Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14657 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 14657 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 31/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 19750-2024 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
-controricorrente – avverso la sentenza n. 539/2024 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA , depositata in data 22/04/2024
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto del 18.2.2016 COGNOME evocava in giudizio NOME COGNOME innanzi il Tribunale di Pescara, chiedendone la condanna a restituire l’immobile acquistato dall’attore nel 1973 e concesso in uso gratuito al convenuto in forza dei legami affettivi esistenti tra le parti.
Si costituiva in giudizio il convenuto, spiegando domanda riconvenzionale di usucapione.
Con sentenza n. 306/2019 il Tribunale di Pescara, dopo aver qualificato la domanda principale come di rivendicazione, rigettava entrambe le domande, qualificando il convenuto come mero detentore del bene controverso.
La pronuncia non veniva impugnata e diventava definitiva.
Con successivo ricorso ex art. 702 bis c.p.c. del 2.8.2019 COGNOME, preso atto del decisum della predetta sentenza, evocava nuovamente in giudizio il COGNOME, invocandone la condanna a restituire l’immobile oggetto di causa, sul presupposto dell’accertata assenza del possesso autonomo in capo al convenuto.
Si costituiva il Di Silvio in detto secondo giudizio, eccependo l’inammissibilità o improcedibilità della domanda per violazione del giudicato, e comunque invocandone il rigetto per infondatezza.
Con ordinanza decisoria ex art. 702 ter c.p.c. il Tribunale di Pescara, qualificata la domanda come di rivendicazione, la dichiarava inammissibile per effetto del giudicato derivante dalla sentenza n. 306/2019.
Interponeva appello avverso detta decisione il COGNOME, lamentandone l’erroneo inquadramento e l’inesistenza del giudicato esterno sulla domanda di restituzione.
Con la sentenza impugnata n. 539/2024, la Corte di Appello di L’Aquila rigettava il gravame, condannando l’appellante alle spese del
grado. La Corte distrettuale escludeva la sussistenza di un titolo negoziale legittimante la detenzione e confermava la statuizione di prime cure.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione COGNOME affidandosi a quattro motivi.
Resiste con controricorso Di NOME COGNOME.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, il ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione dell’art. 948 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente qualificato la domanda del ricorrente come di rivendicazione, ritenendola coperta dal giudicato, mentre essa, proprio in quanto fondata sul presupposto della precedente decisione del Tribunale di Pescara, avrebbe dovuto essere qualificata in termini di actio negatoria . La Corte distrettuale, valorizzando il fatto che tra le parti vi era un rapporto analogo a quello di filiazione, avrebbe affermato, secondo il ricorrente, che in ambito familiare non potrebbero sorgere negozi giuridici idonei a legittimare l’uso gratuito di un immobile.
Con il quarto motivo, logicamente connesso al primo e quindi da esporre in stretta successione, il ricorrente lamenta invece la violazione o falsa applicazione degli artt. 948 e 2909 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di merito avrebbe erroneamente inquadrato la domanda come rivendicazione, ritenendola preclusa per effetto del precedente giudicato derivante dalla sentenza n. 306/2019, senza avvedersi che quella pronuncia era in effetti una statuizione in rito, poiché la domanda di rivendicazione ivi proposta era stata rigettata soltanto per carenza di prova.
Le due censure, suscettibili di esame congiunto, sono fondate nei limiti di seguito illustrati.
Con la prima sentenza, n. 306/2019, pacificamente passata in giudicato (circostanza, questa, riconosciuta da ambo le parti) il Tribunale di Pescara aveva rigettato non soltanto la domanda di rivendicazione del COGNOME per mancato conseguimento della prova della proprietà del bene rivendicato, ma anche quella riconvenzionale di usucapione, proposta dal COGNOME, per assenza del possesso, attribuendo espressamente a quest’ultimo la condizione di detentore.
La successiva azione, proposta dal COGNOME alla luce del dictum della predetta decisione, non poteva essere dunque qualificata come rivendicazione, poiché essa prendeva le mosse proprio dalla precedente pronuncia n. 306/2019, che, nel rigettare la domanda di rivendicazione, aveva anche accertato l’assenza di un valido possesso il capo al COGNOME. Tale decisione, che contrariamente a quanto sostiene il ricorrente con il quarto motivo non è di rito, ma di merito, non esclude la possibilità di proporre un’azione di accertamento della proprietà, fondata sul presupposto dell’inesistenza del possesso in capo al detentore del cespite oggetto di causa. Sul punto, va data continuità al principio secondo cui l’azione reale di rivendicazione ha natura petitoria e restitutoria, essendo caratterizzata dal presupposto che l’attore assume di essere proprietario della cosa e di non averne il possesso ed agisce contro colui che di fatto la possiede o la detiene, oltre che per ottenere il riconoscimento giudiziale del proprio diritto di proprietà, anche per conseguire la restituzione della cosa. Diversa e, invece, l’azione di accertamento della proprietà -nel cui ambito rientra anche la negatoria servitutis- poiché essa postula che l’attore sia già investito, se non della materiale detenzione del bene controverso, quanto meno del possesso del medesimo ed e esperita contro chi gli contesta la proprietà. Ne consegue che l’azione di accertamento, avendo per obiettivo non la modificazione di uno stato di fatto
preesistente in quanto non conforme allo stato di diritto, ma l’eliminazione di ogni incertezza circa la legittimità del potere di fatto sulla cosa di cui l’attore è già investito, non richiede una prova della proprietà della cosa di cui assume di essere titolare cosi rigorosa come quella richiesta per l’Azione di revindica, essendo sufficiente che l’attore dimostri di possedere il fondo in virtù di un titolo valido di acquisto, spettando poi, al convenuto che contesta la liberta del fondo di fornire la prova del preteso suo diritto sul fondo medesimo (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2372 del 09/07/1968, Rv. 334719; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3989 del 16/12/1968, Rv. 337565; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3989 del 16/12/1968, Rv. 337566; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 836 del 15/03/1969, Rv. 339173; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12300 del 04/12/1997, Rv. 510704).
Nel caso di specie, una volta esclusa, in forza della sentenza n. 306/2019, la sussistenza del possesso in capo al COGNOME, in base ad un accertamento di fatto secondo cui il suo rapporto con la cosa aveva avuto origine da un mero atto di tolleranza del COGNOME, quest’ultimo avrebbe dovuto essere considerato titolare del possesso mediato del cespite oggetto di causa e la sua domanda, di conseguenza, inquadrata nell’alveo dell’ actio negatoria , con applicazione del regime della prova attenuato previsto per tale domanda. Infatti l’ actio negatoria si differenzia da quella di rivendicazione in quanto l’attore, con la prima, si propone quale proprietario e possessore del fondo, chiedendone il riconoscimento della libertà contro qualsiasi pretesa di terzi; mentre, con la seconda, si afferma proprietario della cosa di cui non ha il possesso, agendo contro chi la detiene per ottenerne, previo riconoscimento del suo diritto, la restituzione (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 472 del 11/01/2017, Rv. 642212). Una volta ottenuto, mercè il passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale di Pescara
n. 306/2019, il riconoscimento della sussistenza, in capo all’odierno controricorrente, di una condizione di mera detenzione, poiché egli era entrato in relazione con la res in base ad una concessione generosa del ricorrente (per rapporti di parentela), quest’ultimo non aveva perduto il possesso del bene, che continuava ad esercitare in forma mediata, per l’appunto mettendolo a disposizione gratuita di un proprio familiare.
Né poteva essere configurato il giudicato, poiché il rigetto della domanda di rivendicazione, derivante dalla predetta sentenza n. 306/2019, non escludeva la possibilità, per il COGNOME, di proporre, in separato giudizio, la diversa azione negatoria, non equiparabile a quella di rivendicazione, né per oggetto, né per natura, né per regime della prova. Va infatti evidenziato, in relazione al rapporto tra actio negatoria , prevista dall’art. 949 c.c., e rei vindicatio , disciplinata invece dall’art. 948 c.c., che esse, pur avendo quale presupposto comune il diritto di proprietà, differiscono nei requisiti e nel contenuto: nella prima l’attore, proprietario e possessore di un immobile, tende ad ottenere il riconoscimento della libertà del bene contro terzi che, vantando diritti di esso, ne attentino il libero godimento da parte sua; nella seconda, invece, l’attore mira a conseguire il riconoscimento giudiziale del suo diritto di proprietà, contestato dal convenuto, al fine di ottenere, come conseguenza di tale riconoscimento, anche la restituzione della res che ne forma oggetto. Ciò che caratterizza la rei vindicatio , rispetto alla actio negatoria , e che ne costituisce il presupposto, è quindi un conflitto tra titoli di appartenenza del bene, che invece non sussiste necessariamente nell’ actio negatoria (cfr . Cass. Sez. 2, Sentenza n. 695 del 16/02/1977, Rv. 384265).
Inoltre, è opportuno precisare che il mancato conseguimento della prova rafforzata prevista dall’art. 948 c.c. per la rei vindicatio non
esclude la possibilità di conseguire, in successivo giudizio, la diversa, e più agevole prova, richiesta invece per l’ actio negatoria o per la domanda di restituzione, ove la detenzione del cespite oggetto di causa sia fondata su un titolo negoziale. Non vale, invece, il contrario, posto che il mancato conseguimento della prova prevista per dette due ultime azioni preclude logicamente la possibilità, per l’attore, di raggiungere quella, più stringente e rafforzata, richiesta invece per la rei vindicatio .
L’accoglimento, nei sensi di cui anzidetto, del primo e quarto motivo implica l’assorbimento del secondo e terzo motivo, con i quali il ricorrente contesta l’assenza di motivazione e l’omesso esame di un documento, ai fini della prova della proprietà del bene oggetto di causa. Il giudice del rinvio, infatti, dovrà valutare tali profili tenendo conto del regime probatorio previsto per l’ actio negatoria , senza quindi applicare alla fattispecie la disposizione di cui all’art. 948 c.c.
La sentenza impugnata va di conseguenza cassata, in relazione alle censure accolte, e la causa rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di L’Aquila, in differente composizione.
P.Q.M.
la Corte accoglie il primo e quarto motivo del ricorso e dichiara assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di L’Aquila, in differente composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda