Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 10078 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 1 Num. 10078 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/04/2025
SENTENZA
sul ricorso n. 12803/2023 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa per procura speciale dall’Avv. NOME COGNOME la quale chiede di ricevere le comunicazioni al proprio indirizzo di posta elettronica certificata indicato.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, Agenzia Territoriale dell’Emilia -Romagna per i Servizi Idrici e Rifiuti, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale in calce al controricorso, la quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni e le
notificazioni relative al presente procedimento all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato.
– controricorrente –
E
Comune di Comacchio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME come da procura alle liti, il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni relative al presente procedimento all ‘indirizzo di posta elettronica certificata indicato
-controricorrente –
avverso l ‘ordinanza della Corte di appello di Bologna, depositata in data 2/5/2023;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/4/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito per la società ricorrente l’Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito per la controricorrente RAGIONE_SOCIALE, l’Avv. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito per il Comune di Comacchio l’Avv. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
FATTI DI CAUSA
Con la delibera di giunta comunale del 7/12/79 n. 275, non avente valore di dichiarazione implicita di pubblica utilità, si approvava il progetto esecutivo in ordine ad un «appalto concorso»,
relativo all’impianto di sollevamento acqua denominato S5 sito nel Comune di Comacchio.
Con la successiva deliberazione di giunta comunale n. 793 del 25/10/1980 si provvedeva all’occupazione di urgenza dell’area, seguita dalla deliberazione di giunta comunale n. 1486 del 20/12/88 che prorogava i termini disposti dalla precedente deliberazione n. 793 del 1980.
Il terreno oggetto veniva acquistato «dalla società incorporata per fusione RAGIONE_SOCIALE il 2/9/2005».
La società RAGIONE_SOCIALE presentava ricorso in data 10/5/2019 ex art. 702-bis dinanzi al tribunale di Ferrara, per conseguire la restituzione del terreno.
Il tribunale di Ferrara con sentenza del 3/10/2019 accoglieva la domanda ed ordinava la restituzione del bene alla società.
Veniva proposto appello da parte del Comune e la Corte d’appello, con sentenza n. 630 del 2023 dichiarava cessata la materia del contendere, «essendo intervenuto, nelle more del presente giudizio di appello, provvedimento di acquisizione sanante, ex art. 42bis del d.P.R. 327/2001, del terreno per il quale è controversia, cosi che RAGIONE_SOCIALE potrà esclusivamente ottenere la relativa indennità prevista dalla legge dall’ente competente ad erogarla».
In data 31/3/2022 RAGIONE_SOCIALE (Agenzia Territoriale dell’Emilia Romagna per i Servizi Idrici e Rifiuti) comunicava l’avvio della procedura di acquisizione sanante ex art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001.
Avverso tale atto amministrativo, contenente anche la stima provvisoria del terreno, proponeva ricorso ex art. 702bis c.p.c. in data 29/4/2022 la società RAGIONE_SOCIALE chiedendo la determinazione dell’indennità di acquisizione sanante.
Il provvedimento di acquisizione sanante veniva emesso il 27/6/2022 e comunicato il 29/7/2022, in assenza di impugnazione.
La Corte d’appello di Bologna con ordinanza depositata il 2/5/2023 dichiarava inammissibile il ricorso presentato dalla società RAGIONE_SOCIALE
In particolare, la Corte territoriale evidenziava che il termine per impugnare la determinazione dell’indennità di esproprio ex art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001 non era quello di 30 giorni previsto dall’art. 54 del d.P.R. n. 327 del 2001, ma il termine prescrizionale, dovendosi tenere conto della «diversità ontologica tra la procedura di esproprio ordinaria fondata su una dichiarazione di pubblica utilità cui risulta applicabile l’art. 54 e la procedura di cui all’art. 42bis , ritenendo che il termine di cui all’art. 54 si riconnette ad un iter procedimentale di determinazione della stima che è estraneo all’istituto di cui all’art. 42bis » (si citava Cass n. 11687 del 2020).
