Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 392 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 392 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/01/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 06738/2020 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e in concordato preventivo, rappresentate e difese dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliate presso lo studio RAGIONE_SOCIALE in Roma, INDIRIZZO
– ricorrenti –
contro
NOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME DI NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME rappresentati e difesi dagli avv.ti prof. NOME Conti e prof. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO
-controricorrenti –
COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME
– intimati –
COGNOME quale erede di NOME
– intimata –
NOME COGNOME NOME COGNOME E NOME GENOVA (quali eredi di COGNOME NOME), COGNOME NOME (quale erede di COGNOME NOME), COGNOME (quale erede di COGNOME NOME), COGNOME (quale erede di COGNOME NOME), COGNOME (quale erede di COGNOME NOME), COGNOME NOME (quale erede di COGNOME NOME), COGNOME NOME (quale erede di COGNOME NOME), COGNOME NOME (quale erede di COGNOME NOME), COGNOME NOME (quale erede di COGNOME NOME e COGNOME NOME), NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME
– intimati –
COMUNE DI LIVORNO
– intimato –
avverso la sentenza n. 3070/2019, pubblicata il 19/12/2019 della Corte d’Appello di Firenze e notificata il 19/12/2019.
Udita la relazione svolta dal consigliere dott.ssa NOME COGNOME nella pubblica udienza del 21/11/2024;
Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Uditi i difensori presenti
FATTI DI CAUSA
1. Con atto di citazione notificato il 14/2/2011 (che introdusse la causa n. 576/2011) , COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME LucianoCOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME SimoneCOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME FrancoCOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME SalvatoreCOGNOME DinoCOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME, COGNOME AntonioCOGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME AndreaCOGNOME NOME e COGNOME NOME, convennero in giudizio la società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE nonché il Comune di Livorno, affinché venisse dichiarata la natura privata della strada vicinale di Limoncino, con inibizione al transito dei mezzi pesanti delle società attraverso la stessa.
Precisarono gli attori che erano frontisti e titolari del diritto di proprietà e servitù di passaggio sulla predetta strada mai aperta al pubblico, che, con scrittura del 26/6/2000, i frontisti si erano accordati con la società RAGIONE_SOCIALE, perché questa, all’esaurimento della cava privata nella quale era in procinto di subentrare, lasciasse la strada in buone condizioni e che la società, nonostante la cessazione dell’attività estrattiva nel 2009, così come la partecipata e proprietaria della cava e di alcuni terreni circostanti società Bel.Ma, aveva continuato a passarvi con mezzi pesanti per la realizzazione di una discarica di rifiuti non pericolosi sul Monte INDIRIZZO autorizzata dal Comune di Livorno.
Costituitesi in giudizio, le convenute società eccepirono il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, essendo la strada di uso pubblico.
Con sentenza n. 790/2013 del 17/7/2013, il Tribunale di Livorno rigettò l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario e accertò la natura privata e non pubblica o di uso pubblico della strada, condannando la società RAGIONE_SOCIALE al suo ripristino nello stato in cui si trovava prima dell’inizio del transito dei suoi mezzi.
La predetta sentenza fu impugnata, con distinti atti, dal Comune di Livorno (proc. n. 2157/2013), che reiterò l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario e chiese l’accertamento della natura pubblica o di uso pubblico della strada, e dalle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (proc. R.G. 416/2014), che si costituirono in quel giudizio e proposero anche appello principale, col quale eccepirono il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, il difetto di legittimazione attiva sulla domanda inquadrata come actio negatoria servitutis publicae utilitatis e il difetto di legittimazione passiva della società RAGIONE_SOCIALE e rilevarono l’ error in iudicando sull’uso pubblico della INDIRIZZO
Nel giudizio di gravame così incardinato, si costituirono, da una parte, COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME LucianoCOGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME SimoneCOGNOME NOMECOGNOME NOME, Caserta Santo, COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME VittorioCOGNOME NOME, COGNOME Salvatore, COGNOME DinoCOGNOME NOMECOGNOME COGNOME GiulioCOGNOME COGNOME AntonioCOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOME, chiedendo il rigetto del gravame e proponendo appello incidentale in relazione alle spese, e, dall’altra, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Nel giudizio di appello instaurato dalle società, si costituirono il Comune di Livorno e gli appellati COGNOME NOME, COGNOME Franco, COGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME,
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME SalvatoreCOGNOME COGNOME SimoneCOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME DinoCOGNOME NOMECOGNOME CarloCOGNOME NOMECOGNOME COGNOME CarlaCOGNOME COGNOME GiulioCOGNOME COGNOME che chiesero il rigetto dell’appello e proposero appello incidentale per le spese.
