Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 195 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 195 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 07/01/2025
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso iscritto al n. 35431/2019 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall ‘Avv. NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
MINISTERO della DIFESA, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato
-controricorrente-
con l’intervento di
FALLIMENTO RAGIONE_SOCIALE (C.F. P_IVA), rappresentato e difeso dall ‘Avv. NOME COGNOME
avverso l’ ORDINANZA della CORTE D’APPELLO di CATANIA n. 1969/2018 depositata il 03/06/2019; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con ordinanza n.3088/2019 pubblicata in data 3-6-2019, la Corte di Appello di Catania dichiarava inammissibile la domanda proposta da RAGIONE_SOCIALE diretta ad ottenere la determinazione dell’indennità di acquisizione ex art. 42 bis T.U. espropri, liquidata erroneamente, secondo la prospettazione della società opponente, dall’amministrazione procedente Ministero della Difesa in €4.343.684,47. La Corte territoriale rilevava che la società proprietaria, con missiva del 31.7.2018 indirizzata al Ministero della Difesa, aveva accettato l’indennità offerta (pari ad € 4.343.684,47), con conseguente accordo negoziale intervenuto tra le parti avente ad oggetto l’individuazione dell’indennizzo dovuto. La Corte di merito rilevava, altresì, che la società proprietaria non aveva contestato l’accettazione, ma affermava che l’opposizione fosse esperibile anche in presenza di accettazione, non trovando applicazione per la fattispecie di acquisizione sanante la speciale disciplina dell’art 20 c. 5 DPR 327/2001, come riportato in verbale di udienza del 22.3.2019). La Corte territoriale ha invece ritenuto applicabile analogicamente all’acquisizione sanante la disciplina del citato articolo sull’irrevocabilità della dichiarazione di accettazione, preclusiva di ogni successiva contestazione. In ogni caso la Corte di merito ha ritenuto conducente alla medesima conclusione, anche in assenza di applicazione dell’art 20 comma 5 TUE, il principio generale che prevede la possibilità per le parti, nell’ambito di un procedimento amministrativo, di definire una questione avente ad oggetto diritti disponibili (quale l’indennità espropriativa) in via negoziale.
Avverso tale ordinanza la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso
per Cassazione, affidato a tre motivi, resistito con controricorso dal Ministero della Difesa.
3. Il ricorso è stato fissato per la trattazione in camera di consiglio. La società ricorrente e la curatela del fallimento della società, che in data 10 luglio 2020 è intervenuta in giudizio costituendosi a mezzo dello stesso difensore della ricorrente e dando atto della declaratoria del fallimento della società sopravvenuta nelle more, hanno depositato memoria illustrativa.
CONSIDERATO CHE
4. La ricorrente denuncia: i ) con il primo motivo la v iolazione degli artt. 2909, 1236 e 1326 c.c., ai sensi dell’art.360 comma 1 n. 3, c.p.c. per contrasto del decisum impugnato con la sentenza del TAR di Catania 1107/2016 e con la sentenza 229/2018 del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia; deduce che con le suddette pronunce il Ministero della Difesa era stato condannato alla restituzione del bene previa riduzione in pristino, oltre al risarcimento del danno per occupazione illegittima, oppure ad emettere decreto di acquisizione sanante, con corresponsione del valore venale del bene maggiorato del 10% per danno non patrimoniale, risarcimento per occupazione illegittima dal 15.1.76 e consistente nell’interesse del 5% del valore venale al momento acquisizione; rimarca che l’ Amministrazione non aveva minimamente rispettato ‘i criteri indicati’ nelle predette sentenze, coperte da giudicato, e che l’occupazione usurpativa illegittima era durata oltre 42 anni (dal 1973), come appunto riconosciuto dalle due sentenze di primo e secondo grado passate in giudicato ed alle quali il Ministero era stato costretto a dare esecuzione; deduce la ricorrente di non aver mai rinunciato ad esigere l’esecuzione di quanto disposto dalle citate sentenze passate in giudicato e, dunque, la Corte di Appello, dichiarando l’inammissibilità del ricorso, erroneamente riteneva satisfattiva l’esecuzione solo parziale ed errata di tali sentenze, in contrasto con il giudicato
formatosi sulla misura dell’indennizzo che il Ministero era stato condannato a corrispondere (violazione art. 2909 c.c.) e di fatto ravvisando nella specie una rinuncia invece inesistente; lo stesso decreto di acquisizione sanante del 19 settembre 2018, notificato il 2 ottobre 2018 dava espressamente atto che in esito alla “proposta transattiva” della RAGIONE_SOCIALE “seguiva la controproposta da parte dell’Amministrazione Militare, che veniva rifiutata dalla Società medesima in data 25 luglio 2017′, sicché nessun accordo negoziale (o transattivo) era stato raggiunto tra le parti, contrariamente a quanto affermato dalla Corte di merito, che era perciò incorsa nel vizio di errata e falsa applicazione dell’art. 1326 c.c.; rimarca la natura certamente non negoziale né ancor più ed addirittura contrattuale del rapporto giuridico e della fattispecie in questione, considerato che il Ministero aveva agito iure imperii nei confronti del privato cittadino; ii) con il secondo motivo la violazione degli artt. 20 e 42 bis D.P.R. 327/2001, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., -procedimento ex art 20 ed ex art 42 bis TUE; sottolinea la diversità del procedimento di cui all’art. 20 del D.P.R. n. 327/2001 da quello regolato dall’art. 42 -bis del medesimo decreto e di conseguenza afferma che non può trovare applicazione analogica in quest’ultimo diverso procedimento quanto previsto nel primo, in particolare con riguardo all’ ‘irrevocabilità’ dell’accettazione dell’importo calcolato dall’Amministrazione, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte Territoriale; rileva che il provvedimento di acquisizione all’esito della procedura di cui all’art. 42 bis del d.P.R. n. 327/2001, che prende avvio da una precisa situazione fattuale, ossia dall’occupazione e utilizzazione senza titolo e abusiva del bene immobile di proprietà del privato per scopi di interesse pubblico, trova impulso in base all’esclusiva iniziativa iure imperii dell’amministrazione utilizzatrice del bene immobile, e si conclude senza alcuna possibilità per il soggetto proprietario di poter interloquire, presentando osservazioni scritte
e/o depositando documenti volti a contestare l’indennizzo liquidato; rimarca, infine, che l’art.42 bis citato non prevede la facoltà del privato di accettare o rifiutare l’indennità; iii) con il terzo motivo l’omesso esame fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 5, c.p.c.; deduce che la seconda perizia dell’Agenzia del Demanio, su cui era stata la quantificazione dell’indennità, era stata elaborata sulla base di dati errati (in particolare errata destinazione urbanistica ed errato calcolo superfici fabbricati) e che la conoscenza dell’erroneità suddetta, da parte dell’odierna ricorrente, era stata successiva al provvedimento di acquisizione sanante; rimarca che, in esito alle pronunce di condanna rese dalla giustizia amministrativa e passate in giudicato, il Ministero della Difesa optava per esercitare l’acquisizione sanante ex articolo 42-bis del DPR 327/01 e, pertanto, chiedeva all’agenzia del Demanio una valutazione dei terreni di cui in premessa; rimarca che la stessa Agenzia del Demanio aveva già eseguito due perizie, una nel 2014 e una nel 2016, e in queste stime veniva indicata l’estensione corretta del terreno e dei fabbricati (in mq.); l’Agenzia del Demanio consegnava al Ministero il suo nuovo elaborato peritale numero 934/2018 in data 14 giugno 2018 e il provvedimento di acquisizione sanante veniva emesso il 19 settembre 2018 e notificato il 2 ottobre 2018 sia per il terreno che per i fabbricati (pertanto il valore del bene, nel suo complesso, da risarcire andava stabilito a quella data); la nuova perizia dell’Agenzia del Demanio non veniva comunicata alla società ricorrente, la quale, pertanto, non veniva messa in condizione di controllare l’operato dell’Agenzia del Demanio ed i criteri da quest’ultima impiegati per la determinazione dell’indennità di acquisizione sanante; in particolare, la COGNOME non ebbe chiaramente modo di controllare se i fabbricati fossero stati conteggiati nella loro interezza (il Demanio ne aveva inspiegabilmente conteggiato la metà circa) e se il terreno fosse stato valutato per la destinazione
urbanistica che aveva al giugno 2018 (rivelatasi non più agricola ma edificatoria); solo in esito alla comunicazione del Comune di Pachino del 18 ottobre 2018 (successiva di qualche giorno al decreto), la ricorrente poteva verificare le reali misure riportate in perizia dall’Agenzia del Demanio e si accorgeva così che nell’ultima perizia l’Agenzia del Demanio era riportata la superficie corretta del terreno, in linea con le precedenti perizie, ma risultavano inopinatamente ridotte le superfici dei fabbricati, dato che, infatti, l’indennizzo era stato calcolato non sulla superficie totale degli stessi, ma soltanto su parte di essi (circa 600 mq. in meno della superficie totale e reale); inoltre l’Agenzia del Demanio, senza verificare le vere ed attuali destinazioni d’uso e senza controllare le precedenti perizie, degradava a mera area agricola il terreno, che invece aveva evocazione edificatoria alla data del decreto di acquisizione sanante; gli errori suindicati dell’Agenzia del Demanio e della preposta commissione per la verifica della congruità della valutazione estimativa di cui pure il decreto di acquisizione sanante dava atto causavano gravissimi danni alla ricorrente, nell’ordine di diversi milioni di euro, e la società mai avrebbe firmato l’adesione del 31 luglio 2018 se solo avesse avuto minima contezza dei suddetti errori; anche alla stregua di dette considerazioni, ad avviso della ricorrente l’accettazione del 31 luglio 2018 non risultava preclusiva della proponibilità del ricorso in opposizione perché riferita esclusivamente all’indennizzo spettante ex art. 42 bis T.U.E. e, in ogni caso, anche a volere intendere l’accettazione nel senso indicato nella sentenza impugnata, essa era da ritenersi viziata alla radice per errore determinante ricaduto sull’oggetto e/o dolo della controparte, o comunque per difetto del consenso;
RITENUTO CHE
La questione posta dal secondo motivo di ricorso concerne l’applicabilità, in via analogica o di interpretazione estensiva, del quinto comma dell’art.20 d.p.r.n.327/2001 alle fattispecie di
acquisizione sanante disposte ex art. 42 bis dello stesso d.p.r.. Il citato art.20 disciplina la determinazione provvisoria dell’indennità di espropriazione nell”ordinario’ procedimento ablatorio, ossia in quello legittimamente svoltosi, e ai commi quarto e quinto comma prevede: ‘ 4. L’atto che determina in via provvisoria la misura dell’indennità di espropriazione è notificato al proprietario con le forme degli atti processuali civili e al beneficiario dell’esproprio, se diverso dall’autorità procedente. 5. Nei trenta giorni successivi alla notificazione, il proprietario può comunicare all’autorità espropriante che condivide la determinazione della indennità di espropriazione. La relativa dichiarazione è irrevocabile ‘. Il comma 14 del citato art.20 recita : ‘ Decorsi inutilmente trenta giorni alla notificazione di cui al comma 4, si intende non concordata la determinata dell’indennità di espropriazione. L’autorità espropriante dispone il deposito, entro trenta giorni, presso la Cassa Depositi e Prestiti s.p.a., della somma senza le maggiorazioni di cui all’art.45. Effettuato il deposito, l’autorità espropriante può emettere ed eseguire il decreto di esproprio ‘
L’art.42 bis, al comma 4 ultima parte, per quanto ora di interesse, dispone: ‘ Nell’atto è liquidato l’indennizzo di cui al comma 1 e ne è disposto il pagamento entro il termine di trenta giorni. L’atto è notificato al proprietario e comporta il passaggio del diritto di proprietà’ sotto condizione sospensiva del pagamento delle somme dovute ai sensi del comma 1, ovvero del loro deposito effettuato ai sensi dell’articolo 20, comma 14; è soggetto a trascrizione presso la conservatoria dei registri immobiliari a cura dell’amministrazione procedente ed è trasmesso in copia all’ufficio istituito ai sensi dell’articolo 14, comma 2 ‘.
La Corte di merito ha affermato che il principio dell’irrevocabilità della dichiarazione di accettazione, dettato dal comma 5 del citato art.20, è ‘ applicabile analogicamente all’istituto previsto e disciplinato dall’art.42 bis, ricorrendo nelle due fattispecie una
medesima ratio ‘, nel senso che entrambe le procedure, ‘ pur seguendo iter diversi, pervengono al medesimo risultato dell’espropriazione del bene in favore della pubblica amministrazione ‘ (pag. 4 dell’ordinanza impugnata).
Le parti ricorrenti rimarcano, invece, la radicale diversità dell’istituto della cd. acquisizione sanante, che presuppone una situazione fattuale di partenza connotata dalla natura abusiva e senza titolo dell’attività posta in essere dall’amministrazione, che riceve impulso da un’iniziativa iure imperii della parte pubblica espropriante volta sì ad acquisire il bene del privato, ma per porre rimedio ad una pregressa e irreversibile situazione irregolare e, infine, che il procedimento si conclude con la liquidazione dell’indennizzo e il successivo pagamento o deposito, senza che sia prevista dalla norma la possibilità per il privato proprietario di interloquire preventivamente in ordine alla quantificazione e anche di essere informato sui criteri e calcoli utilizzati.
Il Ministero afferma che le procedure ex art.20 ed ex art.42 bis hanno una comune matrice e natura, trattandosi di procedure espropriative, che la ratio dell’irrevocabilità dell’accettazione dell’indennità è volta a favorire una determinazione consensuale dell’indennizzo, sussistente anche quando si verte in ipotesi di cd. acquisizione sanante e su tale ratio non influirebbe la mancata previsione della fase interlocutoria relativa alla presentazione di osservazioni da parte dell’espropriato, poiché l’esproprio sanante interviene in base ad una situazione pregressa già ben conosciuta dalla parte privata, come assume conclamato nel caso in esame, in cui per l’appunto dopo lungo tempo era intervenuta l’acquisizione sanante.
In definitiva, secondo il controricorrente il comma 5 dell’art.20 è espressione di un principio generale valevole indistintamente per tutte le procedure espropriative, dunque compresa quella che si conclude con l’acquisizione sanante, e il difetto di preventiva
informazione e interlocuzione con la parte privata in quest’ultima procedura non avrebbe alcuna incidenza di rilievo perché la stessa si innesta su ‘una situazione pregressa già ben conosciuta’ (pag.7 controricorso) dall’espropriato.
6. In ordine alle suddette contrastanti opzioni ermeneutiche, su cui non constano precedenti specifici di questa Corte e constatata l’assenza di espresse disposizioni dettate al riguardo dal legislatore del 2011 con l’introduzione dell’istituto de quo , si tratta, dunque, di stabilire se lo schema procedimentale dettato dall’art.42 bis, in coerenza con la natura di rimedio non ordinario ma diretto a ‘sanare’ situazioni irregolari (espropriazioni indirette) del provvedimento con cui si conclude, abbia una propria regolamentazione autonoma e distinta da quella prevista dal T.U.E. per il modello procedimentale dell’espropriazione ‘ordinaria’.
In altri termini, il provvedimento di acquisizione sanante ha natura di rimedio eccezionale, si pone come extrema ratio solo a fronte dell’inesistenza di valide alternative per la P.A. rispetto a quella di acquisire la proprietà dell’area interessata dalla sua illegittima occupazione ed utilizzazione ed inoltre postula la necessaria rinnovazione della valutazione di attualità e prevalenza dell’interesse pubblico a disporre l’acquisizione (cfr. Corte Cost.n.71/2015). Pertanto, ad avviso della ricorrente, al procedimento che si conclude con l’adozione di detto provvedimento non è possibile applicare analogicamente, né estendere in via interpretativa la disciplina dettata, per quanto ora di rilevanza, per la determinazione provvisoria dell’indennità ‘ordinaria’ di espropriazione. A ciò osta, secondo la ricorrente, non solo la diversità della situazione fattuale di partenza e della specifica e peculiare finalità di ‘sanatoria’ del rimedio di cui trattasi, ma anche e soprattutto il difetto di preventiva informazione al privato e di preventiva interlocuzione con lo stesso circa la quantificazione del valore attribuito al bene, invece
espressamente prevista per lo schema procedimentale di cui all’art.20, atteso che, diversamente opinando, ossia sancendo l’irrevocabilità incondizionata di un’accettazione così prestata, potrebbe ravvisarsi anche il contrasto con l’art. 1 del Primo Protocollo allegato alla CEDU.
Con il terzo motivo la ricorrente censura l’ordinanza impugnata nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto che l’accettazione dell’indennità ex art.42 bis da parte della ricorrente fosse preclusiva di ogni contestazione e di ogni accertamento fattuale circa l’effettiva corrispondenza al valore venale del bene dell’importo indicato nel decreto di acquisizione sanante, e ciò in applicazione di un principio generale del sistema che prevede ‘ la possibilità che le parti, pur nell’ambito di un procedimento amministrativo, definiscano in via negoziale l’intera vicenda o alcuni dei suoi aspetti quando si verta in materia di diritti disponibili (quale certamente è il diritto all’indennizzo espropriativo )’. Al riguardo la Corte di merito ha richiamato l’istituto della cessione volontaria, aggiungendo che l’ipotesi di mancata conclusione del procedimento, idonea a determinare la perdita di efficacia dell’accordo tra amministrazione e proprietario sull’ammontare dell’indennità, non ricorreva nella fattispecie in esame, essendo pacifico che il decreto di acquisizione sanante era stato emesso e l’indennizzo corrisposto.
Per contro la ricorrente ribadisce di non aver potuto avere preventiva contezza dei criteri e delle modalità di calcolo utilizzati per la quantificazione dell’indennizzo, nonché di aver potuto rilevare solo successivamente, nell’ottobre 2018, rilevanti errori aventi incidenza considerevole, nell’ordine di un paio di milioni di euro, nella valutazione del bene (relativi alla superficie dei fabbricati e alla natura della destinazione sussistente alla data dell’adozione del decreto ex art. 42 bis). Rileva che la Corte di merito, nel ritenere preclusiva di ogni contestazione l’accettazione,
che aveva riguardato solo ed esclusivamente l’indennizzo ex art.42 bis, non aveva preso in esame le circostanze fattuali dedotte comprovanti i suddetti errori, pur se aveva dato atto che le doglianze espresse nel ricorso in opposizione concernevano per l’appunto la determinazione erronea del quantum per i motivi di cui sopra (pag.1 ordinanza impugnata). Aggiunge che la valenza attribuita all’accettazione suddetta era stata contestata, non era concludente nel senso indicato dalla Corte territoriale e, in ogni caso, era viziata da errore determinante.
8. Anche in ordine a tale ultima doglianza, parimenti constatata l’assenza di espresse disposizioni dettate al riguardo dal legislatore del 2011 con l’introduzione dell’istituto de quo , si pone la questione di stabilire se lo schema procedimentale dettato dall’art.42 bis debba avere una propria regolamentazione autonoma e distinta da quella prevista dal T.U.E. per il modello procedimentale dell’espropriazione ‘ordinaria’ e, in particolare, di stabilire se e in che termini possa ritenersi applicabile nella specie l’istituto della cessione volontaria, richiamato nell’ordinanza impugnata per statuire l’irretrattabilità dell’accettazione del privato, sebbene resa in assenza di preventiva informazione e interlocuzione, e la totale irrilevanza degli errori di fatto denunciati.
Questa Corte ha avuto modo di precisare reiteratamente che nel sistema della legge generale sull’espropriazione di pubblica utilità, la cessione volontaria, siccome regolata da disposizioni di carattere inderogabile e tassativo, ha natura di negozio di diritto pubblico, dotato della funzione propria del decreto di espropriazione di segnare l’acquisto, a titolo originario, in favore della P.A., del bene compreso nel piano d’esecuzione dell’opera pubblica. Infatti la cessione volontaria del bene costituisce una modalità di definizione del procedimento ablatorio, sostitutiva del decreto di esproprio, in cui il corrispettivo che il privato riceve per la perdita del cespite rappresenta una diversa liquidazione dell’indennità, alla quale deve,
necessariamente, rapportarsi, in termini di corrispondenza al valore di mercato del bene ablato (Cass. 1730/1999; Cass. 17786/2015). Detti principi sono stati ribaditi anche da una pronuncia più recente di questa Corte, con riferimento alla cessione volontaria delle aree ai sensi dell’art. 45 d.P.R. n. 327 del 2001 (Cass.10619/2023).
Nel descritto contesto, dunque, deve stabilirsi se e in che misura risulti compatibile con il procedimento ex art.42 bis lo schema legale della cessione volontaria ex art.45 citato e se quest’ultimo possa ritenersi applicabile nella fattispecie in disamina. In linea più generale, inoltre, deve stabilirsi se sia dato, in ogni caso, rinvenire nel sistema della legge sull’espropriazione di pubblica utilità un principio generale, estensibile alla cd. acquisizione sanante, che consenta la definizione in via negoziale di ogni questione circa la determinazione dell’indennizzo ex art.42 bis, quali siano le eventuali modalità, anche in relazione a preventivi oneri informativi, in cui detta definizione debba avvenire e, infine, se vi siano strumenti azionabili dal privato per l’eventuale impugnazione di essa, in osservanza anche di quanto prescritto d all’art. 6 della CEDU, secondo l’interpretazione fornita dalla Corte di Strasburgo.
Le suesposte questioni, di particolare rilevanza e su cui non constano precedenti specifici di questa Corte, sono meritevoli di approfondimento e rendono opportuna la discussione della causa in pubblica udienza.
P.Q.M.
La Corte rimette la causa alla pubblica udienza della prima sezione civile.
Così deciso in Roma, il 17/12/2024.