Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 6806 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 6806 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 30704-2020 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dal l’avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
NOMECOGNOME rappresentata e difesa da ll’avv. NOME COGNOME
-controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALEgià RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME
contro
ricorrente –
avverso la sentenza n. 503/2020 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 21/05/2020;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 6.7.2008 NOME NOME evocava in giudizio NOME e RAGIONE_SOCIALE innanzi il Tribunale di Ascoli Piceno, invocando l’accertamento dell’inesistenza di qualsiasi diritto reale, in capo alla NOME, sul locale soffitta sito al terzo piano dello stabile di INDIRIZZO in Ascoli Piceno, identificato al foglio 76, particella 294, subalterno 8, o in subordine la condanna di RAGIONE_SOCIALE, dalla quale l’attrice aveva acquistato l’appartamento con annessa soffitta sito al secondo e terzo piano dello stabile predetto, a garantirla per l’evizione ed al risarcimento del danno connesso alla perdita del cespite di cui è causa.
Si costituiva la COGNOME, resistendo alla domanda, eccependo che RAGIONE_SOCIALE non aveva mai acquistato la proprietà della soffitta e chiamando in causa il fratello, NOME NOME, che rimaneva contumace. In via riconvenzionale, la COGNOME spiegava domanda di usucapione della soffitta, o in subordine di riconoscimento del suo diritto di comproprietà sulla stessa.
Si costituiva anche RAGIONE_SOCIALE resistendo a sua volta alla domanda ed evidenziando di aver venduto l’appartamento al secondo piano dello stabile con tutti i connessi diritti sulle parti comuni dell’edificio.
Con sentenza n. 832/2015 il Tribunale accoglieva la domanda principale, dichiarando la COGNOME proprietaria esclusiva della soffitta oggetto di causa e rigettando la domanda riconvenzionale della Amici. Dichiarava invece assorbite le domande di riconoscimento della
comproprietà della soffitta avanzata in subordine dalla COGNOME e quella di garanzia per evizione proposta dall’attrice contro RAGIONE_SOCIALE
Avverso detta decisione interponevano appello principale NOME, riproponendo le domande di usucapione della proprietà esclusiva o di accertamento della comproprietà già formulate in prime cure, ed appello incidentale RAGIONE_SOCIALE relativamente al governo delle spese, compensate dal Tribunale. Si costituiva invece la COGNOME invocando il rigetto di ambedue i gravami, mentre rimaneva contumace anche in appello NOME.
Con la sentenza impugnata, n. 503/2020, la Corte di Appello di Ancona accoglieva tanto il gravame principale che quello incidentale, riformando la decisione di prime cure e dichiarando il difetto di legittimazione attiva della COGNOME, sulla base del duplice presupposto che la stessa non avesse mai acquistato da RAGIONE_SOCIALE la proprietà della soffitta di cui è causa, né ne avesse mai avuto il possesso. Di conseguenza, secondo la Corte distrettuale, non sussistevano i presupposti per la proponibilità della actio negatoria di cui all’art. 949 c.c. La Corte territoriale riteneva invece provata la domanda riconvenzionale della NOME e la dichiarava proprietaria esclusiva della soffitta per usucapione, ritenendo sufficiente la prova orale acquisita sul punto e non dimostrata la derivazione della relazione intrattenuta dall’appellante principale con la res da un atto di tolleranza dell’avente diritto, NOME NOME, padre dei due fratelli NOME NOME e NOME NOME.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione NOME affidandosi a cinque motivi.
Resistono con separati controricorsi Amici NOME e RAGIONE_SOCIALE
NOME NOME, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.
Con atto in data 10.7.2020la parte ricorrente ha depositato memoria di costituzione di nuovo difensore, con allegata procura speciale, senza avvedersi che l’avv. COGNOME era stata indicata già nel ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità.
In prossimità dell’adunanza camerale, tutte le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, la memoria contenente l’indicazione del nuovo difensore va considerata tamquam non esset posto che l’avv. COGNOME era stata officiata della difesa della parte ricorrente sin dal ricorso.
Passando ai motivi del ricorso, con il primo di essi la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 132, 112 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 949 c.c., nonché l’apparenza della motivazione e la nullità della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe dichiarato il difetto di legittimazione attiva della ricorrente, sulla base dell’erroneo presupposto che la soffitta oggetto di causa non fosse compresa nella consistenza immobiliare dalla stessa acquistata da RAGIONE_SOCIALE giusta atto di compravendita a rogito del notar COGNOME del 29.4.2008. La COGNOME, dopo aver evidenziato che proprio in base al contenuto di detto rogito il Tribunale aveva ravvisato il suo buon diritto sul bene di cui si discute, sottolineava che con il predetto strumento le sarebbe stata trasferita la proprietà del complesso immobiliare costituito da appartamento, fondaco e soffitta, articolato ai piani S1, 2 e 3 dell’edificio di INDIRIZZO, e che in virtù di esso le erano state consegnate le chiavi della soffitta, della quale era stata immessa nel possesso. La ricorrente, dunque, assumeva di avere pieno interesse ad agire per la proposizione dell’ actio negatoria .
Con il secondo motivo, la COGNOME si duole invece della violazione o falsa applicazione degli artt. 704 c.p.c. e 949 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente escluso il possesso della soffitta oggetto di causa, valorizzando a tal fine le risultanze di un precedente giudizio possessorio, nel cui ambito detto possesso era stato, appunto, ritenuto inesistente. Ad avviso della ricorrente, l’autonomia dei due giudizi, possessorio il primo, e petitorio il presente, non avrebbe consentito alla Corte territoriale di fondare la sua decisione sulle risultanze del primo di essi.
Con il terzo motivo, la ricorrente contesta la violazione o falsa applicazione degli artt. 132, 112, 115 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., nonché l’apparenza della motivazione e la nullità della sentenza impugnata, per omesso esame di elementi di prova acquisiti agli atti del giudizio di merito, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe tralasciato di considerare alcune circostanze asseritamente decisive, rappresentati:
dal fatto che la COGNOME, al contrario di quanto ravvisato dalla Corte di secondo grado, aveva pacificamente acquistato anche la proprietà della soffitta oggetto di causa, con il rogito del 29.4.2008 già menzionato in precedenza;
dalle risultanze catastali, ed in particolare dalle mappe depositate nel 1961 e nel 1964 presso i competenti uffici tecnici, allegate alla C.T.U. esperita in prime cure, dalle quali non emerge che RAGIONE_SOCIALE non fosse proprietaria anche della soffitta de quo ;
dal contenuto della C.T.U., che aveva ritenuto che la soffitta costituisse una parte integrante dell’appartamento venduto alla COGNOME nel 2008, perché compresa nella relativa consistenza catastale;
– dal fatto che in tutti gli atti precedenti a quello del 2008, con il quale la COGNOME aveva acquistato da RAGIONE_SOCIALE, il cespite trasferito all’odierna ricorrente era stato indicato come articolato in fondaco, appartamento e soffitta, situati rispettivamente ai piani S1, 2 e 3 dello stabile di INDIRIZZO
Con il quarto motivo, la COGNOME denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1477 c.c. e 29 della legge n. 52 del 1985 e successive modificazioni ed integrazioni, nonché la nullità della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe tralasciato di dare rilievo al fatto che RAGIONE_SOCIALE aveva consegnato alla COGNOME, unitamente all’appartamento ed al fondaco, anche la soffitta di cui è causa, che dunque avrebbe dovuto essere considerata (al pari del fondaco) un accessorio dell’appartamento. La ricorrente evidenzia, in proposito, sia la circostanza -già richiamata nel terzo motivo- che catastalmente soffitta e appartamento erano censiti in modo unitario, sia il fatto che le relative imposte e tasse fossero sempre state da lei versate appunto considerandola bene accessorio all’appartamento.
Le quattro censure, suscettibili di esame congiunto perché a vario titolo attinenti al profilo della legittimazione attiva della COGNOME, sono infondate.
La Corte di Appello ha ritenuto, all’esito di valutazione del fatto e delle prove, che la soffitta di cui è causa non fosse stata acquistata dalla odierna ricorrente unitamente all’appartamento al secondo piano ed all’annesso fondaco al piano seminterrato dello stabile di INDIRIZZO con l’atto del 29.4.2008, a sua volta esecutivo della ‘promessa di vendita’ intercorsa tra RAGIONE_SOCIALE e COGNOME NOME, marito della COGNOME, in data 28.6.2007 (cfr. pagg. 14 e 15 della sentenza impugnata). La Corte distrettuale ha anche evidenziato che la COGNOME
non aveva mai avuto il possesso materiale della soffitta di cui si discute, non soltanto sulla scorta di quanto accertato nel precedente giudizio possessorio (cfr. pag. 15 della sentenza), ma anche in considerazione del fatto che dalle dichiarazioni dei testimoni escussi in prime cure era emerso che la Amici aveva posseduto il cespite di cui è causa con animus rem sibi habendi a partire dal 1983, in concomitanza con la ristrutturazione del suo appartamento, sito al piano primo dello stabile, senza che alcuno, ivi incluso il proprietario NOME avesse posto in essere ‘… condotte volte a contraddire, o anche solo a mettere in discussione, il potere di fatto … attuato continuativamente …’ dalla predetta Amici (cfr. pagg. 18 e 19 della sentenza).
A tale ricostruzione del fatto e delle prove, l’odierna ricorrente contrappone una lettura alternativa del compendio istruttorio, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le
deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330; cfr. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16056 del 02/08/2016, Rv. 641328 e Cass. Sez. 6 -3, Ordinanza n. 16467 del 04/07/2017, Rv. 644812).
La motivazione della sentenza impugnata, infine, non risulta viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica, ed è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logicoargomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830, nonché, in motivazione, Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639).
Né si configura alcun profilo di violazione dell’art. 112 c.p.c., poiché va data continuità al principio secondo cui ‘Il dovere imposto al giudice di non pronunciare oltre i limiti della domanda, né di pronunciare d’ufficio su eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti, non comporta l’obbligo di attenersi all’interpretazione prospettata dalle parti in ordine ai fatti, agli atti ed ai negozi giuridici posti a base delle loro domande ed eccezioni, essendo la valutazione degli elementi documentali e processuali, necessaria per la decisione, pur sempre devoluta al giudice, indipendentemente dalle opinioni, ancorché concordi, espresse in proposito dai contendenti. Al riguardo non è configurabile un vizio di ultrapetizione, ravvisabile unicamente nel caso in cui il giudice attribuisca alla parte un bene non richiesto, o maggiore di quello richiesto’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 702 del 04/03/1968, Rv. 331920; conf. Cass. Sez. 6 -3, Ordinanza n. 16608
del 11/06/2021, Rv. 661686). Non costituisce quindi vizio di ultrapetizione la valutazione dei mezzi di prova dedotti dalle parti, relativamente ai fatti sui quali permanga la contestazione tra le medesime, che sia condotta dal giudice di merito nei limiti della questione che è stata sottoposta alla sua cognizione (cfr. Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 15734 del 17/05/2022, Rv. 665101).
Neanche si configura alcuna violazione dell’art. 115 c.p.c., poiché ‘In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.’ (Cass. Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 – 01). Nel caso di specie, il giudice di secondo grado si è limitato a fornire una ricostruzione diversa del fatto, rispetto a quanto ravvisato dal Tribunale, senza tuttavia eccedere dalle domande proposte dalle parti, né porre a fondamento della propria decisione prove non acquisite ritualmente agli atti del giudizio di merito.
Nemmeno si configurano le violazioni, denunciate con il quarto motivo, degli artt. 1477 c.c. e 29 della legge n. 52 del 1985 e successive modificazioni ed integrazioni, perché l’opzione interpretativa del rogito del 29.4.2008, prescelta dal giudice di merito e di per sé non implausibile, ‘… non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di
una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 28319 del 28/11/2017, Rv. 646649; conf. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 16987 del 27/06/2018, Rv. 649677; in precedenza, nello stesso senso, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 24539 del 20/11/2009, Rv. 610944 e Cass. Sez. L, Sentenza n. 25728 del 15/11/2013, Rv. 628585).
Risulta dunque condivisibile la decisione assunta dal giudice di appello, il quale, non avendo ravvisato, in capo alla COGNOME, né la proprietà, né il possesso della soffitta di cui è causa, ne ha ravvisato il difetto di legittimazione in relazione alla proposizione della actio negatoria . La statuizione è coerente con l’insegnamento di questa Corte, secondo cui ‘In tema di azione negatoria, di cui all’art. 949 c.c., nel difetto di proposizione di una specifica domanda di accertamento positivo o, da parte del convenuto, di accertamento negativo della proprietà del bene oggetto dell’azione, la titolarità del bene stesso, ponendosi come mero requisito di legittimazione attiva e non come oggetto della causa, può essere provata anche in base a presunzioni semplici’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12488 del 04/12/1995, Rv. 494924, che ha ravvisato detta prova in base alle risultanze dell’atto d’acquisto dell’immobile o del possesso della cosa a partire dalla stessa data; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4120 del 22/03/2001, Rv. 545017; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21851 del 15/10/2014, Rv. 632599). Nello stesso senso, si ritiene che la parte che agisce in negatoria ‘… non ha l’onere di fornire, come nell’azione di rivendica, la prova rigorosa della proprietà neppure quando abbia anche chiesto la cessazione della situazione antigiuridica posta in essere dall’altra parte, essendo sufficiente la dimostrazione, con ogni mezzo, ed anche in via
presuntiva, di possedere il fondo in forza di un titolo valido’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4803 del 22/04/1992, Rv. 476895; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2974 del 20/03/1998, Rv. 513800; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2838 del 25/03/1999, Rv. 524550; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12603 del 28/08/2002, Rv. 557158). In alternativa, rispetto alla prova della proprietà, o del possesso, del fondo, colui che agisce in negatoria deve provare la sussistenza di un diritto reale di godimento sullo stesso, poiché ‘… ai sensi dell’art. 949 c.c., la legittimazione processuale attiva compete non soltanto al proprietario, ma anche al titolare di un diritto reale di godimento sul fondo servente diverso da quello di proprietà’ (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 11823 del 15/05/2018, Rv. 648357; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12169 del 12/08/2002, Rv. 556905). Era quindi onere della COGNOME provare, alternativamente, la proprietà, o altro diritto reale di godimento, ovvero il possesso, del bene oggetto dell’ actio negatoria ; non essendo stata conseguita tale prova, la statuizione della Corte distrettuale, che ha escluso la legittimazione attiva in capo all’odierna ricorrente, è corretta.
Con il quinto ed ultimo motivo, la parte ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 1158, 1141, 1144 e 2697 c.c., nonché la nullità della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente attribuito alla COGNOME l’onere di dimostrare che la relazione con la res intrattenuta dalla Amici non avesse avuto origine da un atto di tolleranza.
La censura è infondata.
La Corte distrettuale, sulla base delle risultanze della prova orale, ha ritenuto conseguita la prova della relazione animo domini della Amici con la soffitta oggetto di causa e la sua risalenza al 1983 ed ha escluso
che la COGNOME avesse dimostrato che la predetta relazione aveva avuto origine da un atto di tolleranza dell’avente diritto (cfr. ancora pagg. 18 e 19 della sentenza impugnata, già citate). La statuizione non integra alcuna inversione dell’onere della prova ed è pienamente coerente con l’insegnamento di questa Corte, secondo cui ‘In base al principio fissato dall’art. 2697 c.c., una volta dimostrata la sussistenza del possesso, spetta a coloro che lo contestano l’onere di provare che esso derivi da atti di tolleranza, i quali hanno fondamento nello spirito di condiscendenza, nei rapporti di amicizia o di buon vicinato ed implicano una previsione di saltuarietà e di transitorietà’ (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 2706 del 30/01/2019, Rv. 652356; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17339 del 23/07/2009, Rv. 609317). Infatti ‘Poiché colui che esercita il potere di fatto sulla cosa si presume possessore, spetta a chi contesti il possesso medesimo l’onere di provare che esso deriva da atti di tolleranza, i quali hanno fondamento nello spirito di condiscendenza, nei rapporti di amicizia o di buon vicinato ed implicano una previsione di saltuarietà o di transitorietà’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6738 del 23/05/2000, Rv. 536845).
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P.R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore di ciascuna parte
contro
ricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, per ognuna di esse, in € 3.700, di cui € 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda