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Accreditamento sanitario: nullità e mancati pagamenti

Una società sanitaria ha richiesto il pagamento di oltre 11 milioni di euro per prestazioni in day hospital. La Cassazione ha respinto la richiesta, dichiarando la nullità dei contratti per la revoca dell’accreditamento sanitario, efficace ab origine a causa di gravi irregolarità strutturali preesistenti, impedendo qualsiasi pretesa di pagamento.

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Pubblicato il 2 dicembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Accreditamento Sanitario: Contratto Nullo se l’Autorizzazione è Viziata all’Origine

L’accreditamento sanitario rappresenta il fondamento su cui si basa il rapporto tra le strutture sanitarie private e il Servizio Sanitario Nazionale. Senza questo presupposto, nessun contratto può essere considerato valido e, di conseguenza, nessun pagamento è dovuto dalla Pubblica Amministrazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce con forza questo principio, chiarendo che la revoca dell’autorizzazione, se basata su vizi originari, travolge tutti i rapporti contrattuali passati, rendendoli nulli ab origine.

I fatti del caso

Una società titolare di una casa di cura ha citato in giudizio l’Azienda Sanitaria Locale e la Regione di competenza per ottenere il pagamento di circa 11 milioni di euro. La somma era richiesta a titolo di corrispettivo per prestazioni sanitarie in regime di day hospital erogate in un periodo di circa un anno e mezzo. La società sosteneva di aver agito sulla base di delibere regionali che autorizzavano la conversione di posti letto ordinari in posti per day hospital, incrementando così la propria capacità erogativa.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno respinto la domanda della società. La questione è quindi giunta all’esame della Corte di Cassazione.

La revoca dell’accreditamento sanitario e le sue conseguenze

L’elemento decisivo della controversia è emerso nel corso del giudizio di primo grado: la Regione, a seguito di un’indagine penale, aveva revocato alla casa di cura l’autorizzazione all’esercizio dell’attività. La revoca era motivata da gravi e persistenti irregolarità strutturali, urbanistiche e di prevenzione incendi. Questo provvedimento di revoca è diventato definitivo a seguito delle pronunce della giustizia amministrativa, incluso il Consiglio di Stato.

La difesa della società si basava sull’idea che tale revoca potesse avere effetti solo per il futuro (ex nunc). Tuttavia, la Cassazione ha sposato una tesi opposta, basandosi sulle sentenze amministrative che avevano accertato la “carenza ab origine dei requisiti strutturali”. Questo vizio originario ha un effetto travolgente: non si tratta di una semplice irregolarità sopravvenuta, ma di una mancanza fondamentale dei presupposti per ottenere la concessione di pubblico servizio fin dall’inizio.

Le motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione, con la sua ordinanza, ha chiarito che il rapporto tra Amministrazione e strutture private nel Servizio Sanitario Nazionale è di natura concessoria e si fonda su due pilastri: l’accreditamento sanitario e la stipula di specifici accordi contrattuali.

Secondo la legge (in particolare il D.Lgs. 502/1992), questi accordi devono avere la forma scritta ad substantiam, ovvero a pena di nullità. Non sono ammessi accordi per fatti concludenti. La Corte ha sottolineato che la revoca dell’autorizzazione, motivata da una carenza originaria dei requisiti essenziali, determina la nullità della concessione di pubblico servizio. Di conseguenza, vengono a cadere, per violazione di legge, anche tutti i contratti annuali di budget stipulati sulla base di quella concessione invalida.

La nullità del titolo contrattuale è una condizione che il giudice può e deve rilevare d’ufficio in ogni stato e grado del processo, qualora emerga dagli atti. Poiché il titolo su cui la società basava la sua pretesa era nullo ab origine, nessuna pretesa creditoria poteva sorgere. La mancanza di un valido rapporto contrattuale impedisce di porre a carico del Servizio Sanitario le prestazioni erogate, anche se effettivamente svolte.

Le conclusioni

La decisione stabilisce un principio fondamentale per la sanità convenzionata: l’accreditamento sanitario non è una mera formalità, ma il presupposto giuridico indispensabile per l’esistenza di un valido rapporto contrattuale con la Pubblica Amministrazione. Se l’autorizzazione si rivela viziata fin dall’origine per la mancanza di requisiti essenziali, la sua successiva revoca ha un effetto retroattivo che rende nulli tutti i contratti stipulati. Di conseguenza, la struttura sanitaria non ha diritto ad alcun pagamento per le prestazioni fornite, poiché erogate al di fuori di un valido quadro giuridico-contrattuale.

Una struttura sanitaria può pretendere il pagamento per prestazioni erogate se la sua autorizzazione viene revocata in seguito?
No, se la revoca è basata sulla constatazione di una carenza dei requisiti essenziali fin dall’origine (ab origine). In tal caso, la nullità travolge retroattivamente la concessione e tutti i contratti stipulati, rendendo inesigibile qualsiasi credito per le prestazioni erogate.

La revoca di un accreditamento sanitario ha sempre effetto retroattivo?
Non necessariamente. Tuttavia, nel caso esaminato, la revoca non era un atto discrezionale con efficacia futura, ma l’accertamento di un vizio strutturale preesistente. È questa natura di “vizio originario” a determinare l’effetto retroattivo della nullità sul rapporto contrattuale.

Perché un contratto con la Pubblica Amministrazione nel settore sanitario deve avere la forma scritta?
La forma scritta è richiesta ad substantiam, cioè per la validità stessa del contratto. Questa regola, prevista dalla normativa generale sui contratti della Pubblica Amministrazione e ribadita dalla legislazione sanitaria, serve a garantire trasparenza, certezza giuridica e controllo sulla spesa pubblica. L’assenza della forma scritta comporta la nullità dell’accordo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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