Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 24808 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 1 Num. 24808 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 08/09/2025
rinviata a nuovo ruolo, onde dar modo alle parti di interloquire sul punto, «date le conseguenze giuridiche che potrebbero derivarne sulla materia del contendere», in considerazione dell’avvenuta adozione da parte del Comune di Selegas, nelle more del presente giudizio, come riferito dalle COGNOME nella propria memoria ex art. 380bis 1 cod. proc.
civ. di un provvedimento di acquisizione del fondo ai sensi dell’art. 42bis TUE.
Nuovamente chiamata in trattazione all’adunanza camerale del 23.10.2024, la causa con ordinanza interlocutoria 30425/2024 è stata rimessa all’odierna discussione in pubblica udienza al fine di sottoporre a rinnovato vaglio, a fronte dei pregressi pronunciamenti della Corte, «la questione dell’applicabilità dell’acquisizione sanante ex art.42 bis cit. anche nelle ipotesi, come quella che si sta scrutinando, in cui il procedimento ablatorio sia stato avviato in epoca anteriore all’entrata in vigore del D.P.R. n. 327 del 2001, e ciò ai fini dell’eventuale improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse all’impugnazione ex art.100 c.p.c., in assenza di un giudicato ostativo»
Il Procuratore Generale ha rassegnato le proprie conclusioni chiedendo che entrambi gli spiegati ricorsi siano dichiarati inammissibili.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Richiamate le ragioni di doglianza di ciascuna parte, così come compendiate nelle citate ordinanze interlocutorie, il loro esame deve ritenersi che sia divenuto superfluo in ragione del provvedimento di acquisizione sanante adottato dal Comune a mente dell’art. 42bis TUE.
E’ infatti, in linea generale, stabile convincimento di questa Corte che «in materia di espropriazione per pubblica utilità, l’emanazione, da parte della P.A., di un provvedimento di acquisizione sanante, ex art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del 2001, delle aree oggetto di occupazione illegittima determini l’improcedibilità delle domande di restituzione e di risarcimento del danno proposte in relazione ad esse, salva la formazione del giudicato non solo sul diritto del privato alla restituzione del bene, ma anche sulla illiceità del comportamento della
P.A. e sul conseguente diritto del primo al risarcimento del danno. Invero, il provvedimento ex art. 42-bis è volto a ripristinare (con effetto “ex nunc”) la legalità amministrativa violata – costituendo, pertanto, una “extrema ratio” per la soddisfazione di attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico e non già il rimedio rispetto ad un illecito -, sicché è necessario che venga adottato tempestivamente e, comunque, prima che si formi un giudicato anche solo sull’acquisizione del bene o sul risarcimento del danno, venendo altrimenti meno il potere attribuito dalla norma all’Amministrazione» (Cass., Sez. I, 31/05/2016, n. 11258).
Né contrasta questo approdo considerare che la vicenda in disamina si collochi temporalmente fuori dal vigore della norma richiamata, risalendo i fatti costitutivi di essa al 31.10.1979, quando il Comune pose in essere una prima parziale occupazione del cespite, e al 25.1.1986, quando alla prima occupazione fece seguito l’occupazione di un ulteriore pozione del medesimo bene, mentre la norma di che trattasi, di seguito alla declaratoria di incostituzionalità del suo antecedente, risulta introdotta con l’art. 34, comma 1 d.l. 6 luglio 2011, n. 98 convertito con modificazioni dalla l. 15 luglio 2011, n. 111.
Donde perciò l’interrogativo alla radice dell’ultima delle ordinanze interlocutorie richiamate che, di fronte alla discrasia temporale tra eventi di causa e vigenza dell’istituto, si è appunto chiesta se l’acquisizione sanante di cui all’art. 42-bis TUE possa trovare applicazione anche in relazione ai fatti anteriori.
