Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 30425 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 30425 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: RAGIONE_SOCIALE
Data pubblicazione: 26/11/2024
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso iscritto al n. 14961/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente principale-
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, rappresentate e difese dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrenti e ricorrenti incidentali- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI n. 948/2017 depositata il 14/11/2017;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
Con atto di citazione notificato il 29 dicembre 1995, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME convenivano il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, innanzi al Tribunale di Cagliari esponendo che, con Decreto numero 2 del 25 gennaio 1986, il Sindaco del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE aveva disposto l’occupazione di urgenza, finalizzata alla realizzazione di un piano per l’edilizia popolare ed economica, del terreno censito al foglio 13 e mappale 495, di proprietà delle stesse e che il bene veniva occupato il 18 febbraio 1986. Le attrici chiedevano, pertanto, la restituzione del terreno di loro proprietà, assoggettato a procedura espropriativa mai completata, e la condanna del RAGIONE_SOCIALE al risarcimento dei danni, allegando che nessuna opera era stata costruita e che non era stata definita alcuna procedura espropriativa.
Con sentenza del 13 settembre 2007, il Tribunale di Cagliari accoglieva, per quanto di ragione, la domanda proposta, condannava il convenuto alla restituzione del bene, al pagamento della somma di € 145.520, a titolo di risarcimento danni per la mancata disponibilità del terreno dal 18 febbraio 1993, nonché al rimborso delle spese del giudizio e dichiarava, altresì, la propria incompetenza a giudicare sulla domanda di indennizzo per l’occupazione legittima e, pertanto, in ordine a detta domanda rimetteva la causa avanti alla Corte di appello di Cagliari.
Contro tale decisione, con distinti atti, veniva proposto appello da entrambe le parti.
La Corte d’Appello di Cagliari, in data 24 gennaio 2014, con sentenza non definitiva n. 544/2014, depositata in cancelleria il 2 ottobre 2014: a) rigettava l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dal RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, rilevando che l’occupazione illecita era iniziata nel 1995 e il giudizio restitutorio e risarcitorio nel dicembre 1995, quindi nel periodo anteriore al l’1 -7 -1998, così rientrando nella giurisdizione ordinaria, ai sensi della l.n.205/2000,
vertendosi in ipotesi di occupazione appropriativa; b) rigettava l’appello proposto dall’ente avverso la qualificazione dell’occupazione quale usurpativa e, conseguentemente, avverso la disposta restituzione, affermando che il termine di validità del PEEP era scaduto già dal 9 dicembre 1995 e il comportamento della Amministrazione doveva qualificarsi come illecito e occupazione usurpativa, in conformità a quanto statuito dal Tribunale, nonché era infondato l’assunto dell’ente laddove sosteneva che l’obbligo di restituzione non si estendeva ai soprassuoli realizzati sull’area, operando invece la norma dell’accessione di cui all’art.934 cod. civ.; c) rigettava l’appello proposto dall’ente avverso il capo della sentenza con il quale il Tribunale aveva declinato la propria competenza a conoscere della domanda avente ad oggetto l’indennità di occupazione legittima in favore della Corte d’Appello in unico grado, poiché il RAGIONE_SOCIALE sosteneva che il Tribunale aveva erroneamente interpretato la domanda risarcitoria come comprensiva sia del danno da indisponibilità del bene che della indennità di occupazione legittima; la Corte di merito al riguardo rilevava che il tempestivo mancato esperimento del regolamento di competenza rendeva incontestabili sia la dichiarazione di incompetenza che la competenza del giudice indicato (Corte d’appello in unico grado); d) rimetteva la causa in istruttoria in quanto le ulteriori doglianze proposte dal RAGIONE_SOCIALE e quelle esposte dalle attrici non potevano essere decise avendo ad oggetto la quantificazione del danno e necessitando pertanto di un supplemento di indagine tecnica.
5. Nel corso del procedimento di secondo grado, veniva acquisita la sentenza n. 534/2014, divenuta definitiva e passata in giudicato, pronunciata dalla Corte d’Appello di Cagliari nel giudizio iscritto al R.G. n. 217/2008, promosso da NOME e NOME COGNOME che, a seguito della richiamata sentenza del Tribunale di Cagliari delle cui impugnazioni è causa, avevano riassunto il giudizio avanti alla
Corte d’appello per la determinazione dell’indennità di occupazione legittima.
6. La Corte di Appello di Cagliari, con sentenza definitiva n. 948/2017, condannava il RAGIONE_SOCIALE a pagare a NOME ed NOME COGNOME, in solido tra loro, la somma di € 72.868,91, a titolo di risarcimento del danno per la mancata disponibilità, dal 18.2.1993 alla data della decisione, del terreno per cui è causa; condannava, altresì, il RAGIONE_SOCIALE alla rifusione delle spese di lite in favore di NOME e NOME COGNOME, in solido tra loro. In particolare, con tale sentenza, la Corte di Appello, dopo aver premesso che la decisione aveva ad oggetto i motivi di appello avverso i capi della sentenza relativi alla quantificazione del risarcimento dei danni spettanti alle COGNOME a fronte del mancato godimento dell’area per cui era causa dalla data di cessazione del periodo di occupazione legittima alla data della decisione, rilevava che: a) poiché era oramai definitiva la sentenza n. 534/2014, pronunciata dalla Corte d’Appello di Cagliari nel giudizio iscritto al RG n. 217/2008, sul diritto delle COGNOME di vedersi corrispondere l’indennità di occupazione legittima, si era formato su tali statuizioni il giudicato che precludeva ogni diversa valutazione; b) pertanto, erano oramai definitivamente ed irrevocabilmente accertate sia la data nella quale era scaduto il termine di occupazione legittima, cioè il 18 febbraio 1993, sia il valore del bene a tale data (lire 84.590.477 -euro 43.687,34). In virtù di tale ultimo accertamento, la Corte di merito rigettava il motivo di appello delle COGNOME volto a far accertare l’insussistenza di un periodo di occupazione legittima nella fattispecie scrutinata e quindi avverso la declaratoria del Tribunale che aveva affermato la competenza della Corte d’Appello a conoscere della domanda avente ad oggetto l’indennità relativa a detto periodo, nonché rigettava il motivo di appello delle COGNOME di vedersi riconoscere una diversa data di decorrenza del periodo di occupazione illegittima. La
Corte d’appello, inoltre, accoglieva il quarto motivo di gravame del RAGIONE_SOCIALE volto a contestare il valore dell’area riconosciuto dal Tribunale, sul rilievo che le ricorrenti avevano ottenuto la condanna alla restituzione dell’area di cui erano proprietarie e pertanto alle stesse poteva riconoscersi solo il danno subito per il mancato godimento del bene dalla data di scadenza del periodo di occupazione legittima alla data della sentenza, e non anche la perdita del valore del bene stesso, nonché rilevava che nessuna delle parti aveva proposto appello per censurare la quantificazione del danno da mancato godimento dell’area, effettuato con criterio equitativo (calcolo degli interesse legali dal 18 -2 -1993 alla data della sentenza sul valore dell’area alla data iniziale, senza considerare l’evoluzione di detto valore nel corso del periodo considerato). Infine la Corte d’appello riconosceva sul credito di valore delle COGNOME la rivalutazione monetaria alla data della sentenza e il maggior danno per l’indisponibilità della somma, come da importo quantificato in via equitativa secondo il criterio indicato nella motivazione della sentenza impugnata.
Avverso tali sentenze della Corte di Appello di Cagliari il RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, resistito con controricorso da NOME COGNOME e NOME COGNOME, che propongono ricorso incidentale affidato a due motivi.
Con ordinanza interlocutoria del 14-12-2023 questa Corte, rilevato che le controricorrenti e ricorrenti incidentali nella memoria illustrativa davano atto della sopravvenienza nel 2020 di provvedimento di acquisizione sanante, che tuttavia non risultava prodotto, ha ritenuto necessario che le parti prendessero posizione in ordine alla sopravvenienza del citato provvedimento di acquisizione sanante, date le conseguenze giuridiche che ne sarebbero potute derivare sulla materia del contendere, e che provvedessero alla produzione del medesimo provvedimento, ove effettivamente emesso, e ha pertanto rinviato la causa a nuovo
ruolo per l’espletamento di tali incombenti.
All’esito dell’intervenuto deposito da parte delle COGNOME dei provvedimenti di acquisizione disposti ex art.42 bis d.p.r. n.327/2001 dal RAGIONE_SOCIALE, i l ricorso è stato nuovamente fissato per la trattazione in camera di consiglio. Le parti hanno depositato memorie illustrative.
CONSIDERATO CHE
Il ricorrente principale denuncia: i ) con il primo motivo la ‘ Violazione e falsa applicazione della legge 18.04.1962, n. 167, in particolare degli artt. 8 e 9, come modificato dall’art. 51, legge 05.08.1978, n. 457; dell’art. 16, legge 17.08.1942, n. 1150; dell’art. 3, comma 1, legge 27.10. 1988, n. 458; dell’art. 57, DPR 08.06.2001, n. 327; dell’art. 822 c.c., in relazione all’art. 360, 1º comma, n. 3, del cod. proc. civ. ‘, per avere i Giudici di secondo grado accolto la domanda di restituzione dell’area per cui è causa sul presupposto che la costruzione dell’opera pubblica avrebbe avuto inizio quando ormai sarebbero risultati scaduti i termini di validità della dichiarazione di pubblica utilità e che la stessa costruzione non sarebbe stata comunque completata entro la data di scadenza del PEEP, sennonché, tale avversa domanda avrebbe dovuto essere rigettata: in primo luogo, in quanto, ai fini dell’acquisizione appropriativa, non sarebbe necessaria la totale realizzazione dell’opera; in secondo luogo, perché parte della stessa area era stata destinata alla viabilità pubblica, non essendo, pertanto, neppure pensabile una parziale retrocessione di bene indiviso; in terzo luogo, in quanto in presenza di un valido ed efficace provvedimento amministrativo contenente la dichiarazione di pubblica utilità, anche in assenza del decreto di espropriazione, si sarebbe dovuta ritenere, dai primi Giudici, perfezionata la fattispecie della c.d. accessione invertita o occupazione appropriativa; ad avviso del RAGIONE_SOCIALE che solo la mancanza della dichiarazione di pubblica utilità, o il suo annullamento, determinano
la situazione di illiceità iniziale permanente dell’occupazione che giustifica la pretesa restitutoria del privato, mentre non ha rilievo a tal fine la scadenza del termine della dichiarazione di pubblica utilità; ii ) con il secondo motivo, la ‘ Violazione e falsa applicazione: dell’art. 3, comma 1, legge 27.10.1988, n. 458; degli artt. 57 e 58, DPR 08.03.2001, n. 327; in relazione all’art. 360, 1º comma, n. 3 del cod.proc.civ.’ , in quanto, nel caso di specie, la dichiarazione di pubblica utilità era intervenuta antecedentemente all’entrata in vigore del DPR n. 327/2001 e, conseguentemente, la disciplina prevista da quest’ultimo non era applicabile al caso in esame, che invece dovrebbe essere assoggettato a quanto prevede il cit. art. 3 della L. n. 458/1988; pertanto era preclusa la possibilità di disporre la retrocessione del bene in favore degli originari proprietari, ai quali spettava, invece, semmai, il solo risarcimento del danno subito per la perdita del bene, con il ristoro previsto nel quantum dalla specifica disciplina di settore; iii ) con il terzo motivo, la ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 2058 c.c.; in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, del c.p.c. ‘, per avere le sentenze impugnate, in violazione del cit. art. 2058 c.c., disposto la restituzione del bene per cui è causa, sussistendo l’alternativa del risarcimento, debitamente e legittimamente accertato quanto al suo ammontare.; iv) con il quarto motivo, la ‘ Violazione e falsa applicazione: dell’art. 112 cpc; degli artt. 934, 935, 936 del c.c.; in relazione all’art. 360, 1º comma, n. 3 del c.p.c. ‘, per essersi il Giudice di secondo grado pronunziato ultra petita e per omessa pronunzia sul valore dell’indennizzo conseguente all’asserito trasferimento dei soprassuoli, sul rilievo che le parti private non avevano mai chiesto la restituzione dei soprassuoli, e peraltro in subordine, in ipotesi di accoglimento di detta pretesa, al RAGIONE_SOCIALE avrebbero dovuto pagarsi i costi sostenuti per realizzare i soprassuoli o il maggior valore dell’area; v) con il quinto motivo, la ‘ Violazione e falsa applicazione: degli artt. 37 e 42bis, D.P.R.
