Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 11823 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 11823 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/05/2025
AFFITTO DI AZIENDA
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5628/2022 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE INDIRIZZO, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME
-controricorrente – avverso la sentenza n. 5230/2021 della CORTE DI APPELLO DI ROMA, depositata il giorno 17 luglio 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30 gennaio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
In data 30 aprile 2009, la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE stipulò con l’Azienda Complesso Ospedaliero San Filippo Neri (cui, nelle more del giudizio, è succeduta l’Azienda Sanitaria Locale Roma 1) un protocollo d’intesa avente ad oggetto l’utilizzazi one della struttura della RAGIONE_SOCIALE sita in Roma quale sede delle Unità operative, semplici e complesse, dell’Azienda Ospedaliera, verso un corrispettivo mensile fissato in euro 25.775,84 per l’utilizzo di locali ed attrezzature.
Con distinti atti di citazione, la RAGIONE_SOCIALE domandò la condanna dell’Azienda Ospedaliera al pagamento del complessivo importo di euro 1.700.000, portato dalle fatture nn. 179 e 189 del 2010, somma causalmente ascritta ad acconto mensile per prestazioni sanitarie rese nei mesi di ottobre e novembre dell’anno 2010.
Nel resistere alla lite, l’Azienda Ospedaliera, in ambedue le cause, spiegò domanda riconvenzionale di condanna dell’attrice al pagamento , a titolo di ripetizione di indebito, della somma di euro 5.484.909,50, importo risultante dalle fatture relative al periodo 1° luglio 2008-31 dicembre 2008.
Definito (con ordinanza di questa Corte, a Sezioni Unite, n. 9191 del 7 giugno 2012) il regolamento preventivo di giurisdizione in favore del giudice ordinario, i giudizi, previa riunione, vennero decisi in prime cure dal Tribunale di Roma con sentenza 11 aprile 2016, n. 7179.
Con tale pronuncia, il Tribunale capitolino:
) qualificò il rapporto come affitto di azienda, riconducibile alle forme di sperimentazione gestionale previste dall’art. 13 della l.r. Lazio del 20 settembre 1993, n. 55;
-) negò la nullità del protocollo d’intesa per difetto del requisito dell’accreditamento in capo alla Casa di Cura e, per l’effetto, condannò l’Azienda Ospedaliera al pagamento della somma di euro 1.700.000, oltre interessi, per la causale di cui alla domanda attorea;
) in accoglimento della domanda riconvenzionale, condannò la RAGIONE_SOCIALE alla restituzione della somma di euro 5.484.909,50 pagata con riferimento al periodo dal 1° luglio 2008 al 31 dicembre 2008, ritenendo che non fosse vigente in tale arco di tempo la proroga del precedente accordo concluso tra le parti il 16 marzo 2005.
La decisione in epigrafe indicata ha rigettato l’appello interposto dall’Azienda Sanitaria Locale Roma 1 e invece accolto quello proposto dalla Casa di Cura, disponendo, in riforma della pronuncia di primo grado, il rigetto dell’originaria domanda riconvenzionale dell’Azienda.
Ricorre per cassazione l’Azienda Sanitaria Locale Roma 1, sulla base di cinque motivi.
Resiste, con controricorso, la Casa di Cura.
Le parti hanno depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 8bis , 8ter , 8quater e 8quinquies del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 in relazione all’art. 1418 cod. civ., della legge 26 febbraio 1999, n. 42, degli artt. 1, 2, 3 e 4 della legge 10 agosto 2000, n. 251 e dell’art. 1 della legge 1° febbraio 2006, n. 43.
Assume, in estrema sintesi, la nullità del protocollo d’intesa del 30 aprile 2009 per mancanza del requisito dell’accreditamento in capo alla RAGIONE_SOCIALE, soggetto erogatore di servizi sanitari con inserimento nell’organizzazione dell’Azienda Ospedaliera.
Il secondo motivo lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 cod. civ., dell’art. 3 della l.r. Lazio n. 55 del 1993, dell’art. 9 -bis del d.lgs. n. 502 del 1992 nonché nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 cod. proc. civ..
Censura la sentenza impugnata nella parte in cui, con motivazione peraltro apparente, ha ricondotto il protocollo d’intesa in questione alle sperimentazioni gestionali previste dalla l.r. Lazio n. 55 del 1993.
I motivi -meritevoli di congiunta disamina, in ragione della intrinseca connessione che li avvince -sono infondati.
In ordine alla sussunzione sub specie iuris del rapporto scaturente dal protocollo d’intesa del 30 aprile 2009 stipulato dalle parti ed alla irrilevanza, ai fini della validità di esso, del difetto di accreditamento della Casa di Cura, questa Corte ha già avuto modo di esprimersi, con due recenti, coeve, pronunce (Cass. 15/01/2024, nn. 1398 e 1408).
Vale la pena di riportare i passaggi argomentativi essenziali di siffatti arresti, individuati come di seguito:
« L ‘ accreditamento è il provvedimento con il quale una struttura sanitaria viene inserita in modo continuativo e sistematico nell ‘ organizzazione della P.A. ed assume la qualifica di soggetto erogatore di un servizio pubblico (Sez. U, n. 16336 del 18.6.2019), Con il riconoscimento dell ‘ accreditamento, il legislatore ha inteso assicurare e garantire la serietà delle strutture private che agiscono autonomamente in concorrenza con quelle pubbliche per conto del Servizio Sanitario Nazionale. La Casa di cura Valle Fiorita, in base al Protocollo del 30.4.2009, non aveva alle proprie dipendenze medici e di conseguenza non avrebbe mai potuto erogare alcun servizio (cfr. art. 6 del Protocollo secondo cui ‘ L ‘ azienda per il funzionamento della Casa di cura Valle Fiorita si avvarrà di persona medico e sanitario che l ‘ Azienda stessa si riserva di assegnare formalmente ‘ ).
Il Protocollo invece prevedeva che la Valle Fiorita sarebbe stata utilizzata dall ‘ A.C.O. San Filippo Neri per rendere servizi sanitari: l ‘ art. 3 stabiliva infatti ‘ L ‘ azienda individua la Casa di cura quale sede di Unità Operative Complesse e Semplici facenti parte dell ‘ Azienda, con la conseguente denominazione Azienda Complesso Ospedaliero San Filippo Neri -Casa di cura Valle Fiorita. A tal fine l ‘ Azienda si avvale della Casa di cura Valle Fiorita per erogare l ‘ assistenza ospedaliera, a pazienti, che una volta accettati presso il P.S. dell ‘ Azienda, possano
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appropriatamente essere trattati in regime di ricovero ordinario, day hospital, day-surgery, ambulatoriale ed intra-moenia.
Tali elementi hanno indotto la Corte di Cassazione a Sezioni Unite in sede di regolamento di giurisdizione in varie controversie fra le stesse parti e relative al medesimo rapporto negoziale (sia pur riferibili alla Convenzione precedente del 2005), a qualificare il rapporto negoziale intercorso come un contratto riconducibile allo schema dell’affitto di azienda .
Ai fini della validità ed efficacia della Convenzione non rilevava quindi la mancanza dell’accreditamento della Casa di cura Valle Fiorita, poiché il contratto andava ricondotto allo schema negoziale dell’affitto di azienda e non si trattava di prestazioni rese nell’ambito del Servizio Sanitario nazionale, in cui operava l’ACO San Filippo Neri avvalendosi della struttura affittata.
E ciò perché la Valle Fiorita non ha mai avuto in affidamento la cura dei pazienti ma si è limitata, in attuazione degli accordi contrattuali succedutisi nel tempo, a mettere a disposizione dell’ACO San Filippo Neri la propria struttura, che senza medici non avrebbe potuto essere accreditata.
La Casa di cura Valle Fiorita non erogava quindi servizi sanitari per conto del Servizio Sanitario pubblico ma si limitava a mettere a disposizione la propria struttura munita di personale infermieristico, perché in quel luogo l’ACO San Filippo Neri con pr opri medici potesse curare parte dei propri pazienti che, per motivi di mancanza di spazio, non poteva ricoverare all ‘ interno dell ‘ ospedale .
Dagli atti di causa si evince che il rapporto intercorrente tra l’istante Casa di cura e l ‘ Azienda ospedaliera non può essere ricondotto alla fattispecie del convenzionamento, ovvero del rapporto concessorio, che -di regola -riguarda non solo l ‘ utilizzo di locali ma anche le prestazioni mediche del personale sanitario dipendente dalle case di
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cura interessate ed è caratterizzato dalla natura pubblicistica dell ‘ obbligazione del gestore, tenuto ad assicurare la continuità e la regolarità del servizio, pur dopo la scadenza contrattuale. Al contrario, nella fattispecie di interesse, rileva il fatto che le convenzioni stipulate sono state determinate dalla necessità di trovare ospitalità nei locali della ricorrente, situati in zona adiacente alla Azienda Ospedaliera (…), rimanendo -come specificato in convenzione – a carico del personale sanitario dell ‘ Azienda stessa la prestazione delle cure mediche.
Ben può condividersi quindi l’assunto della ricorrente incidentale, secondo il quale, per essere accreditata e fornire pertanto ai cittadini un servizio sanitario in convenzione con il SSN, un ‘ impresa non può limitarsi ad offrire una mera struttura, un immobile, con attrezzature mediche e il personale ausiliario tecnico-amministrativo (uffici ma anche servizio pulizie) o infermieristico, ma è fondamentale e necessario che oltre a quanto sopra venga fornito il personale medico; questo, invece, era invece all e sole dipendenze dell’ACO San Filippo Neri e per svolgere il proprio lavoro, per cui era responsabile verso i pazienti, usufruiva dei locali e delle attrezzature della Casa di cura Valle Fiorita, messe a disposizione secondo il Protocollo d ‘ Intesa del 2009, pertanto riconducibile allo schema contrattuale dell ‘ affitto di azienda, nel rispetto dell ‘ autonomia negoziale delle parti » .
Le trascritte considerazioni – pienamente condivise ed alle quali il Collegio intende dare continuità – danno conto della conformità a diritto della decisione qui impugnata la quale, emendata dal non perspicuo riferimento alle forme di sperimentazione gestionale, merita conferma.
Il terzo motivo prospetta violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241, dell’art. 1, comma 6, del d.lgs. n. 502 del 1992, dell’art. 2 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, dell’art. 11 del d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, dell’art. 97 Cost.
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Sostiene parte ricorrente la nullità del protocollo d’intesa in esame per violazione del principio di legalità in senso stretto, di buon andamento, di efficacia e trasparenza della pubblica amministrazione.
4.1. La censura – formulata in termini oltremodo astratti e generali, senza nemmeno una chiara e specifica specificazione della difformità del protocollo dagli evocati princìpi – è infondata.
Come correttamente opinato dal giudice territoriale, le menzionate disposizioni hanno carattere di norme di azione, cioè di prescrizioni regolanti l’agire della pubblica amministrazione, sicché l’inosservanza delle stesse (nel caso di specie – si ripete – nemmeno puntualmente individuata da parte ricorrente) si traduce nell’illegittimità dell’atto amministrativo (nella vicenda, di autorizzazione alla stipulazione del protocollo) senza ex se riverberarsi sulla validità della convenzione iure privatorum conclusa a valle dall’ente pubblico e, quindi, senza determinare la nullità di essa per violazione di norme imperative.
Il quarto motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del d.l. 28 marzo 1997, n. 79, dell’art. 1 della legge n. 241 del 1990, dell’art. 1, comma 6, del d.lgs. n. 502 del 1992, dell’art. 2 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, dell’art. 11 del d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, dell’art. 97 Cost.
Contesta la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto non applicabile alla fattispecie l’art. 5 del d.l. n. 79 del 1997: sostiene la contrarietà della previsione di acconti mensili contenuta nell’art. 10 del protocollo al principio dettato dal citato art. 5, da considerarsi di natura generale e tale da fa divieto alla P.A. di effettuare esborsi di danaro che non abbiano causa in prestazioni eseguite.
5.1. Il motivo è inammissibile.
Al fine di disattendere il motivo di appello formulato sul punto dall’Azienda, la Corte territoriale, dopo aver circoscritto l’àmbito di operatività del divieto posto dall’art. 5 de quo alla sola materia degli
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appalti pubblici di lavori, forniture e servizi, ha comunque escluso la natura di anticipazione degli importi versati dall’Azienda, affermando che « ad ogni modo il corrispettivo mensile era fatturato al termine di ogni mese per esser pagato entro i successivi 60 giorni e quindi l’Azienda ospedaliera avrebbe avuto il tempo di effettuare ogni verifica sulla effettiva prestazione resa ».
Orbene, questa seconda argomentazione, integrante una vera e propria autonoma ratio decidendi , di per sé idonea a sorreggere la decisione adottata, non è stata oggetto di alcuna considerazione critica ad opera della ricorrente: e tanto rende il motivo inammissibile.
6. Il quinto motivo prospetta nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ..
Si duole della motivazione, meramente apparente e « al di sotto degli standard minimi costituzionalmente dovuti », spesa dalla Corte territoriale per accogliere l’appello della Casa di Cura relativo alla domanda di ripetizione di indebito avanzata dall’Azienda.
6.1. Il motivo è infondato.
La statuizione qui contestata è così argomentata nella gravata sentenza: « questo Collegio ritiene di potersi integralmente richiamate alla pronuncia di questa Corte resa inter partes che ha ritenuto che l’art. 4 della scrittura privata del 16.3.2005 debba essere intesa come finalizzata ad estendere anche al così detto periodo transitorio, da intendersi quello intercorrente tra la data del 16.03.2005 fino alla adozione di nuova convenzione, i medesimi criteri di determinazione dell’ammontare della remunerazione utilizzati nel cont ratto di transazione per definire i rapporti pregressi (cfr. Corte appello Roma sentenza n. 6098/2015 -confermata dalla già citata Cass. 2017 n. 25844 -alla cui motivazione sul punto si fa integrale rinvio ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ.) ».
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Siffatta motivazione, incentrata sull’affermazione della estensione dei criteri di remunerazione fissati nella convenzione del marzo 2005 anche al successivo periodo transitorio ma integrata dal richiamo pienamente adesivo ad una precedente decisione del medesimo ufficio resa tra le stesse parti e sullo specifico argomento controverso, non è affetta dal vizio denunciato, palesandosi invece conforme al paradigma positivamente disegnato dall’art. 118, primo comma, delle disposizioni di attuazioni del codice di rito.
Per consolidato orientamento di nomofilachia, infatti, la sentenza di merito può essere motivata mediante rinvio ad altro precedente dello stesso ufficio (viepiù, se pronunciato tra le stesse parti), in quanto il riferimento ai « precedenti conformi » contenuto nell ‘ art. 118 disp. att. c.p.c. non deve intendersi limitato ai precedenti di legittimità, ma si estende anche a quelli di merito, ricercandosi per tale via il beneficio di schemi decisionali già compiuti per casi identici o per la risoluzione di identiche questioni, nell ‘ ambito di un più ampio disegno di riduzione dei tempi del processo civile (così Cass. 20/10/2021, n. 29017; Cass. 31/01/2019, n. 2861; Cass. 06/09/2016, n. 17640).
In conclusione, il ricorso è rigettato.
Il regolamento delle spese del grado segue la soccombenza.
Attes o l’esito del ricorso, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento al competente ufficio di merito da parte del ricorrente -ex art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 – di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
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Condanna parte ricorrente alla refusione in favore della parte controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 15.000 (quindicimila) per compensi professionali, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori, fiscali e previdenziali, di legge.
A i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento al competente ufficio di merito da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso principale, a norma dell’art. 13, comma 1bis .
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione