Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 18327 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 18327 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9927/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO COGNOME NOME che lo rappresenta e difende unitamente all’AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO che li rappresenta e difende;
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
– controricorrenti –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di FIRENZE n. 2140/2018 depositata il 21/09/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, in qualità di unico erede della defunta contessa NOME COGNOME, proprietaria di due tele ad olio del pittore COGNOME, proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Prato con la quale era stata dichiarata la proprietà in favore di NOME COGNOME delle suddette tele, già oggetto di sequestro penale perché provento di furto e rinvenute presso l’abitazione del COGNOME a seguito di perquisizione eseguita dai Carabinieri.
La sentenza di primo grado si fondava sulla sussistenza dei presupposti e delle condizioni di cui all’articolo 1153 codice civile ovvero l’acquisto in buona fede e la sussistenza di un titolo idoneo al trasferimento della proprietà. In particolare, NOME COGNOME aveva il possesso dei beni oggetto della vendita ed esposti pubblicamente presso la propria abitazione, l’acquisto del possesso da parte dell’acquirente ovvero la consegna dei dipinti e il pagamento del prezzo nella complessiva somma di lire 220.000.000 di cui lire 20.000.000 a titolo di provvigione a favore del mediatore NOME COGNOME, l’e xpertise effettuata dal critico d’arte NOME COGNOME provavano la buona fede del COGNOME al momento
Ric. 2019 n. 9927 sez. S2 – ud. 11/06/2024
dell’acquisto. Buona fede che non era smentita dal ritrovamento presso la sua abitazione di un altro dipinto provento di furto.
NOME COGNOME si costituiva nel giudizio di appello e proponeva a sua volta appello incidentale condizionato, chiedendo l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi di NOME COGNOME che gli aveva venduto il dipinto.
Gli eredi di NOME COGNOME si costituivano in giudizio e chiedevano il rigetto dell’appello.
La C orte d’ Appello di Firenze rigettava il gravame e confermava la sentenza impugnata. In particolare, riteneva sussistere i presupposti di cui all ‘articolo 1153 codice civile , in quanto dall’istruttoria espletata e dalla documentazione prodotta era emerso come dato pacifico che NOME COGNOME a seguito di trattativa condotta per il tramite di NOME COGNOME, esperto d’arte , collezionista, nonché genero del titolare di una galleria d’arte di Modena aveva acquistato da NOME COGNOME, medico collezionista d’arte , nell’anno 1990 al prezzo di lire 220.000.000 , interamente pagato, due dipinti a olio su tela raffiguranti nature morte attribuite al pittore COGNOMECOGNOME Dall’istruttoria e ra emerso che i dipinti erano esposti all’epoca della vendita nella casa del venditore e all’epoca del ritrovamento nella casa dell’acquirente. Inoltre, n ell’anno 1982 era stato pubblicato un articolo sulla rivista fine arts intitolato ‘ nascita delle nature morte ‘ con espressa citazione del pittore COGNOME COGNOME erano attribuiti quei dipinti. Gli stessi dipinti erano stati oggetto dell’ expertise del critico d’arte NOME COGNOME.
Dunque, l’acquisto dei dipinti di grande valore economico non era avvenuto tramite un oscuro personaggio eventualmente noto o
con precedenti penali ma tramite un esperto d’arte venduto da un altro collezionista medico e anch’egli appassionato d’arte. Tutte queste circostanze deponevano per la buona fede del COGNOME. Infatti, doveva escludersi una colpa grave dell’acquirente per non aver usato quel pur minimo di diligenza necessario in un tale acquisto. D’altra parte , era documentato anche il pagamento del prezzo e i dipinti erano stati oggetto dell’articolo pubblicato sulla rivista specializzata ed erano stati oggetto di un expertise da parte di un critico d’arte. Sulla base di tali considerazioni anche il giudice delle indagini preliminari del tribunale di Prato aveva archiviato il procedimento penale a carico del COGNOME per ricettazione. I due dipinti erano stati esposti per anni nelle abitazioni prima del COGNOME e poi del COGNOME e, quindi, non erano detenuti clandestinamente. Tutti questi elementi deponevano per la buona fede del COGNOME. Il fatto che i dipinti non fossero esposti al pubblico ma detenuti in case private non era un elemento idoneo a incrinare la ritenuta buona fede del COGNOME. Peraltro, il furto delle opere denunciato nel 1977 non risultava aver avuto alcuna risonanza e il ritrovamento di un terzo quadro provento di furto nell’abitazione del COGNOME non deponeva per la malafede anche in relazione all’altro acquisto.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza.
NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con separati controricorsi.
Le parti, con memoria depositata in prossimità dell’udienza , hanno insistito nelle rispettive richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Ric. 2019 n. 9927 sez. S2 – ud. 11/06/2024
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione o falsa applicazione degli articoli 1153 e 1147 c.c.
Secondo parte ricorrente la sentenza della C orte d’ Appello di Firenze sarebbe erronea nella parte in cui ha ritenuto sussistenti i requisiti richiesti dalla legge in relazione all’acquisto a non domino e in particolare alla sussistenza della buona fede in capo all’acquirente.
Il ricorrente evidenzia che la prova della malafede o della colpa grave del possessore può essere fornita anche mediante presunzioni semplici, purché gravi precisi e concordanti e che la buona fede rilevante è quella soggettiva e sussiste qualora l’ignoranza di ledere l’altrui diritto dipenda da colpa grave.
Sulla base di circostanze precise, dunque, sussisterebbe la colpa grave in capo al COGNOME. In particolare, secondo il ricorrente, deporrebbero in tal senso il concomitante ritrovamento presso l’abitazione di tre quadri rubati , il fatto che l’abitazione privata non sia un luogo aperto al pubblico e, quindi, il possesso dovrebbe ritenersi clandestino, la mancanza di qualsivoglia certificazione che al momento dell’acquisto attestasse la lecita provenienza del quadro. Sulla base di tali elementi parte ricorrente ritiene che non vi sia stata la cautela necessaria nell’acquisto tenuto conto anche del rilevante valore dell ‘opera d’arte che imponeva una cautela rafforzata.
La C orte d’appello di Firenze avrebbe , dunque, erroneamente applicato gli artt. 1147 e 1153 codice civile.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
La C orte d’ Appello di Firenze non avrebbe svolto alcun esame sulla dedotta diligenza qualificata e avrebbe completamente omesso ogni accertamento della componente psicologica dell’acquirente. Inoltre , non avrebbe considerato che l’e xpertise del critico d’arte COGNOME non era specifica .
Infine, in sentenza non vi sarebbe alcun riferimento alla presenza in Italia del RAGIONE_SOCIALE artistico e della necessità di rivolgersi allo stesso o di consultare la relativa rivista periodica in caso di acquisto di opere d’arte al fine di verificarne la genuinità e legittimità della provenienza.
2.1 I due motivi di ricorso che stante la loro evidente connessione possono essere esaminati congiuntamente sono inammissibili.
Il ricorrente sotto l’ombrello della violazione degli artt. 1153 e 1147 c.c. e dell’omes so esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti in realtà richiede una diversa valutazione degli elementi istruttori emersi nel corso del giudizio di merito al fine di affermare la mancanza della buona fede in capo all’acquirente, presupposto necessario ai fini dell’operatività della regola possesso vale titolo nell’ambito degli acquisti “a non domino” di beni mobili.
Questa Corte ha più volte evidenziato come il giudizio sulla sussistenza o meno della buona fede comporti un apprezzamento di fatto, sottratto al sindacato di legittimità ove sorretto da esauriente motivazione e ispirato a esatti criteri giuridici (Sez. 2, Ordinanza n. 22585 del 10/09/2019, Rv. 655221).
Nella specie la Corte d’Appello ha ampiamente dato conto di tutti gli elementi in base ai quali ha ritenuto che il COGNOME al momento dell’acquisto dei due quadri fosse in buona fede circa la loro legittima provenienza. In particolare, ha evidenziato che dall’istruttoria espletata e dalla documentazione prodotta era emerso come dato pacifico che NOME COGNOME a seguito di trattativa condotta per il tramite di NOME COGNOME, esperto d’arte, collezionista, nonché genero del titolare di una galleria d’a rte di Modena aveva acquistato da NOME COGNOMECOGNOME medico collezionista d’arte, nell’anno 1990 al prezzo di lire 220.000.000, interamente pagato, due dipinti a olio su tela raffiguranti nature morte attribuite al pittore COGNOMECOGNOME Dall’istruttoria era emerso che i dipinti erano esposti all’epoca della vendita nella casa del venditore e all’epoca del r itrovamento nella casa dell’acquirente. Inoltre, nell’anno 1982 era stato pubblicato un articolo sulla rivista fine arts intitolato ‘nascita delle nature morte’ con espressa citazione del pittore COGNOME COGNOME erano attribuiti quei dipinti. Gli stessi dipinti erano stati oggetto dell’exper t ise del critico d’arte NOME COGNOME. Dunque, l’acquisto dei dipinti di grande valore economico non era avvenuto tramite un oscuro personaggio eventualmente noto o con precedenti penali ma tramite un esperto d’arte venduto da un altro collezionista medico e anch’egli appassionato d’arte. Tutte queste circostanze deponevano per la buona fede del COGNOME. Infatti, doveva escludersi una colpa grave dell’acquirente per non aver usato quel pur minimo di diligenza necessario in un tale acquisto, essendo documentato sia il pagamento del prezzo sia che i dipinti erano stati oggetto dell’articolo pubblicato sulla rivista specializzata sia che erano stati oggetto di un expertise da parte di un critico
d’arte. Sulla base di tali considerazioni anche il giudice delle indagini preliminari del tribunale di Prato aveva archiviato il procedimento penale a carico del COGNOME per ricettazione. Il fatto che i dipinti non fossero esposti al pubblico ma detenuti in case private non era un elemento idoneo a incrinare la ritenuta buona fede del COGNOME. Peraltro, il furto delle opere denunciato nel 1977 non aveva avuto alcuna risonanza e il ritrovamento di un terzo quadro provento di furto nell’abitazione del COGNOME non d eponeva per la malafede anche in relazione all’altro acquisto.
La corte territoriale è giunta alle dette conclusioni con corretto apprezzamento di merito esponendo adeguatamente le ragioni del suo convincimento. La valutazione della sussistenza della buona fede – prendendo le mosse dall’esame dei fatti e delle prove inerenti al processo – è rimessa all’esame del giudice del merito, le cui valutazioni, alle quali il ricorrente contrappone le proprie, non sono sindacabili in sede di legittimità, ciò comportando un nuovo esame del materiale delibato che non può avere ingresso nel giudizio di cassazione. Ne consegue che le complessive censure proposte dal ricorrente si risolvono nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto.
I motivi di ricorso, pertanto, anche là dove denunciano il vizio di violazione e falsa applicazione di legge si appalesano inammissibili a fronte dell’anzidetto accertamento compiuto dalla Corte territoriale, la quale ha individuato le fonti del proprio convincimento e valutato le risultanze probatorie, dando conto dell’iter logico e deduttivo seguito. Infatti, come questa Corte ha più volte sottolineato, compito della Corte di cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti
contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici del merito (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 3267 del 12/02/2008, Rv. 601665), dovendo invece la Corte di legittimità limitarsi a controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che, come dianzi detto, nel caso di specie è dato riscontrare.
Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti di ognuna delle parti ricorrenti che liquida rispettivamente in euro 4000, più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228 /12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione