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Affidamento riscatto: no se i lavori sono abusivi

Un’inquilina di un alloggio popolare, dopo aver eseguito lavori di ristrutturazione anche nel sottotetto, confidava di poter acquistare l’intero immobile. L’ente proprietario, riscontrate irregolarità, ha negato il riscatto e ottenuto la risoluzione del contratto di locazione. La Corte di Cassazione ha confermato le decisioni precedenti, dichiarando inammissibile il ricorso dell’inquilina. La Corte ha stabilito che non può sorgere un legittimo affidamento riscatto alloggio popolare a fronte di un inadempimento grave, come la realizzazione di opere non autorizzate che alterano la struttura dell’immobile.

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Pubblicato il 19 settembre 2025 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Affidamento Riscatto Alloggio Popolare: Niente Tutela se i Lavori Sono Abusivi

L’ordinanza in esame affronta un tema cruciale nei rapporti tra inquilini di case popolari e gli enti gestori: il principio del legittimo affidamento riscatto alloggio popolare. La Corte di Cassazione chiarisce che tale tutela non può essere invocata da chi ha realizzato opere abusive, alterando l’immobile e violando gravemente gli obblighi contrattuali. Vediamo nel dettaglio la vicenda e le ragioni della decisione.

I Fatti del Caso: Dalla Ristrutturazione alla Causa Legale

Una signora, assegnataria di un alloggio popolare dal 2001, effettuava nel tempo importanti lavori di manutenzione, estendendoli anche al vano sottotetto. Inizialmente, l’ente proprietario (ex IACP) procedeva all’accatastamento del sottotetto insieme all’appartamento, ingenerando nell’inquilina la convinzione di poter riscattare l’intera proprietà ampliata.

Successivamente, però, l’ente riscontrava delle irregolarità urbanistiche proprio nel sottotetto e, in autotutela, revocava l’accatastamento. Di fronte al parere negativo sul riscatto, l’inquilina citava in giudizio l’ente, chiedendo un cospicuo risarcimento per i danni patrimoniali e morali subiti a causa della lesione del suo legittimo affidamento.

L’ente si costituiva in giudizio, non solo contestando la pretesa, ma presentando una domanda riconvenzionale per ottenere la rimozione delle opere non autorizzate e la risoluzione del contratto di locazione per grave inadempimento.

Il Percorso Giudiziario e i motivi del ricorso

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello davano ragione all’ente. I giudici di merito rigettavano la richiesta di risarcimento dell’inquilina e, accogliendo la domanda riconvenzionale, dichiaravano risolto il contratto di locazione, condannando la signora al rilascio dell’immobile. La ragione principale risiedeva nella gravità delle opere abusive realizzate, considerate un inadempimento di ‘non scarsa importanza’.

L’inquilina non si arrendeva e proponeva ricorso in Cassazione, basandolo su cinque motivi principali, tra cui:
1. Errata gestione processuale (mutamento del rito).
2. Violazione del principio di legittimo affidamento riscatto alloggio popolare.
3. Errata valutazione della gravità del suo inadempimento ai fini della risoluzione del contratto.
4. Irrilevanza attribuita a procedimenti penali connessi alla vicenda.
5. Critiche alla valutazione delle perizie tecniche.

La Corte di Cassazione ha dichiarato tutti i motivi inammissibili, confermando in via definitiva la decisione della Corte d’Appello.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte Suprema ha ribadito un principio fondamentale del nostro ordinamento processuale: il giudizio di cassazione non è un terzo grado di merito. I giudici di legittimità non possono riesaminare i fatti e rivalutare le prove, compito che spetta esclusivamente al Tribunale e alla Corte d’Appello. La ricorrente, con i suoi motivi, chiedeva proprio questo: una nuova valutazione del materiale probatorio e delle circostanze di fatto, attività preclusa in sede di Cassazione.

Nel merito, la Corte ha sottolineato che il concetto di affidamento non può mai tutelare chi si trova in una situazione di illecito. L’inquilina aveva eseguito opere non autorizzate, modificando la destinazione d’uso e la consistenza dell’immobile. Questo comportamento costituisce un inadempimento contrattuale grave, tale da minare l’equilibrio del rapporto di locazione e giustificare pienamente la risoluzione del contratto.

L’affidamento, per essere tutelabile, deve nascere da una situazione di apparenza non viziata da comportamenti colposi o dolosi di chi lo invoca. In questo caso, la Corte d’Appello aveva correttamente evidenziato come l’istanza di ampliamento presentata dalla stessa inquilina fosse basata su dichiarazioni non conformi al progetto originario dell’immobile. Di conseguenza, nessun affidamento incolpevole poteva essersi formato.

Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione offre un’importante lezione: il principio di tutela del legittimo affidamento non è uno scudo per sanare condotte illecite. Un inquilino non può pretendere di acquistare un immobile (o di essere risarcito per il mancato acquisto) se ha violato i propri obblighi contrattuali realizzando opere abusive che alterano significativamente il bene. La risoluzione del contratto di locazione per grave inadempimento è la conseguenza diretta di tale comportamento e prevale su qualsiasi aspettativa, anche se inizialmente alimentata da atti dell’ente proprietario poi legittimamente revocati.

Un inquilino può vantare un legittimo affidamento sul riscatto di un immobile se ha eseguito lavori non autorizzati?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il principio del legittimo affidamento non può essere invocato per tutelare situazioni che derivano da un comportamento illecito o da un grave inadempimento contrattuale del soggetto che lo reclama. La realizzazione di opere abusive preclude la formazione di un affidamento tutelabile.

Quando un inadempimento nel contratto di locazione è considerato di ‘non scarsa importanza’ da giustificare la risoluzione?
Un inadempimento è considerato di ‘non scarsa importanza’ quando incide sull’equilibrio negoziale e viola le obbligazioni primarie del contratto. Nel caso di specie, la realizzazione di opere non autorizzate che hanno modificato la consistenza e la destinazione d’uso di parte dell’immobile è stata ritenuta una violazione grave, sufficiente a legittimare la risoluzione del contratto.

La Corte di Cassazione può riesaminare le valutazioni sui fatti già decise dai giudici di primo e secondo grado?
No, la Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito è verificare la corretta applicazione delle norme di diritto e la coerenza logica della motivazione delle sentenze impugnate, ma non può effettuare una nuova e diversa valutazione delle prove o dei fatti della causa (la cosiddetta ‘quaestio facti’).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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