Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23963 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23963 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 31077/2019 r.g. proposto da:
Comune di Praia a Mare (c.f. CODICE_FISCALE), in persona del Sindaco, legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, per procura speciale in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO, che chiede di ricevere le comunicazioni e le notificazioni all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato.
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME (c.f. CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, in virtù di procura speciale alle liti, presso il cui studio in Roma, INDIRIZZO, è elettivamente domiciliata, la quale chiede di ricevere le comunicazioni e le notificazioni di cancelleria presso l’indirizzo di posta elettronica certificata indicato .
-controricorrente-
avverso la ordinanza della Corte di appello di Catanzaro, depositata in data 12 luglio 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/6/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOMEAVV_NOTAIO;
RILEVATO CHE:
Con ricorso depositato in data 16/7/2018 NOME COGNOME proponeva opposizione alle indennità determinate con la delibera n. 94 dell’11/6/2018 dalla giunta del Comune di Praia a Mare per l’acquisizione «sanante» ex art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001 di un terreno di sua proprietà (particelle n. 960 e n. 961 del foglio di mappa 22), in esecuzione della sentenza n. 688 del 2018 del Tar della Calabria.
Con tale sentenza il giudice amministrativo, una volta dichiarato il difetto di giurisdizione in relazione alla domanda di pagamento dell’indennità di occupazione legittima, aveva ordinato al Comune resistente di acquisire non retroattivamente al patrimonio indisponibile il terreno oggetto di causa, ricorrendone i presupposti, oppure, in alternativa, di restituire il terreno previo ripristino dello stato dei luoghi. Il Tar aveva, inoltre, posto a carico del Comune l’obbligo di pagare, in entrambi i casi, il 5% del valore venale dell’immobile per il periodo di occupazione illegittima a titolo risarcitorio.
Si costituiva il Comune eccependo l’inammissibilità del giudizio sommario di cognizione, in quanto l’art. 29 del d.lgs. n. 150 del 2011 prevedeva detto rito esclusivamente per le opposizioni alla stima di cui all’art. 54 del d.P.R. n. 327 del 2001 e non per l’opposizione alle indennità dovute in caso di acquisizione sanante.
Inoltre, ulteriore inammissibilità del ricorso derivava dalla circostanza che in base al dictum della sentenza amministrativa le questioni insorte nella fase esecutiva dovevano formare oggetto di
incidente di esecuzione ed essere risolte, se del caso, dal commissario ad acta , nominato nella persona del prefetto di Cosenza.
Il Comune eccepiva anche la tardività dell’opposizione, in quanto proposta oltre il termine di 30 giorni decorrenti dalla data di pubblicazione all’albo pretorio della delibera n. 94 del 2018, avvenuta in data 11/6/2018.
La Corte d’appello di Catanzaro, con ordinanza ex art. 702ter c.p.c., depositata il 12/7/2019, accoglieva il ricorso e rideterminava gli importi dovuti dal Comune di Praia a Mare.
Rigettava l’eccezione di inammissibilità del rito sommario di cognizione, trattandosi di quantificazione dell’importo dovuto in applicazione dell’art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001, sussistendo dunque la giurisdizione del giudice ordinario e la competenza in unico grado della Corte d’appello, in base alla regola generale dell’ordinamento di settore per la determinazione giudiziale delle indennità, dovendosi interpretare in via estensiva art. 29 del d.lgs. n. 150 del 2011 (si citava Cass. n. 1534 del 2018).
Allo stesso modo, quanto alla giurisdizione, essa apparteneva al giudice ordinario che doveva provvedere anche al riconoscimento degli interessi nella misura del 5% del valore del bene, trattandosi di una voce del complessivo indennizzo per il pregiudizio patrimoniale sofferto.
La Corte territoriale reputava sussistente anche la competenza della Corte d’appello in unico grado a seguito della decisione del giudice amministrativo, «essendo palese che le questioni che detto giudice ha inteso demandare al commissario ad acta riguardassero solo le questioni attinenti all’esecuzione della sentenza, e non anche le questioni relative alla misura delle indennità spettanti alla
COGNOME per l’acquisizione sanante, trattandosi di questioni demandate per legge al giudice ordinario».
Veniva respinta anche l’eccezione di tardività dell’opposizione, in quanto il decreto di esproprio era stato emesso solo nelle more del giudizio, ossia in data 8/10/2018 sulla scorta della delibera del Consiglio comunale n. 18 del 2018 che aveva rettificato la precedente delibera della giunta comunale n. 94 dell’11/6/2018.
Nel merito, la Corte d’appello reputava fondato il ricorso. Per quel che ancora qui rileva, veniva riconosciuta natura non edificabile al terreno oggetto di decreto di acquisizione sanante.
L’area ricadeva in zona F destinata ad attrezzature ed impianti di interesse generale. In particolare, secondo le norme tecniche di attuazione del PRG l’area risultava destinata alla realizzazione, anche a cura dei privati, delle aree per l’istruzione, attrezzature di interesse comune e pubblici servizi, spazi pubblici attrezzati a parco per il gioco e lo sport, aree per parcheggi pubblici.
Il valore venale del terreno era stato stimato dal CTU in euro 13,7 m² nel 2018 ed in euro 10,5 m² nel 2006.
Il CTU aveva ottenuto tali risultati applicando il metodo sinteticocomparativo, valutando gli atti di compravendita stipulati tra il 2006 (data di scadenza del periodo di occupazione legittima) e l’attualità.
In particolare, il CTU aveva utilizzato quattro atti di compravendita stipulati negli anni 2009, 2011 e 2012, relativi però a terreni edificabili ricadenti nella stessa località San Stefano nell’ambito del limitrofo comune di Tortora.
Tuttavia, trattandosi di terreni edificabili, il CTU aveva decurtato il valore del 70%, avendo appurato tramite specifiche indagini di mercato e informazioni assunte presso operatori del settore immobiliare che il valore di mercato dei terreni non edificabili era mediamente pari «al 30% di quelli edificabili».
La Corte d’appello faceva «proprie le conclusioni del CTU», in quanto «frutto di un’approfondita disamina dell’incarto processuale, di una corretta metodologia di stima e risultano corroborate da approfondite argomentazioni tecniche immuni da vizi logici».
Respingeva, dunque, la richiesta di rinnovazione della CTU.
Sui rilievi dell’opponente COGNOME il giudice d’appello evidenziava: la stima finale del valore venale del terreno non era inferiore a quella determinata dall’ente comunale, in quanto il terreno era stato stimato dal Comune in euro 10,4 m², mentre la stima del CTU era di euro 13,7 m²; la decurtazione del 70% del prezzo di mercato dei terreni edificabili presi in considerazione «si giustifica con il mancato reperimento di atti di compravendita di terreni non edificabili».
Tra l’altro, tale decurtazione – ad avviso della Corte d’appello «non appare affatto irrazionale e arbitraria, essendo il frutto di un’approfondita indagine di mercato presso operatori commerciali dai quali il CTU ha appreso che i terreni non edificabili ubicati nelle immediate vicinanze di quello acquisito al patrimonio dell’ente e ricadenti nel comune limitrofo di Tortora avevano un valore commerciale pari al 30% di quelli edificabili».
Per il CTU, dunque, «l’individuazione di tale percentuale discende proprio dalla valutazione delle caratteristiche intrinseche del suolo oggetto di stima (morfologia, accessibilità, vicinanza alla viabilità principale, dotazione di opere di urbanizzazione dell’area ecc.) e dalle differenti potenzialità edificatorie tra i suoli con la destinazione verde pubblico e servizi e quelli ricadenti in zona di espansione utilizzabili a fini residenziali».
Peraltro, la «bontà della stima» per la Corte territoriale emergeva dalla circostanza «che il valore assegnato dal CTU sia simile al prezzo (10,3 m quadro) indicato in un atto di compravendita del 2012
(prodotto dal Comune) sito in zona omogenea ‘ET Agrituristica’ avente possibilità edificatorie molto limitate e, quindi, caratterizzato da valori di mercato prossimi a quelli della zona F oggetto di stima».
Per il CTU, inoltre, diversamente da quanto ritenuto dal Comune, «in aderenza al principio sancito dalla Consulta secondo cui la necessaria aderenza del ristoro a tutte le caratteristiche concrete del bene suscettibili di determinarne un apprezzamento ha una portata che va ben oltre l’ambito dei suoli strettamente agricoli», il terreno in oggetto «rientra nell’ambito delle aree appartenenti al cosiddetto ‘ tertium genus ‘, afferente a quei suoli che, pur non essendo dotati di capacità edificatoria fini residenziali, hanno potenzialità (giuridiche ed effettive) di utilizzo diverse e più redditizie di quelle agricole, che si riverberano anche sulla relativo valore di mercato».
Per la Corte d’appello, era condivisibile l’argomentazione del CTU che non aveva preso in considerazione altro elaborato peritale relativo ad altro procedimento (n. 1242/2002), «poiché in detta consulenza il valore unitario di euro 28/mq (di gran lunga superiore a quelli determinati nelle sentenze del 2013 rispettivamente pari ad euro 18,75/mq e euro 20,00/mq) non risulta supportato da concreti riferimenti al reale andamento del valore di mercato dei suoli, avendo il CTU COGNOME fatto riferimento a non meglio precisate ricerche presso uffici regionali e provinciali».
Pertanto, il valore venale del terreno veniva determinato in euro 26.879,40, a titolo di pregiudizio patrimoniale; si stabiliva in euro 2687,94, pari al 10% del valore venale del terreno, per il pregiudizio non patrimoniale; a titolo di risarcimento del danno per l’occupazione illegittima dal luglio 2006 al mese di settembre 2018, la somma era determinata in euro 16.127,64, pari al 5% annuo del valore venale, oltre alla somma di somma di euro 8583,7 per occupazione legittima, ossia euro 1243,97 l’anno.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Praia a Mare.
Ha resistito con controricorso NOME COGNOME, depositando anche memoria scritta.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione dell’art. 29 del d.lgs. n. 150 del 2011, in relazione agli articoli 53 e 54 del d.P.R. n. 327 del 2001 e all’art. 133 del cpa, con riferimento all’art. 360, primo comma, numeri 1 e 3, c.p.c.».
In particolare, la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto che le questioni che il Tar Calabria aveva inteso demandare al commissario ad acta riguardassero «solo quelli attinenti all’esecuzione della sentenza e non anche le questioni relative alla misura delle indennità spettanti alla COGNOME per l’acquisizione sanante, trattandosi di questioni demandate per legge al giudice ordinario».
La sentenza sarebbe erronea in quanto in contrasto con le disposizioni normative sopra richiamate.
Per il ricorrente appartengono al giudice ordinario solo le controversie in cui si discute unicamente della determinazione e corresponsione dell’indennizzo, mentre non vi rientrano tutte le altre controversie che hanno un oggetto più ampio, come, ad esempio, quelle in cui si discute anche della restituzione del suolo ovvero del risarcimento del danno per la perdita della proprietà del bene.
Il ricorso presentato dalla proprietaria ai sensi dell’art. 702bis c.p.c. sarebbe inammissibile.
Nel ricorso proposto dinanzi alla Corte d’appello di Catanzaro, infatti, non si discute unicamente della quantificazione dell’importo dovuto in applicazione dell’art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001, ma
anche di altre questioni concernenti la restituzione del fondo e la determinazione il versamento delle spese di ripristino dei luoghi.
L’oggetto del giudizio dinanzi alla Corte d’appello non era unicamente circoscritto alla mera quantificazione dell’importo dovuto in applicazione dell’art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001. Aveva, in realtà, un oggetto più ampio, «essendo state sollevate anche questioni concernenti la restituzione del fondo e il risarcimento delle spese di ripristino dei luoghi».
6.1. Il motivo è infondato.
6.2. Costituisce, infatti, principio consolidato di questa Corte quello per cui, in tema di espropriazione per pubblica utilità, sono devolute al giudice ordinario e alla Corte di appello, in unico grado, le controversie sulla determinazione e corresponsione dell’indennizzo ex art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001, data la natura intrinsecamente indennitaria del credito vantato dal proprietario del bene, globalmente inteso dal legislatore come un ” unicum ” non scomponibile nelle diverse voci, con la conseguenza che l’attribuzione di una somma forfettariamente determinata a titolo risarcitorio (pari all’interesse del cinque per cento annuo sul valore venale del bene, a norma del comma 3 dell’art. 42 bis cit.) si riferisce unicamente ad uno degli elementi (il mancato godimento del bene per essere il cespite occupato senza titolo dall’amministrazione) rilevanti per la determinazione dell’indennizzo in favore del proprietario, il quale non fa valere una duplice legittimazione, cioè di soggetto avente titolo ora a un «indennizzo» (quando agisce per il pregiudizio patrimoniale, e non patrimoniale, conseguente alla perdita della proprietà del bene), ora a un «risarcimento» di un danno scaturito da un comportamento originariamente “contra ius” dell’amministrazione (Cass., Sez. U., 20/7/2021, n. 20691).
Del resto, corrisponde ai principi dell’unione europea affidare in via unitaria ad un unico plesso giurisdizionale il compito di liquidazione dell’indennizzo da espropriazione.
Si è infatti ritenuto che la giurisprudenza CEDU (sentenza 28 gennaio 2021, C-74515/13, NOME RAGIONE_SOCIALE c. Grecia) prescrive la necessità di un procedimento unico per la determinazione delle indennità espropriative, nel quale far valere ogni questione comunque connessa all’espropriazione (Cass., Sez. U., n. 20691 in motivazione).
Si è, peraltro, chiarito che «laddove il privato decidesse di contestare la legittimità dell’atto in sé per insussistenza dei requisiti previsti dalla legge per procedere all’acquisizione c.d. sanante, egli ben potrebbe adire il giudice amministrativo per chiedere la restituzione del bene e/o il risarcimento del danno per l’occupazione senza titolo, che a quel punto dovrà essere valutata sotto un profilo tipicamente risarcitorio, non essendo coperta da alcuna procedura amministrativa legittima, neppure ex post con il procedimento di cui all’art. 42bis ».
Negli stessi termini si è ritenuto che, in materia di espropriazione per pubblica utilità, la controversia relativa alla determinazione e corresponsione dell’indennizzo, globalmente inteso, previsto per la cd. acquisizione sanante di cui all’art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001 è devoluta alla competenza, in unico grado, della Corte di appello, che costituisce la regola generale prevista dall’ordinamento di settore per la determinazione giudiziale delle indennità dovute, nell’ambito di un procedimento espropriativo, a fronte della privazione o compressione del diritto dominicale dell’espropriato, dovendosi interpretare in via estensiva l’art. 29 del d.lgs. n. 150 del 2011, tanto più che tale norma non avrebbe potuto fare espresso riferimento a un istituto – quale quello della “acquisizione sanante” –
introdotto nell’ordinamento solo in epoca successiva (Cass., Sez. U., 25/7/2016, n. 15283).
6.3. La peculiarità della fattispecie in esame attiene alla circostanza che, in realtà, il privato si è già rivolto al giudice amministrativo per ottenere il provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001 oppure la restituzione del fondo e il risarcimento del danno (cfr. pagina 12 del ricorso per cassazione ove si riporta il ricorso proposto dinanzi alla Corte d’appello dalla proprietaria «il decreto definitivo di esproprio non è mai stato notificato alla signora COGNOME NOME e il Comune di Praia a Mare continua, peraltro, illegittimamente ad occupare i terreni oggetto della procedura espropriativa, il tutto a far data dal 10/7/2006, per cui, ad oggi, lo stesso è tenuto a restituire il fondo e/o a risarcire il danno a norma degli articoli 43 e 50 del d.P .R. 327/2001»).
Ed infatti, anche in altra parte del ricorso per cassazione, pagina 13, si riporta un ulteriore passaggio del ricorso presentato dalla proprietaria dinanzi alla Corte d’appello ove si afferma che «dal 10/7/2006 ad oggi, il terreno de quo risulta illegittimamente occupato dal Comune espropriante, per cui essendo divenuta l’occupazione sine titulo , il Comune di Praia a Mare, oltre a dover corrispondere al proprietario l’indennità di occupazione legittima, ha l’obbligo di restituire il fondo e di risarcire il pregiudizio cagionato » oltre ai «danni per l’occupazione illegittima e gli oneri risarcitori per spese di ripristino dei luoghi».
Tuttavia, già la dottrina si era occupata di questo argomento, evidenziando che il proprietario spogliato del bene può sollecitare, mediante diffida, l’amministrazione a valutare la possibilità di adottare il provvedimento ex art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001.
L’amministrazione in tal caso ha l’obbligo di provvedere, sicché, in caso di inerzia della stessa, il proprietario può proporre al giudice amministrativo un’azione intesa a fare accertare l’illegittimità del silenzio inadempimento e a far affermare l’obbligo di provvedere in capo all’ente, fermo restando che il giudice amministrativo in sede di cognizione non può condannare l’amministrazione all’emanazione del provvedimento ex art. 42bis , del d.P .R. n. 327 del 2001, in quanto di natura discrezionale, ma può solo imporre l’obbligo di provvedere sulla relativa istanza avanzata dai proprietari privati.
In tal senso in giurisprudenza amministrativa si è evidenziato che ove i proprietari si siano limitati a chiedere il ristoro in forma specifica attraverso la restitutio in integrum o in alternativa la condanna dell’amministrazione comunale all’adozione di un decreto di acquisizione ai sensi dell’art. 42bis del d.lgs. n. 327 2001, tale ultima domanda non può essere accolta, essendo indirizzo consolidato quello che un tale ordine fuoriesca dalle attribuzioni del giudice amministrativo in sede di cognizione (Cons. Stato, 20/7/2016, n. 3291; Cons. Stato, sez. IV, 19 marzo 2014, n. 1344). Tuttavia, restava ferma la facoltà del Comune, in alternativa alla disposta restituzione, di avvalersi di tale potestà acquisitiva, previa valutazione della sussistenza dei relativi presupposti e con la corresponsione dell’indennizzo e del risarcimento ivi previsti.
Pertanto, a fronte di un giudicato in cui si pone all’amministrazione resistente l’alternativa di restituire il terreno illegittimamente occupato pure di procedere alla sua acquisizione tramite lo strumento di cui all’art. 42bis , d.P.R. n. 327 del 2001, la totale inerzia delle autorità o l’attività elusiva di carattere ‘soprassessorio’ posta in essere da quest’ultima, consentono al giudice adito in sede di ottemperanza di intervenire, secondo lo schema disegnato dagli articoli 112 e ss. cpa, direttamente o
nominando un commissario ad acta che procederà, nel rispetto delle prescrizioni e dei limiti dinanzi esposti, a valutare in luogo dell’amministrazione inadempiente se esistono le eccezionali condizioni legittimanti l’acquisizione coattiva del bene ex art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001 (in tal senso Cons. Stato, sez.IV, 9/10/2017, n. 4670, ove l’amministrazione comunale, a prescindere dall’attività posta in essere dal commissario ad acta con la delibera n. 1 del 7 aprile 2015, era rimasta inerte, sicché lo stato di occupazione illecita delle aree continuava a persistere).
Tuttavia, nella specie, è rimasta inutile la nomina del commissario ad acta , in quanto il Comune di Praia a Mare ha provveduto, in piena autonomia (non risultando diversamente dal tenore di ricorso per cassazione), ad emettere il provvedimento di acquisizione coattiva ex art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001.
6.4. Va aggiunto – e ciò sgombra il campo dal dubbio in ordine alla rimessione della questione alle sezioni unite di questa Corte che quest’ultima, proprio a sezioni unite (Cass., Sez. U., 9/4/2024, n. 9448), ha già ritenuto che l’adozione, ai sensi dell’art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001, di un provvedimento di servitù coattiva con effetto sanante (volta a regolarizzare l’opera realizzata in violazione delle distanze) non determina – in applicazione del principio della perpetuatio jurisdictionis – la sottrazione della controversia alla cognizione del giudice ordinario, ma determina l’improcedibilità delle domande di restituzione e di risarcimento del danno proposte in relazione alle medesime aree, in quanto il sesto comma del predetto art. 42bis dispone che in tale ipotesi trovano applicazione, in quanto compatibili, le disposizioni di cui ai commi precedenti, le quali prevedono, per l’ipotesi di emissione del provvedimento di acquisizione sanante delle aree oggetto di occupazione illegittima, che si determini l’acquisizione del diritto di proprietà da parte
dell’amministrazione, precludendo pertanto l’esercizio dell’azione di restituzione del bene da parte del privato, ed il mutamento del titolo della pretesa risarcitoria dallo stesso azionata, che, per effetto di tale provvedimento, si converte in quella all’indennizzo previsto dal medesimo art. 42bis.
Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente si duole della «violazione e falsa applicazione dell’art. 29 del d.lgs. n. 150 del 2011, in relazione agli articoli 53 e 54 del d.P.R. n. 327 del 2001, con riferimento all’art. 360, primo comma, numeri 1 e 4, c.p.c.».
La Corte d’appello avrebbe ingiustificatamente respinto l’eccezione di tardività dell’opposizione sollevata dal Comune, in ragione del decorso del termine di 30 giorni, previsto a pena di inammissibilità dell’opposizione alla stima.
Il giudice d’appello ha sostenuto che il decreto è stato emesso solo nelle more del giudizio, ossia in data 8/10/2018 sulla scorta della delibera del consiglio comunale n. 18 del 2018, che ha rettificato la precedente delibera della giunta comunale n. 94 dell’11/6/2018. Pertanto, il termine iniziava a decorrere dall’8/10/2018 e non dall’11/6/2018.
7.1. Il motivo è infondato.
Infatti, per questa Corte – dopo oscillazioni giurisprudenziali – il termine perentorio previsto dall’art. 54, comma 2, del d.P.R n. 327 del 2001 e, successivamente, dall’art. 29, comma 3, del d.lgs. n. 150 del 2011, per l’opposizione alla stima definitiva dell’indennità di esproprio, non è applicabile alla contestazione relativa alla determinazione dell’indennizzo contenuta nel provvedimento acquisitivo adottato a norma dell’art. 42bis del d.P .R n. 327 del 2001, con la conseguenza che il soggetto attinto dal decreto di acquisizione ha facoltà di contestare la liquidazione e chiederne la determinazione giudiziale nel termine ordinario di prescrizione;
infatti, l’art. 29 citato, pur essendo successivo, non effettua alcun rinvio al precedente art. 42bis del menzionato d.P.R n. 327, non risultando peraltro, in ogni caso, consentite interpretazioni estensive e analogiche di norme che condizionano l’esercizio del diritto di azione con riferimento a termini di decadenza e inammissibilità non specificamente previsti dalla legge; al contempo, se la comune natura indennitaria del credito pecuniario dell’espropriato e del soggetto attinto dal decreto di acquisizione può valorizzarsi per giustificare la giurisdizione ordinaria e la competenza funzionale della Corte d’appello, quale giudice delle indennità in materia, ciò non consente di superare le diversità strutturale dei relativi procedimenti amministrativi (Cass., sez. 1, 18/12/2023, n. 35287).
Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta «l’omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. Violazione e falsa applicazione degli articoli 61,115,116,132 c.p.c., nonché dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
La Corte d’appello avrebbe recepito acriticamente le conclusioni cui è pervenuto il CTU dell’elaborato peritale depositato il 13 giugno 2018.
La «motivazione della sentenza che si impugna» risulterebbe «errata», in quanto la correttezza del metodo utilizzato dall’ausiliario non esime comunque il giudice dal dovere di indicare i dati obiettivi sui quali ha ritenuto di fondare la propria valutazione.
Il criterio sintetico-comparativo si sostanzia nell’attribuire al bene da stimare il prezzo di mercato di immobili ‘omogenei’, con riferimento non solo agli elementi materiali, quali la natura, posizione, la consistenza morfologica e simili, e temporali, ma soprattutto alla sua condizione giuridica e urbanistica all’epoca del
decreto ablativo, dovendo a tal fine CTU indicare gli elementi di comparazione utilizzati.
Il CTU avrebbe dovuto utilizzare accertamenti e stime «relative alla medesima zona urbanistica ‘F’ in cui è ubicato l’immobile espropriato, e nell’ambito di essi privilegiare quelli che apparivano più omogenei al terreno suddetto».
Non sarebbero state valutate attentamente le osservazioni critiche all’elaborato peritale mosse dal CTP del Comune di Praia a Mare.
Infatti, nelle osservazioni del 21/5/2018 il CTP aveva evidenziato l’esistenza di atti di compravendita di terreni comparabili a quello oggetto della procedura di acquisizione sanante, così descritti «unità A. il primo comparabile è un terreno non edificabile di mq 970,00, ubicato in c/da San Nicola, a poca distanza (mt 500 in linea d’aria dall’area oggetto di stima) (…) La data di compravendita è novembre 2016 e il prezzo di compravendita è di 6000 euro, con un’incidenza unitaria di 6,18 €/mq. Unità B. il secondo comparabile è un terreno non edificabile di mq 4830,00 ubicato in località INDIRIZZO. Stefano (…) Ad una distanza di circa 400 metri (…). La data di compravendita è agosto 2012, e il prezzo di compravendita è di 50.000,00 euro, con una incidenza unitaria di 10,35 €/mq (…)».
Per il CTP, dunque, il valore di stima dell’immobile era pari ad euro 17.051,30, «con un’incidenza unitaria di 8,69 €/mq».
Sarebbe dunque viziata la sentenza «per insufficienza della motivazione», laddove ha affermato di aver utilizzato quattro atti di compravendita relativi a terreni edificabili.
Il terreno oggetto di stima era però non edificabile.
8.1. Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
8.2. È inammissibile nella parte in cui si invoca l’applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. e 2697 c.c.
Infatti, per questa Corte, mentre la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ., configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma, integra motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la censura che investe la valutazione (attività regolata, invece, dagli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.) può essere fatta valere ai sensi del n. 5 del medesimo art. 360 (Cass., sez. 6-3, 31 agosto 2020, n. 18092; Cass., sez. 3, 29 maggio 2018, n. 15107; Cass., sez. 3, 17 giugno 2013, n. 15107).
Pertanto, il ricorrente pur deducendo la violazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in realtà chiede una nuova valutazione delle risultanze istruttorie, come risulta dal tenore stesso del ricorso ove si afferma che vi sarebbe stata una «insufficienza della motivazione».
8.3. Inoltre, in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012 (Cass., sez. 3, 12/10/2017, n. 23940).
8.4. Il motivo è anche infondato.
Infatti, la Corte d’appello in motivazione ha evidenziato che il CTU aveva tenuto conto anche delle osservazioni dei CTP, rispondendo «in modo compiuto e convincente all’osservazioni mosse dal CTP».
Del resto, più elementi hanno inciso nella determinazione del prezzo al metro quadrato dei terreni non edificabili.
In primo luogo, la stima del valore venale del terreno da parte del CTU (euro 13,7 m²) si avvicinava alla stima del Comune, pari ad euro 10,4 m².
Inoltre, è vero che erano stati presi a parametro di comparazione terreni edificabili, ma con la decurtazione del 70% del prezzo di mercato, e tale riduzione era «il frutto di un’approfondita indagine di mercato presso operatori commerciali dai quali il CTU ha appreso che terreni non edificabili ubicati nelle immediate vicinanze di quello acquisito al patrimonio dell’ente e ricadenti nel comune di Tortora avevano un valore commerciale pari al 30% di quelli edificabile».
La Corte territoriale ha poi puntellato le conclusioni del CTU rilevando che «il valore assegnato dal CTU simile al prezzo (euro 10,3/mq) indicato in un atto di compravendita del 2012 (prodotto dal Comune) sito in zona omogenea ‘ET agrituristica’ avente possibilità edificatorie molto limitate e, quindi, caratterizzato da valori di mercato prossimi a quelli della zona F oggetto di stima».
Inoltre, per il giudice d’appello il terreno rientrava nell’ambito delle aree appartenenti al cosiddetto ‘ tertium genus ‘, ossia i suoli che, pur non essendo dotati di capacità edificatoria a fini residenziali, avevano però potenzialità, sia giuridiche che effettive, di utilizzo diverse e più redditizie di quelle agricole.
Con il quarto motivo di impugnazione il ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione degli articoli 91 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
La sentenza sarebbe erronea nella parte in cui ha posto interamente a carico del Comune le spese di giudizio, nonostante la domanda giudiziale proposta dal ricorrente fosse stata accolta soltanto in minima parte. Infatti, a fronte di una richiesta di risarcimento dei danni per euro 145.912,22, la Corte d’appello aveva riconosciuto alla controricorrente la minor somma di euro 26.879,40 a titolo di pregiudizio patrimoniale, nonché le somme di euro 2687,94 per il pregiudizio non patrimoniale, euro 8583,7 per l’occupazione legittima ed euro 16.127,64 a titolo di risarcimento del danno da acquisizione illegittima.
Le somme riconosciute dal giudice di merito erano dunque prossime a quelle che erano state indicate nella relazione di stima sottesa al decreto di acquisizione sanante.
Vi sarebbe stata, dunque, la soccombenza reciproca delle parti.
9.1. Il motivo è infondato.
È stata fatta, infatti, corretta applicazione del principio della soccombenza.
La Corte d’appello ha comunque riconosciuto un indennizzo superiore a quello offerto dal Comune con il provvedimento di acquisizione sanante.
Per questa Corte, infatti, in materia di procedimento civile, il sindacato di legittimità sulle pronunzie dei giudici del merito è diretto solamente ad evitare che possa risultare violato il principio secondo cui esse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, essendo del tutto discrezionale la valutazione di totale o parziale compensazione per giusti motivi, la cui insussistenza il giudice del merito non è tenuto a motivare (Cass, sez. 6-3, 26/11/2020, n. 26912; Cass., n. 18128 del 31/8/2020).
In ossequio al principio della soccombenza le spese del giudizio di legittimità vanno poste interamente a carico del Comune ricorrente e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente a rimborsare in favore dell’AVV_NOTAIO, quale difensore antistatario della controricorrente, le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 5.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, oltre Iva e cpa;
ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 19 giugno 2024