Si costituì successivamente anche COGNOME NOMECOGNOME
Disposta la riunione dei giudizi, il Comune di Livorno diede atto, all’udienza del 16/1/2019, del deposito telematico dell’atto di rinuncia all’appello.
La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza n. 3070/2019 rigettò, quindi, sia l’appello principale proposto dal Comune di Livorno, sia quello principale proposto dalle due società RAGIONE_SOCIALE in concordato preventivo e RAGIONE_SOCIALE, e confermò la sentenza di primo grado, ribadendo il rigetto dell’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario, negando la sussistenza della prova dell’uso della strada da parte di una pluralità di cittadini e accertando la sussistenza della legittimazione attiva in capo agli attori, per esservi tra essi anche gli eredi COGNOME (NOME e NOME COGNOME), proprietari della strada, e per essere gli altri titolari della comunione d’uso e possessori.
Avverso questa sentenza, le società RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e in concordato preventivo hanno proposto ricorso per cassazione, affidandolo a dieci motivi, mentre COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME LucianoCOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME SimoneCOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME, COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME resistono con controricorso. Sono invece rimasti intimati sia COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME
NOME, COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME Giulio, NOME, sia COGNOME NOME, sia NOME COGNOME NOME Genova e COGNOME, COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME NOME, sia il Comune di Livorno.
Il Pubblico Ministero ha concluso per il rigetto del ricorso.
Le parti hanno entrambe depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Per motivi di priorità logica e giuridica vanno analizzati il primo, il terzo e il quarto motivo, in quanto afferenti alla legittimazione attiva degli originari attori.
In particolare, con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione degli artt. 81, 99, 112 cod. proc. civ., 2907 cod. civ., con riguardo all’art. 24 Cost., e la violazione del combinato disposto degli art. 324 cod. proc. civ., e 2909 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., perché i giudici di merito, superando l’eccezione di difetto di legittimazione attiva sostanziale degli attori a proporre l’azione negatoria servitutis publicae utilitatis , avevano affermato, con un improprio richiamo a Cass., n. 4120/2001, che chi promuove l’azione ex art. 949 cod. civ. poteva limitarsi a dimostrare, anche in via presuntiva, di possedere in forza di un titolo valido, mentre incombeva sul convenuto l’onere di provare l’esistenza del diritto di compiere l’attività lamentata come lesiva per l’attore, così incorrendo nel duplice errore di riconoscere agli attori un titolo di legittimazione diverso da quello dedotto e di violare il giudicato formatosi in ordine all’accertamento compiuto dal Tribunale circa l’assenza, in capo agli attori, di un titolo di proprietà sulla strada. Ad avviso dei ricorrenti, i giudici di merito avevano confuso il tema dell’effettiva titolarità del diritto reale fatto
valere come presupposto dell’azione con quello della possibilità di provarlo in via presuntiva, senza considerare che l’accertamento avrebbe dovuto vertere in appello sulla sola sussistenza del diritto di servitù in capo agli attori ovvero sulla possibilità di individuare un titolo diverso ai fini della legittimazione, avendo gli attori dedotto di essere titolari del diritto di proprietà della strada o del diritto di servitù su di essa e avendo il Tribunale escluso il primo titolo, ravvisando invece, peraltro in extra petizione, la sussistenza di un diritto di uso esclusivo derivante da accessorietà assoluta.
Inoltre, i giudici di merito, nell’affermare che due degli attori erano comunque gli eredi COGNOME, i quali, assieme ai titolari di comunione d’uso e possessori, condividevano le attività di manutenzione della strada, non soltanto avevano violato il giudicato sulla proprietà, ma non avevano neppure considerato che la titolarità della proprietà in capo a due soli attori non ne consentiva l’estensione agli altri trentatre e che non potevano accogliere una domanda su presupposti costitutivi diversi da quelli fondanti la pretesa.
Con il terzo motivo, si lamenta la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per l’omessa pronuncia sui motivi d’appello secondo, sub b), sub c), sub d), sub e), terzo, quarto e quinto, in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., perché i giudici di merito avevano ritenuto di ravvisare la legittimazione attiva in capo agli attori, siccome titolari della comunione d’uso sulla strada e anche possessori, in quanto tenuti a condividerne i costi di manutenzione, sostenendo che nell’ actio negatoria la parte che agisce possa limitarsi a provare, anche in via presuntiva, di possedere il fondo in forza di un valido titolo e che la domanda fosse tesa, nella specie, ad accertare la natura privata della strada e ad ottenere l’eliminazione della situazione antigiuridica data dal passaggio con mezzi pesanti sulla via. Ad avviso delle ricorrenti, i giudici avevano
in tal modo eluso i motivi di gravame (secondo e quinto), con i quali si lamentava l’inconferenza del richiamo giurisprudenziale operato dal Tribunale (Cass., n. 19994/2008) siccome riferito alla comunione incidentale ex collatione agrorum privatorum , non applicabile alla specie una volta esclusa, alla stregua dei titoli esaminati, la costituzione della strada con tale modalità (sub b); la non equivalenza a proprietà e quindi a titolarità dell’azione negatoria dell’uso privato di una strada (sub c); la violazione dell’art. 101 cod. proc. civ. (sub d); l’inapplicabilità delle regole della comunione, non potendo il diritto di servitù formare oggetto di comunione e non essendo il titolare di servitù legittimato ad esperire l’ actio negatoria servitutis (sub e); l’inconfigurabilità di un diritto d’uso una volta escluso il diritto di comproprietà (terzo motivo); l’inaccoglibilità della domanda di inibitoria del passaggio con mezzi pesanti ex art. 844 cod. civ. in assenza di concreti e attuali danni alla salute (quarto motivo); l’assenza di immissioni nocive di tipo acustico o inquinante oltre la normale tollerabilità, escluse dal c.t.u. (quinto motivo).
Con il quarto motivo, si lamenta la violazione dell’art. 949 cod. civ. e/o falsa applicazione dell’art. 1012, secondo comma, cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito ritenuto sussistente la legittimazione attiva degli attori, senza però considerare che questa spetta al proprietario, con conseguente sua assenza in caso di accertata mancanza di titolarità del bene. Ad avviso delle ricorrenti, infatti, la legittimazione all’azione non poteva essere riconosciuta ai titolari di diritti reali minori, essendo ciò possibile soltanto in caso di espressa previsione legislativa (come l’art. 1012 cod. civ. in caso di usufrutto), sicché non soltanto non spettava ai titolari di diritto di servitù, ma neppure ai titolari di una comunione impropria o di godimento,
oltre a non potersi configurare una contitolarità del diritto di servitù, non essendo questa frazionabile.
Il primo, terzo e quarto motivo sono fondati.
Nella pronuncia impugnata, i giudici di merito, dopo avere preso atto della rinuncia all’appello operata dal Comune di Livorno, idonea a costituire acquiescenza rispetto alla decisione di primo grado che aveva riconosciuto la natura privata della strada contesa, negando la destinazione ad uso pubblico della stessa, hanno escluso che le società appellanti avessero fornito prova contraria e che non sussistesse il dedotto difetto di legittimazione attiva degli originari attori a proporre la domanda, ritenendo che l’azione ex art. 949 cod. civ. imponesse all’attore di dimostrare, anche in via presuntiva, di possedere il fondo in forza di titolo valido, essendo questa tesa ad ottenere la negazione di qualsiasi diritto anche dominicale affermato dal terzo sulla cosa e anche la cessazione della situazione antigiuridica posta in essere dal vicino, e che, nella specie, fosse rimasta dimostrata la proprietà degli eredi COGNOME, ossia degli originari attori NOME e NOME COGNOME, e degli altri ‘titolari della comunione d’uso’, aventi tutti interesse ad agire e legittimazione.
Orbene, come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, la titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda (tali potendo essere tanto meri fatti o fatti-diritto, quanto altri diritti, come per l’appunto il diritto di proprietà) ed attiene al merito della decisione, sicché spetta all’attore allegarla e provarla, salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione, da parte del convenuto (Cass., Sez. U, 16/2/2016, n. 2951).
Ciò comporta che, come affermato nella richiamata pronuncia, la parte che promuove un giudizio deve prospettare di essere parte attiva del giudizio (ai fini della legittimazione ad agire) e deve poi
provare di essere titolare della posizione giuridica soggettiva che la rende parte, mentre il convenuto, qualora non condivida l’assunto dell’attore in ordine alla titolarità del diritto, può limitarsi a negarla, esercitando quella che può definirsi come una mera difesa in quanto tesa a negare l’esistenza di fatti costitutivi del diritto, senza contrapporre altri fatti che privano di efficacia i fatti costitutivi, o modificano o estinguono il diritto, rilevabili solo mediante eccezione da proporre, quando è da intendere in senso stretto, entro i termini di decadenza di cui all’art. 167, secondo comma, cod. proc. civ..
Nel caso di specie, gli originari attori avevano agito al fine di fare accertare la natura privata della strada contesa, assumendo, come si legge nella sentenza impugnata, di essere titolari del diritto di proprietà o di servitù di passo sulla strada vicinale del Limoncino, con la conseguenza che, alla stregua delle loro deduzioni, sussisteva la loro legittimazione a proporre l’azione di accertamento della natura privata della strada, restando la fondatezza di tale deduzione regolata dalla sua dimostrazione nel merito.
Posto che detta azione è stata qualificata dai giudici di merito in termini di actio negatoria servitutis ex art. 949 cod. civ. e che sul punto si è formato il giudicato interno in assenza di specifica impugnazione al riguardo e di incompatibilità di tale qualificazione con le censure formulate dalle appellanti o di contestazione da parte di esse (Cass., Sez. 3, 10/11/2023, n. 31330), è, dunque, alla relativa disciplina che occorre far riferimento al fine di accertare gli oneri probatori delle parti anche sulla questione in esame.
Orbene, come già affermato da questa Corte, le azioni reali a difesa della proprietà, rientranti nel paradigma delle azioni negatorie previsto dall’art. 949 cod. civ., non hanno il significato ristretto di azioni tendenti solo ad evitare l’esercizio di una vera e propria
servitù sul fondo dell’attore, bensì quello più ampio di azioni tendenti a far dichiarare l’inesistenza di un qualsiasi diritto che altri vantino sul fondo, oltreché a conseguire la cessazione della situazione antigiuridica posta in essere dal vicino, al fine di ottenere la libertà del fondo e a far cessare una turbativa o molestia altrui sul fondo medesimo (Cass., Sez. 2, 5/9/1970, n. 1218), in quanto tendono alla negazione di qualsiasi diritto, anche dominicale, affermato dal terzo sulla cosa dell’attore (Cass., Sez. 2, 27/12/2004, n. 24028; Cass., Sez. 2, 22/03/2001, n. 4120; Cass., Sez. 2, 17/2/1965, n. 262), sempre che vi sia l’essenziale presupposto della sussistenza di altrui pretese sul bene immobile, non potendo l’azione essere esercitata in presenza di turbative o molestie che non si sostanzino in una pretesa di diritto sulla cosa (Cass., Sez. 2, 22/6/2011, n. 13710).
Ciò comporta che l’ actio negatoria servitutis , in quanto finalizzata a rimuovere una situazione che comporti una manomissione del godimento del fondo stesso, possa essere esercitata anche contro colui che vanti un preteso diritto configurabile come ius in re aliena o contro chi si affermi proprietario della porzione immobiliare oggetto dell’azione pur non avendone il possesso (Cass., Sez. 2, 23/1/2009, n. 1778).
La legittimazione processuale attiva compete, invece, non soltanto al proprietario, ma anche al titolare di un diritto reale di godimento sul fondo servente diverso da quello di proprietà, mentre ai titolari di altri diritti personali può riconoscersi soltanto un interesse di fatto che consente loro d’intervenire volontariamente in giudizio per sostenere le ragioni di una delle parti ex art. 105, comma secondo cod. proc. civ. (vedi Cass., Sez. 2, 15/5/2018, n. 11823; Cass., Sez. 2, 12/8/2002, n. 12169 con riguardo all’enfiteusi; Cass., Sez. 2, 23/10/1991, n. 11222).
Poiché la titolarità del bene si pone come requisito di legittimazione attiva e non come oggetto della controversia, la parte che agisce non ha l’onere di fornire, come nell’azione di rivendica, la prova rigorosa della proprietà -neppure quando abbia chiesto la cessazione della situazione antigiuridica posta in essere dall’altra parte -, essendo sufficiente la dimostrazione, con ogni mezzo e anche in via presuntiva, di possedere il fondo in forza di un titolo valido, atteso che essa non mira all’accertamento dell’esistenza della titolarità della proprietà, ma a chiedere la cessazione dell’attività lesiva, mentre al convenuto incombe l’onere di provare l’esistenza del diritto di compiere detta attività o l’esistenza della servitù sul fondo in questione (Cass., Sez. 2, 27/12/2004, n. 24028; Cass., Sez. 2, 22/03/2001, n. 4120).
Nella specie, i giudici di merito non si sono, invece, soffermati sulle ragioni per le quali hanno ritenuto sussistente la legittimazione attiva degli attori, ancorché costituisse motivo di appello, limitandosi ad affermare laconicamente che ‘ la c.t.u. disposta dalla Corte ‘ aveva evidenziato ‘ che la strada sarebbe di proprietà degli eredi COGNOME, tra cui vi sono due degli attori in primo grado e appellanti NOME e NOME COGNOME, i quali unitamente agli altri titolari della comunione d’uso e possessori, coi quali condividono gli oneri di manutenzione della strada, come emerso dall’istruttoria, sono sicuri titolari di interesse ad agire e legittimati attivi ‘.
Infatti, se è vero che la parte che agisce con l’ actio negatoria servitutis non ha l’onere di fornire, come nell’azione di rivendica, la prova rigorosa della proprietà neppure quando abbia chiesto la cessazione della situazione antigiuridica posta in essere dall’altra parte, essendo sufficiente la dimostrazione, con ogni mezzo, ed anche in via presuntiva, di possedere il fondo in forza di un titolo valido (per tutte Cass., Sez. 2, 15/10/2014, n. 21851; Cass., Sez. 2, 12/8/2002, n. 12166 secondo cui la proprietà può essere
dimostrata con ogni mezzo, anche mediante presunzioni, in ipotesi di insufficienza dei titoli di provenienza; Cass., Sez. 2, 25/3/1999, n. 2838), e che, nello specifico, la titolarità o contitolarità del diritto d’uso non esclude di certo la legittimazione attiva all’esercizio dell’ actio negatoria servitutis , atteso che l’art. 1026 cod. civ. estende anche all’uso e all’abitazione le disposizioni relative all’usufrutto, in quanto compatibili, e, dunque, anche l’art. 1012, secondo comma, cod. civ., il quale attribuisce all’usufruttuario la facoltà di far riconoscere l’esistenza delle servitù a favore del fondo o l’inesistenza di quelle che si pretende di esercitare sul fondo medesimo, è altrettanto vero che l’accertamento sulla titolarità della proprietà o di altro diritto reale, ancorché non rigoroso, deve pur sempre essere svolto, soprattutto se, come nella specie, vi sia contestazione sul punto.
I giudici di merito, invece, hanno attribuito una contitolarità di uso in capo agli attori senza precisare quale fosse il titolo attributivo di un siffatto diritto per ciascuno di essi, né da quale fonte avessero tratto il proprio convincimento, ma limitandosi a richiamare generiche attività di manutenzione che, da sole, non sono evidentemente idonee a ritenere sussistente un diritto reale, come quello rilevante ai fini voluti.
Ciò comporta la fondatezza delle censure e la cassazione della sentenza per nuovo esame.
Col secondo motivo, si lamenta la violazione dell’art. 101, secondo comma, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., perché la Corte d’Appello aveva, per un verso, omesso di pronunciarsi sulla censura con la quale era stata lamentata l’avvenuta individuazione, da parte del giudice di primo grado, di un titolo legittimante diverso da quello prospettato dagli attori, avendo ritenuto sussistente, in capo ad essi, un diritto di uso esclusivo uti domini della strada, e aveva, per altro verso, violato
l’art. 101 cod. proc. civ. in quanto aveva accolto la domanda degli attori, ravvisando un possesso della strada in capo ad essi, senza specificare a quale diritto reale corrispondesse, e valorizzando la ripartizione tra essi delle spese di manutenzione, senza tener conto della titolarità del diritto reale e senza neppure concedere i termini per controdedurre.
Con il quinto motivo, si lamenta la violazione degli artt. 102 e 354 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., perché, qualora si fosse ritenuta assimilabile la situazione del titolare di servitù a quella dell’usufruttuario ex art. 1012 cod. civ., il giudice di primo grado avrebbe dovuto integrare il contraddittorio in favore dei proprietari della INDIRIZZO e i giudici d’appello rilevare il difetto del contraddittorio e rinviare al primo giudice. Peraltro, quanto alle parti NOME e NOME COGNOME, eredi dell’originario proprietario, era stato il giudice di primo grado ad escludere la titolarità della proprietà in capo agli attori senza che essi impugnassero la sentenza sotto questo profilo, mentre il c.t.u. aveva escluso che la strada fosse stata divisa tra i coeredi, risultando sempre al confine.
4. Con il sesto motivo, si lamenta la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., perché i giudici di merito avevano omesso di esaminare le considerazioni del c.t.u. in ordine all’assetto proprietario della strada, limitandosi a valorizzare la pattuizione di cui alla scrittura del 26/6/2000 intercorsa tra la società RAGIONE_SOCIALE e i sedicenti condomini di INDIRIZZO per disciplinare la sistemazione e bitumazione della stessa e a richiamare la relazione tecnica al solo fine di evidenziare la presenza in causa di due eredi COGNOME, NOME e NOME COGNOME, che condividevano gli oneri di manutenzione con altri titolari della comunione d’uso e possessori.
Con il settimo motivo, si lamenta l’omesso esame di fatto decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito omesso di analizzare i fatti riportati nel punto che precede.
Con l’ottavo motivo, si lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1322 e 1372 cod. civ., quanto agli effetti obbligatori della scrittura privata del 26/6/2000 per la società RAGIONE_SOCIALE e degli artt. 1362, 1363 e 1266 cod. civ. nell’interpretazione della scrittura, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., perché i giudici di merito avevano errato nel ritenere che la scrittura del 26/6/2000 avesse ad oggetto l’autorizzazione della società a transitare nella strada fino alla cessazione dell’attività estrattiva nella cava.
Con il nono motivo, si lamenta la violazione dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., perché la motivazione resa dalla Corte d’Appello recava affermazioni contrastanti e inconciliabili, oltre ad essere perplessa e obiettivamente incomprensibile, in quanto affermava, per un verso, che, in assenza di una servitù di uso pubblico, andava inibito il transito alle società, non avendo esse chiesto la costituzione di una servitù, e, per altro verso, che detto transito era stato autorizzato solo fino alla cessazione della cava, come affermato nella scrittura del 2000, e che la rinuncia del Comune alla qualificazione pubblicistica della strada elideva ogni possibilità di usarla in assenza di autorizzazione privatistica.
Con il decimo motivo, infine, si lamenta l’ulteriore violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per mancato esame del dodicesimo motivo d’appello e per corrispondenza tra chiesto e pronunciato quanto alla totale inibizione del transito anche con mezzi non industriali, in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., per avere i
giudici di merito omesso di considerare che gli attori non avevano proposto un’ actio negatoria servitutis della Bel.Ma con qualsiasi mezzo sulla INDIRIZZO per raggiungere il sito di cava, ma avevano chiesto che il passaggio venisse inibito ai mezzi pesanti superiori ai 35 quintali di portata, sicché non soltanto i giudici avevano omesso di affrontare la censura, ma si erano pronunciati ultra petita, avendo vietato alla Bel.Ma il transito tout court .
Il secondo, quinto, sesto, settimo, ottavo, nono e decimo motivo restano logicamente assorbiti dall’esame degli altri motivi.
In conclusione, dichiarata la fondatezza del primo, terzo e quarto motivo di ricorso e l’assorbimento dei restanti, la sentenza deve essere cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Firenze, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo, il terzo e il quarto motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’Appello di Firenze, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 21/11/2024