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Acquisizione sanante: prescrizione e non decadenza

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 10077/2025, ha stabilito un principio fondamentale in materia di espropriazione. In caso di acquisizione sanante di un bene illegittimamente occupato dalla Pubblica Amministrazione, il proprietario ha dieci anni di tempo (prescrizione) per contestare l’indennizzo, e non il breve termine di 30 giorni (decadenza) previsto per le espropriazioni legittime. La Corte ha cassato la decisione della Corte d’Appello che aveva erroneamente dichiarato inammissibile il ricorso dei proprietari.

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Acquisizione Sanante: la Cassazione conferma la prescrizione decennale

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha affrontato un’importante questione relativa ai termini per contestare l’indennizzo in caso di acquisizione sanante. Questo meccanismo, utilizzato dalla Pubblica Amministrazione per regolarizzare l’occupazione illegittima di un terreno privato, è stato al centro di un lungo contenzioso. La Suprema Corte ha chiarito che il cittadino ha a disposizione il termine di prescrizione ordinario di dieci anni, e non il breve termine di decadenza di 30 giorni, per agire in giudizio. Analizziamo i dettagli di questa fondamentale decisione.

I Fatti del Caso

La vicenda ha origine nel lontano 1993, quando un consorzio per lo sviluppo industriale occupava d’urgenza un terreno di proprietà privata per la realizzazione di opere di viabilità e fognarie. L’occupazione, inizialmente legittima, doveva concludersi con un decreto di esproprio entro cinque anni. Tuttavia, il decreto fu emanato solo nel 2004, ben oltre la scadenza del termine, rendendo l’occupazione del terreno, a partire dal 1998, illegittima.

I proprietari impugnarono con successo il decreto di esproprio tardivo davanti al Tribunale Amministrativo Regionale (TAR), che lo annullò nel 2009. A seguito di questa sentenza, il consorzio, per regolarizzare la situazione, emise un provvedimento di acquisizione sanante ai sensi dell’allora vigente art. 43 del Testo Unico Espropri (poi dichiarato incostituzionale). I proprietari tentarono di impugnare anche questo atto, ma il loro ricorso fu dichiarato tardivo.

La controversia si spostò quindi in sede civile. Gli eredi del proprietario originario si rivolsero alla Corte d’Appello per ottenere il giusto risarcimento del danno per l’occupazione illegittima e la determinazione del valore del bene. La Corte d’Appello, però, dichiarò il ricorso inammissibile, ritenendo che la contestazione dell’indennità fosse soggetta al termine di decadenza di 30 giorni, ormai ampiamente decorso.

Le motivazioni della Cassazione sulla prescrizione per l’acquisizione sanante

La Corte di Cassazione ha completamente ribaltato la decisione della Corte d’Appello. Gli Ermellini hanno stabilito che l’applicazione del termine di decadenza di 30 giorni, previsto dall’art. 54 del d.P.R. 327/2001, è un’eccezione valida solo per l’opposizione alla stima in un procedimento di esproprio legittimo.

L’acquisizione sanante, sia nella sua versione originaria (art. 43) che in quella attuale (art. 42-bis), rappresenta invece un rimedio a una situazione patologica, ovvero un’occupazione avvenuta sine titulo (senza un valido provvedimento). Si tratta di due procedimenti strutturalmente diversi. Pertanto, le norme eccezionali che prevedono termini brevi di decadenza non possono essere applicate per analogia a contesti diversi da quelli per cui sono state esplicitamente previste.

La Corte ha affermato che il diritto del proprietario a contestare la liquidazione dell’indennizzo offerto dall’amministrazione e a chiederne la determinazione giudiziale è soggetto al termine di prescrizione ordinario decennale. Questo termine decorre dalla data di notifica del provvedimento di acquisizione. Di conseguenza, la Corte d’Appello ha errato nel dichiarare l’inammissibilità del ricorso per tardività.

Conclusioni

La sentenza rappresenta una vittoria importante per la tutela del diritto di proprietà contro gli abusi della Pubblica Amministrazione. Viene sancito in modo chiaro che il proprietario, vittima di un’occupazione illegittima sanata a posteriori, ha un congruo lasso di tempo (dieci anni) per far valere le proprie ragioni in tribunale e ottenere il giusto indennizzo. Questa decisione rafforza le garanzie dei cittadini, distinguendo nettamente le procedure espropriative legittime da quelle che servono a sanare un illecito, per le quali non possono valere le stesse stringenti limitazioni temporali.

Qual è il termine corretto per contestare l’indennizzo in un caso di acquisizione sanante?
Il termine corretto è quello di prescrizione ordinaria di dieci anni, che decorre dalla notifica del provvedimento di acquisizione.

Perché il termine di decadenza di 30 giorni non si applica all’acquisizione sanante?
Perché il termine di 30 giorni è una norma eccezionale prevista solo per contestare l’indennità in un procedimento di esproprio legittimo. L’acquisizione sanante, invece, è un rimedio a una situazione di illeceità e ha una struttura diversa, quindi non è possibile applicare per analogia norme così restrittive.

Cosa succede ora nel caso specifico esaminato dalla Corte?
La Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza della Corte d’Appello e ha rinviato il caso a quest’ultima, in diversa composizione, che dovrà decidere nel merito la domanda di risarcimento e indennizzo presentata dai proprietari, senza più poterla considerare tardiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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