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Acquiescenza tacita: riassumere la causa non è rinuncia

Un condominio si oppone a una decisione di incompetenza territoriale. Nel frattempo, per prudenza, riassume la causa davanti al nuovo giudice. La Corte d’Appello considera questo atto come acquiescenza tacita, dichiarando inammissibile l’appello. La Cassazione ribalta la decisione, chiarendo che la riassunzione è un atto cautelativo e non una rinuncia a impugnare. La riassunzione della causa non implica acquiescenza tacita.

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Acquiescenza tacita: riassumere la causa non è una rinuncia all’appello

Nel complesso mondo della procedura civile, la nozione di acquiescenza tacita rappresenta un concetto delicato. Si verifica quando una parte, attraverso un comportamento inequivocabile, dimostra di accettare una sentenza, perdendo così il diritto di impugnarla. Ma cosa succede se una parte, pur impugnando una decisione, compie un atto che sembra andare nella direzione indicata dal giudice? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha offerto un chiarimento fondamentale: riassumere una causa davanti al giudice dichiarato competente, in pendenza dei termini per l’appello, non costituisce acquiescenza tacita.

I fatti del caso: tra appello e riassunzione

La vicenda trae origine da una controversia tra un condominio e una condomina per il pagamento di oneri condominiali. Il Giudice di Pace adito dal condominio si dichiarava incompetente per territorio, indicando come competente il Giudice di Pace del luogo di residenza della convenuta.

Il condominio, non condividendo tale pronuncia, decideva di appellare la decisione. Tuttavia, per prudenza e per non rischiare di veder prescritti i propri diritti, procedeva anche a riassumere la causa davanti al giudice indicato come competente. Questa doppia azione si è rivelata il fulcro del problema. Il Tribunale, in funzione di giudice d’appello, ha interpretato la riassunzione come un atto di acquiescenza tacita alla decisione di incompetenza, dichiarando di conseguenza l’appello inammissibile per carenza di interesse ad agire.

La valutazione del Tribunale: un’errata interpretazione dell’acquiescenza tacita

Secondo il Tribunale, la scelta del condominio di riassumere il giudizio davanti al nuovo giudice dimostrava la sua volontà di accettare la prima pronuncia. Questa lettura, tuttavia, non ha tenuto conto della natura e dello scopo della riassunzione in un contesto simile. L’atto di riassumere la causa non era volto a conformarsi alla decisione, ma a tutelare la propria posizione giuridica in attesa dell’esito dell’impugnazione. La corte d’appello ha commesso un error in procedendo, ritenendo che l’azione cautelativa della riassunzione potesse neutralizzare il potere, esplicitamente esercitato, di impugnare la sentenza.

Le motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del condominio, cassando la sentenza del Tribunale. I giudici supremi hanno ribadito un principio già consolidato (ius receptum): l’acquiescenza tacita, ai sensi dell’art. 329 c.p.c., si configura solo quando l’interessato compie atti certamente dimostrativi della volontà di non contrastare gli effetti della pronuncia. Tali atti devono essere precisi, univoci e incompatibili con l’intenzione di avvalersi dell’impugnazione.

La riassunzione della causa, quando i termini per impugnare sono ancora aperti, non possiede queste caratteristiche. Al contrario, essa risponde a un’evidente esigenza cautelativa. Serve a impedire che, nel tempo necessario a definire l’appello sulla competenza, il diritto azionato possa estinguersi. Pertanto, è un’iniziativa del tutto compatibile con la volontà di contestare la pronuncia di incompetenza. La Corte ha chiarito che, in questi casi, il giudizio riassunto deve rimanere sospeso in attesa della definizione dell’impugnazione.

Le conclusioni

Questa ordinanza della Cassazione è di fondamentale importanza pratica. Essa conferma che una parte processuale può, e talvolta deve, agire su due fronti per tutelare appieno i propri diritti. Impugnare una sentenza di incompetenza e, contemporaneamente, riassumere la causa davanti al giudice indicato, non è una contraddizione, ma una strategia processuale legittima e prudente. La decisione riafferma che il diritto di difesa e di impugnazione non può essere vanificato da un’interpretazione formalistica che non tenga conto delle finalità cautelative degli atti processuali.

La riassunzione di una causa davanti al giudice indicato come competente preclude l’appello contro la sentenza di incompetenza?
No, la Corte di Cassazione ha chiarito che la riassunzione, se effettuata mentre i termini per l’impugnazione sono ancora aperti, non costituisce acquiescenza tacita e non impedisce di impugnare la decisione sulla competenza.

Cos’è l’acquiescenza tacita secondo la giurisprudenza?
È un comportamento che dimostra in modo preciso e inequivocabile la volontà di una parte di non contestare una sentenza, compiendo atti che sono incompatibili con l’intenzione di proporre un’impugnazione.

Perché la riassunzione della causa è considerata un’azione cautelativa e non di acquiescenza?
Perché risponde all’esigenza di evitare la prescrizione del diritto o altre decadenze processuali nel tempo necessario a decidere l’impugnazione. È un’azione prudenziale che non è incompatibile con la volontà di contestare la pronuncia di incompetenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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