Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21550 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 21550 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 31/07/2024
SENTENZA
sul ricorso 26618/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME giusta procura in atti;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che li rappresenta e difende giusta procura in atti;
-controricorrenti – avverso la sentenza n. 1402/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata in data 10/07/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
Udito il P.M. in persona del Sostituto procuratore Generale NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Uditi l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME per i controricorrenti.
Fatti di causa
NOME COGNOME ed NOME COGNOME citarono in giudizio NOME COGNOME chiedendo che il convenuto fosse condannato a demolire una scala in cemento armato realizzata sulla facciata dell’edificio di proprietà degli attori e utilizzata dal convenuto per accedere al piano superiore del suo fabbricato, poiché la scala in parola arrecava al fabbricato degli attori danno materiale ed estetico.
Il convenuto, costituitosi, resistette alla domanda deducendo che l’opera, costruita nel 1977 sulla base di un accordo intercorso con il di lui padre, che aveva autorizzato gli attori ad appoggiare il loro edificio al muro di proprietà di parte convenuta, da allora veniva utilizzata pacificamente, pubblicamente e ininterrottamente.
Dichiarata la nullità della citazione per incertezza della causa petendi, gli attori integrarono la domanda chiarendo di avere inteso agire ai sensi dell’art. 949 cod. civ., onde <> (siccome riporta la sentenza d’appello qui al vaglio).
Il Tribunale rigettò la domanda e dichiarò il convenuto proprietario per usucapione della scala e della pertinente area di sedime.
La Corte d’appello di Catanzaro, accolta l’impugnazione di NOME COGNOME ed NOME COGNOME, dichiarò <>, inoltre, rigettò la domanda d’acquisto della proprietà per usucapione di costui, che condannò, infine, a rimuovere il manufatto.
3.1. Secondo la Corte d’Appello:
-poiché l’attore in ‘negatoria servitutis’ non ha l’onere, come in quella di rivendicazione di dare la prova rigorosa della propria titolarità, bastando fornire la prova, con ogni mezzo, anche per via presuntiva, di possedere l’immobile in forza di un valido titolo, una tale dimostrazione era stata resa dagli attori attraverso la visura catastale e le risultanze di una perizia di parte; a ciò andava aggiunto che il diritto di proprietà degli appellanti non era stata contestata dalla controparte;
-il vaglio probatorio faceva escludere che l’appellato avesse fornito prova di <>.
Avverso la sentenza d’appello NOME COGNOME propone ricorso sulla base di sei motivi.
Gli intimati resistono con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria.
Il Procuratore Generale in persona del Sostituto NOME COGNOME ha concluso per il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo viene denunciata violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., nonché omessa decisione, in relazione all’art. 360, n. 5 al tempo applicabile (formulazione antecedente alla modifica di cui al d.l. n. 83/2012).
Si addebita alla sentenza impugnata vizio di motivazione a riguardo dell’identificazione dell’oggetto del giudizio.
Il ricorrente afferma che gli attori <>.
Gli attoriappellanti avevano sostenuto che l’odierno ricorrente utilizzava <>.
Stante l’anomalia d’ipotizzare <>, la Corte locale, soggiunge il ricorrente, <>.
5.1. Il motivo è infondato.
In primo luogo, non ci si può esimere dall’evidenziare la complessiva improprietà del motivo nella parte in cui sviluppa, con larghezza e ripetitività espositiva, ragionamenti squisitamente fattuali e ampiamente insondabili in questa sede.
La qualificazione della domanda spetta al giudice del merito.
In materia trova applicazione il principio di diritto enunciato da questa Corte, secondo il quale la rilevazione ed interpretazione del contenuto della domanda è attività riservata al giudice di merito ed è sindacabile: a) ove ridondi in un vizio di nullità processuale, nel qual caso è la difformità dell’attività del giudice dal paradigma della norma processuale violata che deve essere dedotto come vizio di legittimità ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.; b) qualora comporti un vizio del ragionamento logico decisorio, eventualità in cui, se la inesatta rilevazione del contenuto della domanda determina un vizio attinente alla individuazione del “petitum”, potrà aversi una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, che dovrà essere prospettato come vizio di nullità processuale ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.; c) quando si traduca in un errore che coinvolge la “qualificazione giuridica” dei fatti allegati nell’atto introduttivo, ovvero la omessa rilevazione di un “fatto allegato e non contestato da ritenere decisivo”, ipotesi nella quale la censura va proposta, rispettivamente, in relazione al vizio di
“error in judicando”, in base all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., o al vizio di “error facti”, nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (tra le varie, Sez. 3, n. 11103, 10/6/2020, Rv. 658078). Evenienze tutte che qui non ricorrono.
È palese che il motivo non prospetta alcuno di tali specifici vizi nel quale sarebbe dovuta incorrere la Corte di Catanzaro, insistendo, piuttosto, in un’alternativa ricostruzione fattuale operata dalla Corte.
Inequivocamente, gli attori, come si è visto, con la rinnovata citazione avevano chiarito di avere agito ai sensi dell’art. 949 cod. civ. (<>) e una tale domanda la Corte d’appello ha preso in esame.
6. Con il secondo motivo viene denunciata contraddittorietà della motivazione, nonché violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ.
Assume lo COGNOME che la decisione, contraddittoriamente, a pag. 5, aveva affermato non essere stato provato il diritto di passaggio. Inoltre, errando, aveva assegnato valore probatorio a una perizia di parte e alle visure catastali.
Trattavasi, soggiunge, di due fabbricati edificati, verso la fine degli anni ’70 del Novecento, in aderenza, in uno alla scala e, pertanto, in assenza d’una azione di regolamento dei confini, la domanda non avrebbe potuto essere accolta.
6.1. Il motivo non supera lo scrutinio d’ammissibilità.
La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia
motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. SSUU sentenza n. 8053/2014).
Nel caso in esame tale vizio non ricorre, così come non ricorre il vizio di violazione degli artt. 115 cpc.
La ricostruzione probatoria, come noto, anche qualora sostenuta dall’asserita violazione degli artt. 115 e 116, cod. proc. civ., non può essere contestata in questa sede, poiché, come noto, l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito non è, in questa sede, sindacabile, neppure attraverso l’escamotage dell’evocazione dell’art. 116, cod. proc. civ., in quanto, come noto, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito (cfr., da ultimo, Sez. 6, n. 27000, 27/12/2016, Rv. 642299). Punto di diritto, questo, che ha trovato recente conferma nei principi enunciati dalle Sezioni unite in epoca recente (sent. n. 20867, 30/09/2020, conf. Cass. n. 16016/2021), essendosi affermato che in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova
legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Rv. 659037). E inoltre che per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Rv. 659037).
Nel caso di specie viene censurato il vizio di motivazione (v. pagg. 7,8 del ricorso, ove la sentenza viene definita espressamente illogica e contraddittoria ) senza considerare che per espressa previsione legislativa (art. 360 n. 5 cpc) il vizio di motivazione non è più denunziabile in cassazione.
Con il terzo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 1158 cod. civ.
Si afferma che la sentenza era caduta in errore nell’avere reputato che l’esponente non avesse esercitato il possesso ‘uti dominus’, non avendo <>. Vi era stata, in definitiva, una erronea ricostruzione dei fatti.
L’esponente aveva dimostrato <>.
Ed ancora, la prova per testi aveva dimostrato che la scala era stata edificata in aderenza, in uno ai fabbricati, dal padre del ricorrente e, costituendo, l’unico modo d’accesso all’appartamento, ora in proprietà del secondo, era stata utilizzata nei decenni per tale sua funzione, manifestamente apparente.
L’impegno preso dal genitore a demolirla non poteva assumere rilievo ai fini dell’ ‘animus’.
8. La doglianza è inammissibile.
All’evidenza si sollecita un’impropria ricostruzione alternativa del fatto all’esito di una sorta di ‘giudizio di terzo grado’ censurandosi la motivazione (‘ il ragionamento logico ‘: v. pag. 9).
Come noto, in linea generale, la denuncia di violazione di legge non determina nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (ex multis, S.U. n. 25573, 12/11/2020). E ancora, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 1 – , Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019).
Con il quarto motivo viene denunciata violazione degli artt. 949 e 1158 cod. civ.
Il ricorrente assume che la controparte aveva ipotizzato l’illecito esercizio (da parte del convenuto ricorrente) di una servitù di passaggio attraverso la scala. Un tale asserto sarebbe stato smentito ove fosse stata accolta la domanda riconvenzionale d’usucapione della proprietà della scala o di porzioni di essa, stante che un tale accoglimento portava seco il diritto di passaggio attraverso essa.
8.1. Il motivo, completamente fattuale e privo d’autonomia, resta assorbito in senso improprio dal rigetto delle critiche mosse al diniego dell’acquisto per usucapione del diritto di proprietà della scala.
Con il quinto motivo viene denunciata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 873, 876, 877 e 949 cod. civ.
Si precisa che la controparte non aveva specificato quale fosse <>, che oramai faceva parte dell’abitazione del ricorrente, il quale soggiunge, <>, non era dato cogliere la ragione della condanna alla demolizione, invece che a <>.
9.1. Il motivo merita rigetto.
La Corte d’appello, con apprezzamento in questa sede non censurabile, ha accertato che gli attori < > (pag. 5). Pertanto, la condanna alla demolizione costituisce applicazione della regola di cui all’art. 949, co. 2, cod. civ., al fine di far cessare la molestia e turbativa.
Con il sesto motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione del d.m. n. 55/2014, per essere state quantificate le spese in misura sproporzionata, anche tenendo conto del valore della domanda riconvenzionale, che il convenuto aveva individuato in € 1.000,00.
10.1. Il motivo è per una parte manifestamente infondato e per altra parte inammissibile.
La causa risulta di valore indeterminabile, come puntualmente indicato nell’atto d’appello a pag. 22, con cumulo di due domande, quindi, è corretto lo scaglione individuato dal Giudice (scaglione da 26.000,00 a 52.000,00 euro).
Quanto all’entità della liquidazione, rimasta nel corretto ‘range’ di legge, la pretesa di rimodulazione risulta palesemente inammissibile, implicando l’esercizio del sindacato riservato in esclusiva al giudice del merito.
Il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo, in favore del controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio di giorno 16