Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 8755 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3   Num. 8755  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1128/2023 R.G. proposto da : COGNOME  NOME,  elettivamente domiciliato in  INDIRIZZO,  presso  lo  studio  dell’avvocato NOME  COGNOME (CODICE_FISCALE)  rappresentato  e  difeso  dall’avvocato  NOME COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in RAGIONE_SOCIALE INDIRIZZO, presso lo s tudio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO RAGIONE_SOCIALE n. 257/2022 depositata il 14/11/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione del 15 dicembre 2016, NOME COGNOME evocava in giudizio, davanti al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, l’RAGIONE_SOCIALE per sentirlo dichiarare responsabile per i danni morali e materiali subiti a seguito della condotta tenuta dall’ente quantificando i danni patrimoniali in euro 90.000 e quelli morali in euro 10.000. L’attrice deduceva di essere assegnataria di un alloggio popolare in forza di contratto di locazione del 21 agosto 2001 e di avere chiesto all’Istit uto convenuto di poter effettuare opere di manutenzione anche straordinaria. All’esito dei lavori l’RAGIONE_SOCIALE procedeva ad accatastare il vano sottotetto insieme all’alloggio occupato dalla conduttrice. Avendo maturato un concreto affidamento sulla possibil ità di acquistare non solo l’appartamento, ma anche il vano sottotetto, sovrastante, aveva manifestato con formali comunicazioni la volontà di riscattarli entrambi apprendendo, con sorpresa, che l’RAGIONE_SOCIALE aveva espresso parere negativo attesa la presenza di irregolarità per la parte del fabbricato rappresentata dal sottotetto e aveva, in via di autotutela, revocato l’accatastamento del già menzionato vano.
Si costituiva  RAGIONE_SOCIALE  contestando  la  fondatezza  della  pretesa  e spiegando domanda riconvenzionale per la condanna dell’attrice alla rimozione delle opere non autorizzate, con dichiarazione di risoluzione del contratto di locazione. In via subordinata, chiedeva il risarcimento dei danni derivanti dalla variazione di categoria dell’immobile, da alloggio popolare ad abitazione residenziale.
Nelle more del giudizio civile si instaurava un procedimento penale a  seguito  di  denunzia  per  falsa  testimonianza  di  alcuni  dei  testi escussi in sede civile.
Il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, con sentenza del 2 aprile 2022, rigettava la domanda di parte attrice e, in accoglimento di quella riconvenzionale, dichiarava la risoluzione del contratto di locazione stipulato tra le parti in data 7 agosto 2001, condannando l ‘attrice al rilascio dell’immobile, rigettava la domanda risarcitoria avanzata dal convenuto e condannava la attrice al pagamento delle spese di lite.
Avverso tale sentenza proponeva appello la COGNOME per erronea valutazione e travisamento dei fatti processuali avendo sottovalutato il legittimo affidamento sul riscatto ingenerato nella attrice. In secondo luogo, deduceva il difetto di motivazione riguardo alla sussistenza dei requisiti di legge in capo alla attrice per il riscatto dell’alloggio. Lamentava il difetto di motivazione e il falso processuale in ordine agli accadimenti. Con il quarto motivo si deduceva la mancanza di motivazione riguardo ai risvolti penali della vicenda. Insisteva per la nullità della sentenza per difetto di motivazione riguardo alla risoluzione del contratto di locazione ritenendo che le opere abusive realizzate dall’attrice integrassero un inadempimento di non scarsa rilevanza e, in quanto tale, idoneo alla declaratoria di risoluzione del contratto. Con l’ultimo motivo censurava la distribuzione delle spese.
Si costituiva l’RAGIONE_SOCIALE contestando i fatti posti a sostegno della impugnazione.
La Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE con sentenza del 14 novembre 2022 rigettava l’appello con condanna della appellante al pagamento delle spese di lite.
Avverso  tale  decisione  propone  ricorso  per  cassazione  NOME COGNOME affidandosi a cinque motivi.
Resiste con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE, Provincia di RAGIONE_SOCIALE.
Le parti hanno depositato memorie ex 380bis .1 c.p.c.
Motivi della decisione
Preliminarmente deve rilevarsi che in questa sede alcun provvedimento  va  adottato  con  riferimento  alla  documentazione prodotta dalla ricorrente con la memoria ex articolo 380-bis.1 c.p.c. trattandosi di vicende che riguardano la fase della esecuzione e che già sono state sottoposte al giudice di merito competente.
Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’articolo 360, n. 3 e n. 4 c.p.c, la violazione degli articoli 426-447 bis c.p.c. per avere la Corte territoriale disposto il mutamento da rito ordinario a rito speciale, solo in grado di appello.
Il motivo è inammissibile.
La censura è del tutto generica. Il cambiamento del rito in appello è regolato dall’art. 439 c.p.c., e tale diposizione non viene evocata dalla ricorrente che, pur dando atto che la Corte territoriale aveva concesso i termini -quelli evidentemente prescritti da detta norma, con il rinvio alle due norme di primo grado -non specifica in che termini sia stata pregiudicata la propria difesa in giudizio ed anzi, in modo contraddittorio rispetto alla logica stessa sottesa al mutamento del rito, sostiene che il mutamento non avrebbe sanato <>.
È appena il caso di rilevare che l’assoluta genericità della doglianza non richiede nemmeno di svolgere considerazioni sull’ammissibilità del motivo ai sensi dell’art. 360 -bis n. 2 c.p.c. Profilo che si sarebbe dovuto  verificare  alla  stregua  del  principio  di  diritto  a  suo  tempo enunciato da Cass. n. 22341 del 2017 e successive conformi.
Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’articolo 360, n. 3 c.p.c., la violazione degli articoli 2 e 97 della Costituzione e degli articoli 1173, 1175, 1176 e 1337 c.c., oltre che dell’articolo 1 e 21 -nonies della  legge  n.  241  del  1990,  perché  la  Cor te  d’appello  avrebbe erroneamente ritenuto che non vi fosse alcuna lesione dell’affidamento della ricorrente in relazione al riscatto dell’alloggio.
In  particolare,  vi  sarebbe  stata  una  lesione  dell’affidamento  della ricorrente  perché  i  lavori  effettuati  dalla  stessa  sarebbero  stati autorizzati dall’ente in occasione del sopralluogo e prendendo atto della conformità dei lavori rispetto ai quali il Comune di RAGIONE_SOCIALE aveva provveduto anche ad accatastare gli stessi.
Il  motivo  è  inammissibile  poiché  si  traduce  in  una  richiesta  di rivisitazione  e  di  nuova  valutazione  del  materiale  probatorio  che costituisce attività di esclusiva competenza del giudice di merito che non è sindacabile in questa sede nell’ipotesi di  motiva zione comunque congrua e ragionevole. Peraltro, gli accadimenti e i fatti processuali  dedotti  in  ricorso  sono  esposti  senza  alcun  puntuale riferimento al supporto probatorio, anche documentale.
La ricorrente intende investire la Corte di cassazione di una sorta di terzo grado di giudizio al fine di verificare la sussistenza dei presupposti dell’affidamento incolpevole riguardanti tutti i profili fattuali che vanno dalla buona fede di chi ne invoc a l’applicazione, al comportamento quantomeno colposo di chi ha dato causa alla situazione di apparenza, al fine di verificare se l’aspettativa nasce da una situazione ragionevolmente attendibile, anche se non conforme alla realtà.
Si  tratta  di  valutazioni  esclusivamente  in  fatto  che  non  possono essere sindacate in questa sede. Sotto tale profilo l’argomentazione della  Corte  territoriale  è,  peraltro,  ragionevole  nella  parte  in  cui esclude  il  formarsi  di  un  serio  e  risarcibile  convincimento  ed affidamento in ordine alla stabilità del provvedimento di accatastamento  del  sottotetto, ampliativo della sfera giuridica dell’attrice.
Tra l’altro, la Corte ha evidenziato che l’affidamento va escluso nei confronti della parte che abbia presentato una istanza di ampliamento della proprietà immobiliare, attribuendo al sottotetto la qualifica di ‘un terzo piano da sempre esistito, ma mai dichiarato’, non conforme al progetto originario dell’immobile.
In  buona  sostanza,  comunque,  il  motivo  non  deduce,  né  la violazione, né la falsa applicazione delle norme evocate nell’intestazione, ma  la postulerebbe solo conseguenza della segnalata sollecitazione alla rivalutazione della quaestio facti .
Con il terzo motivo si lamenta, ai sensi dell’articolo 360, n. 3 c.p.c., la violazione degli articoli 1453, 1455, 1576, 1578 e dell’art. 2697 c.c, perché la Corte d’appello avrebbe ritenuto l’inadempimento della ricorrente di non scarsa importanza, tale da legittimare la risoluzione del contratto di locazione di edilizia popolare.
Il motivo è inammissibile.
La violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni ( ex multis , Cass. Sez. 6, 23/10/2018, n. 26769, Rv. 650892 -01, che ribadisce il principio di diritto in tal senso affermato, in motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto, da Cass., Sez. Un., n. 16598 del 2016).
Anche in questo caso il motivo non deduce né la violazione né la falsa applicazione delle altre norme evocate nell’intestazione, ma la postulerebbe solo conseguenza della segnalata sollecitazione alla rivalutazione della quaestio facti . Le ragioni oggetto del secondo motivo riguardano profili esclusivamente fattuali come la valutazione della ‘non scarsa importanza’ dell’inadempimento che costituisce tipica valutazione di merito di esclusiva competenza del Tribunale e, in secondo grado, della Corte d’appello .
Per il resto si chiede di rivalutare tutto il materiale probatorio con riferimento alla esecuzione dei lavori, alle modifiche di destinazione d’uso e delle superfici e dei volumi. Al contrario, la Corte territoriale, con argomentazioni coerenti e logiche, ha motivato la decisione sul punto,  ravvisando  l’inadempimento  grave  della  ricorrente  perché
incidente  sulle  obbligazioni  primarie  e  quindi  tale  da  incidere sull’equilibrio negoziale.
La valutazione eseguita dai giudici di merito si configura come tipica questione di fatto, rimessa all’apprezzamento del giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità.
Con il quarto motivo si deduce, ai sensi dell’articolo 360, n. 3 c.p.c., la  violazione  dell’articolo  112  c.p.c.  e  651  c.p.p.  perché  la  Corte territoriale avrebbe ritenuto irrilevanti i procedimenti penali instaurati nei confronti del consulente di ufficio e di alcuni funzionari dello RAGIONE_SOCIALE, tra cui testimoni del processo civile di primo grado.
Il motivo è inammissibile poiché, nella sostanza la ricorrente reitera la  censura  già  sollevata  in  sede  di  appello,  riguardo  alla  errata valutazione dei profili penali della vicenda.
Va ricordato che in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. Sez. U., 30/09/2020, n. 20867, Rv. 659037 – 01).
La doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in  cui  esso  ancora  consente  il  sindacato  di  legittimità  sui  vizi  di motivazione (Cass. Sez. U., 30/09/2020, n. 20867, Rv. 659037  02).
I criteri indicati dalle Sezioni Unite sono quelli a suo tempo da Cass. n. 11892 del 2016.
I giudici di merito hanno proceduto ad un’autonoma motivata valutazione della idoneità delle prove acquisite in sede penale riguardo ai profili rilevanti del giudizio civile. Hanno operato una valutazione comparativa e critica tra le prove documentali del processo civile e quelle atipiche del giudizio penale e tale profilo involge apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale incontra il solo limite di indicare le ragioni della soluzione accolta e di indicarla in modo intellegibile quale motivazione.
Inoltre,  la  violazione  delle  norme  del  processo  penale  non  è argomentata, tanto che esse nemmeno sono evocate nell’illustrazione.  La  censura  non  pone  una  questione  di  giudicato penale  rilevante  ai  sensi  dell’articolo  654  c.p.p.  ma  si  riferisce  al materiale del procedimento penale, in particolare il contenuto della relazione  dei  carabinieri  e  le  valutazioni  espresse  al  pubblico ministero in sede di archiviazione.
Con l’ultimo motivo si lamenta, ai sensi dell’articolo 360, n. 3 e n. 4 c.p.c., la violazione di articoli 113,115 e 116 c.p.c. e degli articoli 61 e 62 c.p.c. perché la Corte d’appello avrebbe erroneamente, da un lato, tenuto conto degli accertamenti effettuati dal consulente in primo grado, pur riconoscendone la validità del contenuto e, dall’altro, per essersi discostata da quell’elaborato senza una adeguata motivazione di dissenso e per avere omesso l’esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’articolo 36 0, n. 5 c.p.c., costituito dalla valutazione contraddittoria e illogica degli esiti della consulenza, anche con riferimento al regime delle spese.
Il motivo è inammissibile in quanto generico, limitandosi a rilevare una contraddittorietà nella motivazione poiché da una parte il giudice di merito avrebbe riconosciuto la validità dell’elaborato e, dall’altra avrebbe adottato una argomentazione differente rispetto alle conclusioni del consulente senza una motivazione rafforzata.
Nello stesso modo del tutto generiche sono le deduzioni rispetto ad una presunta mancata applicazione de principio di non contestazione della consulenza da parte di RAGIONE_SOCIALE, censura rispetto alla quale parte ricorrente  avrebbe  dovuto  trascrivere  ex  art.  366  n.  6  c.p.c.  i passaggi essenziali della consulenza e, soprattutto, quelli degli scritti difensivi successivi al deposito dell’elaborato per dimostrare la non contestazione di fatti specifici.
La valutazione operata dal giudice di merito appare non irragionevole poiché  la  Corte  territoriale  ha  dato  atto  dei  lavori  eseguiti  dalla odierna ricorrente, senza riconoscere alcunché alla stessa attesa la responsabilità per i fatti illustrati in sentenza e oggetto dei precedenti motivi di ricorso.
La doglianza relativa alle spese non è censurabile nei termini dedotti poiché la Corte territoriale ha fatto applicazione di principi consolidati in  presenza  del  rigetto  della  domanda  proposta  dalla  ricorrente  e accoglimento della riconvenzionale di RAGIONE_SOCIALE.
La seconda parte della censura è inammissibile perché dedotta ai sensi dell’articolo 360, n. 5 c.p.c. in presenza di una doppia conforme, atteso che la decisione di secondo grado si fonda sul medesimo iter logico argomentativo e sui medesimi fatti principali oggetto della causa. In questo caso l’articolo 348 ter, commi quarto e quinto c.p.c. non consente la proposizione del ricorso per il motivo sopra indicato tranne nel caso in cui il ricorrente individui le ragioni poste a base della decisione di primo e di secondo grado, dimostrando che esse sono tra loro diverse. Fattispecie non ricorrente nel caso di specie.
Il ricorso deve essere, conclusivamente, dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Va  dato  atto  della  sussistenza  dei  presupposti  processuali  per  il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art.
1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna  la  ricorrente  al  pagamento  delle  spese  del  giudizio  di cassazione, che liquida in favore del controricorrente in € 4.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, oltre esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte  della  ricorrente,  dell’ulteriore  importo  a  titolo  di  contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione della Corte