Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25320 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25320 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20930/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona del procuratore speciale Dott. NOME COGNOME domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME;
-ricorrente-
contro
ASL N. 1 AVEZZANO SULMONA L’AQUILA, in persona del legale rappresentantep.t., elettivamente domiciliata in AVEZZANO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
-resistente- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO L’AQUILA n. 156/2022 depositata il 02/02/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/04/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Nel maggio 2011, la RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di L’Aquila, la ASL Avezzano -SulmonaL’Aquila , chiedendo la condanna dell’Ente al pagamento di Euro 1.752.259,58, oltre interessi moratori ai sensi del D.Lgs. n. 231/2002, ovvero – in subordine – al tasso legale, e maggior danno. La somma richiesta derivava da crediti ceduti dalla Casa di RAGIONE_SOCIALE Canistro, in relazione a prestazioni di assistenza ospedaliera rese nel periodo febbraio-dicembre 2008.
Si costituiva in giudizio la ASL, eccependo, in via preliminare, l’inopponibilità della cessione del credito per mancata adesione e mancata notifica, con conseguente difetto di legittimazione attiva in capo alla società attrice; nel merito, contestava l’esistenza di un rapporto contrattuale ai sensi dell’art. 8 -quinquies del D.Lgs. n. 502/1992, nonché la debenza degli interessi richiesti.
Nel corso dell’istruttoria, la RAGIONE_SOCIALE documentava che la RAGIONE_SOCIALE, accreditata provvisoriamente con il S.S.R. della Regione Abruzzo, aveva erogato prestazioni sanitarie in favore della ASL nel periodo di riferimento, contabilizzandole secondo il nomenclatore tariffario regionale e nei limiti del budget, come da provvedimenti amministrativi vigenti. La società produceva, tra l’altro, il DCA n. 3/08 del 5 novembre 2008, con cui il Commissario ad acta per la sanità della Regione Abruzzo aveva
stabilito, solo in data novembre 2008, i tetti di spesa per ciascun erogatore per l’intero anno 2008.
A fronte di una produzione complessiva pari ad Euro 8.815.319,68, la ASL aveva già corrisposto alla struttura la somma di Euro 7.063.060,10, trattenendo le somme relative a prestazioni ritenute inappropriate o incongrue in base a verifiche effettuate dalla Commissione Ispettiva.
Con sentenza n. 751/2017 del 14 dicembre 2017, il Tribunale di L’Aquila rigettava la domanda attorea, condannando la RAGIONE_SOCIALE alla rifusione delle spese processuali.
Avverso tale pronuncia proponeva appello la società attrice.
La Corte d’Appello di L’Aquila, con sentenza n. 156/2022 del 2 febbraio 2022, rigettava il gravame, ritenendo: (i) l’inopponibilità alla ASL delle cessioni di credito per difetto di notifica e di riconoscimento, anche tacito, da parte dell’Ente; (ii) la non debenza della somma azionata, in assenza di contratto ai sensi dell’art. 8 -quinquies del D.Lgs. n. 502/1992 e della formale assegnazione del budget per le prestazioni rese dalla struttura.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di L’Aquila ricorre Intesa San Paolo, articolando tre motivi di censura.
La ASL Avezzano-Sulmona-
L’Aquila non ha svolto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.1. Con il primo motivo di ricorso, Intesa Sanpaolo S.p.A. denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697, 1260 e 1264 c.c., nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c., per avere la Corte d’Appello erroneamente ritenuto inefficaci e inopponibili alcune cessioni di credito, per asserita mancanza della prova della notificazione alla P.A. debitrice (v. pag. 11 ricorso).
La ricorrente lamenta che il giudice di secondo grado avrebbe trascurato le prove documentali regolarmente prodotte in atti,
costituite dagli atti di cessione corredati dagli avvisi di ricevimento delle notificazioni effettuate nei confronti della ASL debitrice (cfr. all. 8 del fascicolo di legittimità).
Inoltre, evidenzia che la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto del principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità (in particolare, con la sentenza di questa Corte n. 764/2018) secondo cui la notificazione della cessione del credito non è soggetta a particolari formalità, potendo essere validamente eseguita mediante comunicazione scritta semplice ovvero mediante notificazione dell’atto introduttivo del giudizio, idonea a rendere la cessione opponibile al debitore ceduto.
Sotto tale profilo, ad avviso della ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe errato nell’attribuire rilevanza decisiva alla presunta mancanza di notifica formale, omettendo di considerare il contenuto probatorio degli atti prodotti, e disattendendo i criteri di valutazione della prova sanciti dagli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché l’onere probatorio previsto dall’art. 2697 c.c., il cui corretto riparto – si assume – sarebbe stato violato nella decisione impugnata.
4.2. Con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 1339 c.c. e 12 disp. prel. c.c., in relazione agli artt. 16 e 17 del r.d. n. 2440/1923, al D.Lgs. n. 502/1992, alla L. n. 724/1994 e al D.Lgs. n. 299/1999, nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c.
Lamenta che la Corte d’Appello abbia erroneamente escluso il diritto alla remunerazione delle prestazioni sanitarie rese dalla struttura cedente, sul solo presupposto della mancanza di un contratto formalmente sottoscritto tra quest’ultima e la ASL, contenente la specifica attribuzione del budget per l’anno 2008.
Secondo la ricorrente, tale conclusione si fonda su un’erronea interpretazione della normativa vigente in materia di accreditamento provvisorio e finanziamento dell’attività sanitaria,
in quanto la fonte contrattuale del diritto al pagamento non si esaurisce nel contratto formalmente sottoscritto, ma deve essere individuata anche nella Delibera commissariale n. 3/2008, contenente la fissazione dei tetti di spesa per le prestazioni ospedaliere, e nel nomenclatore tariffario regionale, entrambi ritualmente prodotti nel giudizio di primo grado.
Tali atti, unitamente alla documentazione contabile relativa alle prestazioni rese nel corso del 2008 (fatture emesse e parzialmente pagate), integrerebbero – secondo la prospettazione difensiva – gli estremi di un rapporto negoziale in senso sostanziale, idoneo a fondare il diritto della struttura sanitaria (e per essa del cessionario) alla remunerazione delle attività sanitarie effettivamente erogate, nei limiti del budget assegnato.
Inoltre, la Corte d’Appello avrebbe omesso di considerare l’efficacia integrativa delle clausole normative di settore nel contratto d’opera professionale, ai sensi dell’art. 1339 c.c., con conseguente errata esclusione della fonte dell’obbligazione in capo alla ASL, in violazione dei principi normativi in tema di accreditamento e regolazione del rapporto tra ente pubblico e soggetto privato erogatore di prestazioni sanitarie.
La ricorrente lamenta, altresì, la violazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., per avere la Corte omesso di considerare il complesso degli elementi documentali offerti in giudizio e costituenti prova anche presuntiva dell’attività svolta e del relativo credito.
4.3. Con il terzo motivo di ricorso, Intesa Sanpaolo prospetta, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché degli artt. 2697 e 2729 c.c.
Deduce la violazione delle disposizioni richiamate in rubrica, lamentando che la Corte d’Appello non abbia ritenuto provato l’esistenza del rapporto negoziale tra la struttura cedente e la ASL,
nonché l’esistenza del budget di spesa per l’anno 2008, relativamente alle prestazioni sanitarie rese e rimaste insolute.
La ricorrente assume che la Corte aquiliana avrebbe dovuto ritenere dimostrata la remunerabilità delle prestazioni, in forza del principio di non contestazione di cui all’art. 115, primo comma, c.p.c., atteso che la ASL non aveva specificamente contestato le fatture prodotte in giudizio.
Sotto il profilo probatorio, si afferma che le fatture, in assenza di contestazione, cessano di costituire meri indizi e assumono valore di prova diretta dell’avvenuta prestazione.
Asserisce, inoltre, che, ai sensi dell’art. 2729 c.c., la Corte avrebbe dovuto valorizzare, tramite ragionamento presuntivo, la circostanza che la ASL avesse provveduto a effettuare pagamenti parziali in favore della struttura e che le verifiche ispettive della Commissione tecnica si fossero concluse con esito favorevole (v. p. 18, ricorso).
Ritiene, infatti, che tali elementi erano idonei a fondare, sul piano presuntivo, l’esistenza del rapporto obbligatorio, l’effettiva erogazione delle prestazioni sanitarie e la disponibilità del relativo tetto di spesa, tanto più in difetto di una prova contraria fornita dall’Amministrazione resistente.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
A dispetto della rubrica, nella quale si deduce formalmente la violazione di norme sostanziali e processuali, il motivo in esame si risolve, al fondo, in una censura rivolta alla ricostruzione dei fatti di causa operata dal giudice di merito, con particolare riferimento alla valutazione delle prove relative alla notificazione delle cessioni di credito in favore dell’odierna ricorrente.
Sul punto, va ribadito il consolidato principio secondo cui la valutazione delle risultanze istruttorie – comprese le presunzioni rientra nell’ambito dell’esclusivo, prudente apprezzamento del giudice del merito, in quanto tale insindacabile in sede di legittimità, salvo che ricorra il vizio di omesso esame di un fatto
decisivo di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. Tale vizio -com’è noto – si configura unicamente in presenza della totale omissione dell’esame di un fatto storico, principale o secondario, che risulti dagli atti o dalla sentenza, e che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, purché dotato di decisività, ossia tale che, se esaminato, avrebbe potuto determinare un esito diverso della controversia (per le pronunce più recenti cfr., ex multis , Sez. 1, Ordinanza n. 6838 del 14/03/2025; Sez. 5, Ordinanza n. 6829 del 14/03/2025; Sez. 1, Ordinanza n. 6381 del 10/03/2025).
In proposito e tuttavia, il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. non è stato neppure prospettato dalla ricorrente; del pari, deve altresì rilevarsi ad abundantiam – che il suo esame sarebbe stato comunque precluso nel merito dalla doppia conforme ex art. 348-ter, comma 5, c.p.c., non avendo la parte dimostrato che, nella specie, le ragioni di fatto poste a fondamento della decisione d’appello differiscano da quelle poste a base della sentenza di primo grado (v., da ultimo, Sez. 5, Ordinanza n. 5445 del 01/03/2025,).
In ogni caso, come si è dinanzi ribadito, questa Corte, quale Giudice di legittimità, non può sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella operata dai giudici del merito, né può rivalutare i fatti storici della causa, essendo limitata, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. e dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., alla sola verifica della sussistenza di una motivazione idonea, non meramente apparente, perplessa o insanabilmente contraddittoria (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 3267 del 12/02/2008; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014; da ultimo, Sez. 2, Ordinanza n. 8872 del 03/04/2025; Sez. 1, Ordinanza n. 6964 del 16/03/2025).
Nel caso che ci occupa, la Corte territoriale ha per vero esaminato le prove offerte, pervenendo, all’esito della espletata valutazione, alla conferma della decisione di primo grado, che aveva ritenuto
inefficaci e inopponibili le cessioni di credito per omessa notificazione alla ASL. Tale valutazione -frutto di un apprezzamento di merito non censurato nel giudizio di legittimità con i mezzi idonei ut supra illustrati – non può essere sindacata in questa sede nel suo intrinseco contenuto fattuale.
Parimenti infondata risulta la denunciata violazione dell’art. 2697 c.c., che – secondo la giurisprudenza consolidata – può sussistere solo nel caso in cui il giudice abbia erroneamente individuato la parte su cui gravava l’onere della prova, non anche quando si contesti, come nella specie, la fattuale valutazione delle prove effettuata nel rispetto dei criteri legali (cfr. Cass. civ., Sez. lav., ord. 1° aprile 2025, n. 8577; Sez. II, ord. 28 marzo 2025, n. 8248).
Infine, le censure sollevate sotto il profilo degli artt. 115 e 116 c.p.c. risultano inammissibili, poiché non sono accompagnate dall’allegazione di alcuno dei presupposti richiesti dalla giurisprudenza di legittimità, ovvero: l’omesso utilizzo delle prove ritualmente dedotte e introdotte dalle parti; l’utilizzo di prove disposte d’ufficio al di fuori dei casi consentiti; l’attribuzione ad una prova di un valore diverso da quello stabilito dalla legge (cfr. Sez. 3, Ordinanza n. 8546 del 01/04/2025; Sez. 3, Ordinanza n. 7257 del 18/03/2025).
In conclusione, nessuna delle doglianze qui articolate si confronta correttamente con i limiti del sindacato di legittimità.
5.1. Il secondo motivo di ricorso è, invece, infondato, in quanto le doglianze articolate non colgono la complessiva ratio decidendi dell’impugnata sentenza.
Invero, la Corte territoriale, con motivazione puntuale e conforme ai principi di diritto applicabili, ha confermato quanto già ritenuto dal giudice di primo grado, ossia che Intesa Sanpaolo S.p.A. (già UBI Factor S.p.A.) non avesse diritto al pagamento degli importi fatturati dalla RAGIONE_SOCIALE per prestazioni di assistenza
ospedaliera rese nell’anno 2008, in quanto non era stata fornita la prova dell’esistenza di un contratto scritto, requisito necessario per l’erogazione legittima di tali prestazioni nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale (a pagg. 6-9 della sentenza impugnata).
La Corte d’Appello si è così correttamente uniformata all’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il passaggio dal previgente regime di convenzionamento al nuovo sistema dell’accreditamento, previsto dall’art. 8 del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modifiche, non ha inciso sulla natura sostanzialmente concessoria del rapporto tra le strutture sanitarie private e il Servizio Sanitario Regionale. Ne consegue che, in assenza di un provvedimento amministrativo regionale di accreditamento e di uno specifico contratto con l’Ente pubblico, non può sorgere in capo alla Regione (o alla ASL) alcun obbligo di pagamento per le prestazioni rese dalla struttura privata (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 28961 del 11/11/2024; Sez. 1, Ordinanza n. 19810 del 18/07/2024; Sez. 1, Ordinanza n. 19431 del 15/07/2024; Sez. 1, Ordinanza n. 18369 del 05/07/2024; Sez. 1, Ordinanza n. 10154 del 17/04/2023).
In linea con tali premesse, questa Corte ha più volte precisato che, nell’ambito del servizio sanitario nazionale, l’art. 8 del D.Lgs. n. 502 del 1992, come integrato dall’art. 6 della L. n. 724 del 1994, nel prevedere la necessità di un provvedimento concessorio di accreditamento per l’accesso alla qualifica di erogatore del servizio, comporta che non può essere posto a carico delle Regioni alcun onere di erogazione di prestazioni sanitarie in assenza di un provvedimento amministrativo regionale che riconosca alla struttura la qualità di soggetto accreditato ed al di fuori di singoli e specifici rapporti contrattuali intesi a regolare il volume massimo delle prestazioni erogate, i requisiti del servizio e l’ammontare dei corrispettivi, dovendosi, in ogni caso, escludere, ai sensi dell’art. 8 -quinquies del citato D.Lgs. n. 502 del 1992, che possano
validamente concludersi accordi contrattuali per ‘ facta concludentia ‘. I contratti con la P.A., infatti, ancorché quest’ultima agisca iure privatorum , devono comunque rivestire, a pena di nullità (ex artt. 16 e 17 del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440), la forma scritta, che è strumento di garanzia nell’interesse del cittadino, nella misura in cui, da un lato, costituisce remora ad arbitri e, dall’altro, agevola l’espletamento della funzione di controllo (in tal senso, ex multis , Sez. 1, Ordinanza n. 18369 del 05/07/2024; Sez. 3, Ordinanza n. 7019 del 11/03/2020; Sez. 6 3, Ordinanza n. 12392 del 03/06/2014; Sez. 3, Sentenza n. 1740 del 25/01/2011).
Il richiamato principio trova peraltro applicazione anche nei casi come quello oggetto del presente giudizio – di accreditamento provvisorio, poiché, in tale regime, da un lato, la struttura si obbliga a rispettare le tariffe stabilite, le eventuali clausole di regressione tariffaria e i limiti quantitativi di prestazioni imposti in relazione ai tetti di spesa; dall’altro, l’Ente pubblico assume l’obbligo di corrispondere i compensi solo a fronte di un contratto formalmente stipulato, nelle forme appena sopra descritte, ovvero nei limiti in cui tale obbligazione possa ritenersi integrata da previsioni legislative (cfr. Sez. 3, Ordinanza n. 5213 del 27/02/2025; Sez. 1, Ordinanza n. 3423 del 10/02/2025; Sez. 1, Ordinanza n. 29493 del 15/11/2024; Sez. 1, Ordinanza n. 29276 del 13/11/2024; Sez. 3, Ordinanza n. 28554 del 06/11/2024; Sez. 3, Ordinanza n. 17588 del 05/07/2018).
Alla luce di tali principi, ai quali la Corte aquilana si è espressamente conformata, la decisione impugnata risulta immune da censure sotto il profilo della violazione di legge e, pertanto, deve ritenersi insindacabile in questa sede di legittimità.
5.2. Il terzo motivo di ricorso deve ritenersi assorbito in ragione di quanto già rilevato in ordine al secondo motivo. In ogni caso, esso si appalesa comunque inammissibile sotto una pluralità di profili.
Ed invero, le dedotte censure, pur formalmente riferite alla violazione e falsa applicazione di norme di legge, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., risultano, in realtà, volte a sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti di causa, prospettando una valutazione alternativa delle risultanze istruttorie rispetto a quella compiuta dalla Corte d’Appello, non consentita in sede di legittimità.
Come costantemente affermato da questa Corte, il motivo di ricorso ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. è ammissibile soltanto ove il ricorrente indichi specificamente le norme di legge che assume violate, ne esponga il contenuto precettivo e operi un puntuale raffronto con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, al fine di dimostrare la loro non conformità al dettato normativo. Di contro, non è ammissibile un motivo che, sotto la veste della violazione di legge, censuri la ricostruzione in fatto della vicenda e la valutazione delle prove operata dal giudice del merito, sottratta al sindacato di questa Corte, come – per l’appunto – nel caso di specie (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 2477 del 02/02/2025; Sez. 5, Ordinanza n. 33379 del 19/12/2024; Sez. U, Sentenza n. 23745 del 28/10/2020).
Parimenti inammissibili sono le doglianze formulate sotto il profilo dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., atteso che il ricorso non si confronta con la presenza di una doppia conforme ex art. 348-ter, comma 5, c.p.c., non indicando le ragioni di fatto poste a fondamento della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza d’appello, né dimostrando che esse siano tra loro diverse (cfr. Sez. 2, Ordinanza n. 9040 del 05/04/2025; Sez. L, Ordinanza n. 8984 del 04/04/2025).
In particolare, la ricorrente invoca la presunta violazione dell’art. 2729 c.c., deducendo che dalla condotta complessiva dell’ASL (consistita in: a. mancata contestazione delle fatture; b. parziali pagamenti e accertamenti ispettivi) si sarebbe dovuta desumere, in
via presuntiva, l’esistenza di un vincolo contrattuale e la definizione di un budget per l’anno 2008.
Tuttavia, tale ricostruzione si pone in evidente contrasto con la ratio decidendi della sentenza impugnata, che ha escluso la sussistenza di un valido contratto (i.e., scritto) ai sensi dell’art. 8 -quinquies del D.Lgs. n. 502/1992, ritenendo, sulla base dell’istruttoria espletata, che per l’anno 2008 non fosse stato stipulato alcun accordo formale tra la ASL e la struttura sanitaria (a pagg. 7-8 della sentenza impugnata).
Né la ricorrente si è fatta carico di allegare elementi idonei a superare la preclusione derivante dalla predetta doppia conforme, avendo la Corte d’Appello integralmente confermato le statuizioni del primo giudice, tanto in punto di carenza del presupposto contrattuale, quanto in punto di infondatezza delle pretese creditorie della cessionaria.
Pertanto, il motivo in esame è inammissibile in quanto formulato in violazione dei principi di specificità e autosufficienza, e comunque infondato nel merito, non cogliendo la reale ratio decidendi della gravata sentenza.
Pertanto, la Corte rigetta il ricorso.
Al rigetto del ricorso non consegue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali, in difetto di difese da parte dell’ASL intimata, ma consegue la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, ove dovuto (Sez. U., Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione in data 14 aprile 2025.
Il Presidente NOME COGNOME