Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 13289 Anno 2025
ORDINANZA
sul ricorso N. 20720/2022 R.G. proposto da:
E.RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende , con l’avv. NOME COGNOME come da procura in calce al ricorso, domicilio digitale come in atti
– ricorrente –
contro
REGIONE VENETO, in persona del Presidente pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME dell’Avvocatura Regionale del Veneto come da procura in calce al controricorso, domicilio digitale come in atti
– controricorrente –
ENTE PARCO NAZIONALE COGNOME, in persona del Presidente pro tempore , elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME come da procura in calce al controricorso, domicilio digitale come in atti
– controricorrente –
e contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del procuratore speciale NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME COGNOME che la rappresenta e difende con l’avv. NOME COGNOME come da procura in calce al controricorso , domicilio digitale come in atti
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 1243/2022 depositata in data 31.5.2022;
udita la relazione della causa svolta nella adunanza camerale del 23.1.2025 dal Consigliere relatore dr. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Si trascrive da Cass., Sez. Un., ord., n. 12799/2017, già pronunciatasi nella presente controversia in sede di regolamento preventivo di giurisdizione ex art. 41 c.p.c.: ‘ RAGIONE_SOCIALE – nell’ottobre 2006 presentò alla Regione Veneto – Direzione Regionale Tutela dell’Ambiente – Servizio V.I.A. (Valutazione di Impatto Ambientale) – un’istanza volta al rilascio del certificato di compatibilità ambientale e dell’autorizzazione alla realizzazione ed all’esercizio di un impianto microidroelettrico sul Canale Del Mis in provincia di Belluno, nei territori dei Comuni di Gosaldo e di Sospirolo; acquisito il parere dell’autorità di Bacino, il nulla osta dell’Ente Parco delle Dolomiti Bellunesi, il parere favorevole della Commissione V.I.A., la Giunta Regionale del Veneto approvò il progetto per
la realizzazione dell’impianto. A seguito di ciò fu stipulata una convenzione con i sopraindicati Comuni; fu approvato, dalla Regione Veneto, un disciplinare per l’esercizio della concessione e, infine, con decreto del marzo 2010, fu rilasciata la concessione di piccola derivazione prevedente l’uso ventennale delle aree demaniali interessate dalle opere di derivazione. Successivamente al rilascio di tale concessione regionale, il Ministero dello Sviluppo Economico espresse il nulla osta alla costruzione di linee elettriche in cavo interrato, la Provincia di Belluno autorizzò la società alla costruzione ed all’esercizio della nuova cabina ed all’allaccio, in cavo sotterraneo, alla rete di media tensione; nel 2012 la spa RAGIONE_SOCIALE rilasciò poi la concessione per l’esecuzione dei lavori di interramento della condotta idraulica e di costruzione della centrale. Il provvedimento concessorio della Regione – e gli atti ad esso prodromici – furono impugnati da varie associazioni ambientaliste innanzi al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche che, con sentenza n. 6 del gennaio 2012, dichiarò la carenza di legittimazione di tutte le ricorrenti, ad eccezione del WWF, di cui rigettò il ricorso. Il successivo aprile 2012 la società RAGIONE_SOCIALE iniziò i lavori che comprendevano, oltre alla realizzazione della centrale, anche le opere di derivazione del corso d’acqua e di modifica del tracciato stradale. Il WWF impugnò la decisione del TSAP; le Sezioni Unite della Corte di Cassazione cassarono detta sentenza ed annullarono la deliberazione autorizzativa della Regione Veneto e gli atti ad essa prodromici (n.d.e.: si tratta di Cass., Sez. Un., n. 19389/2012) . In conseguenza di ciò la Regione intimò alla società RAGIONE_SOCIALE la sospensione dei lavori – nel frattempo avviati a conclusione – e procedette all’elaborazione di un piano per il ripristino dei luoghi. La predetta società iniziò
allora un giudizio risarcitorio innanzi al Tribunale di Venezia, adducendo il proprio incolpevole affidamento sulla legittimità dei provvedimenti a sé favorevoli, poi annullati, richiamando, a giustificazione della individuazione del Tribunale ordinario come organo dotato di giurisdizione, un indirizzo interpretativo di legittimità che aveva specificato come il provvedimento favorevole, poi annullato, rilevava per il destinatario -ai fini risarcitori – quale mero comportamento degli organi che avevano provveduto al suo rilascio. Costituendosi innanzi al Tribunale, il Comune di Gosaldo, quello di Sospirolo e l’Ente Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi eccepirono il difetto di giurisdizione dell’A.G.O. in luogo della A.G.A.; in particolare il Comune di Gosaldo ritenne sussistente la giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo, come previsto dall’art 133, lett f) del codice del processo amministrativo; il Comune di Sospirolo e l’Ente Parco ritennero invece trattarsi di materia soggetta: o alla competenza funzionale del Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche ex art 140, I comma, lett. e) del regio decreto n. 1775 del 1933, o alla giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche ex art 143 del medesimo T.U. All’esito della decisione dell’adito Tribunale ordinario di condizionare l’ulteriore corso del giudizio innanzi a sé alla individuazione dell’organo dotato di giurisdizione, la predetta società ha proposto regolamento preventivo di giurisdizione, ribadendo la individuazione del giudice ordinario come fornito di giurisdizione; hanno resistito con controricorso il Comune di Gosaldo; quello di Sospirolo; la Regione Veneto e l’Ente Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi; non hanno svolto difese le altre parti citate nel giudizio innanzi al Tribunale di Venezia (gli assicuratori RAGIONE_SOCIALE a copertura della responsabilità della Regione; la Provincia di Belluno e
la spa RAGIONE_SOCIALE); sono state citate anche altre parti non presenti nel giudizio di merito – ARPAV – Dipartimento Provinciale di Belluno; la Commissione Regionale VIA, che del pari non hanno svolto difese. Il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni scritte, dirette a confermare la giurisdizione del giudice ordinario. Con ordinanza interlocutoria n 15426/2016 è stata disposta l’integrazione del contraddittorio con la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE litisconsorte in quanto parte attrice, assieme alla E.V.RAGIONE_SOCIALE Valsabbia, del giudizio risarcitorio innanzi al Tribunale di Venezia ‘.
Con la citata ordinanza n. 12799/2017, le Sezioni Unite affermarono la giurisdizione del G.O. nella controversia e, all’esito dell’istruttoria, l’adito Tribunale di Venezia rigettò le domande attoree con sentenza del 17.1.2020, condannando la società alla rifusione delle spese di lite in favore di tutti i resistenti. Rilevò il Tribunale che la E.VA. non aveva fornito elementi idonei a dimostrare l’insorgenza di un colpevole affidamento sulla stabilità dei provvedimenti amministrativi rilasciati in suo favore, tanto più che essa era a conoscenza dei profili di possibile illegittimità degli atti stessi, essendo anche parte del giudizio pendente in Cassazione sulla relativa questione.
La E.VA. propose quindi gravame avverso detta decisione, cui resistettero gli Assicuratori dei Lloyd’s in relazione ai Certificati di assicurazione n. 10094062R e n. 10144267W, nonché alle polizze n. BE0002577 e n. BE0000666, la Regione Veneto, l’Ente Parc o Nazionale delle Dolomiti Bellunesi, il Comune di Gosaldo e il Comune di Sospirolo, mentre non si costituì la Commissione Regionale VIA, pure evocata in giudizio.
La Corte d’appello di Venezia rigettò l’appello con sentenza del 31.5.2022, confermando la prima decisione e condannando l’appellante alla rifusione delle spese del grado. Rilevò la Corte che, allorché la società aveva iniziato i lavori, era stato già notificato dal WWF il ricorso per cassazione avverso la decisione del TSAP, sicché essa non poteva che essere consapevole del rischio dell’annullamento di tale sentenza e, dunque, della possibile declaratoria di illegittimità dei provvedimenti autorizzativi, il che eliminava in radice la situazione soggettiva di buona fede pure reclamata dalla E.VA. Aggiunse il giudice d’appello che, dall’esame dei due motivi di ricorso del WWF, poi accolti dalla citata Cass., Sez. Un., n. 19389/2012, la società era ben in grado di valutare che i provvedimenti autorizzatori ‘ non reggevano ‘, giacché l’impianto idroelettrico approvato si poneva in violazione del divieto assoluto di modificare il regime delle acque protette sancito dalla normativa inerente al Parco Nazionale delle Dolomiti, nonché di edificare nuove costruzioni nelle riserve naturali orientate. Concluse, dunque, nel senso della non configurabilità di dolo o colpa a carico di ciascun ente appellato, con conseguente infondatezza della domanda risarcitoria.
Avverso detta sentenza la E.VA. RAGIONE_SOCIALE ricorre per cassazione, sulla base di tre motivi, cui resistono, con distinti controricorsi, la Regione Veneto, l’Ente Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi, nonché la RAGIONE_SOCIALE quale successore nei diritti ed obblighi facenti capo agli Assicuratori dei Lloyd’s che hanno sottoscritto il rischio di cui ai certificati n. BE0002577, n. BE0000666, n. 10094062R e n. 10144267W. La Commissione regionale VIA, ancora evocata in giudizio, non ha svolto difese. Tutte le parti, ad
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eccezione della Regione Veneto, hanno depositato memoria. Ai sensi dell’art. 380bis .1, comma 2, c.p.c., il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nei sessanta giorni successivi alla adunanza camerale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 -Con il primo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 2043 c.c., nonché degli artt. 2, 3 e 97 Cost., artt. 1, 21quinquies e 21nonies della legge n. 241/1990, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. La ricorrente si duole della decisione nella parte in cui è stata negata la sussistenza della lesione del proprio affidamento incolpevole circa la legittimità dei provvedimenti autorizzatori, ingenerato dalla P.A. con la propria condotta; si evidenzia che la tutela dell’affidamento si traduce non solo in un limite all’adozione di successivi atti di autotutela, ma in una fonte di responsabilità per la P.A. nei confronti del privato, qualora questi -come nella specie -abbia orientato le proprie scelte confidando sulla stabilità dell’atto poi rimosso, in quanto illegittimo, per effetto di una successiva decisione, sia in autotutela o anche in sede giurisdizionale. Più in dettaglio, si censura la decisione impugnata laddove: a) opera un illegittimo automatismo ai fini della esclusione di un affidamento tutelabile, allorché individua nella pendenza di un giudizio impugnatorio sul provvedimento autorizzativo -benché di secondo grado e pur dopo che in primo grado ne era stata affermata la legittimità, giudizio nel quale le PP.AA. coinvolte avevano ‘ strenuamente difeso la correttezza del proprio operato ‘ -un fattore impeditivo del diritto; b) omette di esaminare il requisito della colpa della P.A., ritenendolo apoditticamente e contraddittoriamente insussistente.
1.2 -Con il secondo motivo si denuncia la nullità del procedimento per motivazione apparente perché insufficiente, illogica e contraddittoria con riferimento alla ritenuta insussistenza di un affidamento tutelabile in capo ad RAGIONE_SOCIALE e alla ritenuta insussistenza di colpa in capo alle amministrazioni convenute, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. In particolare, si evidenzia la contraddittorietà della motivazione, in quanto fondata su affermazioni inconciliabili, laddove da un lato si esclude la buona fede in capo ad essa ricorrente in virtù della mera pendenza di un giudizio di annullamento dell’atto autorizzativo, tanto più che l’imprenditore, in quanto a conoscenza della normativa di settore, avrebbe potuto prefigurarsi l’esito sfavorevole del lo stesso giudizio; dall’altro, laddove si esclude la colpa della P.A. perché lo stesso esito ondivago del giudizio impugnatorio testimonia la controvertibile interpretazione della fattispecie. Ancora, si propugna l’illogicità della motivazione laddove si fonda la ritenuta esclusione della buona fede in capo alla ricorrente nel fatto che essa ha atteso l’esito del giudizio di primo grado prima di avviare i lavori. Infine, si sostiene che la motivazione non consente di comprendere le ragioni poste a fondamen to dell’ iter decisorio: non si è tenuto minimo conto della circostanza per cui, nel ripetuto giudizio impugnatorio, la decisione di primo grado aveva ritenuto la piena legittimità dell’autorizzazione; si è omessa qualsiasi pronuncia circa il comportamento della P.A., consistente nella mancata adozione di provvedimenti in autotutela e nella strenua difesa del proprio operato nel corso dell’intero giudizio impugnatorio; infine, non si è affrontata la questione del tempo trascorso, dei costi di sospensione dei cantieri e dei lavori.
1.3 -Con il terzo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 92, comma 2, c.p.c., nonché nullità della sentenza o del procedimento, per omessa motivazione in relazione alle censure avanzate riguardo al capo della sentenza che ha statuito sulle spese di lite, con conseguente violazione degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c. Evidenzia la ricorrente che , con l’appello, aveva impugnato anche la eccessiva condanna alle spese di lite disposta dal Tribunale di Venezia, in particolare lamentando che, pur a fronte della riconosciuta complessità e novità della vicenda, non fosse stata disposta la compensazione delle spese; in subordine, si era chiesta la riduzione della condanna. Si aggiunge che, nel giudizio d’appello, si era comunque perorata la compensazione delle spese per entrambi i gradi del giudizio. A fronte di tanto, sostiene la ricorrente, non solo la Corte territoriale ha rigettato il gravame, ma non ha neppure fornito la benché minima motivazione, con ciò determinando il duplice vizio della sentenza, sul punto.
2.1 -Preliminarmente, occorre evidenziare che impropriamente la ricorrente ha evocato in giudizio, sin dall’atto introduttivo e finanche in questa sede di legittimità, la Commissione V.IRAGIONE_SOCIALEA., benché organo della Regione Veneto privo di rilevanza esterna.
2.2 -Sempre in via preliminare, va rilevato che non risultano evocati in questa sede il Comune di Gosaldo e il Comune di Sospirolo, già parti del giudizio. Al riguardo, a prescindere da ogni considerazione circa la sussistenza o meno della loro qualità di litisconsorti necessari, ritiene la Corte di poter comunque far a meno di disporre l ‘integrazione del contraddittorio, stante l’esito di questo
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giudizio di legittimità comunque non favorevole per la ricorrente (v. Cass., Sez. Un., n. 6826/2010 e successive conformi), come si dirà subito appresso.
3.1 -Ciò posto, il primo motivo è infondato, benché la motivazione della sentenza impugnata debba essere corretta, ai sensi dell’art. 384, ult. comma, c.p.c., rivelandosi il dispositivo conforme a diritto.
Il mezzo in esame investe la questione della tutela dell’affidamento incolpevole che il privato abbia nutrito rispetto alla legittimità di un atto amministrativo, successivamente annullato in sede di autotutela oppure ope iudicis , e della ristorabilità dei danni che al privato stesso siano conseguentemente derivati. In particolare, secondo la ricorrente, la Corte lagunare avrebbe fatto malgoverno delle norme rubricate, laddove avrebbe operato un illegittimo automatismo -dato dalla mera pendenza di un giudizio impugnatorio -al fine di escludere la stessa configurabilità di un affidamento incolpevole, ed inoltre laddove avrebbe omesso l’esame del requisito della colpa in capo alla P.A., ritenendolo apoditticamente e contraddittoriamente insussistente.
3.2 -Onde affrontare compiutamente il tema, ritiene la Corte di doversi riportare al principio affermato -in sede di riparto di giurisdizione – dalla recente Cass., Sez. Un., n. 2175/2023, nei termini che seguono: ‘ la pretesa risarcitoria del privato fondata sulla lesione dell’affidamento nella legittimità di un provvedimento ampliativo di una pubblica amministrazione, poi annullato in autotutela, non ha ad oggetto il modo in cui l’amministrazione ha esercitato il proprio potere con il provvedimento annullato, o con quello di annullamento del primo, costituendo l’illegittimità del provvedimento il mero presupposto della lite, ma l’osservanza o meno delle regole di correttezza nei rapporti con i privati,
regole distinte ed autonome rispetto a quelle della legittimità amministrativa ed a cui deve essere informato il procedimento amministrativo ex art. 1, comma 2bis, della l. n. 241 del 1990, introdotto dalla l. n. 120 del 2020 ‘ .
Nel rinviare all’ampia motivazione del citato arresto, anche per richiami, si vuole qui evidenziare (prendendo a prestito le parole del Massimo Consesso, par. 31 in particolare) che, in subiecta materia , ‘ hi agisce, in sostanza, non mette in discussione l’illegittimità del provvedimento a sé favorevole, né deduce di essere titolare di un interesse legittimo al mantenimento del bene della vita acquisito con tale provvedimento (e perduto con la relativa caducazione). Egli non si duole, cioè, della lesione di una situazione soggettiva di interesse legittimo alla conservazione del bene della vita concessogli con il provvedimento illegittimo (e, perciò, successivam ente caducato), ma si duole del fatto che l’amministrazione lo ha indotto, con l’emissione di un provvedimento illegittimo, a sostenere spese e a compiere attività che la successiva caducazione del medesimo provvedimento ha reso inutili ‘ .
Insomma, ‘ il pregiudizio non deriva dalla violazione delle regole di diritto pubblico sull’esercizio della potestà amministrativa, bensì, in una più complessa fattispecie, dalla violazione dei principi di correttezza e buona fede, che devono governare il comportamento dell’amministrazione e si traducono in regole di responsabilità, non di validità dell’atto ‘ (così, Cass., Sez. Un., n. 25324/2023, ancora in sede di riparto di giurisdizione); pertanto, l’affidamento incolpevole, la cui lesione potrebbe determinare la resp onsabilità risarcitoria della P.A. è ‘ una situazione autonoma, tutelata in sé, e non nel suo collegamento con l’interesse pubblico, come affidamento incolpevole di natura civilistica, che si sostanzia,
secondo una felice sintesi dottrinale, nella fiducia, nella delusione della fiducia e nel danno subito a causa della condotta dettata dalla fiducia mal riposta: si tratta, in sostanza, di un’aspettativa di coerenza e non contraddittorietà del comportamento dell’amministrazione fondata sulla buona fede ‘ ( così, Cass., Sez. Un., n. 8236/2020, in motivazione).
3.3 La prospettiva da cui muovere ai fini dello scrutinio della questione che occupa, però, non è quella della responsabilità aquiliana, ex art. 2043 c.c., come ritenuto dalla Corte veneta (che, per vero, ha richiamato, sul punto, l’insegnamento di Cass. n. 27800/2017, tuttavia non pertinente perché concernente diversa fattispecie , ossia quella dell’esercizio illegittimo della funzione pubblica, in disparte ogni questione sulla successiva evoluzione della giurisprudenza di legittimità sul punto specifico), bensì quella, di natura assimilabile alla responsabilità contrattuale, della responsabilità da ‘ contatto sociale qualificato dallo status della pubblica amministrazione quale soggetto tenuto all’osservanza della legge come fonte della legittimità dei propri atti ‘ (così, la già citata Cass., Sez. Un., n. 8236/2020).
Invero, dopo una prima impostazione, in subiecta materia , nel senso della configurabilità di vera e propria responsabilità aquiliana (inaugurata dalle coeve ordinanze, rese dalle Sezioni Unite, nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011), è ormai ampiamente consolidato, nella giurisprudenza di questa Corte, l’orientamento per cui la responsabilità della P.A. per lesione dell’affidamento incolpevole del privato non consista affatto nella c.d. ‘ responsabilità del passante ‘, essendo ravvisabile un quid pluris rispetto al generale precetto del neminem laedere ; infatti, la ‘ responsabilità … sorge tra soggetti che si conoscono reciprocamente
già prima che si verifichi un danno; danno che consegue non alla violazione di un dovere di prestazione ma alla violazione di un dovere di protezione, il quale sorge non da un contratto ma dalla relazione che si instaura tra l’amministrazione ed il cittadino nel momento in cui quest’ultimo entra in contatto con la prima ‘ (così, ancora, Cass., Sez. Un., n. 8236/2020) .
Tale prospettiva -che il Collegio condivide e a cui intende dare continuità -è stata anche di recente ribadita da Cass., Sez. Un., n. 1567/2023 (cui si rinvia, anche per richiami), che ha evidenziato, in motivazione (parr. 6 e 7, sintesi testuale dell’estensore), che tale ‘ responsabilità … non è qualificabile né come extracontrattuale né come contrattuale in senso proprio, configurandosi piuttosto … come una responsabilità di tipo relazionale o da contatto sociale qualif icato inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ai sensi dell’art. 1173 cod. civ., sia nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicché il privato abbia riposto il proprio affidamento in un mero comportamento dell’amministrazione, sia nel caso in cui il danno derivi dalla emanazione e dal successivo annullamento di un atto ampliativo della sfera giuridica del privato ‘.
3.4 -Sul piano generale, da tanto discende che -in tema di responsabilità da ‘contatto sociale qualificato’ – trova applicazione il regime probatorio di cui all’art. 1218 c.c. (v. , ex multis , Cass. n. 3695/2016), sicché è ‘ onere del creditore-danneggiato provare, oltre alla fonte del suo credito (contratto o contatto sociale), il nesso di causalità … e il danno lamentato ‘ (Cass. n. 10050/2022); in particolare, l’attore è tenuto ad ‘ allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato ‘ (così, Cass.,
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Sez. Un., n. 577/2008, che si muove nel solco tracciato dalla nota Cass., Sez. Un., n. 13533/2001, sul tema della vicinanza della prova). Spetta invece al convenuto ‘ dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante ‘ (così, ancora, Cass., Sez. Un., n. 577/2008; ad ulteriore specificazione sul punto, tra le altre, la già citata Cass. n. 10050/2022 ha affermato che il debitore deve ‘ dimostrare, in alternativa all’esatto adempimento, l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile ‘ ; nello stesso senso, tra le altre, la già citata Cass. n. 3695/2016).
3.5 Rapportando e adattando i superiori insegnamenti (principalmente coniati nell’ambito della responsabilità sanitaria) alla fattispecie che occupa, occorre dunque che il privato dimostri il ‘contatto sociale qualificato’, ossia il rapporto inerente al provvedimento autorizzatorio richiesto, nonché lo specifico comportamento lato sensu inteso – della P.A. che si pretende reso in violazione dei doveri di correttezza e buona fede e tale da ingenerare, sotto il profilo eziologico, il proprio legittimo convincimento di poter confidare nella piena legittimità dell’atto amministrativo e di poter quindi determinarsi nelle conseguenti attività, quali gli esborsi occorrenti per l’ esercizio delle relative facoltà (come nella specie, con l’avvio dei lavori di realizzazione dell’impianto idroelettrico); il privato, infine, deve dimostrare il danno in thesi subito (da rapportarsi, di regola, al c.d. interesse negativo -v. Cass. n. 19775/2018), ed il nesso di causalità tra il comportamento illegittimo della P.A. e il danno stesso. Ritiene la Corte di dover precisare, al riguardo, che -benché gli oneri probatori gravanti sul privato vadano regolati secondo lo schema dell’art. 1218 c.c. e,
dunque, in linea con il citato insegnamento di Cass., Sez. Un., n. 577/2008 -non si può tuttavia limitare l’onere del privato stesso alla mera allegazione dello specifico comportamento illegittimo della P.A. (salva l’ipotesi della mera omissione), e non anche alla sua dimostrazione, sia perché (a differenza della responsabilità contrattuale tout court , o della responsabilità da ‘ contatto sociale ‘ in ambito sanitario) la violazione imputata alla stessa P.A. attiene a regole di carattere generale (dovere di correttezza e buona fede), più che a ben determinate obbligazioni di cui sia individuata la fonte, sia perché la P.A. convenuta, a fronte della mera allegazione di pretesi specifici comportamenti illegittimi di tipo commissivo, resterebbe in tale ipotesi onerata della relativa prova del fatto negativo, in totale disallineamento rispetto alla ratio di fondo che muove dalla pure citata Cass., Sez. Un., n. 13533/2001, sulla riferibilità o vicinanza della prova.
Ciò chiarito, la P.A. ha – per contro l’onere di dimostrare o che il suddetto comportamento omissivo non vi è stato, o che esso (sia commissivo, che omissivo) non è rilevante sotto il profilo eziologico, oppure che l’evento di danno non è ad essa imputabile, per non esserle addebitabile la colpa, che com’è noto , ai sensi dell’art. 1218 c.c. , si presume.
Tale onere differenziale, a carico della P.A., vale dunque a caratterizzare il regime probatorio che discende dalla ripetuta qualificazione della responsabilità in parola quale responsabilità da ‘contatto sociale qualificato ‘, rispetto alla mera responsabilità aquiliana, in cui l’intero onere probatorio sugli elementi caratterizzanti la fattispecie (compreso l’elemento psicologico) grava sul preteso danneggiato.
3.6 -Ora, la ricorrente -pacifica essendo la sussistenza del rapporto inerente alla chiesta autorizzazione per cui è processo – ha nella specie allegato un simile comportamento della P.A., riferito a vario titolo a tutti gli enti coinvolti nel complesso iter amministrativo per cui è processo, individuandolo essenzialmente in due aspetti: 1) l’aver le suddette PP.AA. strenuamente difeso nell’ambito del noto giudizio impugnatorio – la legittimità dei provvedimenti rispettivamente rilasciati, per quanto di competenza; inoltre, 2) l’aver omesso di adottare, ciascuna ancora per quanto di competenza, atti di sospensione dell’efficacia dell’autorizzazione in autotutela, una volta appreso che il RAGIONE_SOCIALE aveva proposto ricorso per cassazione avverso la decisione del TSAP.
Ciò, in thesi , avrebbe rafforzato il legittimo affidamento di essa ricorrente, che avrebbe avviato i lavori di realizzazione dell ‘impianto confidando nella legittimità dell’autorizzazione , come detto, forte sia di un simile contegno della P.A., sia della stessa esistenza di una decisione di primo grado del TSAP a sé favorevole. Di tanto, però, la Corte lagunare non avrebbe tenuto conto, erroneamente negando la stessa configurabilità di un affidamento incolpevole in capo ad essa ricorrente.
3.7.1 -Ritiene la Corte che la censura non meriti accoglimento.
Invero, richiamando quanto prima osservato circa la peculiare fattispecie risarcitoria che qui viene in rilievo e il relativo regime probatorio, emerge con ogni evidenza come la decisione impugnata -benché in essa erroneamente si sia richiamata la regola della responsabilità aquiliana – si ponga pienamente in linea con la citata giurisprudenza di legittimità sulla natura della responsabilità qui in rilievo, quale responsabilità da ‘contatto sociale qualificato’ . Risulta quindi
sufficiente procedere alla mera correzione della motivazione, giacché il mezzo in esame -incentrato, tra l’altro, sulla pretesa violazione dell’art. 2043 c.c., norma che non ha modo di operare, come s’è detto non giustifica comunque la cassazione dell’impugnata sentenza.
Infatti, come correttamente osservato dalla Corte territoriale, la pendenza di un giudizio volto ad ottenere la caducazione del provvedimento amministrativo emesso in favore del privato, di cui questi sia parte (in verità, necessaria), è di per sé incompatibile con la posizione di affidamento incolpevole in capo allo stesso privato circa la piena legittimità del provvedimento, perché questi non può che ben rappresentarsi il rischio che -in concreto -il giudizio assuma un esito a sé non favorevole.
In altre parole, rispetto alla posizione del privato destinatario di un provvedimento ampliativo da parte della P.A., allorché questi si accinga ad effettuare quanto necessario per esercitare le relative facoltà (come, nella specie, mediante l’avvio dei lavori di realizzazione dell’impianto ), altro è procedere in condizioni di assoluta ignoranza circa la sussistenza di elementi potenzialmente ostativi o problematici rispetto alla realizzazione programmata, altro è invece farlo nella piena conoscenza del rischio, già inveratosi, di concreto annullamento dell’atto .
Nell’un caso, l’eventuale annullamento dell’atto stesso (in sede di autotutela, oppure ope iudicis ) giunge ‘a sorpresa’, lasciando esposto il privato a conseguenze (ad es.: sostenimento di ingenti spese, stipulazione di contratti che, poi, non sarà possibile rispettare, con conseguenti ricadute nei rapporti con i terzi, ecc.) che in origine, rebus sic stantibus , non era ragionevole prevedere,
sicché vengono a tal punto in rilievo eventuali comportamenti della P.A. idonei a cagionare o, almeno, agevolare detta esposizione.
N ell’altro caso, invece, non è configurabile ex se un affidamento incolpevole, proprio perché la suddetta condizione soggettiva di conoscenza e rappresentazione, da parte del privato, è con esso logicamente incompatibile. Non ci si può, cioè, affermare lesi nel ragionevole convincimento circa la legittimità dell’atto amministrativo, e dunque attribuire alla P.A. la responsabilità delle conseguenze pregiudizievoli discendenti dall’annullamento dell’atto per violazione del dovere di correttezza e buona fede, allorché il privato sia a conoscenza della pendenza dello stesso giudizio di annullamento, a nulla di per sé rilevando che il primo grado del giudizio si sia concluso con il rigetto dell’impugnazione . A ragionare diversamente, infatti, si finirebbe col far coincidere la responsabilità risarcitoria della P.A., nei casi come quello che occupa, nell’ aver meramente adottato un atto illegittimo, il che è -per quanto ampiamente detto -da escludere.
3.7.2 -Del resto, con specifico riferimento al contenzioso dinanzi al G.A., la stessa giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, Ad. Plen., n. 19/2021) ha affermato il principio per cui ‘ la responsabilità dell’amministrazione per lesione dell’affidamento ingenerato nel destinatario di un suo provvedimento favorevole, poi annullato in sede giurisdizionale, postula che sulla sua legittimità sia sorto un ragionevole convincimento, il quale è escluso in caso di illegittimità evidente o quando il medesimo destinatario abbia conoscenza dell’impugnazione contro lo stesso provvedimento ‘.
Nell’esplicare detto principio, l’Adunanza Plenaria ha precisato, in motivazione, che ‘ con riguardo a gradi della colpa inferiore a quello «grave», non possono nemmeno essere trascurati i caratteri di specialità del diritto amministrativo rispetto al diritto comune, tra cui la centralità che nel primo assume la tutela costitutiva di annullamento degli atti amministrativi illegittimi, contraddistinta dal fatto che il beneficiario di questi assume la qualità di controinteressato nel relativo giudizio. Con l’esercizio dell’azione di annullamento quest’ultimo è quindi posto nelle condizioni di conoscere la possibile illegittimità del provvedimento a sé favorevole, per giunta entro il ristretto arco temporale dato dal termine di decadenza entro cui, ai sensi dell ‘art. 29 cod. proc. amm., l’azione deve essere proposta, e di difenderlo. La situazione che viene così a crearsi induce, per un verso, ad escludere un affidamento incolpevole, dal momento che l’annullamento dell’atto per effetto dell’accoglimento del ricorso diviene un’evenienza non imprevedibile, di cui il destinatario non può non tenere conto ed addirittura da lui avversata allorché deve resistere all’altrui ricorso; per altro verso, porta ad ipotizzare un affidamento tutelabile solo prima della notifica dell’atto introduttivo del giudizio ‘ .
3.7.3 -Si tratta di valutazioni che, benché rese con specifico riferimento al giudizio amministrativo, ben possono replicarsi anche con riguardo al contenzioso delle acque ex art. 143 r.d. n. 1775/1933 (come è nella specie, con riguardo al giudizio di annullamento presupposto), posta la sua pacifica natura impugnatoria.
In tali condizioni, dunque, decidere di avviare l’attività connessa al provvedimento ampliativo , anziché attendere l’esito del giudizio , non può che
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costituire una scelta comportante l’assunzione di un rischio consapevole da parte del privato , proprio perché l’eventuale annullamento rappresenta uno degli esiti possibili (il che vale anche al di là di quanto ritenuto dalla Corte lagunare circa la prevedibilità -da parte della società ricorrente – della decisione adottata da questa Corte con la citata Cass., Sez. Un., n. 19389/2012) rispetto ad una vicenda procedimentale già in essere e ben nota al privato stesso.
Diverso -lo si ripete – sarebbe invece il caso in cui l’invalidità dell’atto non fosse scrutabile all’orizzonte e il suo annullamento intervenisse, appunto, con effetto ‘a sorpresa’ e del tutto inattes o: solo in tali condizioni (per la verità, ben difficilmente ipotizzabili -benché tanto non appaia impossibile tout court allorché si tratti di un annullamento giudiziale, stante il ristretto lasso temporale per la sua impugnazione da parte del controinteressato, come nel caso di specie o, più in generale, nel contenzioso amministrativo), dunque, potrà procedersi allo scrutinio degli ulteriori elementi della fattispecie risarcitoria, nel prisma dei relativi oneri probatori delle parti, di cui s’è prima d etto (v. par. 3.5, in particolare).
3.7.4 -Risulta quindi evidente che la stessa prospettazione dei fatti, così come offerta dalla E.VA., non ha consentito l’accoglimento della domanda (come correttamente ritenuto dal giudice del merito), giacché la situazione oggettiva denunciata è convincentemente parsa di per sé incompatibile con la lamentata lesione della propria posizione soggettiva tutelabile dinanzi al giudice ordinario, e ciò già sul piano astratto. Il che, a ben vedere, avrebbe dovuto esimere il giudice stesso dal verificare gli ulteriori elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria in rilievo (v., ancora, par. 3.5), difettando ab origine la stessa
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configurabilità di una eziologia tra il comportamento asseritamente illegittimo della P.A. e il danno lamentato, nonché essendo così divenuta superflua ogni ulteriore indagine, compresa quella sull’assolvimento dell’onere della prova gravante sulla P.A. convenuta.
3.8 -Né tantomeno coglie nel segno quell’ulteriore profilo di censura, mosso col mezzo in esame, secondo cui nella specie il profilo di colpa della P.A. sarebbe da considerare presunto iuris tantum , posto l’intervenuto annullamento dell’atto autorizzatorio, perché illegittimo.
Sul punto, basti anzitutto considerare che l’introduzione del tema in parola da parte della ricorrente tradisce l’equivoco di fondo in cui essa incorre, giacché si finisce col legare detto preteso elemento presuntivo alla illegittimità dell’atto amministrativo, mentre invece, nella materia per cui è processo, l’ illegittimità dell’atto costituisce solo il presupposto della domanda, non il suo oggetto (si veda la giurisprudenza prima citata, par. 3.2).
Inoltre, s’è già visto che il profilo della colpa della P.A. viene nella specie in rilievo su base sì presuntiva, ma in forza della regola della responsabilità ex art. 1218 c.c., applicabile nella materia che occupa; presunzione che, tuttavia, non ha qui modo di operare in concreto, perché la società ricorrente è venuta meno al proprio onere assertivo e probatorio (v. par. 3.5), avendo configurato la responsabilità delle PP.AA. controricorrenti sulla base di comportamenti già in astratto inidonei ad ingenerare il proprio legittimo affidamento (come più volte s’è evidenziato), donde la stessa superfluità dell’ulteriore indagine .
3.9 -In proposito, possono conclusivamente affermarsi i seguenti principi di diritto:
‘ in tema di responsabilità della P.A. per lesione dell’affidamento incolpevolmente riposto dal privato nella legittimità di un provvedimento amministrativo per sé ampliativo, successivamente annullato in sede giurisdizionale, la pendenza del giudizio impugnatorio avverso il provvedimento esclude che il privato possa considerarsi in condizione soggettiva di buona fede, con riguardo alle conseguenze derivategli, per fatti verificatisi dopo l’avvio del giudizio, dall’aver confidato nella legittimità dell’atto, giacché la necessaria conoscenza della pendenza dello stesso giudizio è logicamente incompatibile con l’affidamento incolpevole e le attività comunque compiute derivano dalla libera assunzione del relativo rischio da parte del privato ‘ ;
‘ in tema di responsabilità della P.A. per lesione dell’affidamento incolpevolmente riposto dal privato nella legittimità di un provvedimento amministrativo per sé ampliativo, da inquadrarsi nell’ambito della responsabilità da ‘contatto sociale qualificato’, l’onere probatorio è disciplinato dalla regola dettata dall’art. 1218 c.c., sicché il privato è tenuto a dimostrare la fonte del proprio diritto (ossia, il rapporto inerente al provvedimento autorizzatorio richiesto), nonché lo specifico comportamento della P.A. tenuto in violazione dei doveri di correttezza e buona fede (salva l’ipotesi del comportamento omissivo, per il quale è sufficiente la mera allegazione) e tale da ingenerare eziologicamente il proprio affidamento incolpevole, e ancora il relativo nesso di causalità, nonché il danno lamentato (da rapportarsi di norma al c.d. interesse negativo); p er contro, la P.A. ha l’onere di dimostrare o che il comportamento omissivo non vi è stato, o che il comportamento comunque addebitatole non è rilevante sotto il profilo eziologico, oppure che l’evento di danno non è ad essa imputabile ‘.