Aggiungeva la Corte di merito che la «ulteriore domanda ex art. 54 è stata invece successivamente proposta dopo il semplice avvio del procedimento amministrativo, senza adozione di alcun provvedimento di acquisizione sanante, unico provvedimento in grado di legittimare l’esercizio della domanda di ‘determinazione dell’indennità di acquisizione sanante ex art. 42bis d.P.R. 327/2001 e contestuale opposizione alla stima’».
Il ricorso, ad avviso della Corte territoriale, era inammissibile «lì dove il ricorrente ha proposto la domanda dopo il semplice avvio del procedimento amministrativo e, anche dopo l’adozione del provvedimento ex art. 42bis in data 29/7/2022, ha espressamente dichiarato di non volere impugnare detto provvedimento».
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione la società RAGIONE_SOCIALE depositando anche memoria scritta.
Hanno resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE ed il Comune di Comacchio, depositando entrambi anche memoria scritta.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di impugnazione la società ricorrente deduce la «violazione di legge e omesso esame di fatto decisivo ai sensi dell’art. 360, primo comma, numeri 3, 4 e 5, per violazione dell’art. 54 d.P.R. 327/2001 e vizio di motivazione, perché illogica ed apparente».
L’affermazione della Corte d’appello per cui non si applica all’istituto della acquisizione sanante il termine perentorio di 30 giorni di cui all’art. 54, del d.P.R. n. 327 del 2001, dovendosi fare riferimento al termine di prescrizione decennale, ad avviso della ricorrente «non fonda la dichiarata inammissibilità del ricorso ma semmai ne legittima la proposizione e la ammissibilità».
La ricorrente, peraltro, rileva che la sentenza di legittimità richiamata dalla Corte d’appello sarebbe in realtà «rimasta isolata», per cui dovrebbe applicarsi, ai fini impugnatori, il termine di 30 giorni dalla comunicazione del decreto di acquisizione sanante.
Chiarisce la ricorrente, poi, che l’adozione del provvedimento di acquisizione sanante aveva comunque paralizzato la precedente azione restitutoria.
Sarebbe poi estremamente contraddittorio «affermare la sottoposizione del procedimento al termine prescrizionale ordinario e dichiararne la inammissibilità».
Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la «violazione di legge ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., per violazione dell’art. 54 d.P.R. 327/2001, in relazione all’art. 29 d.lgs. 150/2001, avendo la Corte d’appello dato una interpretazione contrastante col dato letterale e con la volontà del legislatore. Violazione di legge per omesso esame di un fatto decisivo, discusso
nel procedimento, relativo alla natura di condizione dell’azione del provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42bis TUESP».
La ricorrente deduce che è necessario distinguere la disciplina delle espropriazioni «ordinarie», nelle quali è prevista «la comunicazione di una stima provvisoria e la facoltà per l’espropriato di formale opposizione alla stima con la richiesta di sottoposizione alla commissione provinciale».
In tal caso, il termine per impugnare sarebbe dilatorio.
Nell’ipotesi, invece, di stima definitiva, «il termine per l’opposizione è definito quale perentorio».
Nelle acquisizioni sananti, invece, – ad avviso della ricorrente «non è prevista la comunicazione della stima provvisoria ma esclusivamente l’adozione del provvedimento ex art. 42bis con la contestuale comunicazione della stima, non sono concessi all’espropriato termini per contraddire sulla stima, ciò che rende ancora più pregnante la necessità di formulare la contestazione alla stima, se come nel caso di specie la stessa è stata comunicata unitamente al provvedimento di avvio del procedimento con una valutazione di congruità della stessa».
In sostanza, dovrebbe applicarsi la giurisprudenza di legittimità che distingue tra il termine solo dilatorio di 30 giorni di cui all’art. 54, comma 1, del d.P.R. n. 327 del 2001, ed il termine perentorio di cui all’art. 54, comma 2, del medesimo d.P.R.
Pertanto, non può ritenersi improponibile l’opposizione alla stima introdotta prima della scadenza del termine dilatorio, dovendo essere riconosciuta all’espropriato la facoltà di adire il giudice ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio anche prima della stima definitiva «e comunque prima che inizi a decorrere il distinto termine perentorio di opposizione previsto all’art. 29 d.lgs. n. 150/2011».
La ricorrente si sofferma anche sulla circostanza della pacifica produzione del provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001, emesso in data 27/6/2022.
Si tratterebbe di una condizione dell’azione, sicché «seppure insussistente al momento della proposizione della domanda, consente al giudice di esaminare il merito della controversia se, al tempo della decisione, la condizione risulta essersi verificata».
Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della «violazione di legge ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., per violazione e falsa applicazione dell’art. 53, comma 2, d.P.R. 327/2001 e dell’art. 133, comma 1, lettera g), c.p.a.».
Per la Corte d’appello il ricorso era inammissibile in quanto, anche dopo l’adozione del provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001, in data 29/7/2022, la società avrebbe «espressamente dichiarato di non volere impugnare il detto provvedimento», nella memoria depositata in data 22/9/2022.
Tale affermazione sarebbe erronea, in quanto la Corte d’appello non ha tenuto conto della possibilità per la società di impugnare dinanzi al giudice amministrativo il provvedimento di acquisto nei sanante ex art. 42bis del d.P .R. n. 327 del 2001; ciò, «qualora vengano in contestazione gli aspetti di merito del provvedimento, in poche parole, l’interesse pubblico al mantenimento dell’opera».
Dinanzi al giudice ordinario, vengono in rilievo, però, non gli aspetti della legittimità del provvedimento amministrativo, ma gli importi in esso contenuti, con cognizione del giudice ordinario.
Il secondo motivo è fondato, con assorbimento del primo e del terzo motivo.
La Corte d’appello, pur avendo correttamente ritenuto che la società non poteva presentare il ricorso ex art. 702bis c.p.c. avverso «il semplice avvio del procedimento amministrativo» di cui all’art.
42bis del d.p.r. n. 327 del 2001, contenente anche la stima provvisoria dell’indennizzo, non ha però tenuto conto della sopravvenuta produzione in giudizio del successivo provvedimento di acquisizione sanante.
5.1. Deve muoversi, infatti, dalle differenze strutturali del procedimento di espropriazione ordinaria, rispetto al procedimento di acquisizione sanante di cui all’art. 42bis del d.P .R. n. 327 del 2001, che è speciale ed extra ordinem .
Come si chiarirà oltre, proprio tali peculiarità non consentono di proporre ricorso avverso la determinazione dell’indennità provvisoria contenuta nell’atto di avvio del procedimento di cui all’art. 42bis d.P.R. n. 327 del 2001.
All’interno del procedimento di espropriazione ordinaria va distinta la determinazione dell’indennità provvisoria, rispetto a quella definitiva.
Il procedimento di determinazione provvisoria dell’indennità di espropriazione è disegnato dall’art. 20 del d.P.R. n. 327 del 2001, laddove nel comma 3 si precisa che l’autorità espropriante, valutate le osservazioni degli interessati, anche avvalendosi degli uffici degli enti locali, dell’ufficio tecnico erariale o della commissione provinciale di cui all’art. 41, «prima di emanare il decreto di esproprio accerta il valore dell’area e determina in via provvisoria la misura dell’indennità di espropriazione».
Il procedimento di determinazione definitiva delle indennità di esproprio viene collocato invece nell’art. 21 del d.P.R. n. 327 2001, proprio nell’ipotesi in cui «manca l’accordo sulla determinazione dell’indennità di espropriazione».
In assenza di accordo, il procedimento espropriativo può dipanarsi o, attraverso la nomina dei tecnici, ai sensi del comma 3 dell’art. 21, oppure nell’ipotesi in cui il proprietario non dia la
tempestiva comunicazione di designare un tecnico di propria fiducia, attraverso la determinazione dell’indennità da parte della commissione di cui all’art. 41, come previsto dal comma 15 dell’art. 21 del d.P.R. n. 327 del 2001.
