Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 10379 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 10379 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 19/04/2025
1.La Corte di Appello di Roma ha accolto il gravame proposto dalla ASL Roma 1 avverso la sentenza del Tribunale che l’aveva condannata al risarcimento del danno nei confronti di NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOMEoperatori sanitari con la qualifica di infermieri professionali), NOME COGNOME
(infermiere generico), nonché nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOMEoperatori socio sanitari).
Gli originari ricorrenti avevano prestato servizio in favore dell’Amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia presso la Casa circondariale di Regina Coeli di Roma ai sensi dell’art. 53 della legge n. 740/1970, avevano dedotto che in forza del DPCM del 1.4.2008, a decorrere dal 1.10.2008 i loro rapporti di lavoro erano stati trasferiti ex lege presso l’Azienda USL Roma 1 ed avevano lamentato la mancata rideterminazione del compenso orario.
La Corte territoriale, richiamata la sentenza della Corte costituzionale n. 76/2015, ha osservato che il personale addetto agli istituti di prevenzione e di pena non appartiene ai ruoli organici dell’Amministrazione pubblica e che il rapporto di lavoro instaurato con la PA non ha carattere subordinato, ma ‘libero professionale’.
Ha escluso che i lavoratori abbiano diritto ad un adeguamento migliorativo biennale dei compensi, atteso che in for za dell’art. 53 della legge n. 740/1970 l’ente debitore è solo tenuto a determinare l’entità del compenso ogni due anni, ben potendo rifissare lo stesso importo, come è accaduto nel caso di specie, avendo l’Amministrazione ritenuto superfluo emanare i nuovi decreti in quanto non aveva inteso maggiorare i compensi.
Il giudice di appello ha osservato che quando il legislatore ha inteso attribuire un vero e proprio diritto all’adeguamento periodico dei compensi, lo ha espressamente stabilito, indicando anche i criteri di determinazione ed ha in proposito richiamato le disposizioni contenute n ell’art. 38 del d.lgs. n. 241/1997 e nell’art. 24, comma 1, della legge 448/1998 , rimarcando che la situazione degli appellati non è dissimile da quella relativa alla quasi totalità dei dipendenti pubblici (tranne eccezioni, come quelle esaminate).
Ha precisato che mentre per i rapporti di parasubordinazione regolati dall’art. 53 della legge n. 740/1970 il compenso viene stabilito dall’Amministrazione tenute presenti le indicazioni delle organizzazioni sindacali,
per il personale pubblico l’importo della retribuzione è fissato da un vero e proprio accordo con i Sindacati.
Ha aggiunto che anche gli impiegati pubblici non hanno diritto a incrementi salariali, sino a quando non venga sottoscritto un nuovo CCNL che stabilisca nuovi e migliori trattamenti retributivi e che per tale ragione l’art. 47 bis del d.lgs. n. 165/2001 ha previsto l’erogazione dell’indennità di vacanza contrattuale per i dipendenti pubblici.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo; avverso la medesima sentenza NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso successivo sulla base di tre motivi.
La ASL Roma 1 ha resistito con distinti controricorsi.
DIRITTO
Va preliminarmente ricordato il consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte secondo cui il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso, fermo restando che tale modalità non é essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorché proposto con atto a sé stante, in ricorso incidentale (Cass. SU 20 ottobre 2017, n. 24876; Cass. 17 febbraio 2004, n. 3004; Cass. 13 dicembre 2011, n. 26723; Cass. 4 dicembre 2014, n. 25662).
Nella specie deve essere considerato principale il ricorso proposto da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME in quanto è stato notificato in data 20.12.2023, mentre quello proposto da NOME COGNOME, NOME
NOME e NOME COGNOME è stato notificato in data 12.1.2024 e va dunque considerato incidentale.
2.Con l’unico motivo il ricorso principale denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 53, comma 4 legge n. 740/1970, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto insussistente il diritto dei lavoratori alla determinazione del compenso ogni biennio.
Evidenzia che le leggi citate dalla sentenza impugnata differiscono dall’art. 53 della legge n. 740/1970 sia per il dato letterale che per la loro ratio .
Rimarca in particolare che l’art. 4 del d.lgs. n. 273/1989 non prevede la determinazione biennale dei compensi, ma consente ai Ministeri coinvolti di adeguare l’originaria indennità ogni tre anni, mentre l’art. 24, comma 1, della legge n. 448/1998 si rifer isce ai lavoratori subordinati e parla di ‘adeguamento’ degli stipendi, delle indennità e degli assegni, mentre l’art. 53 della legge n. 740/1970 prevede la ‘determinazione’ del compenso di lavoratori non subordinati.
Sostiene che la ratio della norma è quella di consentire a tali lavoratori di fruire di una rideterminazione biennale dei loro compensi orari e che la volontà del legislatore era quella di corrispondere alla categoria dei lavoratori in questione un compenso giusto ed attualizz ato all’aumentare del costo della vita.
Con il primo motivo il ricorso incidentale denuncia violazione delle norme di legge sul servizio di guardia infermieristica negli istituti di prevenzione e pena ex art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., con particolare riferimento all’art. 53 della legge n. 740/1970, per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che la mancata determinazione biennale equivarrebbe alla determinazione dell’ente datore di lavoro di non maggiorare i compensi stabiliti e che l’Amministrazione non sarebbe obblig ata ad aggiornare il compenso nel termine biennale.
Evidenzia che secondo il DPCM del 1.4.2008, l’art. 53 della legge n. 740/1970, secondo cui il compenso orario va determinato ogni biennio, continua ad applicarsi alle prestazioni professionali ivi indicate anche a seguito del passaggio del Servizio alla competenza della ASL Roma 1.
Aggiunge che le argomentazioni della sentenza impugnata, riferite a fattispecie del tutto diverse, si elidono tra di loro.
Richiama una decisione di segno contrario della stessa Corte territoriale, evidenziando che la ratio legis è quella di bilanciare il favor costituito dalla previsione, nell’ambito di un rapporto lavorativo professionale che non implica aggravi di tipo previdenziale per il datore di lavoro, un compenso determinato secondo un criterio orario, con la revisione del compenso biennale omnicomprensivo.
Con il secondo motivo il ricorso incidentale denuncia violazione delle norme di legge ex art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., con particolare riferimento all’art. 53 della legge n. 740/1970, nonché ai principi di correttezza e buona fede con riferimento agli artt. 1366 e 1375 cod. civ., ai principi del legittimo affidamento e dell’abuso del diritto.
Richiama la sentenza di primo grado, addebitando alla Corte territoriale di non averne compreso la ratio decidendi .
Evidenzia che anche nel caso in cui manchi uno specifico obbligo contrattuale o di legge, la condotta che non si faccia carico di preservare i diritti della controparte si pone in contrasto con la regola di comportamento secondo buona fede e dà luogo a responsabilità risarcitoria.
Lamenta la violazione dell’art. 53 della legge n. 740/1970, richiamato anche dai contratti di assunzione.
Con il terzo motivo il ricorso incidentale denuncia violazione delle norme di legge ex art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., con particolare riferimento agli artt. 2041 e 2042 cod. civ.
Lamenta l’omessa pronuncia e l’inesistenza della motivazione sulla domanda di indebito arricchimento.
Evidenzia che la ASL, giovandosi della propria inerzia rispetto all’indicazione normativa di aggiornare il compenso orario ogni biennio, ha locupletato un ingiusto vantaggio economico a discapito dei lavoratori, considerato che il compenso orario degli infermieri non è stato aggiornato per oltre dieci anni.
Il ricorso principale ed i primi due motivi del ricorso incidentale, che vanno trattati congiuntamente per ragioni di connessione logica, sono infondati.
Il DPCM 1.4.2008, pubblicato in G.U. 30.5.2008 n. 126 ha dato attuazione all’art. 2, comma 283, della legge n. 244/2007 a termini del quale ‘ sono definiti, nell’ambito dei livelli essenziali di assistenza previsti dalla legislazione vigente e delle risorse finanziarie (…) b) le modalità e le procedure (…) per il trasferimento al Servizio sanitario nazionale dei rapporti di lavoro in essere (…) relativi all’esercizio di funzioni sanitarie nell’ambito del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria e del Dipartimento della giustizia minorile del Ministero della giustizia, con contestuale riduzione delle dotazioni organiche dei predetti Dipartimenti in misura corrispondente alle unità di personale di ruolo trasferite al Servizio sanitario nazionale ‘ ed ha disciplinato le modalità, i criteri e le procedure per il trasferimento dei rapporti di lavoro relativi alla sanità penitenziaria.
In particolare, l ‘art. 3, comma 4, del suddetto DPCM ha previsto espressamente che: ‘ 4. I rapporti di lavoro del personale sanitario instaurati ai sensi della legge 9 ottobre 1970, n. 740, in essere alla data del 15 marzo 2008 sono trasferiti, a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, dal Dipartimento dell’Amministr azione penitenziaria e dal Dipartimento della giustizia minorile del Ministero della giustizia alle Aziende sanitarie locali del Servizio sanitario nazionale nei cui territori sono ubicati gli istituti e servizi penitenziari e i servizi minorili di riferimento e continuano ad essere disciplinati dalla citata legge n. 740 del 1970 fino alla relativa scadenza. Tali rapporti, ove siano a tempo determinato con scadenza anteriore al 31 marzo 2009, sono prorogati per la durata di dodici mesi a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto ‘.
E’ stato dunque disposto il trasferimento ex lege al Servizio Sanitario Nazionale dei rapporti di lavoro con l’Amministrazione Penitenziaria ‘instaurati ai sensi della L. n. 740/1970’ ed ‘in essere alla data del 15 marzo 2008’.
Questa Corte ha recentemente ribadito la peculiarità di una prestazione d’opera sottoposta a vincoli di controllo del committente solo in ragione della complessa realtà del carcere e non in ragione del potere direttivo tipico della subordinazione ed ha pertanto ritenuto che tale peculiarità non consenta una trasposizione della disciplina già prevista nella diversa realtà, giuridica e
professionale, determinata dal trasferimento ai sensi del DPCM del 1.4.2008 (Cass. n. 20159/2024).
Si è dunque chiarito che con il transito dei rapporti di lavoro del personale sanitario instaurati ai sensi della legge n. 740/1970 dal Ministero della Giustizia al Servizio Sanitario Nazionale, tali rapporti sono stati ricondotti nell’ambito della contrattazione della Medicina generale; pertanto la previsione relativa all’adeguamento del compenso non era più invocabile in mancanza di una negoziazione collettiva che l’avesse recepita trasponendola anche nella diversa realtà giuridica.
C on il trasferimento e l’incardinamento presso il Servizio Sanitario Nazionale , anche tali peculiari rapporti sono stati dunque ricondotti nell’ambito della contrattazione della Medicina generale, la cui norma fondativa è l’art. 48 della legge n. 833 del 1978 istitutiva del SSN.
Tale disposizione ha previsto che l’uniformità del trattamento economico e normativo del personale sanitario a rapporto convenzionale è garantita sull’intero territorio nazionale da convenzioni, aventi durata triennale, del tutto conformi agli accordi collettivi nazionali stipulati tra il Governo, le regioni e l’A.N.C.I. e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative in campo nazionale di ciascuna categoria.
Pertanto, se a termini dell’art. 3, comma 4, i suddetti rapporti continuano ad essere disciplinati dalla legge n. 740/1970 fino alla relativa scadenza e ove siano a tempo determinato con scadenza anteriore al 31 marzo 2009, sono prorogati per la durata di dodici mesi a decorrere dalla data di entrata in vigore del DPCM, quelli scaduti dopo tale entrata in vigore ovvero comunque affidati o rinnovati dopo tale data non possono più essere disciplinati dalla legge n. 740/1970, essendo esclusa una iperestensione degli ambiti stabiliti dalla stessa legge.
Si è inoltre evidenziato che il blocco delle procedure negoziali ha riguardato anche quelle relative ai rapporti convenzionali esistenti nel SSN, secondo quanto previsto dall’art. 9, comma 24, della legge n. 122/2010, dall’art. 16 della legge n.111/2011, d all’art. 1, comma 2, del d.P.R. n. 122 del 4.9.2013 e dall’art. 1, commi 254, 255, 256 della legge n. 190/2014, nonché la sussistenza in capo
alla ASL di qualsivoglia potere unilaterale di rideterminazione del compenso oggetto del giudizio.
La sentenza impugnata è conforme a tali principi, in quanto ha escluso che ricorrenti originari abbiano diritto ad un automatico adeguamento migliorativo biennale dei compensi.
E’ infondato anche il terzo motivo del ricorso incidentale.
Non sussist ono l’omessa pronuncia né l’inesistenza della motivazione, avendo la sentenza impugnata rigettato la domanda subordinata proposta ai sensi dell’art. 2041 cod. civ. per le medesime ragioni esposte quanto al rigetto della domanda principale.
Questa Corte ha comunque escluso la possibilità di invocare l’art. 2041 cod. civ., non vertendosi in ambito di totale assenza del titolo causale, ma discutendosi di una fattispecie regolamentata da apposite norme legali ancorché non idonee a soddisfare le istanze dei ricorrenti (Cass. n. 20159/2024 cit.).
Deve inoltre rammentarsi che l’azione di ingiustificato arricchimento ha carattere sussidiario ed è quindi inammissibile, ai sensi dell’art. 2042 cod. civ., qualora il danneggiato, secondo una valutazione da compiersi in astratto e dunque prescindendo dalla previsione del suo esito, possa esercitare un’altra azione per farsi indennizzare il pregiudizio subito (v. Cass. S.U. n. 280452/2008; Cass. n. 25461/2010; Cass. n. 19988/2018).
In conclusione, il ricorso principale e il ricorso incidentale vanno rigettati.
Le spese del giudizio di legittimità vanno compensate, considerato che la decisione di questa Corte sulle questioni giuridiche oggetto del presente giudizio è successivo alla sentenza impugnata.
12 . Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per i ricorrenti principali ed i ricorrenti incidentali, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte rigetta sia il ricorso principale che il ricorso incidentale e compensa le spese del giudizio di legittimità;
dà atto della sussistenza dell’obbligo per i ricorrenti principali ed i ricorrenti incidentali, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte