Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 11657 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 1 Num. 11657 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/05/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 20009/2023 R.G. proposto da:
COMUNE DI SAN COGNOME, in persona del Sindaco rappresentato e difeso dall’ avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) pecEMAIL
-ricorrente-
Contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente a ll’avv. COGNOME COGNOME (CODICE_FISCALE) indirizzo pec: avvEMAIL
-controricorrenti, ricorrenti incidentali-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO BARI n. 443/2023 depositata il 17/03/2023.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/04/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
COGNOME NOME con atto di citazione notificato il 27 giugno 2000 ha convenuto davanti al Tribunale di Foggia il Comune di San Giovanni Rotondo esponendo di essere proprietario di tre suoli derivanti dalla originaria particella 87, illegittimamente acquisiti dal Comune per effetto di tre distinte espropriazioni di fatto. Per i primi due chiedeva il risarcimento del danno da occupazione acquisitiva e usurpativa e la liquidazione dell’indennità da occupazione legittima; per il terzo la liquidazione dell’indennità per il periodo di occupazione legittima avendo già ottenuto in un altro separato giudizio conclusosi con sentenza definitiva il risarcimento del danno da occupazione acquisitiva. In corso di causa, avendo il giudice istruttore invitato le parti a dedurre sulla questione della giurisdizione, parte attrice proponeva regolamento preventivo di giurisdizione; il giudizio era sospeso con provvedimento del 25 luglio 2002 e all’esito della decisione della Corte di Cassazione la causa era riassunta con atto notificato dagli eredi di COGNOME NOME nel frattempo deceduto. Era espletata una consulenza tecnica e in esito il Tribunale di Foggia condannava il Comune al risarcimento del danno da occupazione appropriativa per un terreno e da occupazione usurpativa per un altro terreno, dichiarando invece inammissibili le domande di indennizzo da occupazione legittima in quanto devolute per legge alla competenza funzionale in unico grado della Corte d’appello.
Proponeva appello il Comune di San Giovanni Rotondo. Gli eredi di COGNOME NOME proponevano appello incidentale sul
pagamento delle indennità di occupazione, assumendo come pacifica la competenza in unico grado del giudice adito nonché chiedendo la rideterminazione dei valori di risarcimento danno.
La Corte di merito, assunta la causa in decisione dopo varie vicende di rimessione sul ruolo, ha emesso una ordinanza interlocutoria osservando che nelle more era intervenuta l’acquisizione sanante ex art. 42- bis del D.P.R. 327/2001 (TUE) con decreto n. 26190 del 7/11/2003, impugnato dinnanzi al TAR, invitando le parti a interloquire sul punto. Il Comune, che aveva invocato la cessazione della materia del contendere e/o l’improcedibilità delle domande proposte, deduceva la litispendenza; la parte privata deduceva che pur ancora pendendo la causa davanti al TAR occorreva comunque pronunziarsi sul danno da occupazione. Quindi la Corte d’appello , con sentenza definitiva parziale depositata il 3.1.2018, ha deciso, in unico grado, sulla sola domanda autonoma relativa all’indennità di occupazione legittima, liquidandola in complessivi € 1.576.838,44, oltre agli interessi legali, dalla scadenza di ciascuna annualità fino al saldo, ordinando al Comune di San Giovanni Rotondo il deposito presso la Cassa Depositi e Prestiti e regolando tra le parti le relative spese processuali.
Con separata ordinanza la Corte d’appello ha rimesso invece sul ruolo la causa relativamente alle domande risarcitorie, sospendendo il giudizio per pregiudizialità, in attesa dell’esito del giudizio di impugnazione innanzi al giudice amministrativo del provvedimento reso ex art. 42- bis del TUE.
La parte privata ha successivamente fatto istanza di prosecuzione deducendo che il giudizio innanzi al giudice amministrativo si era definito per perenzione avendo la parte ricorrente rinunciato al ricorso.
La Corte d’appello si è quindi pronunciata con sentenza definitiva, impugnata con l’odierno ricorso per cassazione, e decidendo sulla eccezione di improcedibilità proposta dal Comune ha ritenuto il decreto di acquisizione sanante non potesse essere emesso in quanto l’occupazione è iniziata anteriormente all’entrata in vigore del TUE, con conseguente applicazione degli artt. 55 e 57 del D.P.R. 327/2001.
La Corte d’appello ha escluso l’applicabilità del novellato art. 42-bis a fattispecie anteriori al 30/6/2003 ovvero a procedimenti ablatori avviati prima dell’entrata in vigore del TUE. Pertanto, ritenuto il decreto di acquisizione sanante emesso in carenza di potere, lo ha disapplicato e liquidato il risarcimento del danno.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Comune affidandosi a tre motivi. I COGNOME hanno proposto ricorso incidentale affidandosi a nove motivi, tre dei quali a sostegno di ricorso incidentale condizionato. Entrambe le parti hanno depositato memorie, il Procuratore generale ha presentato requisitoria scritta.
Questa Corte, con ordinanza interlocutoria del 23 ottobre 2024, ha rimesso il procedimento alla pubblica udienza e le parti hanno depositato ulteriori memorie.
Il Procuratore generale, nella persona del sostituto Procuratore NOME COGNOME in pubblica udienza ha concluso per l’accoglimento del ricorso e i procuratori delle parti hanno discusso la causa come da verbale e insistito in atti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo del ricorso principale si deduce la violazione degli artt. 4 e 5 della legge 2248/1865, all. E, anche in relazione all’art. 21 – septies della legge 241/1990, error in procedendo ed erroneo esercizio del potere di disapplicazione
dell’atto amministrativo. Il Comune osserva che secondo principi ormai pacifici in giurisprudenza la Corte d’appello di Bari non poteva procedere alla disapplicazione del provvedimento di acquisizione sanante emesso dal Comune di San Giovanni Rotondo. Rileva che l’error in procedendo nel quale è incorsa la Corte barese è dimostrato anche dalla circostanza che gli attori avevano correttamente impugnato innanzi al TAR il provvedimento di acquisizione sanante, e la stessa Corte aveva sospeso il giudizio sul presupposto, del tutto fondato, della natura pregiudiziale della questione di legittimità di quel provvedimento acquisitivo. Ha pertanto errato la Corte di merito a non dichiarare inammissibile ed infondata, ovvero comunque improcedibile, l’azione di risarcimento dei danni basata sul presupposto, non più esistente, di una occupazione senza titolo delle aree oggetto di causa.
1.2.- Con il secondo motivo del ricorso principale si deduce la violazione di norme di diritto con riferimento all’ art. 42 – bis del D.P.R. 327/2001. Il Comune deduce che ha errato la Corte d’appello a ritenere che il provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42- bis del TUE, emesso dal Comune in data 7/11/2003, fosse stato emesso in carenza di potere perché riferito a fatti verificatisi in data antecedente l’entrata in vigore del D.P.R. 327/2001; rileva che come acclarato dalla giurisprudenza formatasi successivamente a quella richiamata dalla Corte barese, la tesi della irretroattività dell’art. 42 – bis cit. non è fondata. Richiama la sentenza della Corte Costituzionale n. 71/2015, ove, nel respingere la questione di costituzionalità sollevata dalla Corte di Cassazione si osserva « la norma trova applicazione anche ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore, per i quali siano pendenti processi, ed anche se vi sia già stato un provvedimento di acquisizione successivamente ritirato o annullato», precisando che «questa
previsione risponde alla stessa esigenza primaria sottesa all’introduzione del nuovo istituto (così come del precedente art. 43): quella di eliminare definitivamente il fenomeno delle ‘espropriazioni indirette’, che aveva fatto emergere quella che la Corte EDU (nella sentenza 6 marzo 2007, COGNOME contro Italia) aveva definito una ‘défaillance structurelle’, in contrasto con l’art. 1 del Primo Protocollo allegato alla CEDU » Ciò rende evidente, secondo il Comune, l’errore della Corte di merito, non sussistendo alcun presupposto di illegittimità del provvedimento acquisitivo, regolarmente assunto dal Comune di San Giovanni Rotondo in presenza di fattispecie di occupazione anteriori all’entrata in vigore della norma.
1.3.- Con il terzo motivo del ricorso principale il Comune lamenta la ingiusta condanna alle spese.
2.- Parte controricorrente ha proposto ricorso incidentale condizionato affidandosi a tre motivi e ricorso incidentale affidandosi a sei motivi.
2.1- Con il primo motivo del ricorso incidentale si lamenta ai sensi dell’art. art.360 n. 3 la violazione dell’art. all’art.42 – bis DPR, n.327/2001 in combinato disposto con gli artt. 2909 c.c., 324 e 161 c.p.c.. La parte impugna la sentenza nella parte in cui ha respinto l’eccezione di giudicato svolta dai germani Bramante nel giudizio di appello. La parte deduce che persino ove si ritenesse applicabile ratione temporis alla vicenda l’art.42 -bis, il provvedimento del 2013 sarebbe comunque emesso in carenza di potere, perché precluso dalla precedente definizione della vicenda in ragione della formazione del giudicato già nel 2012 sulla condotta illecita e sul correlativo risarcimento. Si deduce che la Corte di merito ha confuso tra ‘fatto costitutivo’ ( id est comportamento illecito fonte del risarcimento del danno) e
determinazione delle ‘conseguenze lesive’ e dunque tra ‘ an ‘ e ‘ quantum’ del risarcimento, cioè tra l’esistenza del giudicato sull’illecita ingerenza della proprietà privata (‘ an ‘ e fonte del risarcimento), e la determinazione del risarcimento, essendo soltanto quest’ultima oggetto di contestazione se fosse inteso come perdita ‘permanente’ o temporanea del godimento. Secondo la parte la formazione del giudicato sarebbe rafforzata Cass. S.U. n.22891 del 2004, resa in sede di regolamento di giurisdizione, che aveva espressamente qualificato la domanda come avente « per oggetto fatti illeciti lesivi del diritto di proprietà e dunque che essa non comporta l’esame di una pretesa patrimoniale conseguenziale ad una tutela da chiedersi al GA ». Si deduce che la ricostruzione dell’illecita ingerenza nella proprietà Bramante è stata pure confermata nell’appello comunale, come emerge chiaro nella parte in cui la difesa avversa conclude il motivo, così precisando: « La sentenza impugnata deve essere pertanto annullata laddove liquida il risarcimento dei danni sul presupposto di un fatto inesistente qual è quello dell’avvenuta estinzione del diritto di proprietà connesso all’abusiva occupazione delle aree di proprietà degli attori » in quanto « Gli attori, infatti, non avendo mai perso la proprietà dei loro beni, avrebbero semmai potuto richiedere il risarcimento dei danni derivanti dalla mancata utilizzazione dei beni occupati, e in ogni caso richiedere la restituzione degli stessi ». La Corte di merito non avrebbe dunque considerato che il venir meno dell’acquisizione istantanea del suolo non incideva sul presupposto, passato in giudicato, dell’utilizzazione illecita del suolo ma sulla mera quantificazione del danno che si trasformava da perdita istantanea della proprietà a utilizzazione illecita del suolo.
2.2.Con il secondo motivo del ricorso incidentale condizionato si lamenta ai sensi dell’art.360 n. 4 la violazione degli
artt. 345, 342 e 115 c.p.c. e si impugna la sentenza nella parte in cui il giudicante ha omesso di rilevare che l’appello comunale era manifestamente inammissibile in quanto l’effetto acquisitivo non era mai stato contestato in primo grado, sicché l’impugnazione, che tardivamente introduceva la questione nuova, non era idonea ad evitare la formazione del giudicato. La parte lamenta di avere inutilmente dedotto con l’appello incidentale che il primo motivo (sul preteso venir meno dell’effetto acquisitivo viceversa incontestato in prime cure), costituiva una eccezione nuova, come tale non proponibile in appello. Si deduce che l’accertamento del passaggio di proprietà dei suoli occupati non è oggetto della domanda (né del dispositivo della sentenza), ma costituisce un fatto dato da entrambe le parti per acclarato ed incontroverso. Di tale passaggio di non contestazione dell’effetto acquisitivo, fonte dell’obbligo risarcitorio da parte dello stesso Comune, non si dà atto nell’appello, nonostante che la sentenza di prime cure ne dia invece atto a pag.3. Si osserva che la non contestazione, infatti, non solo esonera dall’onere probatorio sui fatti non contestati, ma preclude al giudice il controllo probatorio del fatto non contestato, considerato acquisito.
2.3.- Nelle memori e, e segnatamente nell’ultima, la parte così precisa le eccezioni di giudicato, opponendo: a)il giudicato formatosi (già a seguito della sentenza di prime cure) sull’esistenza dell’illecito e del conseguente diritto al risarcimento; b) il giudicato sull’acquisizione della proprietà per l’esistenza di preclusioni processuali anche ex art.345 c.p.c.; c) la stratificazione di un secondo giudicato sulla acquisizione in proprietà dei suoli de quibus da parte del Comune in ragione della mancata impugnazione da parte dell’Ente del relativo capo di sentenza della sent.n.443/2023 della Corte barese. Su questo ultimo punto la parte osserva che il
Comune per avere utilità (e dunque interesse) alla decisione sui suoi motivi di ricorso avrebbe dovuto gravare dinanzi alla Corte di legittimità i capi di sentenza della Corte d’appello di Bari n.443/2023 sui punti di pacifica soccombenza, posto che il giudicato sull’avvenuta ablazione della proprietà Bramante al 26.6.2000, determina in ogni caso il superamento ( id est la preclusione) del decreto acquisitivo ex art. 42- bis emesso nel 2013, rispetto ad un suolo già acquisito in proprietà dal Comune nel 2000, decreto cui non possono essere riconosciuti effetti reali, ma solo puramente ridondanti.
3.- Ciò premesso, il Collegio osserva che è centrale la questione per la quale l’odierno processo è stato rimesso a pubblica udienza con la ordinanza interlocutoria del 23 ottobre 2024.
La Corte d’appello ha preso atto che nel corso del giudizio di appello il Comune di San Giovanni Rotondo ha emesso decreto di acquisizione sanante sensi dell’art. 42 -bis del D.P.R. n. 327/2001 e che di conseguenza il Comune appellante aveva invocato la cessazione della materia del contendere ovvero l’improcedibilità delle domande proposte dai COGNOME; che i COGNOME, dopo aver impugnato detto decreto davanti al giudice amministrativo avevano rinunciato al ricorso, ma innanzi alla Corte d’appello avevano opposto l’illegittimità del provvedimento, in quanto sopravvenuto quando si era già accertata in via definitiva l’illecita occupazione dei suoli.
La Corte di merito ha quindi ritenuto, da un lato, che non si era formato il giudicato sulla illiceità del comportamento della p.a. e sulla spettanza del risarcimento del danno, ma che comunque il decreto di acquisizione sanante non poteva emettersi ed è dunque affetto da carenza di potere, ed in quanto tale da disapplicare,
trattandosi di occupazione avvenuta anteriormente all’entrata in vigore del T.U. sugli espropri.
4.- La questione preliminare e potenzialmente assorbente sottoposta all’esame di questa Corte, per effetto del ricorso principale e dei due motivi di ricorso incidentale condizionato, è dunque se il decreto di acquisizione sanante possa operare anche per le occupazioni anteriori all’entrata in vigore della normativa citata e se nel caso concreto fosse comunque impedito alla amministrazione di emanarlo per la formazione di un precedente giudicato.
4.1.- In vista della adunanza camerale del 23 ottobre 2024 il Procuratore generale, con la requisitoria scritta, aveva chiesto il rigetto del ricorso principale facendo riferimento all’orientamento espresso con ordinanza di questa Corte n. 159 del 2024, secondo il quale l’acquisizione sanante prevista dall’art. 42-bis, cit. non trova applicazione a procedimenti ablatori avviati in epoca anteriore all’entrata in vigore del D.P.R. n. 327 del 2001, atteso che, quantunque, a mente del comma 8, le disposizioni introdotte si applicano anche a fatti anteriori alla sua entrata in vigore, non ne fa menzione la disciplina delle occupazioni sine titulo anteriori al 30 settembre 1996 ex art. 55 del T.U., dovendosi tenere conto del fatto che tale norma risponde alla medesima finalità del sostituito art. 43 del TUE, dichiarato incostituzionale per eccesso di delega, consistente nell’agevolare il superamento dell’istituto dell’occupazione acquisitiva, ma soltanto per i procedimenti ablatori avviati in epoca successiva all’entrata in vigore del medesimo TUE, sicché, essendo il relativo provvedimento emesso, in tali casi, in carenza di potere e potendo, perciò, essere disapplicato, resta esclusa l’improcedibilità della domanda risarcitoria.
Il Collegio decidente aveva tuttavia prospettato, nella predetta ordinanza interlocutoria, una serie di dubbi sulla validità di questo orientamento, meritevoli di essere trattati in pubblica udienza, ripercorrendo le argomentazioni con le quali si è espressa la Corte Costituzionale, con la sentenza n.71/2015, ed evidenziando, tra l’altro, che l’art 42 -bis cit. parrebbe fallire il suo scopo ove non le si consentisse di operare anche per il passato, sia pure con l’effetto ex nunc della disposta acquisizione della proprietà, sanando quelle situazioni irregolari ma ormai irreversibili che si sono perpetrate nel tempo.
In pubblica udienza, il Procuratore generale ha modificato le sue conclusioni e chiesto l’accoglimento del ricorso del Comune, riportandosi alle requisitorie scritte depositate per la medesima pubblica udienza in altri processi vertenti su analoga questione, rilevando che la natura di ‘sanatoria’ dell’art. 42 -bis milita inequivocabilmente per il canone interpretativo della sua applicabilità anche a vicende anteriori, non potendosi immaginare una sanatoria in funzione di fattispecie future e non ancora perfezionatesi. Ha inoltre osservato che in nessun passo della sentenza n. 71/2015 la Consulta collega l’apprezzamento della conformità della norma ai canoni costituzionali alla sola riferibilità dei suoi effetti ai fatti successivi alla sua introduzione, anzi, la lettura della motivazione porta a concludere l’esatto contrario e cioè che la Corte Costituzionale si dimostri conscia dell’applicazione della norma anche a fatti preesistenti la sua emanazione.
5.- Il Collegio procederà quindi ad esaminare dapprima la questione della portata ed applicabilità dell’art . 42-bis del TUE anche ai procedimenti ablatori avviati in epoca anteriore all’entrata in vigore del medesimo TUE, per poi verificare se nel caso concreto
l’emanazione del decreto di acquisizione sanante fosse impedita dalla presenza di un giudicato anteriormente formatosi.
5.1.- Il secondo motivo del ricorso del Comune è fondato.
In linea generale, è stabile convincimento di questa Corte che «in materia di espropriazione per pubblica utilità, l’emanazione, da parte della P.A., di un provvedimento di acquisizione sanante, ex art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del 2001, delle aree oggetto di occupazione illegittima determini l’improcedibilità delle domande di restituzione e di risarcimento del danno proposte in relazione ad esse, salva la formazione del giudicato non solo sul diritto del privato alla restituzione del bene, ma anche sulla illiceità del comportamento della P.A. e sul conseguente diritto del primo al risarcimento del danno. Invero, il provvedimento ex art. 42-bis è volto a ripristinare (con effetto “ex nunc”) la legalità amministrativa violata -costituendo, pertanto, una “extrema ratio” per la soddisfazione di attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico e non già il rimedio rispetto ad un illecito -, sicché è necessario che venga adottato tempestivamente e, comunque, prima che si formi un giudicato anche solo sull’acquisizione del bene o sul risarcimento del danno, venendo altrimenti meno il potere attribuito dalla norma all’Amministrazione » (Cass., Sez. I, n. 1125831/05/2016; v. anche Cass. Sez. U. n. 3517 del 06/02/2019).
Nel caso di specie la vicenda si colloca temporalmente in data anteriore alla emanazione della norma di che trattasi, che in seguito alla declaratoria di incostituzionalità del suo antecedente, è stata introdotta con l’art. 34, comma 1 D.L. 6 luglio 2011, n. 98 convertito con mod. dalla l. 15 luglio 2011, n. 111.
L’orientamento affermatosi con la citata ordinanza n. 159/2024 afferma che seppure l’art. 42-bis, comma 8, TUE rende applicabile le disposizioni da esso introdotte anche ai “fatti
anteriori”, nondimeno esso « non può essere infatti interpretato nel senso che l’ambito applicativo delle stesse si estenda anche ai fatti verificatisi in data anteriore all’entrata in vigore del Testo unico » e ciò per due ordini di ragioni, apparendo, da un lato, significativo « il disposto dell’art. 55, che nel disciplinare le occupazioni sine titulo anteriori al 30 settembre 1996, si limita ad individuare i criteri per la liquidazione del risarcimento, senza fare alcun riferimento alla acquisizione sanante » e dall’altro decisivo che « in quanto emanata in sostituzione dell’art. 43 del d.P.R. n. 327 del 2001, dichiarato costituzionalmente illegittimo per eccesso di delega (cfr. Corte cost., n. 293 del 2010), la norma in esame risponde alla medesima finalità della norma sostituita, consistente nell’agevolare il superamento dell’istituto dell’occupazione acquisitiva, ma soltanto per i procedimenti ablatori avviati in epoca successiva all’entrata in vigore del Testo unico ». Considerazioni queste che hanno poi portato il precedente in parola a ricusare l’effetto sanante di un provvedimento adottato dall’ente espropriante a mente dell’art. 42bis TUE in relazione a fatti verificatisi nel 1978 operandone la disapplicazione in quanto adottato in carenza di potere, risultando infatti emesso fuori dalle ipotesi in cui ne è consentita l’adozione, ed escludendone, di riflesso, ogni effetto preclusivo in termini di procedibilità della domanda.
6.Più matura riflessione porta a dubitare di questa ricostruzione.
6.1.- Già gli argomenti normativi che dovrebbero suffragarla non paiono provvisti della concludenza che vi si vuole vedere. L’art. 55 TUE -e nella stessa logica l’art. 56 TUE -come bene osserva il Procuratore Generale « si occupano della determinazione delle indennità espropriative in assenza di esproprio e non escludono, sebbene non lo contemplino, la speciale indennità di cui
all’art. 42 bis; tali norme possono quindi applicarsi alla procedura di utilizzazione di beni in assenza di esproprio per i quali non abbia trovato applicazione l’espropriazione sanante» . E questo non senza che in dottrina si aggiungesse, con particolare riguardo al primo, che della sua persistente efficacia anche in rapporto alla fattispecie dell’acquisizione sanante era più che lecito chiedersi alla luce del principio accolto dall’art. 1 del primo protocollo addizionale alla CEDU. Tutte dette norme e, non ultima, quella di chiusura contenuta nell’art. 57 TUE, che esclude l’applicabilità delle disposizioni recate dal TUE « ai progetti per i quali alla data di entrata in vigore dello stesso decreto, sia intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza », non si sottraggono poi al principio di specialità, sicché non è irragionevole credere, in particolare per quanto prevede l’art. 57 TUE, che in ragione della loro generalità esse arrestino il loro raggio di efficacia di fronte alla norma speciale dell’art. 42-bis TUE la quale esplicitamente prevede al comma 8 che « le disposizioni del presente articolo trovano altresì applicazione ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore ed anche se vi è già stato un provvedimento di acquisizione successivamente ritirato o annullato, ma deve essere comunque rinnovata la valutazione di attualità e prevalenza dell’interesse pubblico a disporre l’acquisizione ». La norma non contiene distinzioni che autorizzino una interpretazione conforme a quella data dalla citata ordinanza, anzi fa riferimento non solo a quelle situazioni di mero fatto (quali le occupazioni sine titulo e le correlative illecite trasformazioni dei fondi da parte della p.a.) ma anche alle situazioni in cui pur essendo stato avviato un procedimento ablatorio con il correlativo provvedimento di acquisizione esso sia stato successivamente ritirato o annullato.
6.2.- Anche l’argomento teleologico, secondo cui l’art. 42-bis TUE sarebbe riproduttivo delle finalità perseguite dall’art. 43 TUE, di modo che, come questa, non si applicherebbe fuori dai limiti temporali di vigenza della norma incostituzionale, non è propriamente persuasivo, atteso che, così ragionando non solo, come ancora rilevato dal PG, ci si «porrebbe all’esterno della naturale e corretta logica istituzionale» , con l’effetto di condurre alla disapplicazione della norma nuova quando, al contrario e ben diversamente, « la stessa resilienza costituzionale del nuovo art. 42 bis dà testimonianza del diverso e non sovrapponibile portato normativo, sicché non deve stupire se la precedente norma dichiarata illegittima trovava applicazione solo per i fatti successivi alla sua emanazione e non invece la norma vigente »; ma si finirebbe per dare accesso ad una lettura sostanzialmente abrogante del precetto normativo enunciato dall’inciso “fatti anteriori” del comma 8, in tal modo vanificando, senza apparenti giustificazioni, la chiara volontà del legislatore di voler chiudere in modo definitivo, segnatamente dopo la declaratoria di incostituzionalità dell’art. 43 TUE, l’annosa stagione delle cd. espropriazioni indirette per mezzo di uno strumento risolutivo ad ampio spettro di efficacia.
7.- Dove, poi, la tesi in disamina segna decisamente il passo è nel confronto con l’apprezzamento che è stato fatto dalla Corte Costituzionale, pronunciatasi con la sentenza 71/2015 sulla questione di costituzionalità dell’art. 42-bis TUE sollevata dalle SS.UU. di questa Corte sul presupposto che l’applicazione della disposizione anche ai fatti anteriori alla sua approvazione, come risultante dal comma 8 di esso, la ponesse in contrasto con gli artt. 111 e 117 Cost. alla luce del principio vigente nella giurisprudenza CEDU che reputa lecita l’applicazione dello ius superveniens in
cause già pendenti soltanto in presenza di «ragioni imperative di interesse generale», pena la violazione del principio di legalità nonché del diritto ad un processo equo.
Replicando a questo rilievo, la Corte Costituzionale ha espressamente sovvertito ogni dubbio di legittimità e, sviscerando le ragioni di più ampio respiro alla radice della norma censurata, ha affermato che « È vero, infatti, che la norma trova applicazione anche ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore, per i quali siano pendenti processi, ed anche se vi sia già stato un provvedimento di acquisizione successivamente ritirato o annullato. Ma è anche vero che questa previsione risponde alla stessa esigenza primaria sottesa all’introduzione del nuovo istituto (così come del precedente art. 43): quella di eliminare definitivamente il fenomeno delle ‘espropriazioni indirette’, che aveva fatto emergere quella che la Corte EDU (nella sentenza 6 marzo 2007, COGNOME contro Italia) aveva definito una ‘défaillance structurelle’, in contrasto con l’art. 1 del Primo Protocollo allegato alla CEDU».
L’esigenza di emendare una carenza strutturale sottesa al modello delle espropriazioni indirette è il fondamento delle riflessioni dell’ordinanza interlocutoria di rimessione all’odierna trattazione pubblica, ove si considera che poiché per mezzo dell’art. 42-bis TUE il legislatore ha inteso dotare la p.a. di uno strumento per ripristinare la legalità violata e soprattutto per acquisire il terreno, ormai irreversibilmente trasformato, alla mano pubblica, per mezzo di un atto legale, avente data certa, e subordinato ad una valutazione con motivazione rafforzata delle esigenze di pubblico interesse , « la norma parrebbe fallire pertanto il suo scopo ove non le si consentisse di operare anche per il passato, sia pure con l’effetto ex nunc della disposta acquisizione della proprietà, sanando quelle situazioni irregolari ma ormai
irreversibili che si sono perpetrate nel tempo anche a causa della complessa evoluzione del diritto vivente in materia e del successivo plurimo intervento della Corte di Strasburgo».
8.- Pertanto, a parere del Collegio, più ragioni militano per l’applicazione dell’istituto della acquisizione sanate ex art 42-bis del TUE anche ai fatti anteriori della sua entrata in vigore: ciò in ragione del tenore testuale del comma 8 dell ‘art 42 -bis, che ha natura di norma speciale ed è esplicito nello stabilire l’applicazione delle procedure di acquisizione sanante -alla condizione che sia rinnovata la valutazione di attualità e prevalenza dell’interesse pubblico a disporre l’acquisizione- anche alle fattispecie di illecita irreversibile trasformazione del bene consumatisi in epoca antecedente alla sua introduzione; inoltre, in ragione della ratio della norma, introdotta al fine di rimediare alla carenza strutturale data da modello delle cd. espropriazioni indirette, sanando quelle situazioni irregolari ma ormai irreversibili che si sono perpetrate nel tempo anche a causa della complessa evoluzione del diritto vivente in materia e del successivo plurimo intervento della Corte di Strasburgo.
9.- Da verificare, tuttavia, se nel caso di specie operi il limite del giudicato, come si contesta con i primi due motivi del ricorso incidentale condizionato e con le memorie.
9.1.- I primi due motivi del ricorso incidentale condizionato, con i quali la parte prospetta la sussistenza di giudicato, e le successive precisazioni operate in memoria, devono quindi esaminarsi congiuntamente e sono infondati.
Preliminarmente si osserva che la giurisprudenza richiamata dai ricorrenti incidentali (Cass. 11258/2016) si è espressa nel senso che « in presenza di un giudicato che stabilisca la già avvenuta acquisizione (ad altro titolo) dell’immobile ad opera
dell’amministrazione espropriante, il successivo provvedimento di cui all’art. 42 bis, ugualmente emesso, risulta adottato in palese carenza di potere e va disapplicato dal giudice ordinario » in quanto « il limite di operatività dell’istituto, che presuppone che l’Amministrazione si adoperi “tempestivamente” (v. Cons. di Stato, sez. 4696/2014) per ripristinare la legalità violata per il fatto di avere occupato illegittimamente beni appartenenti a privati. Laddove ciò non accada, perché si è formato un giudicato, anche solo sulla illiceità dell’acquisizione del bene e sul diritto al risarcimento del danno ormai entrato nel patrimonio del privato, l’Amministrazione non può più esercitare il potere attribuitole dalla norma.»( v. parte motiva)
Con ciò si è inteso dire che il giudicato deve formarsi non già sul mero accertamento del fatto illecito in sé – illecita occupazione del bene del privato e costruzione dell’opera pubblica- ma sugli effetti di questo illecito e cioè che da esso sia scaturita la acquisizione della proprietà del bene alla mano pubblica, con conseguente diritto del privato al risarcimento del danno per la perdita della proprietà. Ed infatti, qualora il bene fosse già da ritenersi acquisto alla proprietà pubblica, per effetto di un giudicato, non sussisterebbe la ragione del provvedimento di acquisizione sanante, che è quello di porre fine alla situazione illecita mediante la acquisizione della proprietà con effetto ex nunc .
Di contro, il mero fatto storico che vi sia stato un illecito (quello che la parte chiama illecita ingerenza nella proprietà privata) è il presupposto stesso del provvedimento di acquisizione sanante, purché nelle more non sia intervenuta una sentenza che, pur in applicazione di un orientamento giurisprudenziale ormai obsoleto e smentito dalla giurisprudenza della Corte EDU, abbia
già attribuito la proprietà all’ente pubblico e sul punto sia passata in giudicato.
9.2.Come correttamente ritenuto dalla Corte d’appello, il Comune ha impugnato la decisione sul rilievo dell’assenza dei presupposti per procedere al risarcimento del danno per equivalente, perché non si era realizzata la vicenda acquisitiva della proprietà dei beni, rimasti nella titolarità degli attori.
La Corte di merito evidenzia che l’appello si fondava sul la deduzione che l’istituto dell’accessione c.d. invertita è stato espunto dall’ordinamento per effetto di interventi normativi sopravvenuti (art. 42 bis e 43 D.P.R. n. 327/2001) sulla spinta della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, sicché la domanda non avrebbe dovuto essere accolta dal Tribunale sul presupposto (errato) della perdita del diritto di proprietà connessa alla avvenuta occupazione acquisitiva. Le ragioni di impugnazione riguardano quindi esattamente quell’effetto traslativo che il primo giudice aveva ritenuto essersi verificato.
