Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 30443 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 30443 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 18/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17121/2021 R.G. proposto da :
DI LUSTRO NOME , DI LUSTRO NOME COGNOME ,
elettivamente domiciliate in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME AVV_NOTAIO , che le rappresenta e difende
-ricorrenti- contro
COGNOME NOME , elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME , che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte d’appello di NAPOLI n. 2527/2020 depositata il 09/07/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/09/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
Fatti di causa
1.Dalla sentenza emerge quanto segue.
Con citazione del 9.10.2003 COGNOME NOME, proprietaria del fondo con annesso fabbricato sito in Forio alla loc. INDIRIZZO Volante INDIRIZZOZaro, in Catasto alla partita 13432, foglio 3, n°70, are 0,46 e n°218 are 17,72, assumeva che, le odierne ricorrenti NOME e NOME COGNOME, unitamente ai propri familiari, avevano cominciato ad esercitare un non consentito passaggio, sia pedonale che con mezzi meccanici, sulla striscia di terreno di sua proprietà, nella maggiore consistenza della part.lla 218 a confine con la part.lla 55, per giungere alla loro proprietà (part.lla 217), anche recingendo tale porzione di fondo ed apponendovi un cancello, del quale solo loro avevano le chiavi. Pertanto NOME COGNOME chiese, accertato il suo diritto di proprietà sul bene controverso, dichiararsi illegittimo il comportamento tenuto da NOME e NOME COGNOME, non sussistendo a favore della loro proprietà (part.lla 217) alcun diritto di passaggio sia pedonale che carrabile su tale porzione di fondo, ordinarsi loro di non esercitare più su di esso tale pratica nonché di rilasciare lo stesso, anche mediante rimozione del cancello di ingresso apposto, eliminando altresì i contatori di acqua e dell’energia elettrica a servizio degli immobili situati nella limitrofa loro part.lla 217, pure illegittimamente installati all’interno della striscia di terreno contestata. NOME e NOME COGNOME si costituirono e chiesero in via riconvenzionale che fosse accertato il loro diritto di proprietà per essere intervenuta usucapione.
2.Il giudice di prime cure, previo espletamento di CTU e acquisizione di prove testimoniali, accolse la domanda formulata da NOME COGNOME e respinse quella delle odierne ricorrenti.
La decisione venne impugnata dalle soccombenti per:
violazione dell’art. 950 c.c. per aver il giudice di merito prestato acritica ed immotivata adesione alle tesi del CTU, fondate esclusivamente su dati catastali, pur avendo questi ultimi solo carattere sussidiario;
travisamento della valutazione della prova e dei documenti.
3.La Corte d’appello respinse la domanda.
Nel dettaglio si escluse la violazione dell’art. 950 c.c. ‘essendo diversi gli elementi assunti a sostegno della decisione, non retta, a ben vedere, unicamente dalla operazione consistita nel desumere la sussistenza del diritto dominicale attoreo dai dati catastali’. E difatti, richiamando ed aderendo al percorso motivazionale del giudice di prime cure si osservò che a conferma del dato catastale, erano state posto a base del convincimento altre circostanze, pure evidenziate nell’impugnato provvedimento: a) innanzitutto, il riconoscimento che le appellanti, del tutto arbitrariamente, dopo circa due anni dalla notifica della citazione, si erano premurate di presentare un atto di aggiornamento catastale, frazionando la porzione della part.lla 218 oggetto di causa, (quella poi occupata dal tracciato stradale); la circostanza era stata chiaramente evidenziata nella relazione peritale, ove il C.T.U. aveva parlato di particella ‘ex -218’, in quanto, in sede di indagini, aveva riscontrato quanto segue: «… dall’esame degli atti catastali risulta che le Sigg.re COGNOME … arbitrariamente e senza idonei titoli (o meglio ipotizzando un’usucapione, a
giudicare dall’autocertificazione di cui al frazionamento in all. 4.4) hanno proceduto a presentare un atto di aggiornamento catastale, ovvero, pratica di Tipo di Frazionamento n. NUMERO_DOCUMENTO (vedasi allegato 4.4 e 4.3), effettuato due anni dopo l’inizio della controversia in questione. Con lo stesso, sono state frazionate delle particelle di terreno appartenenti ad altre persone come le particelle 65 e 55, nonché la 218 di proprietà dell’Attrice sig.ra COGNOME, eliminando dalla consistenza originaria di dette particelle, le porzioni di terreno occupate dal tracciato stradale da esse ‘abusivamente’ realizzato. Ciò ha provocato all’insaputa della ricorrente l’estinzione dalla mappa catastale e dall’archivio censuario della particella 218 e la comparsa di due nuove particelle derivate ed individuate, rispettivamente, con i n. 427 e 428».
