Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 11652 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 11652 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 04/05/2025
sul ricorso 8812/2022 proposto da:
CONSORZIO RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso da ll’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME controricorrente – avverso l ‘ordinanza della CORTE D’APPELLO di CAGLIIARI SEZ.DIST. DI SASSARI n. 176/2017 depositata il 12/10/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/04/2025 dal Cons. Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. La Corte di appello di Cagliari-sezione distaccata di Sassari con l’ordinanza riportata in epigrafe ha proceduto a rideterminare l’indennità dovuta alla RAGIONE_SOCIALE a seguito del provvedimento di acquisizione in sanatoria di un fondo di sua proprietà adottato dal RAGIONE_SOCIALE Nord Est Sardegna “Gallura” a seguito dell’annullamento di un pregresso decreto di esproprio, nell’occasione rigettando l’eccezione di decadenza sollevata dal resistente sul rilievo che nella specie avrebbe dovuto osservarsi il termine fissato dall’art. 29 l. 1° settembre 2011, n. 150 («Oltre alla natura eccezionale delle norme che prevedono termini di decadenza, non applicabili dunque a casi analoghi per analogia legis , preme in favore dell’inesistenza di un termine di decadenza nel caso della contestazione della stima di acquisizione sanante un ulteriore e dirimente argomento, ossia la divergenza strutturale e funzionale di tale ultimo atto ablatorio rispetto al decreto di espropriazione»); escludendo la rilevanza del vincolo idraulico istituito successivamente all’acquisizione del bene («il valore venale del bene deve essere stimato in base alle condizioni esistenti alla data dell’emissione del decreto che dispone l’ablazione. Ciò significa che ogni sopravvenienza in fatto o, come nel presente caso, in diritto non incide sulla misura dell’indennità dovuta dall’amministrazione espropriante, dal momento che questa deve essere calcolata alla data dell’ablazione»); e dando, infine, conto delle ragioni per le quali, procedendosi alla determinazione del valore di stima con metodo “sintetico-comparativo” non si dovessero scomputare gli oneri di urbanizzazione («la necessità di scomputare il valore delle urbanizzazioni dall’indennità di esproprio riguarda soltanto la stima ‘analitico -ricostruttiva’, non dovendosi viceversa procedere allo scomputo in caso di stima comparativa, dal momento che il valore
espresso dal mercato già sarebbe al netto del valore delle urbanizzazioni»).
Avverso la predetta ordinanza insorge con un ricorso affidato a cinque motivi seguiti da memoria il Consorzio, al quale si oppone l’intimata con controricorso e memoria.
Con istanza indirizzata alla Prima Presidente il Consorzio ha chiesto, in ordine alle questioni sollevate con i primi due motivi di ricorso, che la decisione riguardo ai medesimi sia rimessa alle SS.UU.
Con decreto presidenziale del 6.3.2025 l’istanza in parola è stata respinta sulla considerazione che il denunciato contrasto di giurisprudenza è insussistente, costituendo per vero diritto vivente, segnatamente a seguito di Cass. 35287/2023 l’affermazione a cui, a più riprese, ha proceduto questa Corte, da ultimo con ordinanza 4791/2025, secondo cui «il termine perentorio previsto dall’ art. 54, comma 2, del d.P.R. n. 327 del 2001 e, poi, dall’ art. 29, comma 3, d.lgs. n. 150 del 2011 per la opposizione alla stima definitiva della indennità di esproprio non è applicabile alla contestazione della determinazione dell’indennizzo contenuta nel provvedimento acquisitivo adottato a norma dell’ art. 42bis del d.P.R. n. 327/2001, con la conseguenza che il soggetto attinto dal decreto di acquisizione ha facoltà di contestare la liquidazione e chiedere la determinazione giudiziale delle indennità nel termine ordinario di prescrizione; ciò sia perché l’ art. 29 del d.lgs. n. 150 del 1.9.2011 (entrato in vigore il 6.10.2011) non contiene richiami all’istituto di cui al già vigente art. 42bis (entrato in vigore in data 6.7.2011 per effetto del decretolegge 6.7.2011 n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 15.7.2011 ) e, per altro verso, l’art. 42 -bis non contiene alcun richiamo all’ art. 54 d.P.R. n. 327/2001 (che già prevedeva la ‘decadenza’), non essendo consentite interpretazioni in via estensiva e analogica delle disposizioni che condizionano l’esercizio del diritto di
azione (artt. 24 e 113 Costituzione) al rispetto di termini a pena di decadenza e inammissibilità non previsti specificamente dalla legge; sia perché la comune natura indennitaria del credito pecuniario dell’espropriato e del soggetto attinto dal decreto di acquisizione ex art. 42bis è stata valorizzata al solo fine di giustificare la giurisdizione del giudice ordinario e la competenza funzionale della Corte d’appello, quale giudice delle indennità in materia, senza, perciò solo, comportare neppure implicitamente l’estensione integral e del regime processuale proprio dei giudizi in tema di indennità di esproprio ai giudizi relativi alle indennità ex art. 42bis ; sia in considerazione della diversità strutturale dei relativi procedimenti amministrativi (quello ex art. 42bis è configurato dalla giurisprudenza costituzionale e amministrativa come extrema ratio e sui generis ) e del fatto che il termine di cui all’ art. 29, comma 3, d.lgs. n. 150/2011 è applicabile, nella espropriazione ordinaria, all’opposizione alla stima definitiva che è configurabile solo all’esito del procedimento formalizzato e garantista di cui agli art. 21 e 41 d.P.R. n. 327/2001, non previsto per la determinazione delle indennità ex art. 42bis liquidate dall’amministrazione emittente il decreto di acquisizione’. Così , conclusivamente chiosando, che «l’orientamento seguito dalla Sezione tabellarmente competente offre un quadro giurisprudenziale uniforme e costante. La circostanza, poi, che la questione di diritto sia stata più volte affrontata dalla giurisprudenza di legittimità, e risolta nello stesso modo, esclude che ci si trovi di fronte ad una questione di massima di particolare importanza. Si è al di fuori, pertanto, dei casi per i quali, secondo l’art. 374, secondo comma, cod. proc. civ., il ricorso può essere assegnato alle Sezioni Unite»
RAGIONI DELLA DECISIONE
3.1. Il primo ed il secondo motivo di ricorso -insistenti l’uno sul fatto che anche in tema di opposizione all’indennità determinata in sede di
acquisizione sanante debba osservarsi il termine decadenziale di cui all’art. 29 d.lgs. 150/2011, con la conseguenza che, nella specie, per essere stata la relativa controversia riassunta oltre il predetto termine, l’opposizione non si sarebbe potuta ritenere ammissibile, l’altro, sul fatto che, ove non si fosse ritenuto operante il predetto termine, si sarebbe dovuta divisare l’inapplicabilità dell’intera disposizione con la conseguenza che la causa sarebbe perciò ricaduta nella competenza generale del Tribunale -esaminabili congiuntamente in quanto ritenuti dallo stesso ricorrente «intimamente connessi», non hanno alcun pregio e possono essere rigettati.
3.2. Quanto, infatti, alla prima questione, alle ragioni diffusamente sviluppate dal decidente in stretta adesione al “diritto vivente” per contrastare l’analogo assunto fatto valere da RAGIONE_SOCIALE avanti a sé e alle considerazioni in pari direzione fatte proprie dal provvedimento presidenziale di rigetto dell’istanza di devoluzione della controversia alla trattazione avanti alle SS.UU., nulla vi è a parere del collegio da aggiungere per dare conto dell’infondatezza che infirma la contestazione, salvo osservare, per doverosa completezza, che il contrario non è argomentabile sulla scorta dei precedenti allegati dal decidente, vero, quanto a Cass. 22298/2020, che essa è espressiva di un indirizzo non più attuale dopo Cass 35287/2023 e, quanto a Cass 36188/2021, che essa si riferisce alla diversa e non sovrapponibile fattispecie della riacquisizione regolata dall’art. 63 comma 3, l. 23 dicembre 1998, n. 448.
3.3. Quanto, poi, alla seconda questione, ogni perplessità non ha più ragion d’essere alla luce del chiaro enunciato, tra le altre, di SS.UU. 15283/2016, secondo cui «in materia di espropriazione per pubblica utilità, la controversia relativa alla determinazione e corresponsione dell’indennizzo, globalmente inteso, previsto per la cd. acquisizione sanante di cui all’art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del 2001 è devoluta alla
competenza, in unico grado, della Corte di appello, che costituisce la regola generale prevista dall’ordinamento di settore per la determinazione giudiziale delle indennità dovute, nell’ambito di un procedimento espropriativo, a fronte della privazione o compressione del diritto dominicale dell’espropriato, dovendosi interpretare in via estensiva l’art. 29 del d.lgs. n. 150 del 2011, tanto più che tale norma non avrebbe potuto fare espresso riferimento a un istituto – quale quello della “acquisizione sanante” – introdotto nell’ordinamento solo in epoca successiva».
Il terzo motivo di ricorso -insistente sul fatto che in violazione dei canoni di legge, ossia degli artt. 23, 37 e 42bis TUE, nonché incorrendo in tal modo nell’omesso l’esame di un fatto decisivo, il decidente, nel procedere alla determinazione dell’indennizzo, non avrebbe tenuto conto del vincolo idraulico gravante sull’area oggetto di apprensione ovvero, non diversamente, delle sue caratteristiche intrinseche che ne limitavano de facto le potenzialità effettive di trasformazione edilizia -non ha pregio e può essere disatteso.
E’ principio già affermato dalla giurisprudenza di questa Corte -che in ciò si vale del diretto conforto apprestatole dalla legge -che, poiché il momento al quale deve essere ancorata la valutazione dell’immobile per la determinazione dell’indennità d’esproprio è quello del verificarsi della vicenda ablativa, con conseguente irrilevanza della situazione urbanistica del bene, sia antecedente, sia successiva all’epoca del vincolo che lo ha destinato all’espropriazione ( ex plurimis , Cass. Sez. I, 30/03/2000, n. 3873), «in tema di acquisizione sanante, nell’ipotesi in cui la vicenda ablatoria sia riferibile direttamente al provvedimento acquisitivo adottato ai sensi dell’art. 42 bis del d.P.R. n. 327 del 2001, è a tale data, in cui si è realizzata la fattispecie traslativa, che deve essere condotta l’indagine sulla situazione urbanistica dell’area» (così Cass., Sez. VI-I, 21/12/2020, 29184, che ha perciò negato rilevanza
alla situazione del bene all’epoca dell’accordo di programma o dell’irreversibile trasformazione).
La Corte di appello, allorché ha escluso che ai fini in questione si dovesse considerare l’incidenza di un qualsiasi vincolo sopravvenuto, si è esattamente attenuto al predicato di legge e non merita perciò censura alcuna.
5. Il quarto motivo di ricorso -insistente sul fatto che in violazione dei canoni di legge, ossia degli artt. 32, 37 e 42bis TUE il decidente, nel procedere alla determinazione dell’indennizzo in forza delle risultanze emergenti dall’espletata CTU sarebbe incorso nell’errore di includere nel valore di stima la quota degli oneri urbanistici e infrastrutturali sostenuti dalla Pubblica Amministrazione per rendere il bene concretamente utilizzabile ed appetibile sul mercato e di non considerare edificabile la quota territoriale eccedente i limiti di densità e trasformazione effettivamente realizzabili -è inammissibile dando corpo ad un’infondata contestazione di merito ed essendo diretto a promuovere una rinnovazione del giudizio in tal guisa maturato dal decidente.
La Corte di appello, come meglio si è ricordato nella pregressa narrativa di fatto, non solo ha puntualmente illustrato le ragioni del proprio procedere, ma, smentendo alla radice l’odierna contestazione. si è data pure cura di osservare, che i negozi di comparazione considerati dal CTU nel quadro della determinazione del valore di stima operato con metodo sintetico-comparativo, «a latere della clausola in cui è determinato il prezzo -valore che il consulente ha assunto come termine di comparazione -preve dono l’espressa pattuizione per cui l’acquirente si obbliga a versare separatamente al CIPNES-venditore la somma necessaria per coprire le spese di urbanizzazione, pari ai suddetti 10,00 €/m2. Per tale ragione non è necessario, come erroneamente effettuato dal CTU, scomputare i
10,00 €/m2 dal valore venale determinato col metodo ‘sintetico -comparativo’, dal momento che detto valore è stato già previsto negli atti di vendita come prezzo al netto delle spese di urbanizzazione, da corrispondersi, quest’ultimo, separatamente».
E’ evidente che la censura declinata non si accorda con il tenore della decisione impugnata e si tramuta in una critica di puro fatto che la sottrae all’esame qui richiesto.
6. Il quinto motivo di ricorso -insistente sul fatto che in violazione dei canoni di legge, ossia degli artt. 195 e 196 cod. proc. civ., nonché incorrendo in tal modo nell’omesso esame di un fatto decisivo, il decidente si sarebbe astenuto dal dar seguito alla denunciata violazione del contraddittorio consumatati in corso di CTU per aver questo formalizzato le proprie conclusioni dichiarando che non gli erano pervenute nei tempi previsti le osservazioni del consulente di parte CIPNES, malgrado i termini non fossero perentori e le richieste di differimento comunque inoltrategli da CIPNES -è inammissibile per palese difetto di autosufficienza.
Assume, infatti, la ricorrente di aver rapportato la contestazione in parola al decidente nelle note e negli allegati depositati il «25.02.2021 e 30.03.2021», ma si astiene tuttavia dal riprodurne il contenuto, sicché la Corte, fermo in principio che anche la denuncia dell’ error in procedendo , in guisa del quale sono direttamente consultabili gli atti del processa, postula, sia pure con i temperamenti indotti dalla sentenza CEDU sul caso COGNOME, l’osservanza del precetto di autosufficienza del motivo di ricorso ( ex plurimis , Cass., Sez. I, 6/09/2021, n. 24048), si trova nell’impossibilità di sindacare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne nel merito la fondatezza ( ex plurimis , Cass., Sez. VI-V, 13/12/2019, n. 32804), con l’effetto che il motivo si rende per questo inammissibile.
Il ricorso va, dunque, respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico del ricorrente del contributo unificato ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in favore di parte resistente in euro 15200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il