Sono gli stessi COGNOME a riportare il motivo di appello con cui il Comune deduce che « La sentenza impugnata deve essere pertanto annullata laddove liquida il risarcimento dei danni sul presupposto di un fatto inesistente qual è quello dell’avvenuta estinzione del diritto di proprietà connesso all’abusiva occupazione delle aree di proprietà degli attori » ed ancora mettono in evidenza che il Comune ha affermato « Gli attori, infatti, non avendo mai perso la proprietà dei loro beni, avrebbero semmai potuto richiedere il risarcimento dei danni derivanti dalla mancata utilizzazione dei beni occupati, e in ogni caso richiedere la restituzione degli stessi (v. ancora atto di appello comunale ult. cit., pag.5, righi 25-28 )»; da qui essi traggono erroneamente la deduzione che l’appello del Comune non riguardi i ‘fatti costitutivi’
dell’illecito, ma solo il quantum , mentre il Comune ha chiaramente dedotto nell’appello che, secondo l’ente, non vi era stata alcuna estinzione del diritto di proprietà in capo agli attori e che è questa la ragione per cui essi non potevano ottenere il risarcimento del danno per equivalente (equivalente cioè alla perdita di proprietà) e ciò fermo restando il fatto materiale della occupazione dei beni.
La parte non considera che il provvedimento di acquisizione sanante muove esattamente dalla constatazione che un illecito è avvenuto e per questo si procede a ripristinare la legalità con effetto non retroattivo, il cui scopo non è quello di sanatoria di un precedente illecito perpetrato dall’Amministrazione, bensì quello, autonomo, di soddisfare attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico, redimibili esclusivamente attraverso il mantenimento e la gestione delle opere già realizzate ” sine titulo” (Cass. s.u. n. 3517 del 06/02/2019). Né può considerarsi una mera questione di quantum la differenza tra il risarcimento del danno per illecita occupazione e uso del bene privato e il risarcimento del danno da perdita di proprietà: il diverso importo del risarcimento nell’uno e nell’altro caso è piuttosto conseguenza della differenza strutturale tra le due tipologie di danno, data dalla diversità del pregiudizio subito dal privato e ciò fermo restando che, ove intervenga il decreto ex art 42-bis cit. il credito vantato dal proprietario del bene costituisce un unicum (Cass. s.u. 20691/2021).
9.3.- Inoltre, non può sottovalutarsi la circostanza che la parte ha fatto acquiescenza al decreto di acquisizione sanante, intervenuto nel corso del giudizio di appello, il cui presupposto è esattamente la circostanza che nessun trasferimento di proprietà sia avvenuto in favore dell’ente, nonostante l’illecito. Non può dunque neppure parlarsi di ‘stratificazione’ del giudicato, che sarebbe avvenuto con la sentenza della Corte barese n.
n.443/2023, poiché il decreto di acquisizione sanante è intervenuto prima, nel corso del giudizio di appello, e nel corso di quel giudizio è divenuto definitivo, sicché la causa di improcedibilità è intervenuta prima della sentenza di appello. La Corte barese, infatti, in un primo momento ha sospeso il giudizio in ragione della pendenza innanzi al TAR della impugnazione del decreto reso ex art.42-bis, impugnazione proposta dai COGNOME, i quali successivamente hanno chiarito che il giudizio innanzi al giudice amministrativo si era perento (per rinuncia al ricorso).
9.4.- Quanto al rilievo che il Comune (nel giudizio di primo grado) non avrebbe contesto l’avvenuta acquisizione della proprietà, e quindi non poteva introdurre per la prima volta la questione in appello, deve osservarsi che il principio di non contestazione riguarda il fatto costitutivo del diritto che si aziona in giudizio e non l’effetto giuridico che a determinati fatti consegue e segnatamente l’effetto costitutivo , estintivo o modificativo del diritto; non si applica, quindi, alla risoluzione di questioni di diritto (Cass. n. 2844 del 30/01/2024). Accertare se dalla illecita occupazione e trasformazione del suolo scaturisca o meno l’effetto del passaggio di proprietà dal privato alla mano pubblica ed i conseguenti diritti che sorgono in capo al privato è l’oggetto del giudizio rimesso al giudice. Il Comune, a fronte di una sentenza che ha dichiarato l’avvenuto passaggio di proprietà, ha proposto come sopra si è detto- un appello nel quale, fermo restando il fatto materiale, ha contestato che da questo fatto si possano trarre, in punto di diritto, le conseguenze che ne ha tratto il primo giudice.
Non può dirsi pertanto che il Comune abbia introdotto con l’atto d’appello una domanda nuova. Inoltre, deve dirsi che con l’odierno ricorso per cassazione il Comune ha proposto un motivo il cui accoglimento, per le ragioni di cui sopra si è detto, è idoneo a
travolgere interamente la sentenza definitiva, allegandosi (fondatamente) la sussistenza di causa di improcedibilità formatasi prima della decisione della Corte d’appello.
Né può dirsi che il giudicato derivi o sia rafforzato dalla decisione sulla giurisdizione intervenuta in corso di causa, (Cass. S.U. n.22891 del 2004) dal momento che in quella sede -e prima della pronuncia di primo grado- le sezioni unite si sono limitate ad individuare il thema decidendum e a stabilire di conseguenza la giurisdizione del giudice ordinario.
9.5.- In sintesi, nel caso di specie non può ritenersi operativo il limite al potere della p.a. di procedere ad acquisizione sanante costituito dal (preteso) giudicato, che a tal fine dovrebbe formarsi sull’avvenuto trasferimento della proprietà e non solo sull’accertamento del fatto materiale che un bene privato è stato illecitamente occupato e trasformato dalla pubblica amministrazione, sicché la sopravvenienza nel corso del giudizio di appello del provvedimento ex art. 42 -bis del D.P.R. 327/2001, applicabile, secondo quanto dispone il comma 8 della norma, anche a procedimenti ablatori avviati prima dell’entrata in vigore del TUE, ha determinato l’improcedibilità del giudizio (Cass. SU 9448/2024).
10. -Con il terzo motivo di ricorso incidentale condizionato si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 37, 42 bis e 55 d.P.R. n. 327/2001; art.2 L. n. 244/2007 in relazione all’art.360, n.3, c.p.c. e l’erronea applicazione criterio riduttivo, la violazione e falsa applicazione criteri estimativi per la determinazione dell’effettivo valore di mercato e la violazione della ‘ regula artis ‘ .
Con detto motivo di ricorso incidentale condizionato, si dichiara -per l’ipotesi di accoglimento del ricorso principale -l’interesse delle parti ricorrenti non solo alla rideterminazione del
valore di liquidazione ex art. 42 bis, stabilito dall’amministrazione comunale, ma a contestare i vizi della CTU svolta in appello e che è giunta a determinare un indennizzo in violazione dei plurimi profili, anche estimativi, evidenziati.
10.1.Con gli ulteriori i motivi a sostegno del ricorso incidentale si lamenta: a) la nullità della decisione ex art. 360 n. 4 c.p.c. in relazione all’art.112 c.p.c. oltre che violazione art.360, n.4 in relazione all’art.132 c.p.c. per motivazione abnorme ed incomprensibile; l’omessa pronuncia e l’omessa liquidazione risarcimento occupazione sine titulo per il periodo dal 26 aprile 1994 (data di scadenza dell’occupazione legittima) al 26.6.2000 (data stabilita in sentenza di passaggio della proprietà COGNOME occupata in capo al Comune); b) la violazione art.360, n.3, c.p.c. in relazione alla violazione e falsa applicazione dell’art.2, L. n244/2007, dell’art.42bis Dpr n.327/2001 e del parametro della ‘tutela piena’ contro l’illecito della p.a. ex L.n.327/2001 ex Corte Cost. n.71/2015 e norme EDU. Violazione art.360, n.3 c.p.c. in relazione all’art.111 Cost.; l’errata quantificazione del risarcimento (omessa considerazione occupazione sine titulo 1994/2000, danno non patrimoniale), deducendo che nella denegata ipotesi in cui codesta Suprema Corte di cassazione non ritenga sussistere la pur evidente omissione di pronunzia, denunziata nel motivo che precede, verrebbe in evidenza la violazione e falsa applicazione del parametro normativo della tutela piena riconosciuta al privato inciso avverso l’attività illecita della pubblica amministrazione poiché è stato leso il diritto delle parti ricorrenti a vedersi riconoscere l’integrale risarcimento del danno, ivi compreso quello da perdita del godimento per i periodi indicati; c) la violazione e falsa applicazione dell’art. 37 e 55 D.P.R. n. 327/2001; art.2 L. n. 244/2007 disapplicazione criteri valutativi dell’effettivo valore di
mercato e della ‘ regula artis ‘ estimativa, l’omessa utilizzazione dei valori di compravendita in atti; la violazione delle norme EDU sul riconoscimento del pieno indennizzo, l’errata attualizzazione valori ed illegittima duplicazione criteri riduttivi valore di trasformazione, l’ errata applicazione indice ISTAT, l’ omessa considerazione valore atti di compravendita; d) la nullità della decisione ex art. 360 n. 4 c.p.c. in relazione all’art.132 c.p.c. per motivazione abnorme ed incomprensibile; l’applicazione indice Istat inidoneo, il vizio di motivazione, lamentando che l’impugnata sentenza, anche in ragione dell’operato di un CTU inadeguato (ed inutilmente ricusato), ha attribuito ai suoli un valore significativamente ben ridotto rispetto al parametro normativo del reale valore di mercato; e)l’ultrapetizione in quanto il Tribunale aveva già respinto l’abbattimento del 18% stimato dal CTU; f) l’erronea applicazione del criterio riduttivo.
Tutti questi motivi sono assorbiti, in ragione della ritenuta improcedibilità del giudizio.
Ne consegue, in accoglimento del secondo motivo del ricorso principale, e respingendo i primi due motivi di ricorso incidentale condizionato, assorbiti gli altri motivi sia di ricorso principale che di ricorso incidentale, la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, ai sensi dell’art.382 ultimo comma c.p.c. poiché il giudizio non poteva essere proseguito.
In ragione dell’avvenuto mutamento della giurisprudenza e della evoluzione del cd. diritto vivente in materia, si compensano interamente le spese di giudizio dei gradi di merito e legittimità.
Trattandosi di causa di improcedibilità sopravvenuta non sussistono i presupposti per la applicazione dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 (Cass. Sez. Un. n. 19976 del 19/07/2024).
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo del ricorso principale, respinti i primi due motivi di ricorso incidentale condizionato, assorbiti gli altri motivi sia di ricorso principale che di ricorso incidentale; cassa senza rinvio la sentenza impugnata e dichiara che il giudizio non poteva essere proseguito.
Compensa interamente tra le parti le spese del giudizio del doppio grado di merito e del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 10/04/2025.