Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 32689 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 32689 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
SENTENZA
sul ricorso 16669-2021 proposto da:
COGNOME NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO nello studio de ll’avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso in proprio e da ll’avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME rappresentati e difesi d all’avv. NOME COGNOME e domiciliati presso la cancelleria della Corte di Cassazione
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 4612/2020 della CORTE DI APPELLO di NAPOLI, depositata il 31/12/2020;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
udito il P.G., nella persona della dott. NOME COGNOME uditi l’a vv. NOME COGNOME in sostituzione dell’avv. COGNOME per parte ricorrente , e l’avv. NOME COGNOME per parte controricorrente
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 14.1.2010, COGNOME NOME evocava in giudizio COGNOME NOME, NOME Felice, NOME e NOME innanzi il Tribunale di Nola, invocando l’accertamento della sua proprietà esclusiva di un viottolo sito in territorio del Comune di San Gennaro Vesuviano, dell’inesistenza dei diritti esercitati dai convenuti su di esso, nonché la loro condanna alla rimozione delle opere da essi realizzate in violazione delle distanze ed al risarcimento del danno.
Si costituivano i convenuti, resistendo alla domanda e chiedendo, in via riconvenzionale, l’accertamento dell’intervenuto acquisto per usucapione del loro diritto a mantenere quanto realizzato e la condanna dell’attore ad eliminare uno sporto realizzato in violazione delle distanze.
Con sentenza n. 404/2015 il Tribunale rigettava la domanda principale ed accoglieva in parte quella riconvenzionale, condannando il COGNOME ad eliminare lo sporto da quegli realizzato. Il giudice di prime
cure qualificava la domanda come rivendicazione e riteneva non assolto l’onere della prova della proprietà del viottolo oggetto di causa, poiché la particella catastale che lo identificava era esclusa dal titolo prodotto dall’attore.
Interponeva appello il COGNOME e la Corte di Appello di Napoli, con la sentenza impugnata, n. 4612/2020, resa nella resistenza degli odierni controricorrenti, rigettava il gravame, confermando la decisione di primo grado.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione COGNOME NOMECOGNOME affidandosi a tre motivi.
Resistono con controricorso COGNOME NOME, NOME, NOME e NOME.
Il ricorso è stato chiamato una prima volta all’adunanza in camera di consiglio del 16.6.2022, innanzi la sesta sezione di questa Corte, in prossimità della quale la parte controricorrente ha depositato memoria, instando per la distrazione delle spese in favore dell’avv. NOME COGNOME
Con ordinanza interlocutoria n. 21926/2022, non ravvisando l’evidenza decisoria, il Collegio ha rinviato il ricorso a nuovo ruolo perché fosse trattato in udienza pubblica.
Esso è quindi stato chiamato all’udienza pubblica del 18.6.2024, in prossimità della quale ambo il P.G. ha depositato requisitoria scritta, concludendo per l’inammissibilità del ricorso, e le parti hanno depositato memoria.
All’esito della detta udienza pubblica, a causa dei motivi di sicurezza legati ad un principio di incendio verificatosi all’interno del Palazzo di Giustizia, il ricorso è stato dapprima rinviato alla successiva udienza del 26.9.2024 e poi nuovamente rinviato, con provvedimento del presidente in data 12.9.2024, all’odierna udienza pubblica, in
prossimità della quale la parte ricorrente ha depositato ulteriore memoria.
Sono comparsi all’udienza pubblica il P.G., nella persona della dott.ssa NOME COGNOME la quale ha concluso come da requisitoria scritta, l’avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME per parte ricorrente, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso, e l’avv. NOME COGNOME per parte controricorrente, che ha invece invocato il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la parte ricorrente lamenta la violazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., 839 e 2697 c.c., 42 e 111 Cost., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., perché la Corte di Appello non avrebbe tenuto conto delle corrette risultanze dei titoli di proprietà allegati agli atti del giudizio di merito. In particolare, la Corte territoriale avrebbe dovuto rilevare che la quota assegnata all’odierno ricorrente era stata individuata con specifici segni posti sul confine.
Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 113, 115 c.p.c. e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe erroneamente interpretato il contenuto della domanda proposta dall’originario attore. Quest’ultima, in particolare, avrebbe dovuto essere considerata quale actio negatoria servitutis , e non invece come rivendicazione, con conseguente applicazione del regime probatorio più favorevole, e meno gravoso, per l’odierno ricorrente.
Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta invece la violazione e falsa applicazione degli artt. 1027, 1056 c.c., 119, 122 del R.D. n. 1755 del 1933, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché il giudice di secondo grado avrebbe deciso la causa senza tener conto
che sul viale oggetto di causa insistevano già due servitù, rispettivamente di elettrodotto, a favore dell’Enel, e di passaggio, in favore di un fondo altrimenti intercluso. L’esistenza di dette servitù avrebbe dovuto precludere, secondo il ricorrente, la configurabilità di un ulteriore diritto reale in favore del diverso fondo degli odierni controricorrenti. Inoltre, la Corte territoriale avrebbe tralasciato di considerare che gli odierni controricorrenti avevano aperto un accesso provvisorio sul vialetto di cui è causa solo per poter realizzare le opere di ampliamento del loro fabbricato, ond’essi potevano vantare solo una condizione di detenzione, e non di possesso.
Tra le predette censure, dev’essere esaminata con priorità quella posta con il secondo motivo, poiché essa concerne la correttezza dell’interpretazione della domanda formulata dal COGNOME.
Al riguardo, occorre innanzitutto evidenziare che è lo stesso ricorrente a dare atto di aver chiesto al Tribunale l’accertamento della proprietà esclusiva del viale oggetto di causa (cfr. pag. 17 del ricorso, circa a metà pagina).
Inoltre, va ribadito che la rilevazione ed interpretazione del contenuto della domanda, che è attività riservata al giudice di merito, ‘non è censurabile ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., perché non pone in discussione il significato della norma ma la sua concreta applicazione operata dal giudice di merito, il cui apprezzamento, al pari di ogni altro giudizio di fatto, può essere esaminato in sede di legittimità soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione, entro i limiti in cui tale sindacato è ancora consentito dal vigente art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c. (ex plurimis: Cass. Sez. 6-1, n. 31546 del 03.12.2019). In tal caso, il dedotto errore del giudice non si configura come error in procedendo, ma attiene al momento logico relativo all’accertamento in concreto della volontà della parte (Cass. n. 20718 del 13 agosto 2018)’
(Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 12814 del 10/05/2024, non massimata, richiamata dal P.G. nella sua requisitoria). Infatti, fermo restando che ‘L’interpretazione della domanda deve essere diretta a cogliere, al di là delle espressioni letterali utilizzate, il contenuto sostanziale della stessa, desumibile dalla situazione dedotta in giudizio e dallo scopo pratico perseguito dall’istante con il ricorso all’autorità giudiziaria’ (Cass. Sez. U, Sentenza n. 3041 del 13/02/2007, Rv. 594291), tale operazione ermeneutica, riservata al giudice di merito, è sindacabile in Cassazione soltanto: ‘… a) ove ridondi in un vizio di nullità processuale, nel qual caso è la difformità dell’attività del giudice dal paradigma della norma processuale violata che deve essere dedotto come vizio di legittimità ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.; b) qualora comporti un vizio del ragionamento logico decisorio, eventualità in cui, se la inesatta rilevazione del contenuto della domanda determina un vizio attinente alla individuazione del petitum, potrà aversi una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, che dovrà essere prospettato come vizio di nullità processuale ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.; c) quando si traduca in un errore che coinvolge la qualificazione giuridica dei fatti allegati nell’atto introduttivo, ovvero la omessa rilevazione di un fatto allegato e non contestato da ritenere decisivo, ipotesi nella quale la censura va proposta, rispettivamente, in relazione al vizio di error in judicando, in base all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., o al vizio di error facti, nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 11103 del 10/06/2020, Rv. 658078). In ogni altro caso, la censura relativa all’interpretazione della domanda va dichiarata inammissibile perché essa attinge essenzialmente un accertamento di merito.
