Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 23306 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 23306 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 14/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 16071 – 2023 proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, INDIRIZZO rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato ope legis ;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME , elettivamente domiciliata in Roma, presso la Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentata e difesa da ll’ avv. NOME COGNOME giusta procura a margine del controricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– controricorrente –
Avverso il decreto n. cronol. 933/2023 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, pubblicato il 22/05/2023 e notificato in pari data;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/1/2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso depositato il 7/3/2023, Il Ministero della Giustizia ha proposto tempestiva opposizione ex art. 5 ter l. n. 89/2001 avverso il decreto n. 326/2023, depositato il 14/2/23 e notificatogli il 15/2/23, con cui gli era stato ingiunto di pagare, ad NOME COGNOME la somma di euro 1.600,00 a titolo d’indennizzo del danno non patrimoniale per l’irragionevole durata del giudizio civile da lei instaurato dinnanzi al Tribunale di Napoli Nord, avente ad oggetto il pagamento di oneri condominiali.
Il Ministero lamentò un errore di computo del periodo di irragionevole durata del processo, sostenendo che consisteva in soli tre anni, anziché nei quattro riconosciuti e chiedendo, perciò, la riduzione dell’ammontare complessivo.
Costituendosi, NOME COGNOME sostenne che la Corte fosse incorsa in «un errore materiale» (così testualmente) assumendo, per determinare l’ammontare dell’indennizzo spettante, che il valore della causa presupposta, avente ad oggetto il pagamento di oneri condominiali, fosse inferiore a euro 2.400,00 laddove il valore era indeterminabile perché la causa aveva avuto ad oggetto un accertamento negativo in ordine all’appartenenza di alcuni immobili; sostenne, pertanto, che dovesse essere adottato un parametro annuo di liquidazione di importo maggiore, pari a euro 600,00, «così lasciando immutata la misura complessiva e definitiva dell’indennizzo già correttamente liquidato nella misura di euro 1.800,00».
La Corte d’appello rigettò l’opposizione, rimarcando che il decreto impugnato dovesse «essere corretto nella motivazione», ma non revocato, perché, seppure il calcolo della durata irragionevole doveva essere emendato in soli tre anni, secondo il motivo di
opposizione del Ministero, l’importo riconosciuto risultava congruo in riferimento a un parametro annuo di euro 532,00 invece degli originari euro 400 ,00, secondo quanto rappresentato dall’opposta ; condannò, quindi, il Ministero al pagamento delle spese del giudizio di opposizione.
Avverso questo decreto il Ministero ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un motivo, a cui NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo il Ministero ha sostenuto, in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 5, comma 3, della legge 24 marzo 2001, n. 89, per non avere la Corte d’appello considerato l’acquiescenza del ricorrente al decreto conseguente all’avvenuta notifica del ricorso .
1.1. Il motivo è fondato.
È vero che, come già puntualizzato da questa Corte, l’opposizione di cui all’art. 5-ter della legge n. 89 del 2001 non introduce un autonomo giudizio di impugnazione del decreto che ha deciso sulla domanda, ma realizza, con l’ampio effetto devolutivo di ogni opposizione, la fase a contraddittorio pieno di un unico procedimento, avente ad oggetto la medesima pretesa fatta valere con il ricorso introduttivo (Cass. n. 19348/15; analogamente, Cass. n. 20463/15); come nel procedimento per decreto ingiuntivo, infatti, il procedimento ex lege COGNOME condivide una prima fase, che si svolge inaudita altera parte e che termina con la provocatio ad opponendum e una seconda fase d’opposizione, caratterizzata da un contraddittorio pieno e da una cognizione esaustiva.
È vero altresì, tuttavia, che la parte privata in tanto può chiedere il riesame del provvedimento e, prima ancora, della sua pretesa, in quanto non proceda alla notifica del provvedimento ottenuto in sede monitoria e proponga direttamente, invece, opposizione ex art. 5 ter:
questa ricostruzione del sistema risulta dal combinato disposto degli art. 3, 5 e 5 ter della legge n.89/2001 ed è necessitata dalla non riproponibilità della domanda (art. 3. comma 6 legge n. 89/01).
Ciò posto, deve, allora, ancora rilevarsi che l’opposizione ex art. 5-ter della difesa erariale ha sempre e soltanto natura difensiva, mentre la parte privata riveste una posizione pretensiva soltanto quando sia stata lei a proporre opposizione (Sez. 6 – 2, n. 26851 del 2016).
A ciò deve ancora aggiungersi che il decreto opposto dev’essere necessariamente revocato, quando l’esito dichiarativo finale sia difforme dall’accertamento compiuto in sede monocratica.
Da queste premesse, consegue che la parte privata non può, difendendosi dall’opposizione proposta dal Ministero, chiedere un nuovo e diverso accertamento della sua domanda né per quanto riguarda il calcolo della durata irragionevole né per quanto riguarda il parametro annuo adottato, come posti a fondamento della liquidazione resa nel decreto monocratico a cui, con la notifica, è stata prestata acquiescenza ex art. 5 comma 3.
Modificando i parametri di liquidazione adottati nel decreto, in senso sfavorevole al Ministero e in assenza di sua contestazione, la Corte d’appello ha violato la norma che prescrive l’acquiescenza della parte privata in ipotesi di notifica del decreto.
Il ricorso è, perciò, accolto e il decreto impugnato deve essere cassato.
Non risultando necessari ulteriori accertamenti in merito, la causa può essere decisa ex art. 384 cod. proc. civ. con la revoca del decreto n. 326/2023, depositato il 14/2/23 e notificatogli il 15/2/23 e la condanna del Ministero, in favore di NOME COGNOME a titolo di equo indennizzo, della somma di Euro 1.200,00, ottenuta moltiplicando l’importo del parametro riconosciuto nel decreto opposto, pari ad Euro
400,00, per il numero di tre anni di durata irragionevole, come calcolato dalla Corte d’appello in accoglimento del motivo di opposizione del Ministero.
L’esito complessivo della lite giustifica la integrale compensazione delle spese del giudizio di merito e di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e, decidendo ex art. 384 cod. proc. civ., revoca il decreto n. 326/2023, depositato il 14/2/23 e notificato il 15/2/23 e condanna il Ministero della Giustizia al pagamento, in favore di NOME COGNOME della somma di Euro 1.200,00, compensando interamente le spese del giudizio di merito e di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda