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Affidamento di fatto: prova e prescrizione in Cassazione

Una correntista ha citato in giudizio il proprio istituto di credito per addebiti illegittimi sul conto. La Corte d’Appello aveva dichiarato prescritta gran parte della pretesa, negando l’esistenza di un affidamento. La Corte di Cassazione ha cassato la sentenza, sottolineando che la Corte d’Appello ha errato nel non considerare un contratto di affidamento scritto per il periodo 1996-2000 e ha ribadito i principi sulla prova dell’affidamento di fatto per il periodo antecedente, ai fini del calcolo della prescrizione.

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Pubblicato il 20 novembre 2025 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Affidamento di Fatto: Quando il Comportamento della Banca Fa Prova

L’esistenza di un affidamento di fatto su un conto corrente è un tema cruciale nelle controversie tra clienti e istituti di credito, specialmente per i rapporti datati. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fatto luce sulla sua prova e sulle conseguenze dirette in materia di prescrizione, cassando una decisione d’appello che aveva ignorato un contratto scritto e mal interpretato la natura delle rimesse bancarie. Analizziamo questa importante pronuncia.

Il Caso: Conto Corrente e Addebiti Illegittimi

Una correntista conveniva in giudizio un istituto di credito chiedendo di ricalcolare il saldo del proprio conto corrente, sostenendo che la banca avesse applicato interessi ultra-legali, capitalizzazione anatocistica e spese non pattuite. In primo grado, il Tribunale accoglieva la domanda, condannando la banca a una cospicua restituzione. La banca, tuttavia, proponeva appello.

La Decisione della Corte d’Appello e la Prescrizione

La Corte d’appello ribaltava parzialmente la decisione di primo grado, riducendo drasticamente la somma dovuta alla cliente. Il motivo principale era l’accoglimento dell’eccezione di prescrizione sollevata dalla banca. I giudici di secondo grado avevano ritenuto prescritte tutte le pretese relative a movimentazioni antecedenti a una certa data, affermando che per il periodo tra il 1992 e il 1996 il conto era privo di affidamento. Di conseguenza, tutti i versamenti (le cosiddette “rimesse”) effettuati dalla correntista in quel periodo erano stati classificati come “solutori”, facendo decorrere il termine di prescrizione da ogni singolo versamento.

La Prova dell’Affidamento di Fatto secondo la Cassazione

La correntista ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando l’errata applicazione delle norme sulla prescrizione. La Suprema Corte ha colto l’occasione per ribadire alcuni principi fondamentali. In particolare, ha chiarito che, prima dell’entrata in vigore della Legge n. 154 del 1992, che ha introdotto l’obbligo della forma scritta per i contratti bancari, un contratto di apertura di credito poteva essere concluso anche per facta concludentia, ovvero tramite comportamenti concludenti. La prova di un affidamento di fatto può essere fornita anche tramite presunzioni, sebbene la mera tolleranza di uno scoperto di conto non sia, di per sé, sufficiente a dimostrarne l’esistenza. Spetta al cliente l’onere di provare tale accordo, anche implicito, per qualificare le rimesse come “ripristinatorie” della provvista e non “solutorie”.

L’Errore della Corte d’Appello: il Contratto Scritto Ignorato

Il punto focale della decisione della Cassazione, tuttavia, riguarda un altro periodo: quello dal 1996 al 2000. La ricorrente ha dimostrato che la Corte d’appello aveva completamente ignorato l’esistenza di un contratto di apertura di credito regolarmente stipulato per iscritto nell’aprile del 1996. Nonostante questo documento fosse stato prodotto in giudizio e accertato dal tribunale di primo grado, la corte territoriale lo aveva omesso dalla sua valutazione, estendendo erroneamente la conclusione di “assenza di affidamento” anche a questo periodo.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Cassazione ha ritenuto fondati i motivi di ricorso relativi a questo punto. La motivazione della Corte d’appello è stata giudicata “rasentare l’assoluta assenza grafica”, in quanto non ha fornito alcuna spiegazione logico-giuridica per cui le rimesse del periodo 1996-2000 dovessero essere considerate solutorie, nonostante la provata esistenza di un contratto di affidamento. L’aver omesso di esaminare un fatto così decisivo e discusso tra le parti ha comportato la nullità della sentenza per motivazione apparente e per omesso esame di un fatto decisivo. La Corte ha quindi affermato che non è possibile comprendere il percorso logico seguito dai giudici d’appello, che hanno omologato il periodo coperto da contratto a quello precedente, senza alcuna giustificazione.

Conclusioni

La Suprema Corte ha accolto i motivi relativi all’omessa valutazione del contratto scritto, cassando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, per una nuova decisione. Questa ordinanza ribadisce due principi fondamentali: primo, l’importanza della prova, anche presuntiva, dell’esistenza di un affidamento di fatto per i rapporti antecedenti al 1992 ai fini della decorrenza della prescrizione; secondo, il dovere del giudice di esaminare tutti i fatti decisivi e i documenti prodotti, la cui omissione rende la motivazione meramente apparente e vizia insanabilmente la sentenza.

Come può essere provato un affidamento di fatto per i periodi precedenti alla legge sulla trasparenza bancaria del 1992?
Secondo la Cassazione, prima della L. 154/1992 non era richiesta la forma scritta. Pertanto, l’esistenza di un’apertura di credito poteva essere provata anche tramite comportamenti concludenti e presunzioni, dimostrando che la tolleranza della banca agli scoperti non era occasionale ma rispondeva a un accordo, seppur implicito.

Qual è la differenza tra rimesse solutorie e ripristinatorie ai fini della prescrizione?
Le rimesse sono “solutorie” quando vengono effettuate su un conto scoperto privo di affidamento; sono considerate pagamenti di un debito e la prescrizione decennale per la ripetizione dell’indebito decorre da ogni singola rimessa. Sono invece “ripristinatorie” quando avvengono su un conto con affidamento, in quanto servono a ricostituire la disponibilità di credito. In questo caso, la prescrizione decorre solo dalla data di chiusura del conto.

Può un giudice ignorare un contratto scritto prodotto in giudizio?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’omessa valutazione di un fatto decisivo per il giudizio, come un contratto di affidamento regolarmente prodotto e discusso tra le parti, costituisce un vizio della sentenza. In questo caso, l’aver ignorato il contratto ha portato a una motivazione definita “apparente”, determinando la cassazione della decisione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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