Va chiarito ancora che in linea generale il decreto di esproprio di cui all’art. 23 del d.P.R. n. 327 del 2001 prevede l’indicazione dell’indennità «determinata in via provvisoria o urgente», precisando se la stessa sia stata accettata dal proprietario o successivamente corrisposta (art. 23 lettera c), comunque dando atto «della eventuale nomina dei tecnici incaricati di determinare in via definitiva l’indennità di espropriazione».
Ciò significa che se generalmente la determinazione dell’indennità definitiva precede il provvedimento di esproprio, può anche accadere che al provvedimento di esproprio faccia seguito la relazione di stima definitiva.
Ed infatti l’art. 27 del d.P.R. n. 327 del 2001, che si riferisce al pagamento o al deposito definitivo dell’indennità a seguito della perizia di stima dei tecnici o della commissione provinciale, chiarisce al comma 1 che «la relazione di stima è depositata dai tecnici ovvero dalla commissione provinciale presso l’ufficio per le espropriazioni. L’autorità espropriante dà notizia dell’avvenuto deposito mediante raccomandata con avviso di ricevimento e segnala facoltà di prenderne visione ed estrarne copia».
Al comma 2 dell’art. 27, di particolare rilievo, si dispone che «decorsi 30 giorni dalla comunicazione del deposito, l’autorità espropriante in base alla relazione peritale e previa liquidazione e pagamento delle spese della perizia, su proposta del responsabile del procedimento autorizza il pagamento dell’indennità, ovvero l’ordine al deposito presso la cassa depositi e prestiti».
Si procede quindi all’emissione del decreto di esproprio, come previsto dal comma 3 dell’art. 27, ove si evidenzia che «in seguito alla presentazione, da parte del promotore dell’espropriazione, degli atti comprovanti l’eseguito deposito o pagamento dell’indennità di espropriazione, l’autorità espropriante emette senz’altro il decreto di esproprio ».
Ciò poneva ovviamente problemi ai fini dell’impugnazione.
7. L’art. 54 del d.P.R. n. 327 del 2001, nella sua prima stesura, prevedeva che «decorsi 30 giorni dalla comunicazione prevista dall’art. 27, comma 2, il proprietario espropriato, il promotore dell’espropriazione o il terzo che ne abbia interesse può impugnare innanzi alla Corte d’appello, nel cui distretto si trova il bene espropriato, gli atti dei procedimenti di nomina dei periti e di determinazione dell’indennità, la stima fatta dai tecnici, la liquidazione delle spese di stima e comunque può chiedere la determinazione giudiziale dell’indennità».
Al comma 2 dell’art. 54 si stabiliva che «l’opposizione di cui al comma 1 va proposta, a pena di decadenza, entro il termine di 30 giorni, decorrente dalla notifica del decreto di esproprio o dalla notifica della stima peritale, se quest’ultima sia successiva al decreto di esproprio».
L’art. 54 citato ha subito poi l’abrogazione dei commi 2, 3 e 4, ad opera dell’art. 29 del d.lgs. n. 151 del 2011.
Pertanto, l’art. 54, comma 1, stabilisce ora che « Le controversie di cui al presente comma sono disciplinate dall’art. 29 del d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150».
L’art. 29 del d.lgs. n. 150 del 2011 ricalca tuttavia le previsioni dell’art. 54 del d.P.R. n. 327 del 2001, prima delle modifiche.
Si stabilisce al comma 3 dell’art. 29 che «l’opposizione va proposta, a pena di inammissibilità, entro il termine di 30 giorni dalla
notifica del decreto di esproprio o dalla notifica della stima peritale, se quest’ultima sia successiva al decreto di esproprio».
Vanno allora distinti i due termini per l’impugnazione: quello di cui all’art. 54, comma 1, del d.P.R. n. 327 del 2001; e quello di cui al comma 3 dell’art. 29 del d.lgs. n. 150 del 2011 (corrispondente al precedente comma 2 dell’art. 54 citato).
Il primo termine ha natura dilatoria, per costante giurisprudenza di legittimità (Cass., sez. 6-1, 28/2/2011, n. 4880; Cass., n. 22227 del 2018), mentre il secondo termine ha natura perentoria.
Si è infatti chiarito che, in tema di indennità di esproprio, l’art. 54, comma 2, d.P.R. n. 327 del 2001, applicabile ” ratione temporis “, prevede la decadenza dal diritto di proporre opposizione alla stima solo a seguito del decorso del termine perentorio di trenta giorni dalla notifica del decreto di esproprio o della successiva stima peritale, dovendo pertanto escludersi che l’opponente incorra in altra decadenza ove tali notifiche non siano effettuate, pure nei casi in cui l’opposizione sia proposta dallo stesso ente espropriante, che sia anche promotore o beneficiario dell’espropriazione – nella specie, la SRAGIONE_SOCIALE. ha cassato la decisione di merito che aveva ritenuto inammissibile l’opposizione del comune, ente espropriante ed anche beneficiario dell’espropriazione, solo perché presentata dopo sessanta giorni dal deposito della relazione di stima presso gli uffici comunali – (Cass., sez. 1, 26/2/2021, n. 5340).
Ciò significa che il termine fissato dall’art. 27, comma 2, del d.P.R. n. 327 del 2001, non è perentorio, ma dilatorio, imponendo a tutte le parti del procedimento di agire per la determinazione giudiziale dell’indennità almeno 30 giorni dopo la comunicazione del deposito della relazione di stima, fermo restando tale potere di agire fino alla scadenza del termine perentorio di cui all’art. 54, 2º comma, del citato d.P.R., il quale decorre dalla notificazione del decreto di
esproprio o dalla relazione di stima, se successiva all’atto ablatorio, termine, questo, che non corrisponde a quello dilatorio di cui all’art. 27, comma 2, citato (Cass., sez. 1, 9/11/2018, n. 28791).
9. Particolarmente efficace risulta l’ordinanza di questa Corte (Cass., n. 21225 del 2019) in cui si è affermato che, in materia di opposizione alla stima nelle espropriazioni, il termine di trenta giorni dalla comunicazione dell’avviso di deposito della relazione di stima, di cui all’art. 27, comma 2, del d.P.R. n. 327 del 2001, è finalizzato a consentire agli interessati di prendere visione del documento e decidere se accettarla oppure opporvisi, ed ha perciò natura dilatoria.
Ne consegue che non può ritenersi improponibile l’opposizione alla stima introdotta prima della scadenza di tale termine, in quanto va riconosciuta all’espropriato la facoltà di adire il giudice ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio anche prima della stima definitiva e comunque prima che inizi a decorrere il distinto termine perentorio di opposizione previsto all’art. 29, comma 3, del d.lgs. n. 150 del 2011.
In tale ordinanza si chiarisce che, una volta emanato il provvedimento ablativo, sorge contestualmente, ed è perciò stesso azionabile, il diritto del proprietario a percepire il giusto indennizzo di cui all’art. 42 della Costituzione, che si sostituisce al diritto reale e non è subordinato alla liquidazione in sede amministrativa (Cass., n. 21225 del 2019; si richiamano Cass. n. 3074 del 2018; Cass. n. 5517 del 2017; vedi Cass., sez. 1, 27/4/2017, n. 10446).
Soprattutto, si esplicita che al proprietario espropriato sono concesse due azioni: l’una di determinazione dell’indennità di esproprio e l’altra di opposizione alla stima, a seconda se sia o meno stata calcolata l’indennità definitiva, che è demandata alla
commissione provinciale e, in alternativa, al collegio dei tecnici di cui art. 21.
Pertanto, la pronuncia del decreto di esproprio segue di regola la sola offerta dell’indennità provvisoria, che, a norma dell’art. 23, comma 1, lettera c, deve essere indicata nel provvedimento e precede logicamente la determinazione dell’indennità definitiva.
Si rimarca, però, che «nell’ipotesi eccezionale in cui il decreto tardi, invece, ad essere emesso e tuttavia nelle more sia ugualmente determinata l’indennità definitiva (ad opera della commissione provinciale ovvero del collegio dei tecnici) insorge la sola necessità che nel decreto di esproprio sia indicata anche la determinazione dell’indennità suddetta (articoli 27 e 23 lettera d, ove significativamente la nomina dei tecnici è considerata solo ‘eventuale’)» (Cass., n. 21225 del 2019; Cass, n., 3074 del 2018).
Ciò significa che il legislatore ha considerato entrambe le ipotesi, sia quella fisiologica, relativa alla circostanza che in generale il decreto di espropriazione segue alla sola offerta dell’indennità provvisoria, sia quella eccezionale, in cui il decreto di espropriazione segue la stima definitiva (che viene computata prima del decreto). Solo in via eccezionale la stima definitiva precede il decreto di esproprio. In linea generale, prima si determina l’indennità provvisoria, che è contenuta nel decreto di esproprio e, solo in seguito, viene calcolata l’indennità definitiva.
Ma in entrambi i casi la tutela giurisdizionale presuppone la previa pronuncia del decreto di esproprio.
Pertanto, trova spiegazione l’art. 29, comma 3, del d.lgs. n. 150 del 2011, il quale stabilisce che «l’opposizione va proposta, a pena di inammissibilità, entro il termine di 30 giorni dalla notifica del decreto di esproprio o dalla notifica della stima peritale, se
quest’ultima sia successiva al decreto di esproprio» (Cass., n. 3074 del 2018).
Pertanto, il termine dilatorio previsto dall’art. 27, comma 2, del d.P.R. n. 327 del 2001, ha la chiara finalità di attribuire alle parti un periodo temporale di differimento affinché le stesse possono valutare la stima e decidere se accettarla oppure opporvisi.
Per questa Corte, dunque, l’art. 27 del d.P.R. n. 327 del 2001 deve interpretarsi tenendo conto della sua ratio e della necessità del suo coordinamento non solo con le previsioni di cui all’art. 54, comma 1, e di cui all’art. 29, comma 3, d.lgs. n. 150 del 2011, applicabile ratione temporis nel caso di specie, «ma principalmente con il principio generale sancito dalla Corte costituzionale con la sentenza 22 febbraio 1990 n. 67, secondo cui deve essere riconosciuto all’espropriato la facoltà di adire il giudice ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio anche prima della stima definitiva e comunque prima che inizi a decorrere il distinto termine perentorio» (Cass. n. 21225 del 2019).
Per tale ragione, si è ritenuto che «l’unica esegesi dell’art. 27 compatibile con il suddetto principio conduce ad escludere che possa dichiararsi improponibile l’azione proposta prima della scadenza del termine dilatorio».
In caso contrario «risulterebbe all’evidenza impedito al proprietario l’esercizio del diritto a percepire il giusto indennizzo di cui all’art. 42 costituzione» (Cass, n. 21225 del 2019), pur avendo già perduto la proprietà del bene a seguito dell’emissione del decreto di esproprio, munito però solo (come in genere accade della indennità «provvisoria»).
Gli stessi principi non sono però esportabili nell’ambito dell’espropriazione acquisitiva.
L’espropriazione ordinaria e l’espropriazione tramite acquisizione sanante ex art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001, sono istituti profondamente diversi (Cons. Stato, sez. IV, 17/10/2024, n. 8237, che qualifica l’art. 42bis come norma di chiusura, con la finalità di ricondurre nell’alveo della legalità situazioni in cui l’amministrazione utilizza la proprietà privata per ragioni di pubblico interesse, ma in difetto di un valido titolo legittimante), come ritenuto da ultimo da questa Corte, in relazione all’applicabilità del termine di prescrizione decennale in caso di acquisizione sanante (Cass., sez. 1, n. 35287 del 2023; anche Cass., sez. 1, 7/11/2024, n. 28647).
Infatti, per questa Corte – dopo oscillazioni giurisprudenziali – il termine perentorio previsto dall’art. 54, comma 2, del d.P.R n. 327 del 2001 e, successivamente, dall’art. 29, comma 3, del d.lgs. n. 150 del 2011, per l’opposizione alla stima definitiva dell’indennità di esproprio, non è applicabile alla contestazione relativa alla determinazione dell’indennizzo contenuta nel provvedimento acquisitivo adottato a norma dell’art. 42bis del d.P .R n. 327 del 2001, con la conseguenza che il soggetto attinto dal decreto di acquisizione ha facoltà di contestare la liquidazione e chiederne la determinazione giudiziale nel termine ordinario di prescrizione; infatti, l’art. 29 citato, pur essendo successivo, non effettua alcun rinvio al precedente art. 42bis del menzionato d.P.R n. 327, non risultando peraltro, in ogni caso, consentite interpretazioni estensive e analogiche di norme che condizionano l’esercizio del diritto di azione con riferimento a termini di decadenza e inammissibilità non specificamente previsti dalla legge; al contempo, se la comune natura indennitaria del credito pecuniario dell’espropriato e del soggetto attinto dal decreto di acquisizione può valorizzarsi per giustificare la giurisdizione ordinaria e la competenza funzionale della Corte d’appello, quale giudice delle indennità in materia, ciò
non consente di superare le diversità strutturale dei relativi procedimenti amministrativi (Cass., sez. 1, 18/12/2023, n. 35287; Cass., sez. 6-1, 17/6/2020, n. 11287).
10.1. E’ principio ormai pacifico quello per cui l’art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001 costituisce una sorta di «procedimento espropriativo semplificato ed eccezionale», che dunque assorbe in sé sia la dichiarazione di pubblica utilità, sia il decreto di esproprio, sintetizzando in un unico atto lo svolgimento dell’intero procedimento, in presenza dei presupposti indicati dalla norma (Corte cost., 30 aprile 2015, n. 71; Cass., Sez.U., 29 ottobre 2015, n. 22096; Cass., Sez.U., 25 marzo 2016, n. 6017; Cass., Sez.U., 6 febbraio 2019, n. 6526; Cons. Stato, Adunanza Plenaria, n. 2 del 2016; Cass., Sez.U., 20/7/2021, n. 20691).
Si tratta dunque di una procedura espropriativa «eccezionale» e «complessa», prevedendosi un provvedimento specificamente motivato in riferimento alle attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che ne giustificano l’emanazione, con la valutazione comparativa con i contrapposti interessi privati, evidenziando l’assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione.
Del resto, in tema di acquisizione sanante, il giudizio di determinazione dell’indennizzo ex art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001 non ha natura di impugnazione dell’atto amministrativo che lo ha determinato, poiché non si esaurisce nel mero controllo delle statuizioni adottate in tale sede, ma è diretto a stabilire il quantum effettivamente dovuto, nel quale il giudice compie la valutazione in piena autonomia, seppur nei limiti delle domande e delle eccezioni ritualmente formulate dalle parti, sicché, ove il privato richieda la corretta determinazione del valore del bene e la liquidazione dell’indennità corrispondente al risarcimento del danno da illegittima occupazione, ai sensi del comma 3 del citato art. 42bis , e
l’Amministrazione non eccepisca la prescrizione del credito vantato, l’importo dovuto va calcolato tenendo conto dell’indennità spettante a partire dal momento di inizio dell’occupazione illegittima (Cass., sez. 1, 26/9/2024, n. 25707).
Trattasi di provvedimento acquisitivo, volto a ripristinare, ma solo con effetto ex nunc , la legalità amministrativa violata (Cass., sez. 1, 25707 del 2024; Cass., sez. 1, 26/3/2024, n. 8163), che viene adottato solo quale extrema ratio (Cass., Sez. U., 6/2/2019, n. 3517; Cass., n. 6018 del 2016).
11. In presenza di modifiche sostanziali e procedimentali così rilevanti, tra il procedimento di espropriazione ordinaria e quello di acquisizione sanante ex art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001, non è consentito impugnare la mera comunicazione di avvio del procedimento amministrativo, contenente anche la stima provvisoria dell’indennità.
Nel procedimento di espropriazione sanante, dunque, si consente al proprietario di impugnare esclusivamente il provvedimento definitivo di acquisizione sanante ex art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001.
In un precedente di questa Corte, seppur adombrando l’erronea applicazione del termine perentorio di 30 giorni di cui all’art. 54 del d.P.R. n. 327 del 2001 (con esclusione dunque del termine di prescrizione decennale), si è comunque affermato che «la quantificazione della indennità, che si accompagna saldamente al provvedimento di acquisizione sanante nella tipicità e definitività degli effetti, non conosce incertezze e non legittima il privato, diversamente orientando il rimedio azionabile, alla proposizione di una generale azione di riconoscimento della giusta indennità» (Cass., sez. 6-1, 15/10/2020, n. 22298).
Nella specie, invece, manca sia la indennità provvisoria – in assenza di un procedimento amministrativo speciale quale quello disegnato dagli artt. 20 e 21 del d.P.R. n. 327 del 2001 – sia il trasferimento (quindi la perdita) della proprietà; sono assenti i due presupposti che giustificano, invece, la domanda del privato di accertamento della giusta indennità (nell’ambito del procedimento espropriativo ordinario), quando la stima definitiva sopraggiunge dopo il decreto di esproprio (che dunque è già stato emesso, ma manca la stima definitiva).
Nel provvedimento di acquisizione sanante, invece, in un unico atto si rinvengono sia il trasferimento della proprietà sia la determinazione definitiva dell’indennità.
Tuttavia, in corso di giudizio v’è stata l’emanazione del provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001, accertata dal giudice del merito, in funzione di condizione dell’azione della domanda di accertamento (così da intendere) originariamente proposta (alla stessa stregua del decreto di espropriazione: ex multis Cass. 3840/17).
Si è ritenuto, infatti, che in tema di espropriazione per pubblica utilità, il principio per il quale la pronuncia del decreto di espropriazione costituisce una condizione dell’azione per la determinazione della corrispondente indennità – sicché il giudice non può esaminare il merito della causa senza che esso venga ad esistenza -resta valido anche con riferimento alla disciplina introdotta dal d.P.R. n. 327 del 2001, atteso che il menzionato decreto continua a costituire la fonte del credito indennitario: sia nel senso che non è possibile addivenire ad una statuizione definitiva sull’indennità in assenza del provvedimento ablatorio, sia nel senso che, emanato quest’ultimo, sorge ed è azionabile il diritto del proprietario a percepire l’indennizzo, da determinarsi con riferimento
alla data del trasferimento coattivo (Cass., sez. 1, 31/5/2016, n. 11261); tant’è vero che nel giudizio di opposizione alla stima, la produzione del decreto di esproprio, che sia intervenuto dopo la definizione del procedimento d’appello o dopo la proposizione del ricorso per cassazione, può essere validamente effettuata nel giudizio di legittimità, non trovando ostacolo nell’art. 372 c.p.c., poiché il provvedimento ablatorio ha natura giuridica di condizione dell’azione, cui sopravvenienza è rilevabile in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello di legittimità, fino al termine della discussione orale (Cass., sez. 1, 26/2/2016, n. 3817; Cass., sez. 1 17/6/2009 n. 14080).
Il decreto di esproprio, dunque, costituisce condizione indefettibile nell’azione di determinazione dell’indennità, rappresentandone un fatto indispensabile per integrarne la fattispecie costitutiva (Cass., sez. 1, 18/7/2013, n. 17604).
Proprio la circostanza che il decreto di esproprio segna la conclusione del procedimento di espropriazione, determinando il trasferimento della proprietà dell’immobile in favore dell’espropriante e facendo sorgere il diritto dell’espropriato all’indennità, la sua emanazione si configura, non già come presupposto processuale, alla cui esistenza è subordinata la possibilità di pervenire ad una decisione di merito, ma come condizione dell’azione, la cui mancanza impedisce l’accoglimento della domanda, escludendo la configurabilità del diritto che ne costituisce il fondamento (Cass., sez. 1, 6/7/2012, n. 11406).
È indubbio che anche il provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001 conclude il relativo procedimento e determina il trasferimento della proprietà, sicché costituisce una condizione dell’azione, la cui mancanza impedisce l’accoglimento della domanda.
15. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, con rinvio alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo; dichiara assorbiti il primo ed il terzo motivo; cassa la sentenza impugnata, in ordine al motivo accolto, con rinvio alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10 aprile 2025