Il primo motivo di ricorso è egualmente inammissibile, sia quanto alla deduzione del vizio di omesso esame, sia in relazione alla lamentata violazione di legge.
Sotto il primo profilo, va evidenziato che il vizio di omesso esame non può essere utilmente sollevato in sede di legittimità in presenza di una ipotesi di cd. doppia conforme. Inoltre, nel caso di specie l’omesso esame denunziato dal COGNOME cadrebbe sul contenuto dei titoli di proprietà allegati agli atti del giudizio di merito, e dunque non su un fatto storico considerato nella sua oggettiva esistenza, ‘… dovendosi intendere per “fatto” non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso e decisivo’ (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17761 del 08/09/2016, Rv. 641174; cfr. anche Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 2805 del 05/02/2011, Rv. 616733). Non sono quindi ‘fatti’ nel senso indicato dall’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., né le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, ed infine neppure le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base delle prove acquisite nel corso del relativo giudizio.
Per quel che invece attiene alla violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., lamentata dal COGNOME con la doglianza in esame, merita di essere confermato il principio secondo cui ‘In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte
dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.’ (Cass. Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 – 01). Mentre, con riferimento alla deduzione relativa alla violazione dell’art. 116 c.p.c., va ribadito che ‘In tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativa- secondo il suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione’ (Cass. Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 – 02; conf. Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 16016 del 09/06/2021, Rv. 661360).
Nessuna delle predette ipotesi è configurabile nel caso di specie, poiché la Corte distrettuale si è limitata ad esaminare il contenuto del titolo di proprietà prodotto dall’odierno ricorrente, evidenziando che in esso non è inclusa la particella sulla quale insiste il vialetto oggetto di
causa (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata). A tale statuizione, non specificamente impugnata dal ricorrente, e da sé sola sufficiente a giustificare il rigetto della domanda proposta dal COGNOME, la Corte partenopea aggiunge l’ulteriore rilievo secondo cui l’odierno ricorrente non avrebbe dedotto, né dimostrato, un titolo risalente ad un acquisto a titolo originario (cfr. pag. 7 della sentenza). Anche tale ulteriore affermazione della Corte di seconda istanza non risulta specificamente contestata dal COGNOME il quale non indica, in nessuno dei tre motivi di ricorso, di aver dedotto, nel corso del giudizio di merito, un titolo di acquisto a titolo originario della proprietà della particella in contestazione. Inoltre, la Corte territoriale ritiene, con ulteriore affermazione non specificamente attinta dalle censure proposte dal ricorrente, che gli atti acquisiti al giudizio di merito dimostrino che la particella di cui è causa sia destinata ‘… al servizio pubblico, con fogne e illuminazione realizzate dal Comune di Ottaviano e viene indistintamente utilizzata dalla comunità e non in riferimento all’accesso a particolari fondi. Essendo la strada pubblica, non può trovare accoglimento la riconvenzionale spiegata nei confronti del Nappi di acquisizione dei diritti dominicali da parte convenuta’ (cfr . ancora pag. 6 della sentenza).
Si configura, pertanto, una valutazione di fatto, operata dal giudice di merito sia in base alle risultanze del titolo di proprietà allegato dal COGNOME, sia in funzione delle caratteristiche concrete del vialetto oggetto di causa, rispetto alla quale non è configurabile alcun vizio di violazione di legge, dovendosi ribadire, al riguardo, che quest’ultimo ‘… consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a
mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità’ (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549; conf. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017, Rv. 645538).
La Corte di merito, nel prosieguo della disamina della fattispecie, chiarisce anche che ‘Emerge … dalla CTU che gli ampliamenti e le nuove costruzioni realizzate dai convenuti … erano stati effettuati nell’arco temporale (corrispondente alla durata dei lavori) racchiuso tra il 18.8.1977 ed il 23.2.1983 (cfr. pagg. 15-16 dell’elaborato), laddove il giudizio di prime cure veniva instaurato dal COGNOME in data 14.1.1010, allorché era decorso ben oltre un ventennio dall’ultimazione delle contestate opere, senza che il relativo termine prescrizionale risultasse mai interrotto’ (cfr. pagg. 10 e 11 della sentenza impugnata). Né, sempre secondo la Corte di Appello, vi sarebbe spazio per ipotizzare un possesso clandestino, poiché le opere di cui si discute erano state realizzate dagli originari convenuti -odierni controricorrenti’… in maniera pubblica e pacifica, sicuramente conoscibile dal COGNOME con l’ordinaria diligenza’ (cfr. ancora pag. 11 della sentenza). Anche i richiamati passaggi della motivazione esprimono un apprezzamento in punto di fatto, che il ricorrente contesta limitandosi a proporre una lettura alternativa delle risultanze istruttorie, senza confrontarsi con i consolidati principi secondo cui il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790) e la valutazione delle prove e la scelta, tra esse, di quali abbiano valore significativo ai fini della decisione, è appannaggio del giudice di merito,
il quale non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595: conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330).
Il terzo motivo, infine, è inammissibile, nella parte in cui con esso vengono poste questioni nuove, non emergenti dalla sentenza impugnata, che impongono accertamenti in punto di fatto, senza che si specifichi il momento del giudizio di merito, e lo strumento processuale, attraverso il quale esse sarebbero state introdotte. Dalla decisione della Corte distrettuale, infatti, non emerge che nel corso del giudizio di merito sia stata affrontata, e discussa, la questione concernente l’esistenza di servitù coattive sulla particella oggetto di causa. Va ribadito, sul punto, il principio secondo cui ‘Ove una determinata questione giuridica -che implichi un accertamento di fatto- non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegarne l’avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente vi abbia provveduto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa’ (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 2038 del 24/01/2019, Rv. 652251; conf., ex multis , Cass. Sez. L,
Sentenza n. 20518 del 28/07/2008, Rv. 604230 e Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14590 del 12/07/2005, Rv. 583443).
Peraltro, la dedotta insistenza, sulla particella identificativa del viottolo oggetto di contestazione, di altre servitù in favore di terzi non è -in astratto- ostativa alla configurazione del diritto reale riconosciuto dalla Corte territoriale in favore degli odierni controricorrenti. Da un lato, infatti, non si rinviene, nell’ordinamento giuridico, alcuna norma che precluda, in linea di principio, la possibilità che sulla medesima porzione immobiliare possano gravare differenti servitù od oneri reali a favore dello stesso, o di diversi soggetti. Dall’altro lato non si ravvisa, nel caso di specie, alcun profilo di incompatibilità oggettiva tra le servitù di elettrodotto e di passaggio a favore di terzi, allegate dal COGNOME, ed il diritto, riconosciuto agli odierni controricorrenti, di mantenere quanto da essi realizzato in violazione delle distanze, poiché quest’ultimo non è di per sé impeditivo dell’esistenza delle prime, né incide sull’accertata destinazione della particella di cui si discute all’uso pubblico.
Del pari inammissibile è l’ulteriore parte della doglianza in esame, con la quale si contesta la sussistenza, in capo agli odierni ricorrenti, di una condizione di possesso utile ad usucapionem , poiché anche in questo caso la censura si risolve nella contrapposizione, alla ricostruzione del fatto e delle prove operata dal giudice di merito, di una lettura alternativa del compendio istruttorio. Valgono, quindi, al riguardo, le medesime considerazioni già esposte in occasione dello scrutinio del primo motivo di impugnazione.
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P .R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei
presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
PQM
la Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore di quella controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 4.200, di cui € 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda