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Acquisizione sanante: 10 anni per l’impugnazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 30533/2024, ha stabilito che il termine per contestare l’indennità derivante da un’acquisizione sanante ex art. 42-bis TUE è quello ordinario di prescrizione di dieci anni, e non il termine perentorio di trenta giorni previsto per le espropriazioni ordinarie. La Suprema Corte ha chiarito che la natura speciale del provvedimento di acquisizione sanante e l’assenza di un’espressa previsione normativa impediscono l’applicazione analogica di termini di decadenza brevi, i quali decorrono comunque solo dalla notifica formale dell’atto e non dalla mera conoscenza di fatto.

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Pubblicato il 11 dicembre 2025 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Acquisizione Sanante: la Cassazione conferma il termine di 10 anni

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato una questione cruciale per i proprietari di immobili soggetti a procedure ablative da parte della Pubblica Amministrazione. La Suprema Corte ha chiarito quale sia il termine corretto per contestare l’indennità in caso di acquisizione sanante, stabilendo un principio fondamentale a tutela del diritto di difesa del cittadino. La decisione distingue nettamente questa procedura speciale da quella ordinaria di esproprio, con importanti conseguenze pratiche sui tempi per agire in giudizio.

I Fatti del Caso: La controversia sull’indennità

Una società immobiliare, proprietaria di un terreno edificabile, scopriva casualmente che il Comune lo aveva utilizzato per costruire una strada pubblica. L’ente locale aveva emesso un provvedimento di acquisizione sanante ai sensi dell’art. 42-bis del Testo Unico Espropriazioni, ma non lo aveva mai notificato alla società. Venuta a conoscenza dell’atto, la società decideva di contestare l’importo dell’indennità, ritenendolo inadeguato.

Il percorso legale iniziava con un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, che veniva però dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione, in quanto le controversie sull’indennità spettano al giudice ordinario. La società, quindi, riassumeva la causa davanti alla Corte d’Appello competente.

La Decisione della Corte d’Appello

La Corte d’Appello, tuttavia, dichiarava il ricorso inammissibile per tardività. Secondo i giudici di secondo grado, la società avrebbe dovuto agire entro il termine perentorio di 30 giorni previsto per l’opposizione alla stima nelle procedure espropriative ordinarie. La Corte faceva decorrere tale termine non dalla notifica formale (mai avvenuta), ma dal momento in cui la società aveva avuto conoscenza di fatto del provvedimento. Di conseguenza, al momento della riassunzione del giudizio, il termine era già scaduto.

Le Motivazioni della Cassazione: perché non si applica il termine di 30 giorni all’acquisizione sanante?

La società ricorreva in Cassazione, e la Suprema Corte ha ribaltato completamente la decisione d’appello, accogliendo il ricorso. Le motivazioni della Corte si basano su due pilastri fondamentali.

La Natura Speciale dell’Acquisizione Sanante

In primo luogo, la Cassazione, richiamando un suo precedente orientamento, sottolinea che l’acquisizione sanante ex art. 42-bis TUE è un procedimento “speciale” e “sui generis”, distinto dal procedimento espropriativo “ordinario”. Nasce per sanare una situazione di illecito da parte della P.A. (occupazione senza titolo) e non può essere assimilato in tutto e per tutto alla procedura standard. Di conseguenza, le norme che prevedono termini di decadenza brevi, come quello di 30 giorni dell’art. 54 TUE, non possono essere applicate in via analogica o estensiva. In assenza di una specifica previsione normativa per l’art. 42-bis, si deve applicare il termine di prescrizione ordinario decennale per far valere il proprio diritto di credito all’indennizzo.

Il Principio della Conoscenza Legale e la Notifica

In secondo luogo, la Corte afferma che, anche se per assurdo si volesse applicare il termine di 30 giorni, esso non potrebbe mai decorrere dalla semplice “conoscenza informale” dell’atto. I termini perentori per l’impugnazione, che limitano il diritto di difesa costituzionalmente garantito, possono decorrere solo dalla “conoscenza legale” del provvedimento, che si acquisisce con la notificazione formale. Ottenere una copia in Comune o avere notizia dell’atto per altre vie non è sufficiente a far scattare un termine così breve e stringente. L’omessa notifica, quindi, impedisce la decorrenza del termine.

Le Conclusioni: quali sono le implicazioni pratiche?

La decisione della Cassazione ha un impatto significativo. Innanzitutto, rafforza la tutela dei proprietari espropriati tramite acquisizione sanante, concedendo loro un arco temporale molto più ampio (10 anni) per valutare e contestare l’indennità offerta. In secondo luogo, ribadisce un principio di civiltà giuridica: la Pubblica Amministrazione ha l’onere di notificare formalmente i propri provvedimenti, e non può beneficiare della propria omissione per far dichiarare inammissibili le azioni dei cittadini. La Corte ha quindi cassato l’ordinanza e rinviato il caso alla Corte d’Appello, che dovrà finalmente esaminare nel merito la congruità dell’indennizzo dovuto alla società.

Qual è il termine per contestare l’indennità di un’acquisizione sanante?
Secondo la Corte di Cassazione, il termine non è quello perentorio di 30 giorni previsto per le espropriazioni ordinarie, ma il termine ordinario di prescrizione di 10 anni.

La conoscenza informale di un provvedimento fa decorrere i termini per impugnarlo?
No. La Corte ha stabilito che, per far decorrere un termine perentorio di impugnazione, è necessaria la ‘conoscenza legale’ dell’atto, che si ottiene solo tramite la sua notificazione formale. La semplice conoscenza di fatto è irrilevante.

Cosa succede se un ricorso viene iniziato davanti a un giudice senza giurisdizione?
Grazie al principio della ‘translatio iudicii’, il processo può proseguire davanti al giudice competente. La riassunzione della causa conserva tutti gli effetti, sia processuali che sostanziali, della domanda originaria, come se fosse stata proposta fin dall’inizio al giudice corretto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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