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Accreditamento sanitario: senza non c’è rimborso

Una struttura sanitaria privata ha richiesto a un’Azienda Sanitaria Locale il pagamento per prestazioni di alta specialità riabilitativa. La Corte di Cassazione ha negato il diritto al rimborso, confermando che l’accreditamento sanitario istituzionale è un presupposto indefettibile. La semplice classificazione della struttura come idonea non sostituisce l’atto formale di accreditamento.

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Pubblicato il 7 dicembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Accreditamento Sanitario: La Cassazione Conferma la sua Indispensabilità per i Rimborsi

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale nei rapporti tra strutture sanitarie private e Servizio Sanitario Nazionale (SSN): senza un formale accreditamento sanitario istituzionale, non è possibile ottenere il rimborso per le prestazioni erogate. Questa decisione chiarisce che il possesso dei requisiti di qualità, anche se elevati, non può sostituire l’atto formale di accreditamento, delineando confini netti per gli operatori del settore.

I Fatti del Caso

Una società che gestisce una casa di cura privata si era vista negare da un’Azienda Sanitaria Locale (ASL) il pagamento di un differenziale tariffario per prestazioni di riabilitazione ad alta specialità (identificate con il codice 75), erogate nel corso di un anno. La clinica, già accreditata per prestazioni di riabilitazione ordinaria (codice 56), riteneva di avere diritto a una remunerazione maggiore per le prestazioni più complesse, in quanto rientrava tra le strutture di ‘classe A’ secondo la normativa regionale.

Il Tribunale di primo grado aveva parzialmente accolto la richiesta della clinica, ma la Corte d’Appello aveva ribaltato la decisione. Secondo i giudici di secondo grado, la clinica non era legittimata a erogare e a farsi rimborsare quelle prestazioni specialistiche perché priva dello specifico accreditamento sanitario istituzionale, un requisito considerato imprescindibile. La Corte d’Appello aveva inoltre specificato che la situazione non era paragonabile a quella di un noto istituto di ricerca che, in passato, aveva ottenuto un’autorizzazione ad hoc per casi simili.

La Decisione della Corte di Cassazione

La struttura sanitaria ha impugnato la sentenza d’appello dinanzi alla Corte di Cassazione, formulando tre motivi di ricorso. La Suprema Corte, tuttavia, ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la linea della Corte d’Appello e condannando la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La decisione si fonda su un’interpretazione rigorosa del sistema che regola i rapporti tra sanità privata e pubblica, noto come ‘regime delle tre A’: autorizzazione, accreditamento e accordo contrattuale.

Le Motivazioni della Corte e l’importanza dell’accreditamento sanitario

La Corte di Cassazione ha smontato le argomentazioni della clinica, chiarendo i seguenti punti cruciali:

1. L’Accreditamento non è Sostituibile: Il cuore della motivazione risiede nella natura dell’accreditamento sanitario. Non è una mera formalità, ma l’atto con cui la Regione esprime un ‘giudizio di merito’ sulla struttura, verificando non solo il possesso dei requisiti tecnici, ma anche la coerenza della sua offerta con la programmazione sanitaria regionale. L’essere inseriti in una generica ‘classe A’ o possedere in astratto i requisiti non è sufficiente. Serve l’atto formale che certifica l’idoneità a erogare quelle specifiche prestazioni a carico del SSN.

2. Il Sistema delle ‘Tre A’: La Corte ha ricordato che il rapporto tra un operatore privato e il SSN è una sequenza procedimentale rigida: prima l’autorizzazione a operare, poi l’accreditamento per poter lavorare per il SSN, e infine la stipula di accordi contrattuali che definiscono volumi e tipologie di prestazioni rimborsabili. Saltare il secondo passaggio, quello dell’accreditamento, interrompe la sequenza e preclude il diritto al rimborso.

3. Irrilevanza degli argomenti ‘ad abundantiam’: Uno dei motivi di ricorso della clinica criticava un’affermazione della Corte d’Appello secondo cui il credito non era comunque certo e liquido per la mancanza di un fondo regionale specifico. La Cassazione ha dichiarato inammissibile questo motivo, spiegando che tale affermazione era stata fatta ad abundantiam, ovvero come un argomento aggiuntivo e non fondamentale per la decisione. Un’argomentazione di questo tipo, non essendo parte della ratio decidendi, non può essere oggetto di impugnazione per carenza di interesse.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame lancia un messaggio inequivocabile a tutte le strutture sanitarie private che operano o intendono operare in convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale. La qualità delle prestazioni e l’eccellenza strutturale sono necessarie ma non sufficienti. Il percorso per ottenere il rimborso delle prestazioni è strettamente regolato dalla legge e richiede il completamento di tutti i passaggi formali, primo fra tutti l’ottenimento dello specifico accreditamento sanitario istituzionale. Agire al di fuori di questo perimetro, anche se in buona fede e fornendo servizi di alto livello, espone al rischio concreto di non vedere remunerato il proprio lavoro.

È sufficiente essere una struttura sanitaria di alta qualità per ottenere il rimborso dal Servizio Sanitario Nazionale?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il possesso in astratto dei requisiti di qualità non è sufficiente. È necessario un atto formale di accreditamento istituzionale, che rappresenta un giudizio di merito da parte della Regione sulla struttura.

Cosa significa che l’accreditamento sanitario è un presupposto indefettibile per il rimborso delle prestazioni?
Significa che l’accreditamento è una condizione assolutamente necessaria e non può essere elusa o sostituita. Il rapporto tra strutture private e Servizio Sanitario Nazionale si basa su una sequenza di tre fasi (autorizzazione, accreditamento, accordo) e l’accreditamento è un passaggio obbligatorio per aver diritto al rimborso.

Un’argomentazione ‘ad abundantiam’ in una sentenza può essere contestata in Cassazione?
No. La Corte ha chiarito che un’affermazione ‘ad abundantiam’, essendo un’argomentazione aggiuntiva e non essenziale per la decisione finale (non fa parte della ‘ratio decidendi’), non può essere oggetto di ricorso per cassazione per difetto di interesse.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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