Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 4087 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L   Num. 4087  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21698/2019 R.G. proposto da :
COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME  NOMENOME  COGNOME  NOMENOME  COGNOME  NOME, COGNOME  NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME  NOME,  COGNOME  NOMENOME  COGNOME  NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, rappresentati e difesi  dall’AVV_NOTAIO  e  domiciliati  presso  il  medesimo come da pec registri di giustizia
-ricorrenti-
COGNOME  NOMENOME  n.q.  di  erede  di  COGNOME  NOMENOME  COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME  COGNOME  NOMENOME  COGNOME  NOMENOME  COGNOME  NOMENOME COGNOME  NOME,  COGNOME  NOME,  COGNOME  NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME
NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME , rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME AVV_NOTAIO -ricorrenti successivi- contro
RAGIONE_SOCIALE, PRESIDENZA DEL RAGIONE_SOCIALE DEI MINISTRI, RAGIONE_SOCIALE,  RAGIONE_SOCIALE,  RAGIONE_SOCIALE, domiciliati in ROMA,  INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA  GENERALE  DELLO  STATO  che  li  rappresenta  e difende;
avverso la SENTENZA  della CORTE  D’APPELLO  BOLOGNA  n. 89/2019 depositata il 06/02/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 05/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.
i ricorrenti meglio indicati in epigrafe, medici che avevano frequentato, tra il 1995 ed il 2007, corsi post lauream presso l’RAGIONE_SOCIALE, svolgendo attività nelle strutture sanitarie, hanno agito davanti al Tribunale di quella stessa città nei confronti delle parti pubbliche, anch’esse meglio indicate in epigrafe, per sentir riconoscere il diritto all’adeguamento, mai corrisposto, della borsa di studio loro erogata ai sensi dell’art. 6 del d.lgs. n. 257 del 1991 e ciò con riferimento sia all’incremento annuale secondo il tasso di inflazione, sia alla rideterminazione triennale dell’ammontare sulla base dell’evolversi della contrattazione collettiva del settore;
le  domande sono state accolte in primo grado, con riferimento  al solo adeguamento triennale, nei limiti della prescrizione decennale, ma  la  pronuncia  è  stata  poi  riformata  dalla  Corte  d’Appello  di Bologna,  sulla  base  del  richiamo  ad  alcuni  precedenti  di  questa S.C., con rigetto integrale delle pretese azionate;
2.
un  gruppo  di  medici  ha  proposto  ricorso  per  cassazione,  cui  è seguito un secondo ricorso per cassazione di altri medici, riunito al primo in forza della disciplina del codice di rito, riguardando essi la medesima sentenza;
al  ricorso  principale  le  parti  pubbliche  hanno  opposto  difese  con controricorso;
i medici hanno depositato memorie illustrative
RAGIONI RAGIONE_SOCIALE DECISIONE
1.
si deve preliminarmente dare atto che il ricorso successivo avverso la medesima sentenza è da intendere come ricorso incidentale; vale infatti il principio consolidato per cui « nei procedimenti con pluralità di parti, una volta avvenuta ad istanza di una di esse la notificazione del ricorso per cassazione, le altre parti, alle quali il ricorso sia stato notificato, debbono proporre, a pena di decadenza, i loro eventuali ricorsi avverso la medesima sentenza nello stesso procedimento e, perciò, nella forma del ricorso incidentale, ai sensi dell’art. 371 c.p.c., in relazione all’art. 333 dello stesso codice, salva la possibilità della conversione del ricorso comunque presentato in ricorso incidentale – e conseguente riunione ai sensi dell’art. 335 c.p.c. – qualora risulti proposto entro i quaranta giorni (come certamente è nel caso di specie, n.d.r.) dalla notificazione del primo ricorso principale, posto che in tale ipotesi, in assenza di una espressa indicazione di essenzialità dell’osservanza delle forme del ricorso incidentale, si ravvisa l’idoneità del secondo ricorso a raggiungere lo scopo » (Cass. 19 dicembre 2019, n. 33809; Cass. 7 novembre 2013, n. 25054);
2.
ciò  posto,  il  primo  motivo  del  ricorso  principale  adduce,  ai  sensi dell’art.  360  n.  3  c.p.c.,  la  violazione  per  erronea  e o  mancata applicazione dell’art. 6 del d. lgs. n. 257 del 1991 e violazione delle Direttive  CEE  n.  75/362,  75/363,  82/76  e  93/16,  in  relazione all’art. 297 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea;
il secondo motivo sostiene invece, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione ed errata applicazione dell’art. 2946 c.c. per carenza di individuazione del momento da cui far decorrere la prescrizione; il primo motivo del ricorso successivo/incidentale afferma la violazione dell’art. 434 c.p.c. sul presupposto che il ricorso in appello fosse privo di indicazioni sulle ragioni di critica proposte avverso la motivazione del giudice di prime cure, limitandosi a riproporre le argomentazioni di merito svolte in primo grado e ciò senza che la Corte territoriale abbia preso posizione sulla questione della specificità dei motivi, incorrendo « in un vizio di legge ed in una omissione »;
il secondo motivo denuncia la violazione (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c) del d. lgs. n. 257 del 1991, art. 6, co. 1, del d.l. n. 384 del 1992, art. 7, co. 5, dalla legge n. 537 del 1993, art. 3, co. 36, della legge n. 549 del 1995, art. 1, co. 33, della legge n. 449 del 1997, art. 32, co. 12, della legge n. 488 del 1999, art. 22 e della legge n. 289 del 2002, art. 3, co. 36 e con esso si sostiene che, mentre la rivalutazione restava bloccata per l’anno 1993 e poi per i successivi anni, ciò non accadeva per gli adeguamenti riconnessi all ‘evolversi della contrattazione collettiva successivi al 31.12.1993;
il  terzo motivo del ricorso successivo/incidentale, ancora rubricato ai sensi del l’art . 360 nn. 3 e 5 c.p.c., assume la violazione e falsa applicazione  della  Direttiva  n.  93/16/CEE,  nonché  delle  Direttive CEE  n.  75/362,  75/363  e  82/76  e dell’art.  288 del  Trattato  sul Funzionamento  dell’Unione  Europea ,  sostenendosi  che  il  diritto interno realizzerebbe la violazione del diritto eurounitario in ambito di medici specializzandi;
con il quarto motivo si afferma infine la violazione del d. lgs. n. 257 del 1991, art. 6, co. 1, per il mancato  riconoscimento  del risarcimento  del  danno  per  mancata  concreta  attuazione  della direttiva comunitaria, ritardo nella decretazione ministeriale prevista dalla norma denunciata ed omessa pronuncia e violazione
e falsa applicazione del d. lgs. n. 368 del 1999, artt. 37-39 e 46, della  Direttiva  93/16/CEE,  del  d.  lgs.  n.  370  del  1999,  art.  11  e dell’art. 189, co. 3, del Trattato C.E.E. in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., per non essere stata garantita ai medici specializzandi la adeguata remunerazione richiesta dalla citata normativa;
3.
procedendo  alla  disamina  in  ordine  logico  dei  motivi,  va  intanto detto  come  non  possa  trovare  accoglimento  il  primo  motivo  del ricorso  successivo/incidentale,  con  cui  si  denuncia  la  violazione dell’art. 434 c.p.c. ;
la narrativa contenuta nella sentenza impugnata fa riferimento all’avere le parti pubbliche appellanti sostenuto la congruità della borsa di studio anche prima RAGIONE_SOCIALE adeguamenti del 2006/2007, per il rientrare della determinazione della concreta misura di essa nella discrezionalità del legislatore interno, entro i limiti delle disponibilità finanziarie, così come era da considerare non in contrasto con la Direttiva la sterilizzazione del duplice meccanismo di adeguamento, annuale e triennale;
d’altra parte, questa SRAGIONE_SOCIALE ha ritenuto, con orientamento ormai del tutto consolidato che « gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di ‘revisio prioris instantiae’ del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle
impugnazioni a critica vincolata » (Cass., S.U., 16 novembre 2017, n. 27199);
se ne può dunque concludere che le deduzioni delle parti appellanti principali, pur nella sintesi operata dalla corte territoriale, manifestando  chiaramente  il  senso  critico,  sul  piano  giuridico, dell’impugnativa ,  fossero  del  tutto  idonee  a  devolvere  il  tema  del contendere al giudice di secondo grado, sicché deve concludersi nel senso  che  non  si  è  realizzata  alcuna  violazione  della  norma  del codice di rito su cui fa leva il motivo;
4.
nel merito RAGIONE_SOCIALE adeguamenti, non si può che fare rinvio, anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., alla recente pronuncia delle S.U. con la quale è stato confermato l’orientamento già del tutto consolidato presso questa S.C., secondo cui «l’importo delle borse di studio dei medici specializzandi iscritti ai corsi di specializzazione negli anni accademici compresi tra il 1992/1993 e il 2005/2006 non è soggetto né all’incremento annuale in relazione alla variazione del costo della vita né all’adeguamento triennale, previsti dall’art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 257 del 1991, in virtù del blocco di tali aggiornamenti previsto, con effetti convergenti e senza soluzione di continuità, dall’art. 7, comma 5, d.l. n. 384 del 1992, conv. dalla l. n. 438 del 1992, come interpretato dall’art. 1, comma 33, della l. n. 549 del 1995; dall’art. 3, comma 36, della l. n. 537 del 1993; dall’art. 1, comma 66, della l. n. 662 del 1996; dall’art. 32, comma 12, della l. n. 449 del 1997; dall’art. 22 della l. n. 488 del 1999; dall’art. 36 della l. n. 289 del 2002 » (Cass., S.U., 19 luglio 2024, n. 20006) e ciò anche sul presupposto, ribadito dalle S.U., per cui « l’attività svolta dai medici iscritti alle scuole di specializzazione universitarie non è inquadrabile nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato né del lavoro parasubordinato, non essendo ravvisabile una relazione sinallagmatica di scambio tra la suddetta attività e la remunerazione prevista dalla legge. Trattasi piuttosto di un
rapporto di diritto privato come tale sottratto ai limiti ed ai vincoli di disciplina che sono invece propri del rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato, in ragione della rilevanza costituzionale  e  sovranazionale  dei  diritti  coinvolti »,  trattandosi quindi  di  rapporti  muniti  di  una  propria  autonoma  regolazione legale,  cui  non  possono  sovrapporsi  regole  e  principi  propri  del lavoro subordinato o autonomo;
è  del  resto  mal  posto  il  richiamo  a  precedenti  (Cass.  26  febbraio 2019,  n.  5509;  Cass.  S.U.  31  luglio  2018,  n.  20348,  con  rinvio anche  a  Corte  di  Giustizia  24  gennaio  2018  in  cause  riunite  C616/16  e  C-617/16)  che  riguardano  specializzandi  di altre e anteriori  annate per  i  quali  era  mancata  del  tutto  l’attuazione interna del diritto europeo;
5.
quanto  ai  profili  di  inadeguatezza  eurounitaria  del  sistema,  essi sono stati esclusi già da Cass. 23 febbraio 2018, n. 4449;
con tale pronuncia si è ritenuta l’infondatezza dell’assunto secondo cui « lo Stato Italiano avesse dato attuazione alla Direttiva solo nell’anno 2007 … perché … con il D. Lgs. 17 agosto 1999 n. 368 il legislatore italiano ha dato attuazione alla direttiva 93/16/CEE in materia di libera circolazione dei medici e di reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli e delle direttive 97/50/CE, 98/21/CE, 98/63/CE e 99/46/CE che modificano la direttiva 93/16/CEE. 77 »;
d’altra parte  si afferma  sempre  in  quella pronuncia –  « il legislatore … nel  disporre  il  differimento  dell’applicazione  delle disposizioni  contenute  negli  artt.  da  37  a  42  e  la  sostanziale conferma del contenuto del D. Lgs. n. 257 del 1991 ha esercitato legittimamente la sua potestà legislativa, non essendo vincolato a disciplinare il rapporto dei medici specializzandi secondo un particolare schema giuridico né ad attribuire una remunerazione di ammontare preindicato »
a  quella  statuizione  ne  sono  seguite  altre  conformi  ed  anche  di recente  vi  stata  ulteriore  analisi  della  tematica,  con  conferma dell’orientamento;
Cass. 20 novembre 2024, n. 29920 ha infatti precisato che « lo Stato italiano aveva adempiuto al proprio obbligo di fissazione di una adeguata rimunerazione già con l’art. 6 del d.lgs. n. 257 del 1991; la normativa dell’Unione europea, infatti, non contiene, né potrebbe essere diversamente, alcuna definizione di quale sia la rimunerazione adeguata, la cui soglia deve essere fissata dagli Stati membri nell’esercizio della propria discrezionalità, la quale trova un inevitabile limite anche nelle esigenze di contenimento della spesa pubblica. Come ha efficacemente spiegato la sentenza n. 4449 del 2018 della Sezione Lavoro, il legislatore, «nel disporre il differimento dell’applicazione delle disposizioni contenute negli artt. da 37 a 42 (del d.lgs. n. 368 del 1999) e la sostanziale conferma del contenuto del d.lgs. n. 257 del 1991, ha esercitato legittimamente la sua potestà legislativa (Cass. 15362/2014), non essendo vincolato a disciplinare il rapporto dei medici specializzandi secondo un particolare schema giuridico né ad attribuire una remunerazione di ammontare preindicato (cfr. punti nn. 23 e 24 di questa sentenza). Né vale argomentare che lo stesso legislatore italiano, intervenendo in materia, ha modificato la legislazione del 1991 con l’introduzione di una nuova normativa nel 1999 incentrata sullo schema della formazione-lavoro; anche ammettendo che il nuovo sistema sia più congeniale a disciplinare la specifica condizione dei medici specializzandi, non può desumersi dalla sola successione di leggi diverse che la precedente disciplina non fosse idonea in ordine al recepimento delle direttive ed a dare effettiva tutela al diritto ivi affermato dell’adeguata retribuzione». In altri termini, in conformità all’ordinanza n. 6355 del 2018, va affermato che il «nuovo ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina RAGIONE_SOCIALE chirurgia introdotto con il decreto
legislativo n. 368 del 1999 (a decorrere dall’anno accademico 2006/2007, in base alla legge n. 266 del 2005), e il relativo meccanismo di retribuzione, non possono pertanto ritenersi il primo atto di effettivo recepimento ed adeguamento dell’ordinamento italiano agli obblighi derivanti dalle direttive comunitarie, in particolare per quanto riguarda la misura della remunerazione spettante ai medici specializzandi, ma costituiscono il frutto di una successiva scelta discrezionale del legislatore nazionale, non vincolata o condizionata dai suddetti obblighi». Ragione per cui l’inadempimento dell’Italia agli obblighi comunitari, sotto il profilo in esame, è cessato con l’emanazione del decreto legislativo n. 257 del 1991, come del resto la Corte di giustizia dell’Unione europea ha già da tempo affermato (v. le sentenze 25 febbraio 1999 in causa C-131/97, COGNOME, e 3 ottobre 2000 in causa C-371/97, COGNOME); e il d.lgs. n. 368 del 1999 è intervenuto in un ambito di piena discrezionalità per il legislatore nazionale. 9.4. Alla luce di quanto detto fin qui, pare evidente che non c’è alcuno spazio per invocare ipotetiche violazioni del diritto dell’Unione europea e che la causa promossa dai ricorrenti è finalizzata, in realtà, ad ottenere l’applicazione retroattiva del d.lgs. n. 368 del 1999. Ne consegue che ogni questione non può che riguardare «esclusivamente l’ordinamento interno» (ordinanza n. 6355 del 2018). Ma, a prescindere dal fatto che nessuna doglianza risulta essere stata avanzata sotto tale profilo in sede di merito, osserva il Collegio che il differimento dell’entrata in vigore della normativa di cui al d.lgs. n. 368 del 1999 -che è una normativa più favorevole -rientrava nella discrezionalità del legislatore, sicché il farla scattare dal 2007 non solo non ha potuto determinare alcuna situazione di tardivo recepimento del diritto comunitario, ma nemmeno ha violato l’art. 3 Cost. sul versante della ragionevolezza, in quanto una normativa di favore e migliorativa rispetto ad una vigente può essere fatta entrare in vigore dal legislatore nazionale nel momento in cui,
secondo la discrezionalità che gli appartiene, egli lo reputi opportuno. Non si pone, perciò, alcuna questione di rinvio pregiudiziale  e  nemmeno  alcuna  questione  di  costituzionalità  di diritto interno »;
non resta quindi che richiamarsi a tale orientamento costante, che esclude dubbi sul piano del diritto eurounitario, anche quindi sotto il profilo risarcitorio:
anzi, il risalire della regolazione al diritto interno -complessivamente  inteso  –  assorbe  poi,  in  ultima  analisi,  anche ogni profilo riguardante il blocco di aggiornamenti ed adeguamenti disposto sempre dalla normativa nazionale, secondo quanto argomentato dalle S.U. e dal costante orientamento cui esse hanno dato conferma;
6.
quanto  sopra  comporta  il  rigetto  delle  corrispondenti  censure, contenute rispettivamente nel primo motivo del ricorso principale e nel secondo, terzo e quarto del ricorso successivo/incidentale;
7.
il  rigetto dei motivi che attengono alla fondatezza di merito rende superfluo il motivo (il secondo del ricorso principale) riguardante il tema della prescrizione, non essendo da discutere di essa rispetto a domande che non vengono accolte;
8.
entrambi i ricorsi vanno quindi complessivamente disattesi;
9.
come già avvenuto nella recente pronuncia delle S.U., chiamata ad esprimersi  nuovamente  sul  tema  del  contendere,  si  può  ritenere che  la  complessità  del  quadro  normativo  di  riferimento  induca  a ritenere sussistenti i presupposti per l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione;
P.Q.M.
rigetta  entrambi  i  ricorsi;  compensa  le  spese  del  giudizio  di cassazione.
Ai  sensi  dell’art.  13  comma  1  quater  del  d.P.R.  n.  115  del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti  principali  e  successivi ,  dell’ulteriore  importo  a  titolo  di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e successivo, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro