedente dovrà darne comunicazione all’altra parte con un preavviso della seguente misura: nel caso di agente o rappresentante impegnato in esclusiva per una sola ditta: 6 mesi, qualora la durata del rapporto non superi gli 8 anni; 8 mesi, qualora la durata del rapporto superi gli otto anni; nel caso di agente o rappresentante non impegnato in esclusiva per una sola ditta: 4 mesi, qualora la durata del rapporto non superi gli otto anni; 6 mesi, qualora la durata del rapporto superi gli 8 anni’. Era poi previsto che in caso di recesso senza preavviso la parte recedente doveva corrispondere all’altra parte, in sostituzione del preavviso, una somma ‘pari a tanti dodicesimi delle provvigioni liquidate nell’anno solare precedente (1° gennaio – 31 dicembre) quanti sono i mesi di preavviso dovuti o una somma a questa proporzionale, in caso di esonero da una parte del preavviso’.
La Corte di Appello, con l’affermare che l’espressione agente ‘in esclusiva’ era da riferirsi non solo agli agenti monomandatari ma anche agli agenti che potevano assumere altri incarichi purché non nello stesso settore di attività del preponente, ha contravvenuto ai criteri di interpretazione letterale, logica e sistematica.
In primo luogo, la lettera dell’art.9 non parla di agente ‘in esclusiva’ o ‘non in esclusiva’ ma di agente in ‘esclusiva per una sola ditta’ e di agente non in ‘esclusiva per una sola ditta’.
L ‘ interpretazione della Corte d ‘ Appello porterebbe a doversi distinguere non tra agente ‘impegnato in esclusiva per una sola ditta’ e agente ‘non impegnato in esclusiva per una sola ditta’ ma, illogicamente, tra agenti impegnati in via esclusiva per una sola ditta nel settore di attività del preponente e agenti non impegnati in via esclusiva per una sola ditta nel settore di attività del preponente.
Il senso delle parole individua gli agenti impegnati in via esclusiva con una sola ditta negli agenti monomandatari.
L’interpretazione dell’espressione agente (o rappresentante) impegnato in esclusiva per una sola ditta risulta confermata dalla lettura sistematica dell’art. 9 e dell’art. 2 dell’accordo.
L’art. 2 infatti prevede: ‘Ferma restando la possibilità di diverse intese tra le parti, di norma la ditta non può valersi contemporaneamente nella stessa zona e per lo stesso ramo di commercio di più agenti rappresentanti, né l’agente o rappresentante può assumere l’incarico di trattarvi gli affari di più ditte che siano in concorrenza fra loro. Il divieto di cui sopra non si estende, salvo patto di esclusiva per una sola ditta, all’assunzione, da parte dell’agente o rappresentante dell’incarico di trattare gli affari di più ditte non in concorrenza tra di loro. Nel caso che l’agente o rappresentante non sia vincolato dal patto di esclusiva per una sola ditta, egli resta libero di assumere altri incarichi per ditte che non siano in concorrenza’.
È per altro verso pacifico che la RAGIONE_SOCIALE era tenuta ‘in via esclusiva’ a promuovere la vendita dei prodotti della RAGIONE_SOCIALE con ‘divieto di trattare affari per conto di altre ditte concorrenti’.
Fra le parti era stato quindi convenuta una clausola non di monomandato che impedisse alla RAGIONE_SOCIALE di promuovere affari per qualsiasi altra preponente anche se non in concorrenza con la RAGIONE_SOCIALE ma una clausola di esclusiva impeditiva unicamente della
possibilità di promuovere la commercializzazione di prodotti di concorrenti della mandante.
In base all’art. 1743 c.c. il diritto di esclusiva in favore del preponente è limitato alle ‘imprese in concorrenza tra loro’.
L’articolo del codice non interferisce con la previsione dell’accordo che fa perno sul concetto di agente ‘in esclusiva per una sola impresa’ preponente, ossia sul concetto di incarico monomandato. All’agente che deve operare per un’unica preponente a prescindere dal tipo di prodotti e dalla zona di riferimento è, in relazione a questa situazione di dipendenza dalla persistenza del rapporto con l’unico preponente, assicurata dall’art. 9 dell’accordo una tutela rafforzata in termini di durata del preavviso e di ammontare dell’indennità sostitutiva del preavviso.
In questo quadro è poi irrilevante che, di fatto, la RAGIONE_SOCIALE fosse risultata, da un estratto dell’RAGIONE_SOCIALE, beneficiaria di versamenti solo da parte della RAGIONE_SOCIALE: all’agente era contrattualmente consentito, pur nel rispetto del patto di esclusiva, assumere incarichi da altri mandanti, talché il non avvalersi di detta facoltà era riconducibile a scelta unilaterale dello stesso agente e non valeva a trasformare il rapporto in quello proprio dell’agente monomandatario. La Corte di Appello ha richiamato la sentenza di questa Corte n. Sez. L, sentenza n.17080 del 03/08/2007 (e altre conformi) secondo cui ‘In tema di previdenza per gli agenti e rappresentanti di commercio, il maggior massimale contributivo, previsto dall’art. 6 della legge 2 febbraio 1973 n. 12 per l’agente “monomandatario”, si fonda sull’esigenza di compensare la difficoltà di raggiungere contribuzioni più elevate, a causa dell’esercizio dell’attività svolta per un solo proponente; pertanto, il diritto dell’agente monomandatario alla contribuzione su un più alto massimale sorge in funzione dell’esercizio effettivo dell’attività così particolarmente connotata, a prescindere dall’assunzione formale di uno specifico obbligo da parte del proponente’. Il richiamo è
tuttavia improprio non trattandosi, nel caso che occupa, di obblighi a carico del preponente di versamento di contributi all’RAGIONE_SOCIALE ‘in caso di agente che sia impegnato ad esercitare la sua attività per un solo preponente’ (come previsto dall’art. 6 della l.12/1973);
4. con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma n.3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art.1751 c.c. per avere la Corte di Appello liquidato alla RAGIONE_SOCIALE l’indennità prevista dall’art.1751 c.c. nella misura massima senza tener conto di tutte le circostanze del caso concreto che avrebbero dovuto essere valutate nel necessario giudizio di equità della misura medesima. In particolare la ricorrente sostiene che la Corte di Appello non avrebbe tenuto conto del ridotto numero dei clienti procurati dalla RAGIONE_SOCIALE con cui la preponente aveva continuato ad avere rapporti nel tempo, degli effetti delle campagne pubblicitarie realizzate dalla RAGIONE_SOCIALE per i prodotti di cui la RAGIONE_SOCIALEMax doveva procurare la vendita, del trend negativo del fatturato provvigionale negli ultimi tre anni di vita del rapporto e della corresponsione all’agente, in forza dell’accordo economico collettivo, dell’importo pari al 40% del massimo liquidabile;
5. il motivo è infondato.
L’art. 1751 c.c. prevede, per quanto interessa, che ‘all’atto della cessazione del rapporto, il preponente è tenuto a corrispondere all’agente un’indennità se ricorrono le seguenti condizioni: l’agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti; il pagamento di tale indennità sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l’agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti’.
L’art. 1751 c.c. individua i presupposti del diritto dell’agente all’indennità nel fatto che l’agente abbia procurato nuovi clienti al
preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con quelli già esistenti e prevede che l’indennità debba essere equa, senza tipizzare il concetto di equità ma precisando che la stessa va valutata sulle “circostanze del caso”, intendendosi per tali tutti gli elementi, ulteriori e diversi rispetto a quelli costitutivi, che siano idonei a pervenire ad una adeguata personalizzazione del “quantum” spettante all’agente (v. Cass. Sez. L , Sentenza n.21377 del 29/08/2018).
La Corte di Appello ha accertato, tramite la documentazione prodotta dalla RAGIONE_SOCIALE e ‘mai specificamente contestata’ e tramite la testimonianza di COGNOME NOME, che la RAGIONE_SOCIALE aveva procurato nuovi clienti alla preponente, che il preponente aveva continuato a ricevere vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti, che non vi era stata una tendenza decrescente nei contratti procurati dalla RAGIONE_SOCIALE, quale era stato ‘il totale dei premi ricevuti dalla RAGIONE_SOCIALE.Max’ (v. sentenza impugnata, pag.7).
Ha poi ritenuto ‘precisa’ ed ha perciò recepito la quantificazione del valore monetario del sopradetto secondo elemento accertato, operata dal CTU di primo grado.
La ricorrente, confondendo elementi costitutivi ed elementi ulteriori e diversi rispetto a quelli costitutivi, tenta, attraverso la denuncia di violazione o falsa applicazione dell’art. 1751 c.c. per mancata effettuazione della valutazione di equità, di veicolare una prospettazione di assenza dei presupposti per l’attribuzione della indennità, contraria al positivo accertamento compiuto dalla Corte di Appello. Il che è inammissibile non essendo il giudizio di legittimità un terzo grado di giudizio di merito.
Inoltre e per quanto specificamente concerne la omessa considerazione della circostanza per cui vi sarebbero state campagne pubblicitarie realizzate dalla RAGIONE_SOCIALE per i prodotti di cui la Pi.Max doveva procurare la vendita e della circostanza per cui la ricorrente avrebbe già corrisposto alla agente il 40% del
massimo liquidabile a titolo di indennità, deve aggiungersi che la ricorrente non specifica di aver fatto valere tali circostanze davanti alla Corte di Appello. Riguardo alla prima circostanza si limita a dedurre che essa sarebbe emersa dalla dichiarazione di un teste sentito in primo grado, il quale avrebbe confermato che, nel periodo di esecuzione del contratto con Pi.Max, la preponente si era ‘impegnata con investimenti pubblicitari sempre crescenti’. Per conseguenza la ricorrente non può denunciare l’omesso esame di tali circostanza con riguardo alla pretesa omissione del giudizio sulla equità della indennità liquidata dalla Corte di Appello;
6. in conclusione, il primo motivo di ricorso deve essere accolto e il secondo rigettato. In relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa deve essere rinviata alla Corte di Appello di Napoli, in diversa composizione;
7.il giudice del rinvio dovrà provvedere anche sulle spese del processo;
PQM
la Corte accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte di Appello di Napoli, in diversa composizione.
Roma 15 ottobre 2024.
Il Presidente NOME COGNOME