Interrogativo che, come ben ricorda la citata ultima ordinanza, ha visto questa Corte rispondere in qualche occasione e, da ultimo, con l’ordinanza 154/2024 in senso negativo sul presupposto che, seppure l’art. 42bis , comma 8, TUE rende applicabile le disposizioni da esso introdotte anche ai “fatti anteriori”, nondimeno esso «non può essere infatti interpretato nel senso che l’ambito applicativo delle stesse si
estenda anche ai fatti verificatisi in data anteriore all’entrata in vigore del Testo unico»; e ciò per due ordini di ragioni, apparendo, da un lato, significativo «il disposto dell’art. 55, che nel disciplinare le occupazioni sine titulo anteriori al 30 settembre 1996, si limita ad individuare i criteri per la liquidazione del risarcimento, senza fare alcun riferimento alla acquisizione sanante» e, dall’altro, decisivo che «in quanto emanata in sostituzione dell’art. 43 del d.P.R. n. 327 del 2001, dichiarato costituzionalmente illegittimo per eccesso di delega (cfr. Corte cost., sent. n. 293 del 2010), la norma in esame risponde alla medesima finalità della norma sostituita, consistente nell’agevolare il superamento dell’istituto dell’occupazione acquisitiva, ma soltanto per i procedimenti ablatori avviati in epoca successiva all’entrata in vigore del Testo unico». Considerazioni, queste, che hanno poi portato il precedente in parola a ricusare l’effetto sanante di un provvedimento adottato dall’ente espropriante a mente dell’art. 42-bis TUE in relazione a fatti verificatisi nel 1978 operandone la disapplicazione in quanto adottato in carenza di potere, risultando emesso fuori dalle ipotesi in cui ne è consentita l’adozione, ed escludendone, di riflesso, ogni effetto preclusivo in termini di procedibilità della domanda.
Più matura riflessione porta infatti a dubitare di questa ricostruzione.
Già gli argomenti normativi che dovrebbero suffragarla non paiono provvisti della concludenza che vi si vuole vedere.
L’art. 55 TUE -e nella stessa logica l’art. 56 TUE -, come bene osserva il Procuratore Generale, «si occupano della determinazione delle indennità espropriative in assenza di esproprio e non escludono, sebbene non lo contemplino, la speciale indennità di cui all’art. 42 bis; tali norme possono quindi applicarsi alla procedura di utilizzazione di beni in assenza di esproprio per i quali non abbia trovato applicazione
l’espropriazione sanante». E questo non senza che in dottrina si aggiungesse, con particolare riguardo al primo, che della sua persistente efficacia anche in rapporto alla fattispecie dell’acquisizione sanante era più che lecito chiedersi alla luce del principio accolto dall’art. 1 del primo protocollo addizionale alla CEDU. Tutte dette norme e, non ultima, quella di chiusura contenuta nell’art. 57 TUE, che esclude l’applicabilità delle disposizioni recate dal TUE “ai progetti per i quali alla data di entrata in vigore dello stesso decreto, sia intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza”, non si sottraggono poi al principio di specialità, sicché non è irragionevole credere, in particolare per quanto prevede l’art. 57 TUE, che in ragione della loro generalità esse arrestino il loro raggio di efficacia di fronte alla norma speciale dell’art. 42bis TUE.
8. Anche l’argomento teleologico, secondo cui l’art. 42bis TUE sarebbe riproduttivo delle finalità perseguite dall’art. 43 TUE, di modo che, come questa, non si applicherebbe fuori dai limiti temporali di vigenza della norma incostituzionale, non è propriamente persuasivo. Così ragionando non solo, come ancora rilevato dal PG, ci si «porrebbe all’esterno della naturale e corretta logica istituzionale», con l’effetto di condurre alla disapplicazione della norma nuova quando, al contrario e ben diversamente, «la stessa resilienza costituzionale del nuovo art. 42 bis dà testimonianza del diverso e non sovrapponibile portato normativo, sicché non deve stupire se la precedente norma dichiarata illegittima trovava applicazione solo per i fatti successivi alla sua emanazione e non invece la norma vigente»; ma si finirebbe per dare accesso ad una lettura sostanzialmente abrogante del precetto normativo enunciato dall’inciso “fatti anteriori” del comma 8, in tal modo vanificando, senza apparenti giustificazioni, la chiara volontà del legislatore di voler chiudere in modo definitivo, segnatamente dopo la declaratoria di incostituzionalità dell’art. 43 TUE, l’annosa stagione
delle “espropriazioni indirette” per mezzo di uno strumento risolutivo ad ampio spettro di efficacia.
9. Dove, poi, la tesi in disamina segna decisamente il passo è nel confronto con l’apprezzamento che del punto è stato fatto dalla Corte Costituzionale, pronunciatasi con la sentenza 71/2015 sulla questione di costituzionalità dell’art. 42bis TUE sollevata dalle SS.UU. di questa Corte sul presupposto che l’applicazione della disposizione anche ai fatti anteriori alla sua approvazione, come risultante dal comma 8 di esso, la ponesse in contrasto con gli artt. 111 e 117 Cost. alla luce del principio vigente nella giurisprudenza CEDU che reputa lecita l’applicazione dello ius superveniens in cause già pendenti soltanto in presenza di «ragioni imperative di interesse generale», pena la violazione del principio di legalità nonché del diritto ad un processo equo. Orbene, replicando al rilievo, la Corte Costituzionale ha espressamente sconfessato ogni dubbio di legittimità e, sviscerando le ragioni di più ampio respiro alla radice della norma censurata, ha affermato che «è vero, infatti, che la norma trova applicazione anche ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore, per i quali siano pendenti processi, ed anche se vi sia già stato un provvedimento di acquisizione successivamente ritirato o annullato. Ma è anche vero che questa previsione risponde alla stessa esigenza primaria sottesa all’introduzione del nuovo istituto (così come del precedente art. 43): quella di eliminare definitivamente il fenomeno delle ‘espropriazioni indirette’, che aveva fatto emergere quella che la Corte EDU (nella sentenza 6 marzo 2007, COGNOME contro Italia) aveva definito una ‘défaillance structurelle’, in contrasto con l’art. 1 del Primo Protocollo allegato alla CEDU». Emendare una carenza strutturale sottesa al modello delle espropriazioni indirette è ciò che già fa dire all’ordinanza interlocutoria di rimessione all’odierna trattazione pubblica che proprio perché per mezzo dell’art. 42bis TUE il legislatore ha inteso dotare la
p.a. di uno strumento per ripristinare la legalità violata e soprattutto per acquisire il terreno, ormai irreversibilmente trasformato, alla mano pubblica, per mezzo di un atto legale, avente data certa, e subordinato ad una valutazione con motivazione rafforzata delle esigenze di pubblico interesse, prendendo atto in ciò che, come pure riportato dal PG, non si rinviene, invero, nella citata sentenza n.71/2015 un’espressa affermazione di limitazione temporale circa l’applicabilità dell’art. 42 -bis TUE, di cui nella diversa ottica coltivata dal citato precedente di questa Corte «potrebbe risultare frustrata la finalità sanante, nel senso precisato dal Giudice delle Leggi, ove la norma non potesse applicarsi, indistintamente, anche per il passato, sia pure con l’ effetto ex nunc della disposta acquisizione della proprietà, ponendo così rimedio a quelle situazioni irregolari, ma ormai irreversibili perpetrate nel tempo anche a causa della complessa evoluzione del diritto vivente in materia e del successivo plurimo intervento della Corte di Strasburgo».
Dunque a parere del collegio più ragioni militano, al di là del solo tenore testuale del comma 8, esplicito nel rivendicare l’applicazione dell’istituto anche ai “fatti anteriori”, in favore di una piana applicazione di esso, con il solo limite del giudicato, anche alle fattispecie di illecita irreversibile trasformazione del bene consumatisi in epoca antecedente alla sua introduzione, in ciò invero sostanziandosi un interpretazione del suo disposto, non solo conforme alla sua lettera, ma alla ratio che ne ha ispirato l’introduzione al fine di rimediare alla carenza strutturale del modello delle espropriazioni indirette e ripristinare in tal modo l’ordine della legge.
Affermata, dunque, l’applicabilità dell’istituto in disamina, ne segue l’improcedibilità del giudizio e la cassazione senza rinvio di entrambe le sentenze impugnate ai sensi dell’art. 382 cod. proc. civ. perché il processo non poteva essere proseguito.
Le spese dell’intero giudizio possono essere compensate ricorrendone, in considerazione del quadro giurisprudenziale di riferimento, le ragioni indicate da Corte Cost. 77/2018.
P.Q.M.
Decidendo sui ricorsi, cassa le impugnate sentenze senza rinvio perché il processo non poteva essere proseguito.
Compensa integralmente le spese del presente giudizio e dei giudizi di merito.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il