Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 9448 Anno 2024
Civile Ord. Sez. U Num. 9448 Anno 2024
Presidente: COGNOME PASQUALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12054/2020 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t. NOME AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO; -ricorrente –
contro
COGNOME NOME, in proprio e in qualità di erede di COGNOME NOME, e COGNOME NOME e COGNOME NOME, in qualità di eredi di COGNOME NOME, rappresentati e difesi dagli AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, con domicilio in Roma, INDIRIZZO, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;
avverso la sentenza del la Corte d’appello di Napoli n. 717/20, depositata il 17 febbraio 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16 gennaio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto dei primi tre motivi di ricorso e l’accoglimento del quarto, del quinto e del sesto motivo, con l’assorbimento del settimo motivo.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME e NOME COGNOME, proprietari di due fondi agricoli siti in Molinara (BN), località Fontanelle, e riportati in Catasto al foglio 7, particelle 55 e 56, convennero in giudizio l’RAGIONE_SOCIALE, per sentirla condannare alla demolizione ed all’arretramento di una torre eolica da essa realizzata sul fondo confinante, in quanto costruita in violazione delle distanze legali, con la dichiarazione dell’inesistenza della servitù e la condanna della convenuta alla cessazione della turbativa ed al risarcimento dei danni.
A sostegno della domanda, gli attori riferirono che la convenuta, dopo aver acquistato da NOME e NOME il diritto di superficie su una parte del fondo confinante, riportato alla particella 59, vi aveva costruito un manufatto composto da una base in cemento armato e da un traliccio in ferro, alla sommità del quale era posizionata una turbina azionata da tre pale eoliche, destinata alla produzione di energia elettrica.
Si costituì l’IVPC, ed eccepì il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario, nonché l’infondatezza della domanda, chiedendone il rigetto.
1.1. Con sentenza del 22 gennaio 2013, il Tribunale di Benevento a) dichiarò il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario relativamente alla domanda di accertamento dell’inesistenza della servitù, rilevando che con decreto del 9 agosto 2007 il Comune aveva imposto una servitù coattiva sui fondi degli attori, b) dichiarò la giurisdizione del Giudice ordinario relativa-
mente alle domande di riduzione in pristino e risarcimento dei danni, rilevando che per la realizzazione dell’opera la convenuta si era avvalsa di strumenti privatistici, c) accertò la legittimazione passiva dell’IVPC, in qualità di proprietaria della costruzione, e d) rigettò le predette domande, osservando che l’utilizzazione delle fonti di energia rinnovabile costituisce attività di pubblico interesse e ritenendo che agli attori spettasse soltanto l’indennità di cui all’art. 44 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327.
2. L’impugnazione proposta dai COGNOME è stata accolta dalla Corte d’Appello di Napoli, che con sentenza del 17 febbraio 2020 ha rigettato il gravame incidentale proposto dall’IVPC, a) dichiarando la giurisdizione del Giudice ordinario relativamente alla domanda di accertamento dell’inesistenza della servitù, disponendone la separazione dalle altre domande e rimettendo le parti dinanzi al Tribunale di Benevento, b) accogliendo le domande di rimessione in pristino e risarcimento dei danni, e c) condannando l’IVPC all’arretramento dell’aerogeneratore fino all’osservanza della distanza legale dal confine, nonché al pagamento delle somme di Euro 5.502,89 in favore di NOME COGNOME ed Euro 2.102,57 in favore di NOME COGNOME, oltre rivalutazione monetaria ed interessi.
Premesso, per quanto ancora rileva in questa sede, che la convenuta era un soggetto privato, non autorizzato né delegato dalla Pubblica RAGIONE_SOCIALE alla produzione di energia elettrica da fonte eolica, essendosi avvalsa di una concessione edilizia e di strumenti privatistici, ed escluso che le delibere di approvazione della convenzione per la determinazione della percentuale da corrispondere al Comune avessero valore di approvazione del progetto di un’opera pubblica, la Corte ha ritenuto che la controversia spettasse alla giurisdizione ordinaria, non investendo scelte della Pubblica RAGIONE_SOCIALE in materia urbanistica ed edilizia, ma avendo ad oggetto pretese di diritto comune, fondate sulle norme in materia di distanze. Precisato inoltre che la qualificazione dell’utilizzazione delle fonti di energia eolica come attività di pubblico interesse, estesa alle opere relative, consente di avvalersi per la loro realizzazione della procedura espropriativa, ma non impedisce il ricorso a strumenti privatistici, ha escluso che la violazione delle distanze fosse riconducibile, sia pure mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere, ravvisan-
dovi un comportamento materiale, inidoneo ad affievolire il diritto dominicale degli attori, posto in essere da una società convenuta in giudizio in qualità non già di concessionaria del servizio di produzione dell’energia, ma di impresa costruttrice e proprietaria del manufatto. Ha osservato che la legge 9 gennaio 1991, n. 10 non attribuisce di per sé natura pubblica alle opere finalizzate alla produzione di energia da fonti alternative, ritenendo comunque non provato che nella specie l’opera facesse parte di una centrale elettrica rientrante nella rete elettrica nazionale, e fosse quindi sottratta all’applicazione del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 ed alla riduzione in pristino. Ha rilevato infine che il decreto d’imposizione della servitù coattiva, emesso ai sensi dello art. 43 del d.P.R. n. 327 del 2001, era stato impugnato dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania ed annullato dal Consiglio di Stato con sentenza del 15 ottobre 2010, n. 8507, concludendo pertanto che la responsabilità fatta valere dagli attori non era più ricollegabile al predetto provvedimento, ma al comportamento dell’IVPC, che aveva installato il manufatto a distanza inferiore a quella legale, dando luogo ad una servitù di fatto. Ha ritenuto ininfluente, al riguardo, l’emissione di un nuovo decreto d’imposizione della servitù ai sensi dell’art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001, in quanto intervenuto soltanto nel corso del giudizio di appello e inidoneo ad incidere sulla competenza giurisdizionale, in considerazione della corretta proposizione della comanda dinanzi al Giudice ordinario e dell’operatività del principio della perpetuatio jurisdictionis .
Precisato poi che agli appellanti spettava sia la tutela ripristinatoria che quella risarcitoria, ha ritenuto che, una volta accertata la violazione delle distanze, il danno fosse in re ipsa , in quanto conseguente all’imposizione di una servitù di fatto ed alla conseguente diminuzione di valore dei fondi. Ha richiamato l’accertamento compiuto dal c.t.u. nominato nel corso del giudizio, secondo cui il manufatto era stato realizzato in virtù di concessione edilizia in deroga al Piano regolatore generale rilasciata per la costruzione della centrale eolica, ritenendo applicabili i distacchi previsti per la zona D, con una distanza minima dai confini di m. 5,00, ed osservando che la struttura non risultava conforme alla disciplina dettata dalle norme tecniche di attuazione, giacché la proiezione delle pale invadeva il terreno di proprietà degli attori. Ha escluso
peraltro che il movimento delle pale precludesse l’esercizio dell’attività agricola, determinando in Euro 9.072,00 il valore complessivo dei fondi, in misura pari al 10% la riduzione della produttività dei fondi ed in misura pari al 40% quella del valore degli stessi.
Avverso la predetta sentenza l’IVPC ha proposto ricorso per cassazione, articolato in sette motivi, illustrati anche con memoria. Hanno resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria, NOME COGNOME, in proprio ed in qualità di erede di NOME COGNOME, e NOME e NOME COGNOME, in qualità di eredi di NOME COGNOME.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario, ai sensi degli artt. 42bis e 53 del d.P.R. n. 327 del 2001, degli artt. 1, comma terzo, e 4 della legge n. 10 del 1991, dell’art. 3 della legge 1° agosto 2002, n. 166 e dell’art. 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, e la violazione del giudicato, sostenendo che, nell’affermare la propria giurisdizione sulla domanda di accertamento dell’inesistenza della servitù e su quella di riduzione in pristino, la sentenza impugnata non ha considerato che la centrale eolica di Molinara è stata realizzata in virtù di una convenzione urbanistica stipulata tra essa ricorrente e l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ai sensi dello art. 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e di concessioni edilizie in deroga, nella vigenza della legge n. 10 del 1991, che ha dichiarato di pubblico interesse e di pubblica utilità la produzione e l’utilizzazione delle fonti di energia rinnovabile. Aggiunge che proprio in virtù delle predette disposizioni sono stati adottati i due decreti di imposizione di servitù coattiva, aventi contenuto ablativo e volti a regolarizzare l’eventuale uso illecito del suolo privato, i quali hanno privato il Giudice ordinario del potere di pronunciarsi in ordine alle predette domande, non essendogli consentito di valutare la legittimità di tali provvedimenti: precisa al riguardo che il secondo decreto ha inoltre superato anche il vaglio di legittimità del Giudice amministrativo, avendo il Consiglio di Stato rigettato la relativa impugnazione con sentenza del 24 aprile 2019, n. 2646, passata in giudicato. Afferma infine l’inapplicabilità del principio di cui all’art. 5 cod. proc. civ., non venendo in
considerazione un mutamento di fatto o di diritto idoneo a modificare il riparto di giurisdizione, ma il potere del Giudice ordinario di adottare una statuizione interferente con un provvedimento ablativo legittimo.
Con il secondo motivo, la ricorrente insiste sul difetto di giurisdizione del Giudice ordinario, ai sensi degli artt. 42bis e 53 del d.P.R. n. 327 del 2001, degli artt. 1, comma terzo, e 4 della legge n. 10 del 1991, dell’art. 3 della legge 1° agosto 2002, n. 166 e degli artt. 4 e 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, e sulla violazione del giudicato e dell’art. 5 cod. proc. civ., osservando che, nel ritenere ininfluente il nuovo decreto d’imposizione della servitù coattiva, la Corte territoriale ha invaso la sfera di competenza dell’Autorità amministrativa, non avendo tenuto conto dell’incidenza dello stesso sulla proprietà degli attori e sul regime delle distanze, con effetti consolidati, avuto riguardo all’intervenuto rigetto della relativa impugnazione, con sentenza passata in giudicato.
Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 5 della legge n. 10 del 1991, dell’art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del 2001 e dell’art. 2909 cod. civ., sostenendo che, nell’escludere la natura pubblica dell’opera, la sentenza impugnata ha invaso la sfera di discrezionalità della Pubblica RAGIONE_SOCIALE, avendo proceduto al riesame del decreto d’imposizione della servitù coattiva, senza tenere conto del giudicato formatosi in ordine alla sentenza n. 2646/19 del Consiglio di Stato, che ne aveva confermato la legittimità, escludendo la necessità di una formale dichiarazione di pubblica utilità, in considerazione della qualificazione dell’utilizzazione delle fonti di energia rinnovabile come attività di pubblico interesse.
Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1, commi terzo e quarto, della legge n. 10 del 1991, dell’art. 12 del d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, dell’art. 873 cod. civ., dell’art. 4 della legge n. 2248 del 1865, all. E, dell’art. 46 della legge 25 giugno 1865, n. 2359 e dell’art. 44 del d.P.R. n. 327 del 2001, censurando la sentenza impugnata per aver ordinato l’arretramento del manufatto sino alla distanza legale, senza tenere conto della qualificazione degl’impianti eolici come opere di pubblica utilità, indipendente dagli strumenti utilizzati per la sua realizzazione, della conseguente sottrazione degli stessi alla disciplina dettata dallo
art. 873 cod. civ., che impedisce al proprietario danneggiato di ottenere il risarcimento in forma specifica, e della conformazione del regime delle distanze determinata dal decreto d’imposizione della servitù coattiva.
Con il quinto motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 46 della legge n. 2359 del 1865 e degli artt. 42bis e 44 del d.P.R. n. 327 del 2001, censurando la sentenza impugnata per aver riconosciuto e liquidato il danno in favore degli attori, senza tener conto della spettanza agli stessi della sola indennità prevista dall’art. 42bis cit., comprendente, oltre al valore venale del fondo, il risarcimento per l’illecita occupazione e il danno non patrimoniale liquidato in misura forfettaria.
Con il sesto motivo, la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 42bis , 53 e 54 del d.P.R. n. 327 del 2001 e dell’art. 29 del d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150, censurando la sentenza impugnata per aver riconosciuto agli attori il risarcimento del danno, senza considerare che, in caso di acquisizione sanante disposta ai sensi dell’art. 42bis cit., il ristoro dovuto al proprietario non ha natura risarcitoria, ma indennitaria, e la competenza in ordine alle relative controversie spetta alla Corte d’appello, dinanzi al quale NOME COGNOME aveva agito per la rideterminazione dell’indennizzo.
Con il settimo motivo, la ricorrente denuncia, in via subordinata, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 11 della legge n. 241 del 1990, dell’art. 873 cod. civ., degli artt. 6, 7 e 133 cod. proc. amm. e degli artt. 7 e ss. del d.P.R. n. 380 del 2001, censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto ammissibili le domande di accertamento dell’inesistenza della servitù e di riduzione in pristino, senza tenere conto della natura dell’impianto, qualificabile come opera d’interesse RAGIONE_SOCIALE convenzionata, in quanto realizzata sulla base della convenzione stipulata con il Comune, la cui riconducibilità all’art. 11 della legge n. 241 del 1990 comportava la devoluzione delle relative controversie alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo, con conseguente esclusione del potere di disapplicazione del Giudice ordinario.
Così riassunte le censure proposte dalla ricorrente, vanno disattese le plurime eccezioni d’inammissibilità sollevate dalla difesa dei controricorrenti
in relazione alla mancata specificazione delle ipotesi prospettate, tra quelle previste dall’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., alla denuncia cumulativa dei vizi di violazione di legge e carenza di motivazione, al giudicato interno formatosi in ordine alla spettanza originaria della controversia alla giurisdizione ordinaria ed all’ininfluenza del decreto d’imposizione della servitù coattiva sopravvenuto nel corso del giudizio, ed al difetto di autosufficienza del ricorso.
8.1. Ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, non è infatti necessaria la specificazione dell’ipotesi cui s’intende fare riferimento, tra quelle in cui è consentito di adire il Giudice di legittimità, purché si faccia valere un vizio della decisione chiaramente identificabile sulla base delle censure proposte e astrattamente riconducibile ad una delle categorie logiche tassativamente individuate dall’art. 360 cod. proc. civ. (cfr. Cass., Sez. V, 6/10/2017, n. 23381; Cass., Sez. II, 21/01/2013, n. 1370). Tale opera di sussunzione consente nella specie d’inquadrare agevolmente i motivi di ricorso in parte nell’ipotesi di cui al n. 1, ed in parte in quella di cui al n. 4 dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., avendo alcuni di essi ad oggetto il difetto di giurisdizione dell’Autorità giudiziaria ordinaria relativamente alla domanda di accertamento dell’inesistenza della servitù ed altri l’inammissibilità delle domande di riduzione in pristino e di risarcimento dei danni proposte dagli attori.
Coerentemente con la natura processuale dei vizi dedotti, le censure proposte riflettono poi esclusivamente la violazione di norme di legge, senza fare alcun cenno a carenze motivazionali, non rilevanti nel caso in cui vengano denunciati errores in procedendo , giacché nell’accertamento degli stessi questa Corte è chiamata ad operare come giudice anche del fatto, provvedendo al riscontro delle violazioni lamentate attraverso l’esame diretto degli atti, indipendentemente dalla sufficienza e logicità delle ragioni addotte a sostegno della decisione impugnata (cfr. Cass., Sez. lav., 5/08/2019, n. 20924; 21/04/ 2016, n. 8069; Cass., Sez. II, 13/08/2018, n. 20716). Le medesime censure risultano altresì formulate nel rispetto del principio di specificità dell’impugnazione, recando la chiara individuazione delle affermazioni della sentenza impugnata di cui la ricorrente intende sollecitare il riesame e l’illustrazione delle ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda l’impugnazione, con l’indicazione di
tutti gli elementi necessari ai fini della valutazione della loro fondatezza, ed in particolare con la riproduzione testuale dei passi salienti delle sentenze del Giudice amministrativo invocate a sostegno del lamentato difetto di giurisdizione (cfr. Cass., Sez. lav., 18/08/2020, n. 17224; Cass., Sez. V, 4/10/2018, n. 24340; Cass., Sez. VI, 28/05/2018, n. 13312).
Quanto poi all’asserita carenza d’interesse all’impugnazione, derivante dalla mancata proposizione di specifiche censure avverso la sentenza di appello, nella parte in cui ha escluso che la violazione delle distanze fosse riconducibile sia pure mediatamente all’esercizio di un pubblico potere e nella parte in cui ha ritenuto ininfluente la sopravvenienza del decreto d’imposizione della servitù coattiva, è appena il caso di rilevare che, indipendentemente dalla sua fondatezza, la denuncia del difetto di giurisdizione dell’Autorità giudiziaria ordinaria e dell’inammissibilità della domanda muove proprio dalla contestazione delle predette affermazioni, avendo la ricorrente insistito per un verso sulla destinazione della costruzione da essa realizzata allo svolgimento di una attività di pubblico interesse, e sulla conseguente sottrazione della stessa alla osservanza delle norme in materia di distanze, e per altro verso sulla conformazione del regime delle distanze determinata dal decreto d’imposizione della servitù coattiva, la cui sopravvenienza avrebbe comportato, a suo avviso, anche il venir meno del diritto al risarcimento del danno. L’incompatibilità della tesi in tal modo sostenuta con quella fatta propria dalla sentenza impugnata consente di escludere l’intervenuta formazione del giudicato interno, ai fini del quale non è sufficiente che siano rimaste incensurate semplici argomentazioni o accertamenti di fatto che, unitamente agli altri, concorrono a formare un capo unico di decisione, ma è necessario che le affermazioni non censurate siano configurabili come capi completamente autonomi della decisione, tali da integrare una statuizione del tutto indipendente, in quanto risolutivi di questioni controverse dotate di propria individualità e autonomia (cfr. Cass., Sez. I, 15/12/2021, n. 40276; 18/ 09/2017, n. 21566; 23/03/2012, n. 4732).
I primi tre motivi di ricorso sono peraltro infondati, mentre vanno accolti il quarto, il quinto ed il sesto motivo.
La sentenza impugnata non merita infatti censura nella parte in cui ha
affermato la spettanza all’Autorità giudiziaria ordinaria della giurisdizione in ordine alla domanda di accertamento dell’insussistenza della servitù.
A fondamento della predetta affermazione, la Corte territoriale ha infatti richiamato correttamente il principio, enunciato da queste Sezioni Unite in riferimento ad un analogo giudizio promosso nei confronti della medesima ricorrente, secondo cui la controversia instaurata dal proprietario di un fondo nei confronti di una società privata concessionaria dell’RAGIONE_SOCIALE per la costruzione di una pala eolica, che abbia ad oggetto la pretesa di ripristino delle distanze legali tra il fondo ed il manufatto sito nell’area confinante, oltre al risarcimento dei danni, appartiene alla giurisdizione del Giudice ordinario, giacché detta società è convenuta in giudizio non già come RAGIONE_SOCIALE o concessionaria che svolge il servizio di pubblica utilità di produzione di energia e di trasporto della stessa nella rete elettrica nazionale, ma in quanto impresa costruttrice e proprietaria del manufatto, come tale responsabile del pregiudizio che il manufatto stesso, «staticamente», venga ad arrecare al terzo confinante (cfr. Cass., Sez. Un., 21/11/2011, n. 24410; al riguardo, v. anche Cass., Sez. Un., 1/04/2020, n. 7636; 24/07/2017, n. 18165). Tale principio trova giustificazione nel rilievo che una siffatta controversia «non riguarda, in relazione al risultato pratico perseguito dall’attore, un’ipotesi d’incidenza della domanda sull’efficienza o funzionalità della rete elettrica, ma evidenzia la prospettazione di uno spostamento del manufatto all’interno dell’area confinante a ripristino del regime delle distanze e l’applicazione di una sanzione indennitaria per la violazione del regime stesso e per i danni arrecati»: essa esula pertanto sia dalla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo in materia di pubblici servizi, già prevista dall’art. 33 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, così come sostituito dall’art. 7, comma primo, lett. a) , della legge 21 luglio 2000, n. 205, con particolare richiamo ai servizi previsti dalla legge 14 novembre 1995, n. 481, poi confluita nell’art. 133, comma primo, lett. c) , cod. proc. amm., sia da quella già prevista dall’art. 1, comma 552, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 per le controversie riguardanti le procedure e i provvedimenti in materia d’impianti di generazione di energia elettrica di cui al d.l. 7 febbraio 2002, n. 7, convertito con modificazioni dalla legge 9 aprile 2003, n. 55, e dall’art. 41 della legge
23 luglio 2009, n. 99 per le controversie aventi ad oggetto le procedure ed i provvedimenti relativi ad infrastrutture di trasporto dell’energia elettrica ricomprese nella rete di trasmissione nazionale, poi confluita nell’art. 133, comma primo, lett. o) , cod. proc. amm.
La soluzione in tal modo accolta risulta conforme al criterio generale costantemente seguito dalla giurisprudenza di legittimità in tema di riparto di giurisdizione, in virtù del quale ciò che assume rilievo ai fini dell’individuazione del giudice cui spetta la cognizione della controversia è, al di là della prospettazione delle parti, il petitum sostanziale della domanda, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della causa petendi , ovverosia dell’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio, da individuarsi con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico del quale gli stessi costituiscono manifestazione (cfr. Cass., Sez. Un., 31/07/2018, n. 20350; 15/09/ 2017, n. 21522; 11/10/2011, n. 20902): sicché, ove, a sostegno della domanda di accertamento dell’insussistenza della servitù, l’attore faccia valere, come nella specie, la lesione del suo diritto di proprietà, derivante dalla realizzazione sul fondo confinante di un aerogeneratore posto a distanza inferiore a quella legale, non può dubitarsi della spettanza della controversia alla giurisdizione ordinaria, poiché ciò che viene messo in discussione non è un comportamento riconducibile anche indirettamente ad un potere autoritativo della Pubblica RAGIONE_SOCIALE o del concessionario del servizio di produzione della energia elettrica attinente all’esercizio di tale attività, ma una condotta lesiva posta in essere nello svolgimento di un’attività privata (cfr. Cass., Sez. Un., 22/06/2011, n. 13639).
L’applicazione di tale principio non trova ostacolo, nel caso in esame, nella circostanza, fatta valere dalla ricorrente, che l’aerogeneratore realizzato sul fondo confinante con quello degli attori sia stato costruito in virtù di una convenzione stipulata con l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell’art. 11 della legge n. 241 del 1990 e di concessioni edilizie rilasciate in deroga. La controversia non è infatti riconducibile alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo in materia di formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimenti amministrativi, già prevista dal com-
ma quinto dell’art. 11 cit. e poi confluita nell’art. 133, comma primo, lett. a) , n. 2 cod. proc. amm., vertendo tra soggetti privati e non avendo ad oggetto la convenzione urbanistica stipulata con il Comune, ma il comportamento lesivo tenuto dalla concessionaria in violazione del diritto soggettivo del proprietario confinante. Come costantemente affermato da questa Corte, le controversie tra proprietari, relative alla violazione delle distanze legali tra le costruzioni o rispetto ai confini, appartengono alla giurisdizione del Giudice ordinario, trattandosi di cause tra privati, anche quando la violazione denunciata riguardi una costruzione realizzata in conformità ad una concessione edilizia rilasciata in deroga agli strumenti urbanistici, ben potendo il Giudice ordinario, cui spetta la giurisdizione vertendosi in tema di violazione di diritti soggettivi, accertare incidentalmente l’eventuale illegittimità della concessione, ai fini della disapplicazione della stessa (cfr. Cass., Sez. Un., 19/11/ 2011, n. 21578; 15/07/1987, n. 6186; Cass., Sez. II, 4/09/2020, n. 18499).
10. La sentenza impugnata non può invece essere condivisa nella parte in cui ha negato qualsiasi rilevanza alla natura dell’attività al cui esercizio è destinata l’opera realizzata dalla ricorrente ed alla sopravvenienza del decreto d’imposizione della servitù coattiva.
E’ pur vero che, nell’affermare la spettanza al Giudice ordinario della cognizione della controversia avente ad oggetto la violazione delle distanze determinata dalla realizzazione di un aerogeneratore sul fondo confinante, queste Sezioni Unite hanno escluso che il riparto di giurisdizione possa essere influenzato dall’art. 1, comma quarto, della legge n. 10 del 1991, che qualifica l’utilizzazione delle fonti rinnovabili di energia come attività di pubblico interesse e di pubblica utilità ed equipara le relative opere a quelle dichiarate indifferibili ed urgenti ai fini dell’applicazione delle leggi sulle opere pubbliche. E’ stato tuttavia precisato che tale qualificazione preclude al giudice la possibilità di disporre, in caso di accoglimento della domanda, la riduzione in pristino, con la conseguenza che la tutela spettante al proprietario che abbia subìto la lesione del proprio diritto resta limitata al riconoscimento dell’indennità già prevista dall’art. 46 della legge n. 2359 del 1865, ed oggi contemplata dall’art. 44 del d.P.R. n. 327 del 2001 (cfr. Cass., Sez. Un., 21/11/2011, n. 24410, cit.; 19/05/2021, n. 13626). Tale limitazione è stata giustificata con
la ritenuta idoneità delle scelte compiute dall’Autorità amministrativa in ordine all’ubicazione dell’opera a comprimere le posizioni soggettive del proprietario confinante e con il divieto d’intervenire sull’atto amministrativo, imposto al Giudice ordinario dall’art. 4 della legge n. 2248 del 1865, all. E, con l’ulteriore precisazione che ciò non lascia senza protezione l’interesse qualificato del privato alla legittima localizzazione dell’opera, giacché il sistema positivo offre all’uopo rimedi sia amministrativi che di giustizia amministrativa. A conferma di tale conclusione è stato richiamato anche l’art. 7 del d.P.R. n. 380 del 2001, il quale, nel disciplinare l’attività edilizia delle Pubbliche Amministrazioni, esclude l’applicabilità delle disposizioni del relativo titolo alle opere pubbliche da eseguirsi da amministrazioni statali o comunque insistenti su aree del demanio statale ed alle opere pubbliche di interesse statale da realizzarsi dagli enti istituzionalmente competenti ovvero da concessionari di servizi pubblici, previo accertamento di conformità con le prescrizioni urbanistiche ed edilizie ai sensi del d.P.R. 18 aprile 1994, n. 383 e succ. mod. (lett. b ), nonché alle opere pubbliche dei comuni deliberate dal consiglio RAGIONE_SOCIALE, ovvero dalla giunta RAGIONE_SOCIALE, assistite dalla validazione del progetto, ai sensi dell’art. 47 del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 (lett. c ), in tal modo avvalorando l’ipotesi che la tutela del proprietario confinante si realizzi proprio attraverso la possibilità di sollecitare dinanzi al Giudice amministrativo un controllo in ordine alla conformità del progetto alle prescrizioni urbanistiche, nei limiti indicati dalle predette disposizioni.
Nella specie, pertanto, l’intervenuto accertamento della violazione delle distanze legali non avrebbe consentito alla Corte territoriale di disporre la riduzione in pristino, mediante l’arretramento dell’aerogeneratore rispetto al confine con il fondo degli attori, risultando tale statuizione preclusa dalla destinazione del manufatto alla produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile, configurabile come attività di pubblico interesse e di pubblica utilità, e dall’equiparazione dello stesso alle opere dichiarate indifferibili ed urgenti ai fini dell’applicazione delle leggi sulle opere pubbliche, che escludevano qualsiasi interferenza da parte del Giudice ordinario nella localizzazione dell’opera, ai sensi dell’art. 4 della legge n. 2248 del 1865, all. E.
Al riguardo, occorre tenere conto anche della sopravvenienza, in corso di
causa, del decreto emesso il 14 agosto 2013, con cui, ai sensi dell’art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001, è stata disposta, a reiterazione di un analogo provvedimento precedentemente adottato ai sensi dell’art. 43 del medesimo d.P.R. ed annullato dal Giudice amministrativo, la regolarizzazione dell’opera realizzata dalla società attrice in violazione delle distanze, mediante l’imposizione di una servitù coattiva a carico del fondo di proprietà degli attori.
Benvero, in quanto intervenuto in epoca successiva all’instaurazione del giudizio, tale provvedimento non poteva considerarsi neanch’esso idoneo a giustificare la sottrazione della controversia alla cognizione del Giudice ordinario, trovando applicazione, come correttamente affermato dalla sentenza impugnata, il principio della perpetuatio jurisdictionis , sancito dall’art. 5 cod. proc. civ., in virtù del quale la giurisdizione si determina con riguardo alla legge vigente ed allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda, e rispetto ad essa non hanno rilevanza i mutamenti successivamente intervenuti. Nessun rilievo poteva assumere, in contrario, il giudicato esterno formatosi in ordine alla legittimità del decreto in questione, a seguito del rigetto della nuova impugnazione proposta dagli attori dinanzi al Giudice amministrativo, risultando tale pronuncia idonea ad escludere soltanto l’ammissibilità di un sindacato incidentale da parte del Giudice ordinario, finalizzato alla disapplicazione del provvedimento ai fini della decisione della controversia pendente dinanzi ad esso, e non anche ad alterare il riparto di giurisdizione in ordine alla medesima controversia, cristallizzatosi sulla base dello stato di fatto e di diritto esistente alla data di proposizione della domanda (cfr. Cass., Sez. Un., 13/11/2019, n. 29467; Cass., Sez. III, 22/06/ 2005, n. 13400; Cass., Sez. II, 4/02/2005, n. 2213).
L’intervenuta regolarizzazione della situazione di fatto determinata dalla realizzazione dell’opera in violazione delle distanze, in conseguenza dell’emanazione del decreto d’imposizione della servitù coattiva, poteva invece venire in considerazione ai fini dell’esclusione della prosecuzione del giudizio in ordine alle domande di riduzione in pristino e risarcimento del danno, per effetto della paralisi determinata dall’acquisto da parte della società ricorrente del diritto a mantenere il manufatto ad una distanza dal confine inferiore a quella legale e della liquidazione della relativa indennità, comprendente sia il ristoro
dovuto per l’asservimento, sia il risarcimento del danno dovuto per il periodo compreso tra la realizzazione dell’opera e l’emissione del decreto. In tema di espropriazione per pubblica utilità, questa Corte ha infatti affermato ripetutamente che l’adozione, da parte della Pubblica RAGIONE_SOCIALE, di un provvedimento di acquisizione sanante delle aree oggetto di occupazione illegittima, ai sensi dell’art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001, in quanto volta a ripristinare (con effetto ex nunc ) la legalità amministrativa violata, determina l’improcedibilità delle domande di restituzione e di risarcimento del danno proposte in relazione alle medesime aree, a meno che non si sia già formato il giudicato in ordine non solo al diritto del privato alla restituzione del bene, ma anche all’illiceità del comportamento dell’RAGIONE_SOCIALE ed al conseguente diritto del privato al risarcimento del danno (cfr. Cass., Sez. VI, 5/06/ 2018, n. 14311; Cass., Sez. I, 7/03/2017, n. 5686; 31/05/2016, n. 11258). E’ stato in tal modo recepito l’orientamento già sviluppatosi nell’ambito della giurisprudenza amministrativa, secondo cui l’emissione del predetto decreto determina al tempo stesso l’acquisizione del diritto di proprietà da parte dell’RAGIONE_SOCIALE, precludendo pertanto l’esercizio dell’azione di restituzione del bene da parte del privato, ed il mutamento del titolo della pretesa risarcitoria dallo stesso azionata, che, per effetto di tale provvedimento, si converte in quella all’indennizzo previsto dall’art. 42bis cit., la cui liquidazione è suscettibile di contestazione dinanzi alla Corte d’appello, nelle forme previste dallo art. 29 del d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150 (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 12/09/2018, n. 3848; Cons. Stato, Sez. V, 22/05/2012, n. 2975; 13/ 10/2010, n. 7472). Tale principio, enunciato con riguardo all’occupazione illegittima del fondo da parte della Pubblica RAGIONE_SOCIALE, è riferibile anche alla fattispecie in esame, in virtù della previsione contenuta nel comma sesto dell’art. 42bis , secondo cui le relative disposizioni trovano applicazione, in quanto compatibili, anche nell’ipotesi in cui sia imposta una servitù e il bene continui a essere utilizzato dal proprietario o dal titolare di un altro diritto reale, potendo l’autorità amministrativa procedere, in tal caso, all’eventuale acquisizione del diritto di servitù al patrimonio dei soggetti, privati o pubblici, titolari di concessioni, autorizzazioni o licenze o che svolgono servizi di interesse pubblico nei settori dei trasporti, telecomunicazioni, acqua o energia,
con oneri a carico dei soggetti beneficiari (cfr. Cass., Sez. Un., 10/05/2019, n. 12589; v. anche Cons. Stato, Sez. IV, 31/07/2017, n. 3807).
11. La sentenza impugnata va pertanto cassata senza rinvio, nella parte in cui ha accolto le domande di riduzione in pristino e risarcimento del danno, in ordine alle quali il processo non poteva essere proseguito, per effetto della sopravvenuta emissione del decreto d’imposizione della servitù coattiva, restando invece assorbito il settimo motivo, proposto in via meramente subordinata.
L’esito del giudizio, contrassegnato dalla dichiarazione d’improcedibilità della domanda, in conseguenza di un provvedimento sopravvenuto alla proposizione della stessa, giustifica l’integrale compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta i primi tre motivi di ricorso, accoglie il quarto, il quinto e il sesto, dichiara assorbito il settimo motivo, e cassa la sentenza impugnata, senza rinvio. Compensa integralmente le spese processuali.
Così deciso in Roma il 16/01/2024