08.06.2001, n. 127; in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, del cod. proc. civ. ‘, per avere la Corte di merito adottato un erroneo criterio di determinazione dell’indennizzo per il pregiudizio patrimoniale nonché del danno per il periodo di occupazione senza titolo, poiché non erano stati detratti i costi necessari per le opere di urbanizzazione.
2.Col primo motivo di ricorso incidentale, le COGNOME denunciano, ex art.360 n.5 c.p.c., omesso esame di fatto decisivo, con riferimento ai criteri di determinazione del valore effettivo di mercato sanciti dalla l.n.865/1971 e dall’art.43 d.p.r. n.327/2001. Rilevano che il valore attribuito dalla Corte d’Appello ai beni per cui è causa era fondato su quello stabilito con la sentenza n. 534/2014, prodotta dall’Amministrazione comunale, assumendo a presupposto una valutazione riferita a un diverso titolo, ossia a titolo di indennità di occupazione temporanea legittima, e non per il danno subito da occupazione usurpativa, illecita e permanente. Deducono che il valore di mercato era invece superiore (pag.25), come risultava dagli atti di cessione volontaria e dalla perizia estimativa richiamata, e che la precedente sentenza inter partes non poteva avere valore vincolante in relazione al diverso oggetto del presente giudizio, non potendo peraltro tenersi conto delle opere di urbanizzazione perché il piano di zona aveva perduto la sua efficacia.
Col secondo motivo di ricorso incidentale, le COGNOME, pur dando atto di aver fatto acquiescenza ‘ad una prospettata ipotesi di occupazione legittima in relazione al periodo dal 1986 al 1993’ (pag.29 controricorso), denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art.2056 cod. civ. in ordine alla valutazione dei danni da fatto illecito; in particolare assumono di avere diritto ad essere risarcite del danno causato dal protrarsi dall’occupazione ritenuta illecita, danno riferito all’intero periodo di occupazione, compreso quello di occupazione legittima dal 1986 al 1993,
dovendo riconoscersi la rivalutazione monetaria anno per anno, in quanto la realizzazione dell’opera era intervenuta in difetto di vigenza della dichiarazione di pubblica utilità o dopo la scadenza del periodo di vigenza del decreto di occupazione temporanea d’urgenza ed immissione nel possesso.
RITENUTO CHE
Poiché le controricorrenti e ricorrenti incidentali hanno prodotto i decreti ex art.42 bis T.U.E. emessi dal RAGIONE_SOCIALE nel 2020 e hanno anche dedotto, nell’ultima memoria, di avere proposto avverso i suddetti provvedimenti rituale opposizione avanti alla Corte d’appello di Cagliari, tuttora pendente in attesa del deposito della C.T.U., si pone la questione dell’applicabilità dell’acquisizione sanante ex art.42 bis cit. anche nelle ipotesi, come quella che si sta scrutinando, in cui il procedimento ablatorio sia stato avviato in epoca anteriore all’entrata in vigore del D.P.R. n. 327 del 2001, e ciò ai fini dell’eventuale improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse all’impugnazione ex art.100 c.p.c., in assenza di un giudicato ostativo.
2 . Secondo l’orientamento espresso da alcune pronunce di questa Corte (Cass.27304/2018; Cass.27198/2019; Cass.159/2024), l’acquisizione sanante prevista dall’art. 42-bis cit. non trova applicazione ai procedimenti ablatori avviati in epoca anteriore all’entrata in vigore del D.P.R. n. 327 del 2001, anche se, a mente del comma 8, le disposizioni introdotte si applicano anche a fatti anteriori alla sua entrata in vigore, perché la disciplina delle occupazioni sine titulo anteriori al 30 settembre 1996 ex art. 55 del TUE non ne fa menzione. Si è aggiunto che si deve inoltre tenere conto del fatto che la norma dell’art.42 bis risponde alla medesima finalità del sostituito art. 43 del TUE, dichiarato incostituzionale per eccesso di delega, consistente nell’agevolare il superamento dell’istituto dell’occupazione acquisitiva, ma soltanto per i procedimenti ablatori avviati in epoca successiva all’entrata in
vigore del medesimo TUE; pertanto in quei casi il relativo provvedimento risulta emesso in carenza di potere e può, perciò, essere disapplicato, restando così esclusa l’improcedibilità della domanda risarcitoria e la contemporanea pendenza dell’opposizione alla stima (cfr. Cass. 159/2024 citata).
3. Questa opzione ermeneutica non pare, invero, trovare puntuale riscontro nel tenore letterale del comma 8 dell’art.42 bis cit., che è il seguente: « Le disposizioni del presente articolo trovano altresì applicazione ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore ed anche se vi è già stato un provvedimento di acquisizione successivamente ritirato o annullato ». Il testo della norma non introduce alcuna distinzione tra le varie ipotesi di applicazione retroattiva, individuate solo con la generica locuzione ‘ fatti anteriori ‘, e anzi riguarda non solo situazioni di mero fatto (quali le occupazioni sine titulo e le correlative illecite trasformazioni dei fondi da parte della p.a.) ma anche, come previsto nell’ultima parte della disposizione de qua , quelle in cui sia stato avviato un procedimento ablatorio con il correlativo provvedimento di acquisizione e questo sia stato successivamente ritirato o annullato.
Va osservato che le Sezioni Unite di questa Corte, con l’ordinanza n. 442/2014 di rimessione alla Corte Costituzionale della norma in questione, avevano espressamente argomentato in ordine a quanto disposto dal citato comma 8, interpretandolo come ‘superamento’ della norma transitoria dell’art. 57. Questo rilievo era funzionale ad evidenziare il dubbio di conformità della norma censurata agli artt. 111, primo e secondo comma, e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 della CEDU, secondo l’interpretazione fornita dalla Corte di Strasburgo. La Corte EDU, infatti, ha ripetutamente considerato lecita l’applicazione dello ius superveniens in cause già pendenti soltanto in presenza di «ragioni imperative di interesse generale», pena la violazione del principio di legalità nonché del diritto ad un processo equo. Ciò perché, in
ipotesi del genere, il potere legislativo introduce nuove disposizioni specificamente dirette ad influire sull’esito di un giudizio già in corso (specie considerando i giudizi ove sia parte un’amministrazione pubblica), inducendo il giudice a decisioni su base diversa da quella alla quale la controparte poteva legittimamente aspirare al momento di introduzione della lite. La norma censurata, nella prospettazione delle Sezioni Unite, avrebbe violato questi principi, in quanto, nonostante la precisazione del primo comma secondo cui l’atto di acquisizione è destinato a non operare retroattivamente, con la disposizione dell’ottavo comma avrebbe confermato la possibilità dell’amministrazione di utilizzare il provvedimento ex tunc , ma anche per fatti anteriori alla sua entrata in vigore, così sovrapponendosi e superando il disposto della norma transitoria del T.U.E (art.57), ed anche qualora vi fosse già stato un provvedimento di acquisizione successivamente ritirato o annullato, in conformità alla finalità di attribuire alle amministrazioni occupanti una via di uscita legale dalle situazioni di illegalità venutesi a verificare nel corso degli anni. La Corte Costituzionale, con la sentenza n.71/2015, sul punto ha espressamente affermato che « È vero, infatti, che la norma trova applicazione anche ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore, per i quali siano pendenti processi, ed anche se vi sia già stato un provvedimento di acquisizione successivamente ritirato o annullato. Ma è anche vero che questa previsione risponde alla stessa esigenza primaria sottesa all’introduzione del nuovo istituto (così come del precedente art. 43): quella di eliminare definitivamente il fenomeno delle ‘espropriazioni indirette’, che aveva fatto emergere quella che la Corte EDU (nella sentenza 6 marzo 2007, COGNOME contro Italia) aveva definito una ‘défaillance structurelle’, in contrasto con l’art. 1 del Primo Protocollo allegato alla CEDU ». In definitiva, secondo la ricostruzione della Corte Costituzionale, a fronte della prassi perpetrata nel tempo delle c.d. espropriazioni
indirette, ritenuta illecita dalla Corte di Strasburgo al punto da integrare una carenza strutturale del sistema, il legislatore ha fornito alla p.a. uno strumento per far rientrare queste situazioni nell’alveo della legalità e soprattutto per acquisire il terreno, ormai irreversibilmente trasformato, alla mano pubblica, per mezzo di un atto legale, avente data certa, e subordinato ad una valutazione con motivazione rafforzata delle esigenze di pubblico interesse. La norma ha superato lo scrutinio di costituzionalità in quanto ritenuta rispondente all’esigenza di trovare una «soluzione definitiva» ed equilibrata al fenomeno, ma non si rinviene, invero, nella citata sentenza n.71/2015 un’espressa affermazione di li mitazione temporale circa l’applicabilità dell’art. 42 bis citato (come si è detto, così si esprime il Giudice delle Leggi: ‘… la norma trova applicazione anche ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore, per i quali siano pendenti processi…’ ). Le differenze rispetto al precedente meccanismo acquisitivo, tali da rendere infondato il sospetto di incostituzionalità, sono state individuate nel carattere non retroattivo dell’acquisto, che pertanto impedisce l’utilizzo dell’istituto in presenza di un giudicato di restituzione del bene al privato, nonché nella necessaria rinnovazione della valutazione di attualità e prevalenza dell’interesse pubblico a disporre l’acquisizione.
In quest’ottica potrebbe risultare frustrata la finalità sanante, nel senso precisato dal Giudice delle Leggi, ove la norma non potesse applicarsi, indistintamente, anche per il passato, sia pure con l’effetto ex nunc della disposta acquisizione della proprietà, ponendo così rimedio a quelle situazioni irregolari, ma ormai irreversibili perpetrate nel tempo anche a causa della complessa evoluzione del diritto vivente in materia e del successivo plurimo intervento della Corte di Strasburgo.
Queste argomentazioni, unite alla considerazione che il potere di disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo da parte del
giudice ordinario può essere esercitato unicamente nei giudizi tra privati e nei soli casi in cui l’atto illegittimo venga in rilievo come mero antecedente logico, e non già come fondamento del diritto dedotto in giudizio (Cass. sez. un. 9543/2021) consentono di esprimere dubbi sulla condivisibilità dell’orientamento espresso dalle pronunce di questa Corte citate (da ultimo dalla sentenza n. 159/2024) e rendono opportuna la discussione in pubblica udienza della questione.
Dalla decisione in ordine all’improcedibilità dipendono poi le sorti del ricorso incidentale.
P.Q.M.
La Corte rimette la causa alla pubblica udienza della prima sezione civile.
Così deciso in Roma, il 23/10/2024.