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4.1 -Parimenti infondato è il secondo motivo, giacché la motivazione della sentenza impugnata (anche al netto della correzione ut supra apportata) risponde senz’altro al ‘minimo costituzionale’ ex art. 111, comma 6, Cost. (v. Cass., Sez. Un., n. 8053/2014 e successive conformi).
Anzitutto, non è ravvisabile alcuna contraddittorietà, nel senso prospettato dalla ricorrente. Infatti, nel valutare il parametro della buona fede, sia in capo ad essa ricorrente, sia in capo alla P.A., la Corte lagunare ha convincentemente parametrato l’analisi rispetto a punti focali necessariamente diversi: nell’un caso, quello della conoscenza del rischio di annullamento dell’atto amministrativo da parte del privato e, dunque, della stessa inconfigurabilità dell’affidamento incolpevole; nell’altro caso, quello (a tal punto superfluo, come s’è ampiamente detto, ma comunque esaminato dalla stessa Corte ) dell’assenza di comportamenti colposi da parte della P.A., stante anche l’opinabilità circa le condizioni del rilascio dell’autorizzazione, testimoniate dall’alterno esito del giudizio impugnatorio. Insomma, benché pur sempre riferiti alla condizione soggettiva di buona fede di parte attrice e delle PP.AA. convenute, il giudizio ha investito due parametri del tutto diversi , sicché l’una valutazione operata dalla Corte veneta non si pone affatto in conflitto logico con l’altra , fermo quanto più volte osservato circa la superfluità dell’indagine sull’elemento psicologico concernente la P.A.
Né può dirsi che la motivazione sia di per sé illogica, come pure denunciato dalla ricorrente: la circostanza che la E.VA. abbia avviato i lavori, benché a conoscenza della pendenza del giudizio impugnatorio, non è utilizzata dalla Corte d’appello quale riprova, addirittura, della sua mala fede, come pretenderebbe la
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ricorrente, bensì al solo fine di escludere il suo affidamento senza colpa e di relegare il suo comportamento a mera imprudenza (se non ad assunzione volontaria del rischio), che è questione ovviamente diversa, come s’è già ampiamente detto.
Infine, deve anche escludersi che la motivazione possa dirsi apparente, perché quelli che -a dire della E.VA. -sono profili in tutto o in parte non esaminati, tali da non consentire la comprensione delle ragioni della decisione, sono stati in realtà presi in considerazione dalla Co rte lagunare, quand’anche per implicito, perché incompatibili con le valutazioni espresse sui punti nodali della controversia.
5.1 -Il terzo motivo, infine, è inammissibile, anzitutto per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis , in relazione alle spese del giudizio di primo grado.
Infatti, per quanto la ricorrente abbia sostenuto, col mezzo in esame, di aver impugnato la sentenza di primo grado sotto diversi profili anche sulle dette spese , l’Ente Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi ha invece eccepito che la E.VA. non aveva neppure rassegnato le qui prospettate conclusioni nell’atto d’appello, peraltro evidenziando che solo in sede di precisazione delle conclusioni la società aveva invocato la vittoria delle spese di entrambi i gradi del giudizio e genericamente dolendosi, nell’atto stesso, della mancata compensazione da parte del Tribunale.
Ebbene, la ricorrente neppure in memoria ha inteso replicare sul punto, donde l’inammissibilità della relativa censura per non aver la ricorrente stessa compiutamente riportato il contenuto del gravame, in parte qua , così non
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consentendo a questa Corte di verificarne la potenziale decisività già dalla mera lettura del ricorso.
Per quanto concerne, invece, la mancata compensazione delle spese del giudizio d’appello, il mezzo si rivela parimenti inammissibile, in quanto la decisione impugnata ha regolato le spese del grado secondo soccombenza. Pertanto, non può che applicarsi il principio per cui ‘ In tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione ‘ (Cass. n. 11329/2019); il riferimento operato dalla ricorrente, in memoria, al principio affermato da Cass. n. 18345/2024 è un fuor d’opera, perché esso attiene all’ipotesi in cui il giudice del merito abbia disposto la compensazione, non anche all’ipotesi opposta, qui in rilievo.
6.1 -Stante l’esito del ricorso principale, l’eccezione sollevata da gli Assicuratori LloydRAGIONE_SOCIALE in memoria, quanto al rapporto di chiamata , resta conseguentemente assorbita.
7.1 -In definitiva, il ricorso è rigettato, con correzione della motivazione, nei termini di cui ai parr. 3.1 ss.
In ragione delle novità delle questioni, mai giunte prima al vaglio di questa Corte negli esatti termini prima esposti (ossia, in relazione alla non configurabilità di un affidamento incolpevole del privato in caso di pendenza del giudizio
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sull’annullamento dell’atto , nonché con riguardo al relativo regime probatorio), sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
In relazione alla data di proposizione del ricorso principale (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n.115 (nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228).
P. Q. M.
la Corte rigetta il ricorso con correzione della motivazione e compensa le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n.115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente al competente ufficio di merito, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della