Oltre a tali circostanze numerosi riscontri provenivano dalle prove testimoniali analiticamente individuate (pagg. 6-8 della sentenza) nonché dai documenti prodotti nel giudizio (nel dettaglio a pag. 10 della sentenza). Si osservò infine che l’eccezione con la quale le ricorrenti avevano, in comparsa conclusionale, sollevato la questione relativa al difetto di adempimento dell’onere della prova di cui all’art. 948 c.c., fosse inammissibile perché non tempestivamente dedotta e quindi non più devolvibile al giudice di appello e si ribadì che nella specie, si era al cospetto della diversa actio negatoria .
Avverso la prefata decisione ricorrono NOME e NOME COGNOME (deceduta nelle more del giudizio) con otto motivi, resiste NOME COGNOME con controricorso.
A séguito della proposta di definizione accelerata del Consigliere Delegato dal Presidente di Sezione, NOME COGNOME ha chiesto la decisione ex art. 380-bis, comma 2, c.p.c.
In prossimità dell’udienz a è stata depositata memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va esclusa un’eventuale situazione di incompatibilità a comporre il collegio giudicante da parte del consigliere delegato che ha formulato la proposta di definizione accelerata del ricorso atteso.
Nel procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati ex art. 380bis c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), il presidente della sezione o il consigliere delegato che ha formulato la proposta di definizione, come avvenuto nella specie, può far parte – ed eventualmente essere nominato relatore – del collegio investito della definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, comma 1, n. 4, e 52 c.p.c., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa (v., Cass., Sez. Un., 10 aprile 2024, n. 9611).
Premesso quanto innanzi possono ora trattarsi i motivi di ricorso.
2.Con il primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. e 100 c.p.c. , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. per non aver il giudice di merito rilevato il difetto di agire di NOME COGNOME atteso che la stessa aveva dichiarato di agire in relazione alla particella 218 del F. 3 in INDIRIZZO laddove poi le richieste probatorie avrebbero riguardato un fondo (sul quale era stato costituito in luogo di un fossato un tracciato stradale) del tutto diverso da quello che era stato acquistato nel 1993 e che all’atto di acquisto si presentava incolto e pieno di vegetazione.
Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell’art. 833 c.c. per mancato rilievo del difetto di interesse ad agire, ex art. 360 comma 1 n 3 c.p.c. e l’omesso esame di fatti decisivi.
L’azione proposta da NOME COGNOME non sarebbe stata realizzata al fine di tutelare il proprio diritto di proprietà ma avrebbe quale unico fine l’animus nocendi , pur in presenza di una pregressa di una amichevole composizione nell’individuazione dei confini intervenuta con le attuali ricorrenti,
Con il terzo motivo si denuncia la violazione dell’art. 112 e 100 c.p.c. ; dell’art. 2 Cost e 1175 c.c., abuso del diritto ed in subordine abuso del processo ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.; nonché omesso esame di fatti di causa.
Si censura la decisione per non aver rilevato che l’azione proposta da NOME COGNOME era espressione di un abuso del diritto nonché la violazione del principio solidaristico sancito dall’art. 2 della Cost. e dell’art. 1175 c.c.
Con il quarto motivo si denuncia la violazione degli artt. 112 e 100 c.p.c. (ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.) per non aver rilevato
l’improponibilità della domanda a causa dell’abbandono mero, a far data dal 1993, della striscia di terreno rivendicata.
Con il medesimo strumento impugnatorio si denuncia la violazione e mancata applicazione dell’art. 42 comma 2 Cost. nonché degli artt. 827, 832, 1322 c.c. nonché l’omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.
Il terreno, fin dal suo acquisto, era stato abbandonato e con rigogliosa vegetazione.
Il giudice (tanto di primo che di secondo grado) non si sarebbe avveduto che la striscia di terra, oggetto della controversia, era rimasta abbandonata fino a quando l’odierna ricorrente non si era ‘meravigliata’ del ‘fatto che le Di COGNOME avevano riempito il vallone e nel riempimento avevano realizzato una strada in terra battuta per accedere al loro fondo ‘ .
Nella specie si sarebbe al cospetto di una rinuncia al diritto di proprietà.
Sicché la domanda formulata dalla COGNOME avrebbe dovuto ritenersi improponibile perché estintosi il diritto per effetto dell’abbandono ovvero perché nella specie non sarebbe sussistente alcuna appropriazione da parte delle odierne ricorrenti.
Con il quinto motivo si denuncia la violazione dell’art. 112 e 100 c.p.c. ( in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.) per impossibilità di recuperare il bene rivendicato; violazione dell’art. 948 c.c. ed omesso esame di fatti decisivi.
Nella specie il bene oggetto della domanda formulata da NOME COGNOME non era più esistente in quanto modificato dalle ricorrenti e
pertanto l’azione non era proponibile sia che la consideri come rivendica che come actio negatoria .
Con il sesto motivo si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. e 100 c.p.c. (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.) per mancato rilievo della improponibilità della domanda per essere intervenuto un regolamento amichevole dei confini nonché omesso esame di fatti decisivi.
Con il settimo motivo si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. per errata qualificazione e determinazione della domanda.
Il giudice di merito avrebbe errato nel qualificare la domanda in termini di actio negatoria essendosi al cospetto di una azione di rivendicazione.
Con l’ottavo motivo (contenente quattro sotto doglianze e condizionato al rigetto dei precedenti) si denuncia, infine, la violazione dell’art. 112, degli artt. 323 e 339 c.p.c. per il tramite dell’art. 359 c.p.c. nonché dell’art. 132 c.p.c in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. ; la violazione dell’art. 349 c.p.c. , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.; la violazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. per mancanza nella motivazione del minimo motivazionale costituzionalmente garantito nonché l’omesso esame di un fatto decisivo, circa la natura dell’area oggetto della contesa e la destinazione della stessa al momento dell’acquisto del fondo.
3.Il ricorso è in parte inammissibile ed in parte manifestamente infondato.
Deve premettersi che in presenza di una cd. doppia conforme, come nella specie, il motivo proposto ex art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ., è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. Sez. 3 28-2-2023 n. 5947 Rv. 667202 -01, Cass. Sez. 1 22-12-2016 n. 26774 Rv. 643244-03, per tutte).
Nella specie la ricorrente non ha adempiuto a tale onere sicché tutte le doglianze proposte ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. sono inammissibili.
La prima e la quinta censura, ferma la inammissibilità dei profili attinenti all’omesso esame di fatti decisivi, possono essere trattate insieme e sono inammissibili per novità della questione.
In tema di ricorso per cassazione, infatti, qualora siano prospettate questioni di cui non vi è cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche, in virtù del principio di autosufficienza, indicare in quale specifico atto del grado precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel “thema decidendum” del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito e non rilevabili di ufficio (da ultimo Cass. n. 18018 del 2024).
Dal contenuto della sentenza emerge che le doglianze non siano stata oggetto di specifica e rituale censura in appello onde vanno
ritenute nuove, e, pertanto, inammissibili, perché formulate per la prima volta in sede di legittimità.
Peraltro, l’eventuale modifica dei luoghi non incide sull’interesse, poiché quel che rileva è che la porzione di terreno oggetto della domanda sia la medesima, ancorché nel tempo siano mutate le sue condizioni e la sua destinazione.
5.La seconda doglianza segue la stessa sorte della prima.
Quanto alla censura di omesso esame è inammissibile, vertendosi, come già innanzi evidenziato, in una ipotesi di cd. doppia conforme. La domanda di accertamento della natura emulativa dell’azione è, alla pari della precedente, nuova, non essendo stata oggetto di specifica e rituale censura in appello.
È opportuno peraltro rimarcare in questa sede che la pretesa del proprietario di un terreno di difendere il proprio diritto reale esclude la configurabilità del presupposto, necessario ex art. 833 c.c. per aversi atto emulativo, ossia l’assenza di qualsiasi utilità derivante da tale atto (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 27916 del 31/10/2018, Rv. 651036).
La terza censura è in primis inammissibile per novità della questione, non essendo stata proposta in sede di appello, nonché, comunque, manifestamente infondata atteso che la difesa del diritto di proprietà non integra l’abuso del diritto.
La nozione di atto di emulazione postula, infatti, l’esercizio del diritto, da parte del titolare, attraverso l’uso abnorme delle facoltà che gli competono, sicché è estranea ad essa la domanda giudiziale diretta a proteggere il proprio diritto di proprietà (Cass. n. 164 del 1981).
Per quanto concerne la inammissibilità del profilo della censura relativo all’omesso esame di un fatto decisivo si rimanda al paragrafo 3.
7. Anche il quarto motivo è infondato.
La censura nella parte in cui deduce l’omesso esame di fatti decisivi è inammissibile essendosi al cospetto di una cd. doppia conforme.
La doglianza relativa all’ abbandono del terreno non risulta che essa sia stata oggetto di specifica e rituale censura in appello onde va ritenuta nuova, e, pertanto, inammissibile, perché formulata per la prima volta in sede di legittimità.
Né risulta essere stata invocata l’usucapione dell’area contesa, in relazione alla quale, comunque, non si è compiuto il ventennio, poiché la stessa di COGNOME indica che il giudizio di merito è stato introdotto a distanza di dieci anni dall’asserito abbandono dell’area oggetto della controversia.
La sesta censura è manifestamente infondata, perché con essa si lamenta l’omessa considerazione, da parte del giudice di merito, dell’esistenza di un accordo amichevole per la determinazione dei confini. Anche in questo caso, ferma l’inammissibilità del vizio di omesso esame per le ragioni già evidenziate al par. 3, la censura è nuova perché non risulta proposta in appello. Essa, inoltre, difetta di specificità poiché non indica alcun elemento dal quale si potrebbe, in ipotesi, desumere l’esistenza dell’allegato accordo amichevole.
Il settimo strumento impugnatorio è inammissibile per novità della questione. Con la predetta censura si contesta la
qualificazione della domanda di NOME COGNOME in termini di negatoria servitutis, e non invece di rivendicazione, con conseguente violazione dell’art. 948 c.c. Dalla sentenza impugnata emerge la novità della censura, poiché con l’atto di appello erano state mosse contestazioni soltanto in relazione all’accertamento dei confini ed alla valutazione delle prove mentre solo in sede di comparsa conclusionale, e quindi tardivamente, era stata introdotta la questione concernente la qualificazione dell’azione ( si vedano in particolare pagg. 11 e 12 del provvedimento impugnato).
L’ottavo motivo , in tutte le sue articolazioni, è manifestamente infondato.
Con esso, infatti, si contesta la valutazione delle prove operata dal giudice di merito, poiché lo stesso avrebbe valorizzato soltanto il dato catastale, e non anche considerato le risultanze dei titoli, ed avrebbe altresì omesso di esaminare fatti decisivi. In relazione all’omesso esame, si ribadisce l’inammissibilità della sua deduzione, in presenza di una doppia conforme così come già chiarito nel paragrafo 3.
Nel resto, la censura non si confronta con la motivazione della decisione, ampiamente al di sopra del c.d. minimo costituzionale, che, dopo aver dato atto delle risultanze catastali, evidenziando anche come le odierne ricorrenti le avevano arbitrariamente modificate nella pendenza del giudizio e ripercorso le dichiarazioni rese dai testimoni escussi con riferimento allo stato dei luoghi, ha anche precisato che tutti gli elementi ricavati dall’istruttoria corrispondevano alle risultanze dei titoli, ed in particolare dell’atto con il quale la COGNOME aveva acquistato la sua proprietà (atto per
AVV_NOTAIO del 4.6.1993 rep. 36449), che includeva una cantina e anche l’area oggetto di causa (cfr. pag. 10 del provvedimento impugnato). Ne consegue che la ricostruzione dei confini sia stata condotta in base alle risultanze dei titoli.
11. Conclusivamente il ricorso va respinto con condanna alle spese secondo soccombenza, liquidate in ragione del valore di lite. Essendo il giudizio definito in conformità alla proposta non accettata, si applicano gli ultimi due commi dell’art.96 c.p.c., contenendo l’art.380 bis, ult. co. c.p.c. una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata in favore della controparte e di un’ulteriore somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, secondo quanto statuito da questa Corte (S.U. n. 27195, 27433, 36069 del 2023, e Cass. 27947/23), l’una come ulteriore aggravamento della condanna alle spese, l’altra con funzione prettamente sanzionatoria a favore della collettività, entrambe espressive di maggior rilievo dato dalla novella codicistica alla finalità deterrente rispetto al compimento di atti processuali meramente defatigatori, valorizzando la funzione deflattiva della proposta definitoria per disincentivare, in presenza di orientamenti consolidati ed in mancanza di innovative argomentazioni, inutili lungaggini processuali.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del DPR n.115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1-bis del citato D.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; condanna altresì le ricorrenti, ai sensi dell’art. 96 III e IV comma c.p.c., al pagamento della somma di euro 3.500,00 in favore della controricorrente ed euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del DPR n.115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1-bis del citato D.P.R., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, in data 18 settembre 2025
Il Presidente NOME COGNOME