Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 24044 Anno 2025
Civile Ord. Sez. U Num. 24044 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15257/2023 R.G. proposto da :
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO COGNOME NOME II N. 18 C/O STUDIO COGNOME, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che l a rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COMUNE DI CAPANNOLI (PI), elettivamente domiciliato in FIRENZE INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di TRIB.SUP. DELLE ACQUE PUBBLICHE ROMA n. 94/2023 depositata il 15/05/2023.
Viste le conclusioni del Procuratore generale che ha chiesto il rigetto del primo motivo e dichiararsi l’ inammissibilità del secondo motivo di ricorso.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, proprietaria di un fabbricato per civile abitazione sito nel Comune di Capannoli, fra la INDIRIZZO e la INDIRIZZO, corredata da un’area pertinenziale destinata a giardino, attualmente recintata, ha impugnato dinanzi al TSAP l’ ordinanza n. 34 del 4 ottobre 2021, con la quale il Comune di Capannoli le ha ordinato la demolizione di opere realizzate sull’area pertinenziale del menzionato fabbricato (recinzione e tettoia); di tale area l’Amministrazione assumeva la natura demaniale in quanto sovrastante un fosso in parte tombato (il fosso del Botrino) facente parte del demanio idrico regionale. Nel provvedimento impugnato, si richiamava la delibera della Giunta comunale n. 79 dell’11 agosto 2021, che aveva approvato il progetto di sistemazione del fosso del Botrino, prevedendo aperture anche sul tratto tombato di proprietà della COGNOME, rendendosi pertanto necessario lo sgombero dell’area. A seguito della richiamata delibera l ‘Amministrazione notificava apposita comunicazione, invitando la COGNOME a rendere disponibile l’area demaniale sovrastante il fosso, in quanto necessaria per i lavori di rifacimento e sistemazione del medesimo. A tale invito seguiva la presentazione di una memoria da parte dell’interessata, con la quale si rilevava che le aree sovrastanti il fosso, poste all’interno del giardino di suo utilizzo, non potevano considerarsi facenti parte del demanio idrico, ma erano di sua proprietà. Il Comune ha ritenuto di non potere accogliere le valutazioni della
COGNOME, per le seguenti ragioni: a) il fosso del Botrino costituisce acqua pubblica, in quanto, seppure in parte tombato, assolve alla funzione di raccolta e scolo delle acque dal bacino imbrifero rappresentato dalle colline soprastanti l’abitato del Comune e il cui versante è rivolto verso il fiume Era, costituendo il principale corso d’acqua e di raccolta delle acque piovane del sovrastante bacino e della sottostante piana; b) il fosso del Botrino costituisce acqua pubblica anche perché, seppure in parte tombato, non termina in un depuratore, ma confluisce nel fiume Era, essendo un corso d’acqua naturale; c) il fosso del Botrino , come risulta dal reticolo idrografico regionale di cui all’art. 22, lettera e) della legge regionale Toscana n. 27 dicembre 2012, n. 79, fa parte del demanio idrico regionale, conseguendone da ciò che le aree sovrastanti costituiscono aree del demanio idrico, sulle quali non sono ammesse opere o costruzioni, essendo irrilevante la tombatura del corso d’acqua, in quanto il divieto è funzionale non solo per la tutela dello sfruttamento delle acque e del loro deflusso, ma anche per la necessità di consentire lo svolgimento di attività manutentive; d) le aree del demanio idrico non sono usucapibili.
Nel giudizio dinanzi al TSAP la ricorrente ha sostenuto che, nel sottosuolo dell’area recintata di pertinenza della propria abitazione, è collocata una tubatura fognaria comunale e in ragione di ciò ha negato la natura demaniale del fosso, che non avrebbe più funzione di corso d’acqua, ma, appunto, di fognatura comunale, con la funzione di convogliare i liquami e le acque meteoriche verso il depuratore comunale. La ricorrente ha inoltre dedotto che, negli anni 19931994, l’Amministrazione comunale aveva occupato l’area recintata per lavori di sistemazione della fognatura, restituendola ai
proprietari dopo avere provveduto al ripristino della recinzione. Secondo la ricorrente, a seguito della realizzazione della fognatura comunale, il fosso aveva perso l’originaria funzione, come risultava provato dalla indicazione ‘NO’ apposta nel reticolo idraulico regionale.
Il Comune, costituendosi, ha preso posizione sul ‘NO’ che compariva nel reticolo idraulico, chiarendo che la negazione non si riferiva alla natura del fosso, ma al fatto che il medesimo non rientrava, quanto alla manutenzione, nella competenza del consorzio di bonifica, essendo gestito dal Comune. Il Comune ha confermato, per il resto, le ragioni già espresse nel provvedimento impugnato, prendendo una specifica posizione anche su quanto dedotto dalla ricorrente in ordine all’esistenza della fognatura comunale. Il Comune ha sostenuto che la fognatura non si identificava con il fosso Botrino, ma passava al di sotto di esso. In particolare, il Comune ha precisato che nel punto di intersezione è praticata un’apertura che consente, quando non ci sono piogge sufficienti, di fare defluire le acque nella fognatura, mentre quando la portata aumenta le acque del fosso proseguono scaricando nel fiume Era.
Il TSAP, accolta l’istanza di sospensione, con la sentenza impugnata ha rigettato il ricorso.
Il TSAP ha richiamato il reticolo idrografico regionale aggiornato e la nota dell’Agenzia del demanio del 12 novembre 2021 , ritenendo che tali documenti confermassero l’appartenenza del fosso al demanio idrico, il che giustificava il riconoscimento della natura pubblica del corso d’acqua . Il TSAP ha quindi operato la ricognizione delle norme destinate a disciplinare la materia, evidenziando che la natura pubblica del fosso non era venuta meno
a seguito della sua tombinatura, persistendo quindi il divieto di realizzare opere edilizie sul corso d’acqua tombato, e ciò al fine del corretto ripristino della sua funzionalità. La sentenza impugnata ha poi esaminato la deduzione di parte secondo cui la natura demaniale del corso d’acqua si doveva escludere , in considerazione della natura fognaria del fosso. In proposito il TSAP ha osservato che non era stato contestato quanto dedotto dal Comune con riferimento al posizionamento del collettore fognario, che passava al di sotto del fosso del Botrino, esistendo un’apertura nel luogo di intersezione tale da consentire lo scarico delle acque nella fognatura nei periodi in cui non scorrono verso la foce. Infatti, secondo la decisione impugnata, sia dal reticolo idrografico regionale relativo al fosso Botrino, sia dallo stralcio del piano comunale, risulta che il Botrino, dopo il tombamento, riprende il suo corso fino ad affluire nel fiume Era.
La sentenza, dopo avere richiamato ulteriori elementi istruttori che confermavano la natura di corso d’acqua del Botrino, ha precisato che le analisi relative allo stato di inquinamento del medesimo non contraddicevano l’appartenenza del fosso al demanio idrico , essendo evidente, secondo il TSAP, che anche i corsi d’acqua possono contenere sostanze inquinanti. Inoltre, prosegue la sentenza, gli esiti delle analisi non erano idonei a contestare le affermazioni del Comune in ordine al fatto che il collettore fognario scorreva al di sotto del fosso. La sentenza concludeva nel senso che la natura di corso d’acqua del Botrino, con la conseguente appartenenza al demanio idrico, comportavano l’irrilevanza del decorso del tempo, essendo il bene inalienabile e non suscettibile di usucapione.
Per la cassazione della sentenza la COGNOME ha proposto ricorso affidato a due motivi.
Il Comune di Capannoli ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del primo motivo e dichiararsi l’ inammissibilità del secondo motivo.
RAGIONI DELLA DECISONE
I l ricorso sfugge all’inammissibilità eccepita con il controricorso dal Comune . L’esposizione in esso contenuta soddisfa il requisito di autonomia, riferito alla specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti su cui il ricorso si fonda ai sensi dell’articolo 366, n. 6, c.p.c. (Cass. n. 6769/2022), consentendo alla Corte di cassazione di avere una chiara visione della vicenda, sostanziale e processuale, in immediato coordinamento con i motivi di censura (Cass. n. 21750/2016), che, a loro volta, sono specificamente attinenti rispetto al decisum .
2. Il primo motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 823, comma 1, c.c., del d.p.r. n. 238 del 1999, della legge m- 36 del 1994 e dell’art. 144 del d. lgs. n. 152 del 2006. La ricorrente sostiene che la normativa in materia di acque pubbliche, richiamata dal TSAP, non è applicabile nel caso di specie, in quanto il Botrino convoglia solo acque sporche inservibili per usi civili, trattandosi di acque che vengono condotte, attraverso la fogna, al depuratore comunale. Secondo la ricorrente, in presenza di elementi di fatto che confermavano che il COGNOME costituisce fognatura comunale, la diversa qualificazione risultante dal reticolo idrico regionale era irrilevante. Si sottolinea che il principio
applicabile è che le acque sono pubbliche non perché così qualificate, ma quando hanno i requisiti per esserlo.
Il secondo motivo denunzia omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, risultante da più elementi che comprovavano che il Botrino non è un fosso, ma il sito in cui è stato installato e tombato un tubo in calcestruzzo e ciò che vi scorre è solo acqua fognaria. In contrasto con tale dato oggettivo, il TSAP ha fondato il proprio convincimento sulla qualificazione formale del fosso, incorrendo inoltre nell’ulteriore errore consistente nel non avere attribuito alcuna rilevanza all’affidamento ingenerato nella ricorrente dal comportamento dell’Amministrazione. Si sottolinea che questa, dopo avere eseguito, nel 1994, alcuni lavori che comportarono la demolizione della recinzione, provvide alla sua ricostruzione, così confermando, con tale comportamento, l’insussistenza di acque pubbliche nel fosso del Botrino. In conclusione, secondo la ricorrente, il fosso non sarebbe nient’altro che una fogna mista, che convoglia acque nere e meteoriche verso la fogna comunale, difettando quindi il requisito fondamentale per essere annoverate fra le acque pubbliche, in assenza dell’attitudine ad usi di pubblico e generale interesse.
3. Il primo motivo è infondato. La ricorrente richiama il principio di diritto secondo cui le acque, piovane e nere, convogliate nelle fognature non sono annoverabili tra le acque pubbliche, per difetto del fondamentale requisito, stabilito dall’art. 1 del r.d. n. 1755 del 1933, dell’attitudine ad usi di pubblico generale interesse, rimasto fermo anche dopo l’entrata in vigore della legge 5 gennaio 1994, n. 36; invero l’art. 1 del d.P.R. 18 febbraio 1999, n. 238 (regolamento recante norme per l’attuazione di talune disposizioni della citata legge 5 n. 36, in materia di risorse idriche)
conferma – per espressa esclusione – la non annoverabilità tra le acque pubbliche delle acque meteoriche refluenti nella rete fognaria, come tali destinate, insieme con i liquami pure ivi convogliati, al mero smaltimento, senza possibilità di sfruttamento a fini di pubblico generale interesse (Cass. n. 14883/2012; conforme Cass. n. 315/2001).
La ricorrente lamenta che il TSAP ha richiamato tali principi, ma non li poi ha applicati, riconoscendo la natura pubblica delle acque nonostante la natura di fogna mista del fosso Botrino. Si sostiene che il fosso costituisce un tratto di fognatura destinato alla raccolta di acque sporche e di acque meteoriche, non suscettibili di alcuna utilizzazione idonea a soddisfare un pubblico interesse generale, ma destinate al mero smaltimento.
Nel proporre una simile censura sotto la veste della violazione di legge, la ricorrente non considera che il TSAP ha recepito la diversa ricostruzione proposta dal Comune, secondo cui la fognatura passa al di sotto del fosso tombato, esistendo un’apertura nel punto di intersezione «che consente lo scarico delle acque nella fognatura nei periodi in cui non scorrono verso la foce. Né è stato provato che le acque del fosso vengano convogliate esclusivamente al depuratore comunale, mentre tale destinazione dovrebbe riguardare il collettore fognario». Consegue dai rilievi di cui sopra, che la ratio della decisione, diversamente da quanto sostiene la ricorrente a pag. 6 del ricorso, non è nella mancata dimostrazione dell”uso esclusivamente fondiario del Botrino’; e non è nemmeno nella supposizione che la sentenza abbia ipotizzato, contro l’evidenza delle prove, «uno scorrimento promiscuo e separato, nel medesimo fosso, di acque chiare e sporche». La sentenza, infatti, non ipotizza affatto un simile
scorrimento promiscuo di acque chiare e sporche, ma assume, senza mezzi termini, che fosso e collettore fognario scorrono separatamente, salvo quanto sopra detto in ordine all’esistenza di un’apertura nel fosso grazie alla quale le acque, quando nei periodi di siccità non scorrono verso il fiume, sono convogliate nel collettore e destinate al depuratore comunale. Si legge testualmente nella sentenza: «sia dal reticolo idrografico regionale relativo al fosso Botrino, sia dallo stralcio del piano comunale risulta che il Botrino, dopo il tombamento, riprende il suo corso fino ad affluire nel fiume Era» (pag. 11, 12).
Così identificata la ratio decidendi , è chiaro che il motivo si esaurisce nel riproporre la tesi, non accolta dal TSAP, secondo cui nel fosso Botrino scorrono solo liquami e acque piovane destinate allo smaltimento, in quanto convogliati, gli uni e le altre, verso il depuratore. In questi termini, appunto, il motivo collide con la diversa ricostruzione dei fatti operata dal TSAP, che ha negato la coincidenza fra fosso e collettore fognario. Si capisce pertanto, avendo il TSAP operato una ricostruzione dei fatti diversa da quella assunta dalla ricorrente, che la denunziata violazione di norme è inesistente. Questa Suprema Corte ha chiarito che l’applicazione di una norma a una fattispecie concreta ricostruita dal provvedimento impugnato in modo erroneo o carente non ridonda necessariamente in violazione di quella stessa norma, ma può anche costituire espressione di un giudizio di merito la cui censura, in sede di legittimità, è possibile, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi (violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della
fattispecie concreta) è segnata in modo evidente dal fatto che solo quest’ultima censura e non anche la prima è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. n. 15499/2004).
4. Il secondo motivo è inammissibile. Infatti, sotto l’egida del vizio di omesso esame, la ricorrente sostiene che la corretta valutazione delle risultanze istruttorie avrebbe dovuto indurre il giudice a riconoscere la natura mista del fosso, in quanto comprovata sia dalle analisi chimiche, sia dal comportamento pregresso dell’Amministrazione. Tuttavia, non sussiste al riguardo nessun omesso esame, avendo il Tribunale considerato le analisi chimiche, ritenendo che esse non contraddicessero, di per sé, la natura pubblica delle acque, tenuto conto che anche i corsi d’acqua possono contenere sostanze inquinanti. Quanto al comportamento pregresso dell’amministrazione , il supposto ‘fatto’ è palesemente privo di decisività, tenuto conto che la sentenza impugnata non è fondata sulla pura classificazione formale del fosso, ma è essenzialmente giustificata sul rilievo che il fosso scorre separatamente dalla fogna, giustificandosi pertanto l’applicazione della disciplina in materia di acque pubbliche. Si ricorda in proposito, solo per completezza di esame, che «nel regime anteriore a quello introdotto all’art. 4 della legge 5 gennaio 1994, n. 37 (che, nel sostituire il testo dell’art. 947 cod. civ., ha espressamente escluso, per il futuro, tale eventualità), la sdemanializzazione tacita dei beni del demanio idrico non può desumersi dalla sola circostanza che un bene non sia più adibito anche da lungo tempo ad uso pubblico, ma è ravvisabile solo in presenza di atti e fatti che evidenzino in maniera inequivocabile la volontà della P.A. di sottrarre il bene medesimo a detta
destinazione e di rinunciare definitivamente al suo ripristino, non potendo desumersi una volontà di rinunzia univoca e concludente da una situazione negativa di mera inerzia o tolleranza» (Cass., S.U., n. 12062/2014).
In conclusione, la dettagliata e coerente motivazione del TSAP rende evidente l’inconsistenza del vizio di omesso esame di fatto decisivo, tanto da palesare l’intento della ricorrente, già invero risultante dalla sintesi del motivo fatta sopra, di riproporre alla Corte inammissibilmente il giudizio sul fatto (cfr. Cass. n. 825/2021; n. 24395/2020; ed altre).
Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore del controricorrente, liquidate in € 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 e agli accessori di legge ; dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite