Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 32753 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 32753 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
Oggetto: Distanze.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 04922/2023 R.G. proposto da
COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME nel cui studio in Pomigliano d’Arco, INDIRIZZO, è elettivamente domiciliato.
-ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso, congiuntamente, dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME con indicazione della PEC per le comunicazioni.
-controricorrente – avverso la sentenza n. 209/2022 emessa dalla Corte d’Appello di Napoli il 17/1/2022, pubblicata il 20/1/2022 e non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11 dicembre 2024 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
Con atto di citazione notificato il 11/04/2000, NOME COGNOME in qualità di nudo proprietario degli immobili siti nel Comune di Castello di Cisterna, INDIRIZZO, in virtù di atto di donazione dalla madre NOME COGNOME e dal padre NOME COGNOME convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Nola, il vicino, NOME COGNOME affinché fosse accertato che il manufatto, sito in Castello di Cisterna, INDIRIZZO (oggi INDIRIZZO traversa NapoliINDIRIZZO, era stato realizzato da quest’ultimo in violazione delle distanze legali e delle norme urbanistiche, siccome posto a soli mt. 4,70 dal cancello di ingresso alla sua proprietà, in luogo dei mt. 5,00 previsti, e che il predetto andava, dunque, condannato al ripristino dei luoghi con abbattimento della costruzione illegittima e rifusione delle spese di lite.
Costituitosi in giudizio, NOME COGNOME si oppose all’altrui domanda, proponendo, a sua volta, domanda riconvenzionale di usucapione del diritto di servitù a mantenere quanto realizzato a distanza inferiore a quella legale rispetto al fabbricato di proprietà dell’attore.
Con sentenza n. 2864/2013, il Tribunale adito accolse la domanda del Romano, dichiarando l’illegittimità delle opere realizzate da NOME COGNOME e condannò quest’ultimo all’arretramento del fabbricato di sua proprietà e al ripristino dello stato dei luoghi.
Nel corso del giudizio di gravame interposto da NOME COGNOME con atto di citazione notificato il 27/3/2014, NOME COGNOME AntonioCOGNOME che, costituendosi, propose appello incidentale, evidenziando la parziale erroneità del tipo di frazionamento n. 760 del 31/7/1953 indicato nell’atto del notaio COGNOME del 1953, titolo di provenienza dei danti causa di entrambe le parti, e la conseguente erroneità delle consulenze tecniche svolte in primo grado e chiedendo l’accertamento dello sconfinamento della sua controparte, attraverso la costruzione realizzata, sul tratto immobiliare gravato
da servitù di passaggio in suo favore, formulò querela di falso in ordine al predetto frazionamento che esitò nella sentenza di rigetto n. 1334/2020.
In seguito a sua riassunzione, il giudizio di appello si concluse con la sentenza n. 209/2022, pubblicata il 20/1/2022, con la quale la Corte d’Appello di Napoli rigettò l’appello principale e dichiarò assorbito il terzo motivo di appello principale e l’appello incidentale, escludendo l’eccepito difetto di legittimazione attiva dell’attore, in relazione al titolo di proprietà da lui vantato sull’immobile, e l’avvenuta dimostrazione, da parte del convenuto -attore in riconvenzione, della data di inizio del possesso della paventata servitù di mantenere a distanza inferiore a quella legale il suo manufatto (ossia l’epoca di realizzazione della sua costruzione), con conseguente reiezione della domanda di usucapione, ed evidenziando l’identità di oggetto tra il terzo motivo di appello e l’appello incidentale, riguardanti la sussistenza di una servitù di passaggio in favore del fondo del Romano e lo sconfinamento sulla proprietà del primo da parte di quest’ultimo, con l’oggetto di altra causa, conclusasi con la sentenza di rigetto n. 2447/2021, pubblicata il 29/6/2021.
Contro la predetta sentenza, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, illustrati anche con memoria. NOME COGNOME NOME si è difeso con controricorso.
Il consigliere delegato ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti.
In seguito a tale comunicazione, il ricorrente, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, ha chiesto la decisione del ricorso.
Fissata l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ., le parti hanno depositato memoria illustrativa.
Considerato che :
1.1 Con il primo motivo di ricorso, si lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., sulla questione del difetto di legittimazione attiva del Romano alla proposizione della domanda di rispetto delle distanze ex art. 949 cod. civ., nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 949 e 2697 cod. civ. e degli artt. 113, 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello respinto l’eccezione di difetto di legittimazione attiva di NOME COGNOME, benché l’atto del notaio COGNOME del 21/11/1991, posto, nella domanda, a fondamento del suo titolo di proprietà, indicasse la sola particella 838, ma non anche la particella 837, pure in essa indicata, e benché colui che agisce con actio negatoria servitutis sia tenuto a dimostrare la titolarità della proprietà in capo a lui, sia pure con regime probatorio di minor rigore. Il ricorrente ha, sul punto, evidenziato come l’atto del 20/12/2004 di conferma e identificazione catastale della donazione compiuta con atto del notaio COGNOME del 21/11/1991, che contemplava anche la particella 837, esclusa, invece, da quest’ultimo, fosse stata depositata agli atti del c.t.u. Calabria soltanto dopo la scadenza dei termini ex art. 183 cod. proc. civ..
1.2 Il primo motivo è inammissibile.
Esso verte, in particolare, sul difetto di legittimazione attiva dell’odierno controricorrente, e, più in generale, sulla legittimazione attiva spettante a colui che eserciti l’ actio negatoria servitutis ai sensi dell’art. 949 cod. civ., la quale, come noto, compete non soltanto al proprietario, ma anche al titolare di un diritto reale di godimento sul fondo servente diverso da quello di proprietà (si veda sul punto Cass., Sez. 2, 15/5/2018, n. 11823; Cass., Sez. 2, 12/8/2002, n. 12169; Cass., Sez. 2, 23/10/1991, n. 11222).
La titolarità del bene si pone, in particolare, come requisito di legittimazione attiva e non come oggetto della controversia, sicché la parte che agisce in giudizio per far accertare l’inesistenza dell’altrui diritto di servitù su un fondo del quale affermi di essere il proprietario ha l’onere non già di fornire, come nell’azione di revindica, la prova rigorosa della proprietà del fondo, ma di dimostrare, con ogni mezzo e anche in via presuntiva, di possederlo in forza di un valido titolo, atteso che detta azione non tende necessariamente all’accertamento dell’esistenza della titolarità della proprietà, ma all’ottenimento della cessazione dell’attività lesiva, spettando, invece, al convenuto l’onere di provare l’esistenza del proprio diritto, in virtù di rapporto di natura obbligatoria o reale, di compiere l’attività lamentata come lesiva dalla controparte (tra le tante Cass., Sez. 2, 23/1/2023, n. 1905; Cass., Sez. 2, 11/1/2017, n. 472; Cass., Sez. 2, 15/10/2014, n. 21851), in conformità al principio generale secondo cui la titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicché spetta all’attore allegarla e provarla, salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione, da parte del convenuto (Cass., Sez. U, 16/2/2016, n. 2951).
Nel caso in cui la legittimazione di una delle parti, pur assente all’atto della proposizione della domanda, sopravvenga nel corso del giudizio, il procedimento può proseguire fino all’emissione della decisione, dato che la legittimazione ad agire, rappresentando una condizione dell’azione, non può subire limitazioni temporali, sicché è sufficiente che essa sussista al momento della decisione, poiché la sua sopravvenienza rende proponibile l’azione ab origine , indipendentemente dal momento in cui si verifichi (Cass., Sez. 2, 17/3/2016, n. 5321; Cass., Sez. 2, 18/12/2014, n. 26769).
Nella specie, i giudici di merito hanno accertato che il Romano, con l’atto di citazione del 11/4/2000, avesse agito al fine di ottenere l’accertamento dell’avvenuta violazione delle distanze legali e si fosse, all’uopo, qualificato come nudo proprietario degli immobili, pervenutigli con atto di donazione del 21/11/1991 dai genitori, ritenendo che non fosse necessaria una prova rigorosa della proprietà, essendo sufficiente la dimostrazione, con ogni mezzo, di possedere il fondo in forza di un valido titolo di proprietà, che, nella specie, era stato indicato proprio nell’atto di donazione del 1991, antecedente, dunque, all’esercizio dell’azione, così uniformandosi ai principi sopra espressi.
Peraltro, la pretesa del ricorrente di ricondurre l’acquisto della proprietà, in capo all’originario attore, all’atto del 2004, non soltanto è genericamente prospettata, non essendo stati riportati i passaggi dello stesso rilevanti ai fini voluti, in contrasto con quanto sancito dal n. 6 dell’art. 366 cod. proc. civ., che impone di indicare specificamente gli atti processuali e i documenti sui quali il ricorso si fonda (vedi Cass., Sez. 5, 18/11/2015, n. 23575; Cass., Sez. 5, 15/01/2019, n. 777), mediante la riproduzione diretta o indiretta del contenuto che sorregge la censura, precisando, in quest’ultimo caso, la parte del documento cui quest’ultima corrisponde (Cass., Sez. 5, 15/07/2015, n. 14784; Cass., Sez. 6-1, 27/07/2017, n. 18679) e i dati necessari all’individuazione della sua collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito (vedi Cass., Sez. 5, 18/11/2015, n. 23575; Cass., Sez. 5, 15/01/2019, n. 777), ma si pone anche in contrasto con la descrizione stessa dell’atto, riportata nella sentenza in termini di ‘ conferma e identificazione catastale della donazione compiuta con atto per notar COGNOME del 21/11/1991 ‘, la quale fa propendere più come mera precisazione dell’oggetto dell’originaria donazione, completata con i corretti identificativi catastali del bene, che, peraltro, costituiscono meri elementi esterni non incidenti sulla
relativa identificazione (sul puto vedi Cass., Sez. 2, 28/7/2020, n. 16078), che come atto traslativo di diritti.
Infine, proprio in quanto i giudici hanno esaminato chiaramente i documenti, pervenendo a tale valutazione, deve escludersi il dedotto omesso esame, al pari della lamentata violazione di legge, sollecitando la censura una rivisitazione nel merito della questione, che è perclusa a questo giudice di legittimità.
2.1 Col secondo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 3 e 4, cod. proc. civ., riferito all’art. 2697 cod. civ., per avere i giudici di merito rigettato la domanda di usucapione della servitù di mantenimento della costruzione a distanza inferiore a quella legale sulla base di motivazioni diverse da quelle sostenute dal giudice di primo grado, giacché, dopo essersi discostati dall’affermazione di quest’ultimo circa la non configurabilità di una servitù in siffatti casi, avevano comunque ritenuto non provata la data di edificazione del fabbricato, in quanto avevano ritenuto che l’ordinanza sindacale n. 35/79 del 18/9/1979, avente ad oggetto la sospensione e demolizione della costruzione in cemento armato e pietre di tufo riscontrata dai vigili urbani, non fosse stata allegata dall’attore a fondamento della domanda di usucapione, ma fosse stata prodotta dal c.t.u., sì da non dover essere valutata in quanto non costituente mezzo di prova. Il ricorrente ha, in merito, evidenziato come quel documento non fosse stato, invece, acquisito dal c.t.u., ma fosse stato prodotto fin dalla comparsa di costituzione, e come i giudici avessero respinto le prove per testi all’uopo dedotte, reputando dirimente, invece, la c.t.u., per poi sostenere contraddittoriamente che quest’ultima non era strumento esplorativo idoneo a esonerare la parte dall’onere probatorio.
2.2 Il secondo motivo è inammissibile.
I giudici di merito hanno, invero, escluso la dedotta usucapione del diritto di servitù, avente ad oggetto il mantenimento della
costruzione a distanza non regolamentare, sostenendo che il deducente non avesse fornito alcuna prova certa, idonea a dimostrare l’epoca di realizzazione della costruzione, stante la contraddittorietà dei documenti da lui allegati, i quali indicavano sempre date diverse (la domanda di condono quella del 1982, la perizia giurata quella del 1981, le dichiarazioni sostitutive di atto notorio quella del 1981) e l’inutilizzabilità dell’ordinanza sindacale n. 35/79 del 18/9/1979 di sospensione e demolizione, attestante l’inizio di una costruzione di pilastri in cemento armato e pietra di tufo nella proprietà del Panico, in quanto non allegata da quest’ultimo a fondamento della sua domanda, ancorché verificata dal c.t.u..
Con quest’ultima affermazione, i giudici di merito non hanno fatto altro che applicare il principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui il giudice di merito può affidare al consulente non solo l’incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente), ed in tal caso è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l’accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche (Cass., Sez. 3, 8/2/2019, n. 3717; Cass., Sez. 3, 26/02/2013, n. 4792; Cass., Sez. 3, 13/03/2009, n. 6155; Cass., Sez. 3, 23/02/2006, n. 3990), posto che il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza del contraddittorio delle parti, può accertare tutti i fatti inerenti all’oggetto della lite, il cui accertamento si renda necessario al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non si tratti dei fatti principali che è onere delle parti allegare a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d’ufficio (Cass., Sez. U, 1/2/2022, n. 3086) e che, nella valutazione delle prove, è fatto divieto al giudice di trarre dai documenti ritualmente prodotti la
conoscenza di fatti non allegati dalle parti quando questi siano fatti principali, ossia fatti posti dalle parti (e che devono essere dedotti necessariamente da queste ultime) a sostegno delle loro domande e delle loro eccezioni (Cass., Sez. 1, 23/1/2023, n. 1997).
E’ allora evidente come la censura non attinga la ratio decidendi , la quale non è fondata soltanto sulla portata probatoria della consulenza tecnica d’ufficio, ma altresì sulla mancata deduzione, da parte del Panico, del fatto (provvedimento di sospensione e demolizione) riportato nella relazione di consulenza tecnica, il quale non può che considerarsi principale, siccome idoneo, a dire della parte, ad attestare l’inizio del possesso della servitù rivendicata.
Peraltro, il mezzo è inammissibile anche perché investe una questione, quella concernente il mancato esame delle prove orali dedotte, della quale non v’è traccia nella sentenza impugnata, sicché trova applicazione il principio secondo cui, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass., Sez. 1, 3/7/2023, n. 18634; Cass., 18/10/2013, n. 23675).
Va, infine, osservato come la valutazione delle prove raccolte costituisca un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili con il ricorso per cassazione, e come, in particolare, l’omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova possa essere denunciata al giudice di legittimità solo nel caso in cui essa abbia determinato
l’assenza di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito (Cass., Sez. 1, 3/7/2023, n. 18857; Cass. 29/10/2018, n. 27415; Cass. 19/07/2021, n. 20553), decisività che, nella specie, non è stata neppure illustrata.
3.1 Col terzo motivo, si afferm a letteralmente ‘ Della domanda di accertamento del confine tra la proprietà COGNOME e la proprietà COGNOME. Pendenza di altro giudizio definito con sentenza n. 2447/2021 resa dalla Corte d’Appello di Napoli il 29/06/2022. Assorbimento dei motivi di gravame. Pendenza inter partes del giudizio innanzi alla Corte di Cassazione R.G. 3494/2022 (camera di consiglio del 08/02/2023). Violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., 111 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. – Erronea valutazione delle risultanze della CTU in ordine a un punto decisivo della controversia -contraddittoria e manifesta erroneità e illogicità dalla motivazione ‘ . La Corte d’Appello avrebbe dichiarato assorbiti il terzo motivo di appello e l’appello incidentale in ordine ai confini tra le due proprietà, essendovi identità di petitum con il diverso giudizio tra le medesime parti definito con la sentenza n. 2447/2021, pubblicata il 29/6/2021. Il ricorrente ha evidenziato come quest’ultima sentenza fosse stata impugnata davanti a questa Corte e come egli avesse, in quella sede, proposto ricorso incidentale, sicché, onde non incorrere in decadenze, andava riproposto, anche in questa sede, il motivo di ricorso incidentale, col quale si era doluto della violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., l’erronea valutazione delle risultanze della c.t.u. in ordine ad un punto decisivo della controversia e la contraddittoria e
manifesta erroneità e/o illogicità della motivazione, per avere il giudice omesso di analizzare il ricorso incidentale col quale aveva chiesto che venisse accertata l’attuale conformazione del viale come previsto dall’atto di donazione notaio COGNOME del 28/9/1953, che venisse accertata la legittimità dell’apposizione del quarto paletto sul viale e la sua conformità al suddetto atto, che venisse accertata la misura di mt. 2 del fronte libero di accesso alla proprietà Romano, l’insistenza del muro di cinta sul proprio fondo e l’esatto confine tra le due proprietà e che venisse disposta l’apposizione di termini di materializzazione del confine così come determinato. Ad avviso del ricorrente, i diversi consulenti nominati dal Tribunale di Nola avevano accertato che il reale confine tra le proprietà delle parti non era rappresentato dal muro esistente, ma andava traslato verso la proprietà Romano e che il muro stesso era di sua proprietà esclusiva, con la conseguenza che quest’ultimo non poteva pretendere la violazione della distanza dal confine, posto che questo andava al di là del muro da individuato come il segno del confine stesso. Peraltro, nel momento in cui era stato edificato il proprio fabbricato (ossia nel 1979 con ultimazione 1981/1982) non erano ancora intervenuti gli atti di donazione per notaio COGNOME e notaio COGNOME, con cui COGNOME NOME e COGNOME NOME avevano donato le proprietà ai figli, e pertanto il confine a cui fare riferimento era quello reale correttamente individuato da tutti i c.t.u., ossia traslato verso la proprietà Romano, onde accertare con correttezza le distanze da osservare.
3.2 Il terzo motivo è inammissibile.
I giudici di merito hanno dichiarato assorbito sia il terzo motivo di ricorso principale, sia il ricorso incidentale in quanto entrambi vertenti su questioni già sottoposte al vaglio della Corte in altro giudizio e definite con la sentenza n. 2447/2021, pubblicata il 29/6/2021, ravvisando l’identità di petitum .
Quest’ultima circostanza non è stata contestata col motivo in esame, avendo il ricorrente chiaramente affermato di avere riproposto la questione soltanto perché quella sentenza era stata a sua volta impugnata davanti a questa Corte, la quale, però, ha già definito il giudizio con l’ordinanza n. 7372 del 14/03/2023, dichiarando l’inammissibilità del ricorso principale e di quello incidentale.
Da ciò consegue l’inammissibilità della censura per difetto sopravvenuto di interesse.
In conclusione, dichiarata l’inammissibilità dei motivi, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico del ricorrente.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380-bis cod. proc. civ. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., con conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma – nei limiti di legge – in favore della cassa delle ammende.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 3.000,00 per compensi, oltre alle spese
forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 ed agli accessori di legge; condanna altresì il ricorrente, ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma ulteriore liquidata in € 3.000,00, nonché al pagamento della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende;
dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 11/12/2024.