Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 15073 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 15073 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30471/2020 R.G. proposto da:
CATUOGNO ANGELINA , elettivamente domiciliato in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimato- avverso sentenza di Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE n. 1858/2020 depositata il 27.5.2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21.5.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 11.2.2011 NOME COGNOME ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE -Sezione distaccata di Capri il RAGIONE_SOCIALE, chiedendo di rideterminare il saldo del conto corrente 27/4095 ed assumendo che la RAGIONE_SOCIALE vi avesse applicato illegittimamente poste debitorie per interessi in misura ultra-legale, capitalizzazione anatocistica, spese e commissioni non concordate e non dovute.
Si è costituito il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, resistendo alla domanda; è stata esperita consulenza tecnica d’ufficio (c.t.u.); la causa è stata trasmessa al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE dopo la soppressione della Sezione distaccata caprese.
Con sentenza del 28.12.2017 il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE ha accolto la domanda dell’attrice e ha condannato la RAGIONE_SOCIALE a restituirle la somma di € 136.807,55, oltre interessi e spese.
Avverso la predetta sentenza di primo grado il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE ha proposto appello, a cui ha resistito l’appellata NOME COGNOME.
La Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE con sentenza del 27.5.2020 ha accolto il gravame e ha ridotto la somma dovuta all’attrice a soli € 25.392,45, oltre interessi dalla domanda, con le spese del doppio grado compensate, e ha condannato la sig.ra COGNOME a restituire alla controparte quanto percepito in eccedenza rispetto a quanto dichiarato come effettivamente dovuto.
La Corte di appello ha ritenuto ritualmente sollevata l’eccezione di prescrizione e conseguentemente prescritte tutte le pretese relative a movimentazioni del conto corrente anteriori al 20.4.2000, affermando inoltre che dal 1992 al 1996 il conto era privo di affidamento e che pertanto tutte le rimesse avevano natura solutoria.
Avverso la predetta sentenza del 27.5.2020, notificata in data 2.11.2020, con atto notificato il 1.12.2020 ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, svolgendo quattro motivi.
L’intimata RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, non si è costituita nel giudizio di legittimità.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è procedibile ex art.369, comma 2, n.2, poiché la ricorrente ha debitamente depositato la copia autentica della sentenza impugnata con la relazione di notificazione .
Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art.360, comma 1, n.3, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione dell’art.2697, comma 2, degli artt.2935 e 2946 cod..civ. nonché dell’art.115 cod.proc.civ. relativamente alla ritenuta non configurabilità di un fido di fatto e all’accoglimento da parte della Corte territoriale dell’eccezione di prescrizione con riferimento alle rimesse del quadriennio 1992-1996.
5.1. La ricorrente, dopo aver richiamato gli arresti delle Sezioni Unite n.24418 del 2.12.2010 e 15895 del 13.6.2019, puntualizza che è onere del cliente provare l’esistenza di un contratto di apertura di credito che qualifichi lo specifico versamento da lui eseguito come mero ripristino della disponibilità accordata e che il giudice deve valorizzare la prova della stipulazione di un contratto di apertura di credito ritualmente acquista, anche in difetto di specifica allegazione del correntista, vertendosi in tema di eccezioni in senso lato.
5.2. La ricorrente si duole del fatto che la Corte di appello non abbia considerato che in data anteriore a quella di entrata in vigore della legge n.154 del 1992 (e cioè 120 giorni dopo il 24.2.1992 in cui la legge è stata pubblicata sulla G.U.) il contratto di apertura di credito era considerato a forma libera, suscettibile di conclusione
anche per fatti concludenti e abbia conseguentemente ritenuto il contratto di conto corrente privo di affidamento anche per il quadriennio 1992-1996, trascurando le evidenze probatorie, comprese le risultanze peritali, che dimostravano che il conto in questione era stato assistito invece da un affidamento di fatto.
5.3. Le Sezioni Unite hanno insegnato che « L’azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. Infatti, nell’anzidetta ipotesi ciascun versamento non configura un pagamento dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione, giacchè il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell’esecuzione di una prestazione da parte del “solvens” con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell'”accipiens” . (Sez. U, n. 24418 del 2.2.2010).
Hanno quindi puntualizzato che « In tema di prescrizione estintiva, l’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da apertura di credito, è soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto, unita alla dichiarazione di volerne profittare, senza che sia necessaria l’indicazione delle specifiche
rimesse solutorie ritenute prescritte. » (Sez. U, n. 15895 del 13.6.2019).
5.4. Come osserva la ricorrente, secondo la giurisprudenza di questa Corte, anteriormente all’entrata in vigore della legge n.154 del 1992, il contratto di apertura di credito poteva essere stipulato per fatti concludenti e non esigeva la forma scritta (Sez.1 n. 14470 del 9.7.2005; Sez.1, 7.3.2008 n.6090; Sez. 1, n. 17090 del 24.6.2008; Sez.1, n.15782 del 2.7.2010).
Il predetto principio è stato ancor di recente ribadito da questa Corte con l’affermare che in tema di prescrizione del diritto alla ripetizione di somme affluite sul conto corrente, la prova della natura ripristinatoria delle rimesse, di cui è onerato il correntista, come i suoi aventi causa, può essere fornita dando riscontro, attraverso presunzioni, della conclusione del contratto di apertura di credito, quando tale contratto sia stato concluso prima dell’entrata in vigore della l. n. 154 del 1992 e del d.lgs. n. 385 del 1993, o quando, pur operando, per il periodo successivo a quest’ultima disciplina, la nullità del contratto per vizio di forma, il correntista o il suo avente causa non facciano valere, a norma dell’art. 127, comma 2, del citato d.lgs., la nullità stessa. (Sez. 1, n. 34997 del 14.12.2023).
In quest’ultimo arresto è stato condivisibilmente osservato:
nel regime previgente all’entrata in vigore dell’art. 3 l. n. 154 del 1992, il quale ha imposto l’obbligo della forma scritta ai contratti relativi alle operazioni e ai servizi bancari, era consentita la conclusione per facta concludentia di un contratto di apertura di credito, alla luce del comportamento rilevante della banca;
non è preclusa la dimostrazione per presunzioni del contratto di apertura di credito, poiché le presunzioni semplici sono sicuramente delle prove, disciplinate nel titolo II del libro VI del codice civile, dedicato appunto alle prove;
l’art. 2725 cod.civ. è evidentemente inapplicabile ai contratti di apertura di credito conclusi in epoca in cui i medesimi non dovevano stipularsi per iscritto a pena di nullità;
è pur vero che secondo la giurisprudenza di legittimità l’esistenza di un contratto di apertura di credito bancario non può essere ricavata, per facta concludentia , dalla mera tolleranza di una situazione di scoperto (Cass. 28.7.1999, n. 8160) e che, in particolare, una situazione di fatto caratterizzata dallo svolgimento di un conto passivo con adempimenti reiterati, da parte della banca, di ordini di pagamento del correntista, anche in assenza di provvista e nell’ambito dei limiti di rischio dalla stessa banca preventivamente valutati, non dimostra in sé la stipulazione, per fatti concludenti, di un contratto di apertura di credito in conto corrente, con obbligo della banca di eseguire operazioni di credito passive, potendo la suddetta situazione di fatto trovare fondamento in una posizione di mera tolleranza da parte della banca stessa (Cass. 5.12.1992, n. 12947);
ciò non significa, tuttavia, che sia impedita la prova per presunzioni dell’apertura di credito, ma solo che una presunzione, quanto all’esistenza dell’apertura di credito, non può trarsi dalle descritte situazioni.
5.5. Il motivo, che deduce violazione di legge e specificamente della regola dell’onere probatorio (art.2697 cod.civ.), delle norme in materia di prescrizione (art.2935 e 2946 cod..civ.) e del principio di disponibilità delle prove (art.115 cod.proc.civ.) non coglie il segno e non si raffronta con la necessaria attitudine confutatoria alla succinta, eppur comprensibile, ratio decidendi della sentenza impugnata.
5.6. La Corte partenopea non ha affatto negato che il contratto di apertura di credito pro tempore potesse essere stipulato in forma concludente, ma a pagina 4, dopo aver richiamato indirizzi
giurisprudenziali di legittimità e di merito, ha assunto che la tolleranza di fatto nell’utilizzo del conto in scoperto o in esubero non dimostrava la stipulazione per facta concludentia di una apertura di credito affidata in conto corrente, « soprattutto quanto tali circostanze non consentano di determinare l’ammontare del fido asseritamente accordato (come nel caso di specie). »
Con tale concisa affermazione la Corte territoriale ha affermato che non vi era la prova nel caso di specie della stipulazione del contratto, ma solo di una mera tolleranza di fatto e ne ha anche addotto la ragione (ossia che non si sarebbe potuto indicare il limite del fido).
5.7. Ciò premesso, il mezzo proposto non solo non coglie la ratio e non censura un difetto assoluto o mera apparenza di motivazione (che peraltro, come osservato, non sussiste), ma sconfina apertamente nel merito, laddove finisce con il chiedere a questa Corte di legittimità di rivalutare il fatto e le prove per concludere che invece il negozio per fatti concludenti era stato concluso. Ciò, per giunta, senza affrontare la specifica ragione indicata dalla Corte napoletana a sostegno del suo convincimento.
I tre successivi motivi sono connessi e possono essere affrontati congiuntamente.
6.1. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art.360, comma 1, n.4, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia nullità della sentenza per motivazione apparente e comunque inferiore al minimo costituzionale relativamente all’accoglimento da parte della Corte territoriale dell’eccezione di prescrizione con riferimento alle rimesse del quadriennio 1996-2000.
6.2. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art.360, comma 1, n.5, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti con riferimento al contratto di affidamento 8.4.1996.
6.3. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art.360, comma 1, n.5, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti con riferimento alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio.
6.4. Con riferimento al periodo successivo all’aprile del 1996 la ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia totalmente ignorato l’esistenza di un contratto scritto di apertura di credito dell’8.4.1996, assumendo la perdurante inesistenza di un valido contratto di affidamento anche per il periodo intercorrente tra tale data e il 20.4.2000.
6.5. L’esistenza del contratto scritto di apertura di credito del 1996 per la somma di lire 200.000.000 era stata accertata dal Tribunale, come riferisce puntualmente la ricorrente (pag.5, ultimo capoverso, pag.6 capoverso; pag.10 capoverso; pag.11, 2° capoverso).
Inoltre, per vero, non risulta neppure che la RAGIONE_SOCIALE appellante avesse aggredito con specifico motivo quella statuizione, visto che si era concentrato le sue censure sulla corretta formulazione dell’eccezione di prescrizione e sull’insussistenza di un affidamento di fatto nel periodo 1992-1996.
6.6. Al riguardo la motivazione in forza della quale la Corte di appello si è indotta a riformare la decisione di primo grado, accogliendo l’eccezione di prescrizione e, si suppone, a considerare solutorie le rimesse operate in quel periodo 1996-2000 non supera la soglia dell’apparenza e rasenta l’assoluta assenza grafica: «…. si devono considerare prescritte tutte le movimentazioni bancarie, relative al c/c 27/4095, anteriori al 20.4.2000 (considerando la lettera interruttiva della prescrizione del 20.4.2010 indicata dal c.t.u.) e che il suddetto conto corrente, per il periodo ricompreso fra il 1992 e il 1996, era privo di affidamento (con la conseguenza che rimesse erano da considerarsi sempre di ‘natura solutoria’) ».
Non è certamente possibile comunque ricostruire e comprendere il percorso logico e giuridico seguito dai giudici partenopei nella parte riferibile alle rimesse relative al periodo 1996-2000, omologate senza alcuna spiegazione a quelle del quadriennio precedente non coperto dal contratto.
6.6. Per altro verso la ricorrente stigmatizza efficacemente, nello scrupoloso rispetto del canone di specificità e autosufficienza, l’omessa considerazione del fatto decisivo della stipulazione del contratto di apertura di credito dell’8.4.1996, prodotto in giudizio e ampiamente richiamato dal consulente d’ufficio.
Ed è innegabile che la Corte partenopea abbia completamente omesso di esaminare il fatto decisivo dell’esistenza del contratto formale, non solo discussa fra le parti ma accertata dal Tribunale.
La Corte pertanto accoglie il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso, inammissibile il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte
accoglie il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso, inammissibile il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione