Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22955 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22955 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 28148/2020 r.g. proposto da:
CENTRO RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale rilasciata su foglio separato, il quale chiede di ricevere le comunicazioni e le notificazioni relative al presente procedimento all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato
-ricorrente-
CONTRO
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE MESSINA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale rilasciata su foglio separato da intendersi unito, in calce, al controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME il quale dichiara di voler ricevere le notifiche e le comunicazioni relative al presente procedimento all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato.
-controricorrente-
ricorrente incidentale-
avverso la sentenza della Corte di appello di Messina n. 212/2020, depositata il 18/5/2020.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di Consiglio del 24/4/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
Il Centro RAGIONE_SOCIALE Villa Maria depositava ricorso per decreto ingiuntivo nei confronti dell’Azienda sanitaria provinciale di Messina (ASP), chiedendo il pagamento della somma di euro 591.333,00, per prestazioni eseguite dall’agosto del 2007 fino al giugno del 2008, in base al n. 11 fatture emesse.
Proponeva opposizione la ASP deducendo che, in realtà, non vi era alcun rapporto di convenzionamento ex art. 8quater del d.lgs. n. 502 del 1992, in quanto l’autorizzazione regionale, ottenuta solo il 2/9/2002, non era stata poi ritenuta idonea a consentire l’accreditamento.
Ed infatti, in un primo momento, la società era stata inserita tra le strutture accreditate, o meglio tra quelle che potevano ottenere l’accreditamento, in data 7/12/2006.
Con nota del 27/8/2007 veniva dichiarato l’avvio dell’attività.
Il 21/12/2007 era emesso l’elenco di verifica effettuata per l’accreditamento.
Successivamente, a seguito di una verifica più approfondita, era emerso che l’autorizzazione del 2/9/2002 era stata rilasciata oltre il termine consentito dalla legge, sicché veniva inviato in data 31/1/ 2008 il preavviso di revoca dell’autorizzazione del 2/9/2002.
Si chiariva che non vi era stata la stipulazione del contratto e mancava anche l’accreditamento.
Il 18/11/2008 la società era stata espunta dai soggetti aventi diritto al budget e le fatture non erano state quindi pagate.
Veniva proposto ricorso al Tar da parte della società avverso la nota del 31/1/2008, con la quale il direttore generale del dipartimento IRS dell’Assessorato regionale alla sanità comunicava l’esclusione dall’elenco delle strutture sanitarie che avevano superato positivamente le verifiche dei requisiti per l’accreditamento istituzionale. Con tale nota contestualmente veniva invitato il direttore generale dell’Asl a revocare con immediatezza l’autorizzazione sanitaria del 2/9/2002 e ad interrompere il rapporto convenzionale con la struttura.
3.1. Il Presidente del Tar per la Sicilia, con decreto del 4/3/2008, accoglieva la richiesta di sospensione cautelare del provvedimento, con conferma della sospensione da parte del Tar, in composizione collegiale, in data 13/3/2008.
3.2. Successivamente, il Tar con sentenza n. 667/2011, depositata il 7/4/2011, rigettava il ricorso, reputandolo infondato.
Si chiariva in motivazione che la società aveva ottenuto l’autorizzazione sanitaria, quale ambulatorio chirurgico, sin dal 1997.
Tale autorizzazione, però, non comprendeva l’attività di Day RAGIONE_SOCIALE, per la quale era stata richiesta per la prima volta nel luglio del 2002 e rilasciata il 2/9/2002.
Pertanto, poiché l’autorizzazione, per avere ancora vigore, nel regime transitorio, doveva essere stata rilasciata entro il 28/6/2002, la stessa aveva perso efficacia.
Non si trattava, però, di un atto di autotutela, ma esclusivamente del mancato accoglimento della domanda di accreditamento.
Tra l’altro, l’elenco pubblicato in ordine alle strutture ritenute ammesse all’accreditamento non era vincolante per l’Amministrazione regionale.
4. Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, con sentenza n. 594/12, depositata l’11/7/2012, rigettava l’appello della società, ma con diversa motivazione.
Ribadiva che, ai sensi del D.A. 5882/05, alla società non spettava l’accreditamento, non essendo stati rispettati i termini perentori.
Il termine ultimo, ai fini dell’accreditamento provvisorio, era quello del 28/6/2002, in base alla disciplina vigente.
Diversamente, alla data di pubblicazione del menzionato D.A., Chirurgia Ambulatoriale e Day Surgery, ad avviso dell’appellante società, costituivano due modalità diverse di esercizio della stessa attività (la Chirurgia Ambulatoriale).
Per il Consiglio di giustizia amministrativa non era condivisibile la tesi del Tar, per la quale il decreto del 31/1/2018 non costitutiva un atto di autotutela.
Per il Giudice d’appello, infatti, la società era stata inserita nell’elenco dei soggetti formalmente ammissibili all’accreditamento, come struttura sanitaria privata in regime di ricovero a ciclo continuativo e diurno per acuti con tipologia di attività Day Surgery, pubblicato il 7/12/2006; successivamente era avvenuto l’accreditamento con decreto dirigenziale del 30/11/2007, pubblicato il 22/12/2007.
Tuttavia, dopo un riesame degli atti, il dipartimento IRS, con il provvedimento del 31/1/2008, aveva escluso la struttura dall’elenco di quelle società che avevano superato le verifiche ai fini dell’accreditamento, evidenziando che l’autorizzazione sanitaria era stata rilasciata oltre i termini di legge e in difformità alle prescrizioni di cui all’art. 6 del D.A. n. 890/2002.
Tuttavia, il provvedimento non era suscettibile di annullamento per la asserita violazione delle garanzie procedimentali di cui alla legge n. 241 del 1990 e alla legge regionale Sicilia n. 10 del 1991.
Trattavasi, infatti, di provvedimento vincolato, sicché, ai sensi dell’art. 21octies , della legge n. 241 del 1990, non si poteva procedere all’annullamento, nel momento in cui fosse palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
In relazione al merito della controversia, il Giudice di secondo grado riteneva legittimo il provvedimento di autotutela, di natura vincolata, in quanto l’autorizzazione sanitaria era stata rilasciata solo il 2/9/2002, quindi oltre il termine del 28/6/2002.
La pregressa autorizzazione del 3/2/97, invece, era stata rilasciata dal Sindaco di Messina ma era relativa all’attività di ambulatorio di chirurgia, in alcun modo riconducibile a quella di Day Surgery.
Solo con il D.A. 32207 del 26/6/2000 erano state dettate le disposizioni per l’organizzazione delle attività di Day Surgery nelle strutture private in regime libero professionale.
Proprio in relazione a tale decreto n. 32207 del 2000, la società aveva chiesto per la prima volta l’autorizzazione all’esercizio dell’attività in questione nel mese di luglio 2002.
L’autorizzazione però, come detto, era stata rilasciata solo il 2/9/ 2002, ossia in data successiva alla pubblicazione del D.A. n. 890 del 17/6/2002, recante direttive per l’accreditamento istituzionale delle strutture sanitarie nella Regione Siciliana.
Quanto alla successiva autorizzazione rilasciata il 20/11/2009, trattavasi di autorizzazione all’esercizio di un’attività che non era a carico del servizio sanitario regionale.
Il Tribunale con sentenza n. 169 del 2011 revocava il decreto ingiuntivo; non riconosceva le prestazioni successive alla revoca dell’autorizzazione, in data 31/1/2008, e quindi dal febbraio 2008 al giugno 2008.
Rilevava che erano state già pagate le somme fino a gennaio 2008, prima della revoca.
Avverso tale sentenza proponeva appello principale la società, chiedendo il pagamento anche delle prestazioni rese dal febbraio 2008 al giugno 2008, essendo intervenuto nel frattempo il provvedimento di sospensione della revoca da parte del Tar il 13/3/2008.
La società chiedeva anche l’indennizzo da ingiustificato arricchimento.
In particolare, rilevava che con le note dell’8/4/2008 e dell’8/7/ 2008 era avvenuta la comunicazione di budget provvisorio da parte di ASP.
Era stato riconosciuto anche l’accreditamento il 20/11/2009.
Proponeva appello incidentale l’ASP reputando non dovute neppure le somme pagate spontaneamente sino al gennaio 2008, in assenza di una convenzione.
La Corte d’appello di Messina, con sentenza n. 212/2020, depositata il 18/5/2020, rigettava sia l’appello principale della società che l’appello incidentale dell’ASP.
8.1. Con riguardo all’appello principale della società, evidenziava che, dopo i provvedimenti di sospensiva del provvedimento di revoca da parte del Tar, prima in composizione monocratica il 4/3/2008, poi in composizione collegiale, il 13/3/2008, era sopraggiunta la sentenza del Tar n. 667 del 2011, seguita dalla sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa siciliana dell’11/7/2012, n. 594 del 2012, che aveva respinto l’appello della società.
La sentenza del Tar aveva prodotto effetti retroattivi, con efficacia ex tunc , alla data del provvedimento di revoca impugnato, che era legittimo.
L’ASP, però, dopo il provvedimento di sospensiva della revoca da parte del Tar, aveva dovuto inviare la nota dell’8/7/2008 per la liquidazione del budget .
Veniva rigettata la domanda di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c.
8.2. Veniva respinto anche l’appello incidentale dell’ASP, in quanto c’era stata comunicazione di preaccredito per le prestazioni rese sino al gennaio 2008.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Centro Chirurgico.
Ha resistito con controricorso l’ASP, proponendo anche ricorso incidentale.
La società ha resistito con controricorso al ricorso incidentale.
Entrambe le parti hanno depositato memoria scritta.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione si deduce la «violazione e falsa applicazione dell’art. 1360 e 1458 c.c. e/o 1463 c.c., in combinato disposto con l’art. 12 delle preleggi in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.».
Per la ricorrente, era vero che la sentenza di rigetto nel merito aveva ripristinato la situazione precedente alla concessione della misura cautelare, tuttavia la Corte d’appello avrebbe dovuto comunque valutare gli effetti irreversibilmente verificatisi sotto la vigenza della misura cautelare, «nel caso, come quello di specie, di un contratto di durata a prestazioni corrispettive ed esecuzione periodica».
Ed infatti, per la ricorrente, in esecuzione della misura cautelare concessa dal Tar, avverso il provvedimento di revoca dell’accredita-
mento, le parti hanno proseguito, salvo l’esito del giudizio di merito, un rapporto sinallagmatico di durata, «la cui disciplina è stata del tutto ignorata dalla Corte territoriale».
Ad avviso della società ricorrente, dunque, sarebbe sufficiente richiamare i provvedimenti assunti dal ASP di Messina dopo la pronuncia cautelare del Tar Catania del 13/3/2008.
Si fa riferimento in particolare alla nota dell’8/4/2008, con la quale veniva assegnato alla struttura un budget provvisorio in misura pari a quanto previsto nell’anno precedente, oltre che alla nota dell’8/7/2008, con cui l’ASP forniva, oltre ad alcune indicazioni sulle modalità di erogazione e fatturazione delle prestazioni sanitarie, anche ulteriori precisazioni.
Si faceva riferimento alla necessità «di ottemperare alle superiori determinazioni».
Si tratterebbe, dunque, di un contratto di durata con prestazioni periodiche.
In tal caso, dunque, la decisione di rigetto nel merito del ricorso amministrativo non può incidere sull’assetto di interessi precostituito ed attuato in virtù dell’ordinanza cautelare.
La risoluzione ha effetto retroattivo tra le parti, ex art. 1458 c.c., ma «non per il caso di contratti ad esecuzione continuata o periodica, riguardo ai quali l’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite».
Tra l’altro, la Corte d’appello avrebbe del tutto omesso di esaminare la nota n. 6701 del 28/10/2008 ed il riconoscimento di debito in essa contenuto.
Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «nullità della sentenza per motivazione apparente in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.; violazione e falsa applicazione
dell’art. 645, comma 2, c.p.c.; dell’art. 167 c.p.c., e dell’art. 183, comma 5, c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
La Corte d’appello, con motivazione solo apparente, ha rigettato l’appello principale della società in ordine alla domanda di indennizzo per ingiustificato arricchimento.
Si sarebbe limitata ad affermare l’inammissibilità di tale domanda, richiamando una massima di questa Corte, relativa alla sentenza n. 22754 del 4/10/2013, e riportandone solo una parte.
La Corte territoriale avrebbe «inopinatamente indicato in sentenza solo la prima parte della massima, che nulla afferma in ordine alla ammissibilità della domanda, e dunque non è neanche astrattamente idonea a costituire motivazione».
Tra l’altro, la massima citata, nella seconda parte, evidenziava che nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo è ammissibile la domanda di arricchimento senza causa avanzata con la comparsa di costituzione e risposta dall’opposto, qualora l’opponente abbia introdotto nel giudizio, con l’atto di citazione in opposizione, un ulteriore tema di indagine.
La domanda di ingiustificato arricchimento era stata presentata dalla società nelle conclusioni della comparsa di costituzione e risposta depositata tempestivamente dinanzi al Tribunale di Messina.
Tale domanda era peraltro fondata, in quanto le prestazioni sanitarie in favore del Servizio sanitario nazionale erano state legittimamente rese sulla base di un provvedimento cautelare del Giudice amministrativo e delle stesse indicazioni e dell’istruzione dell’ASP, «che non le ha mai contestate e attratto certamente utilità dalle stesse».
Il primo motivo è infondato.
3.1. In realtà, sussiste tra le parti un giudicato esterno, costituito dall’ordinanza di questa Corte n. 16980 del 20/6/2024, in relazione
alle prestazioni rese nei mesi immediatamente successivi a quelli oggetto di questa vicenda.
Si tratta delle prestazioni rese nei mesi dal luglio 2008 al dicembre 2008.
Ebbene, in quel processo, il Tribunale di prime cure ha ritenuto insussistente il titolo convenzionale, proprio a seguito del giudicato esterno formatosi davanti al Giudice amministrativo.
Ha affermato, infatti, il Tribunale di Messina, con la sentenza n. 485/2014, resa nell’altro procedimento, avente ad oggetto le prestazioni dal luglio 2008 al dicembre 2008, che «le sentenze amministrative di I e II grado – che avevano definito i giudizi di impugnazione dei provvedimenti con cui l’ASP aveva revocato la convenzione – valendo da giudicato esterno circa l’insussistenza del titolo convenzionale, refluivano su giudizio in corso, determinando l’insussistenza del diritto al pagamento delle prestazioni oggetto del ricorso monitorio, relative appunto ad un periodo per il quale l’autorizzazione suddetta era stata revocata».
In sede di appello la società aveva dedotto, tra l’altro, la sussistenza del convenzionamento o dell’accreditamento idoneo a legittimare la pretesa di pagamento.
La Corte d’appello di Messina, in quel procedimento, con sentenza n. 101/2020, in accoglimento dell’appello ed in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva condannato l’ASP al pagamento della somma di euro 215.932,00, ma solo a «titolo di ingiustificato arricchimento», rigettando dunque la domanda con riferimento all’esistenza di una convenzione o di un accreditamento.
Avverso tale sentenza aveva proposto ricorso per cassazione l’ASP.
Aveva resistito con controricorso il RAGIONE_SOCIALE, che però non aveva proposto ricorso incidentale in ordine al mancato accogli-
mento della domanda di pagamento in virtù di convenzione e di accreditamento idonei.
La Corte di cassazione, poi, con la menzionata ordinanza n. 16980 del 20/6/2024, ha accolto il motivo di ricorso di cassazione dell’ASP in ordine alla domanda di ingiustificato arricchimento.
Tale giudicato esterno non può che valere anche nell’ambito di questo giudizio, intercorrente tra le stesse parti, in relazione a mensilità relative alla medesima annualità, ossia all’anno 2008.
Va aggiunto che nei rapporti di durata, il vincolo del giudicato formatosi in relazione a periodi temporali diversi opera solo a condizione che il fatto costitutivo sia lo stesso ed in relazione ai soli aspetti permanenti del rapporto, con esclusione di quelli variabili (Cass., sez. 1, 19/4/2023, n. 10430; Cass., sez. L, 18/8/2020, n. 17223).
Nella specie, trattandosi di rapporto di durata, con riferimento all’annualità 2008, non v’è dubbio che il giudicato si sia formato sia sull’insussistenza dell’accreditamento sia sull’inesistenza di un valido ed efficace contratto per tale annualità, che ne costituisce l’antecedente logico-giuridico.
Il secondo motivo è anch’esso infondato.
5.1. Si premette che la motivazione della sentenza della Corte territoriale è presente, sia in senso grafico, sia nella indicazione delle ragioni logiche e giuridiche sottese alla decisione adottata.
La Corte d’appello, infatti, ha ritenuto inammissibile la domanda di ingiustificato arricchimento presentata dalla società.
Ha dunque richiamato un precedente di questa Corte (Cass. sez. 3, 4/10/2013, n. 22754) affermando che «le domande di adempimento contrattuale e di arricchimento senza causa, quali azioni che riguardano entrambe diritti eterodeterminati, si differenziano, strutturalmente e tipologicamente, sia quanto alla causa petendi (esclusivamente nella seconda rilevando come fatti costitutivi la presenza
e l’entità del proprio impoverimento e dell’altrui locupletazione, nonché, ove l’arricchito sia una PA, il riconoscimento dell’ utilitas da parte dell’ente), sia quanto al petitum (pagamento del corrispettivo pattuito o indennizzo)».
6.1. È vero che il principio di diritto sotteso alla sentenza richiamata (n. 22754 del 2013) si riferisce in concreto all’ipotesi della tempestività della domanda riconvenzionale di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c., avanzata nel giudizio introdotto con il ricorso per decreto ingiuntivo, dall’opposto, in sede di comparsa di costituzione. Si precisa, nella sentenza citata, che è ammissibile la domanda di arricchimento senza causa avanzata con la comparsa di costituzione risposta dall’opposto (che riveste la posizione sostanziale di attore) soltanto qualora l’opponente abbia introdotto nel giudizio, con l’atto di citazione, un ulteriore tema di indagine, tale che possa giustificare l’esame di una situazione di arricchimento senza causa.
Ed è altrettanto vero che per questa Corte, a Sezioni Unite, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il creditore opposto può proporre domande alternative a quella introdotta in via monitoria, a condizione che esse trovino fondamento nel medesimo interesse che aveva sostenuto la proposizione della originaria domanda e che siano introdotte nella comparsa di risposta, ferma restando la possibilità, qualora l’opponente si avvalga dello ” ius variandi ” posteriormente all’atto di opposizione, di proporre domande che costituiscano una manifestazione reattiva di difesa, anche se non ” stricto sensu ” riconvenzionali, sino alla prima udienza e nella memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c. (nella specie la S.C. ha affermato l’ammissibilità della proposizione da parte dell’opposto, nella comparsa di risposta, di domande ex art. 2041 e/o ex art. 1337 c.c., aventi petitum almeno
in parte corrispondente alla pretesa avanzata in via monitoria) (Cass., Sez. U., 15/10/2024, n. 26727).
La decisione della Corte territoriale deve essere tuttavia confermata, dovendo solo essere modificate le ragioni del rigetto del gravame ai sensi dell’art. 384, quarto comma, c.p.c.
7.1. Ed infatti, si è recentemente chiarito, proprio nella controversia tra le stesse parti, e in relazione, appunto, alle mensilità dal luglio 2008 al dicembre 2008, che, in tema di indebito arricchimento, le prestazioni sanitarie erogate a favore della P.A. in mancanza di accreditamento della struttura, per intervenuta revoca della convenzione, implicano il carattere “imposto” dell’arricchimento, che preclude l’esperibilità dell’azione ex art. 2041 c.c. (nel caso di specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza della Corte d’appello che aveva ritenuto ammissibile il riconoscimento dell’indennizzo dell’azione di arricchimento, omettendo di considerare gli effetti dell’accertamento della mancanza di autorizzazione sanitaria e accreditamento istituzionale, coperto da giudicato amministrativo esterno) (Cass., sez. 3, 20/6/2024, n. 16980).
Si muove, infatti, dalle pronunce di questa Corte, per cui l’azienda sanitaria, comunicando alla struttura accreditata il limite di spesa stabilito per l’erogazione delle prestazioni sanitarie, manifesta implicitamente la sua contrarietà ad una spesa superiore, ovvero a prestazioni ulteriori rispetto a quelle il cui corrispettivo sarebbe rientrato nel predetto limite. Pertanto, l’arricchimento che la PA consegue all’esecuzione delle prestazioni extra budget assume un carattere «imposto» che preclude le esperibili da nei suoi confronti dell’azione di ingiustificato arricchimento ex art. 2004 c.c. (Cass., sez. 1, 22/2/2024, n. 4575; Cass., sez. 3, 25/11/2021, n. 36654; Cass., sez. 3, 6/7/2020, n. 13884; Cass., sez. 3, 24/4/2019, n. 11209).
Tali principi, valevoli in caso di sforamento dei tetti di spesa, sono stati poi estesi anche all’ulteriore ipotesi in cui, come nel caso in esame, le prestazioni sanitarie sono state rese sulla base di ordinanze del giudice amministrativo che hanno accolto, in via provvisoria, la richiesta di sospensiva del provvedimento di revoca dell’accreditamento del 31/1/2008. In tal modo superandosi anche le note dell’ASP dell’8/4/2008 e dell’8/7/2008, con le quali si comunicava il budget provvisorio, proprio a seguito dei provvedimenti interinali del Giudice amministrativo.
Questa Corte ha, dunque, affermato che il sistema sanitario non può prescindere dall’esigenza di perseguire obiettivi di razionalizzazione finalizzati al raggiungimento di una situazione di equilibrio finanziario attraverso la programmazione e pianificazione autoritativa e vincolante dei limiti di spesa.
Applicando quindi principi posti da questa Corte, a Sezioni Unite, nella sentenza n. 10798 del 26/05/2015, alle prestazioni sanitarie extra budget , si è evidenziato che «l’imposizione non comporta indennizzo alcuno a chi l’imposizione ha effettuato, secondo i principi generali contrari alla coazione/costrizione nei rapporti tra i soggetti Diversamente, lo strumento indennitario dell’art. 2041 c.c., anziché ripianare una situazione che ha perduto un corretto equilibrio economico, servirebbe per abusare delle capacità patrimoniali del soggetto cui l’indennizzo viene richiesto» (Cass., sez. 3, 20/06/2024, n. 16980).
Pertanto, la carenza di accreditamento determina il carattere «imposto» dell’arricchimento, sicché quest’ultimo, non essendo un presupposto sostitutivo del riconoscimento della utilitas da parte dell’arricchito, è inidoneo a dar luogo all’indennizzo.
Ha concluso questa Corte, nel precedente indicato (Cass. n. 16980 del 2024), che «la Corte territoriale ha errato nell’omettere di
considerare il riflesso che la mancanza di autorizzazione sanitaria e di accreditamento istituzionale (oggetto di accertamento, coperto da giudicato esterno amministrativo) sortiva sulla sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell’arricchimento».
Con un unico motivo di ricorso incidentale l’ASP di Messina deduce «in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.: violazione, per omessa applicazione degli articoli 8bis , 8ter , 8quater e 8quinquies del d.lgs. 502/1992, agli articoli 5 e 11 del D.A. San. 890/1992, dell’art. 4 del D.A. n. 5882/2005, 16 e 17 del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440».
In realtà, per la ricorrente incidentale il sistema transitorio dello accreditamento è sorto con la legge n. 724 del 1994 che, all’art. 6, nel rispetto dei diritti quesiti, riconosceva ai soggetti già convenzionati alla data del 31/12/1992 la possibilità di proseguire l’attività in regime di temporaneo accreditamento.
La Regione Siciliana, dopo l’emanazione del decreto delegato n. 229 del 1999, non ha legiferato in materia.
Tuttavia, il decreto n. 890 del 17/6/2002, pubblicato sulla GURS il 28/6/2002, ha approvato i requisiti minimi strutturali, tecnologici ed organizzativi generali e specifici richiesti per l’autorizzazione, quali imprescindibili per l’esercizio dell’attività sanitaria (art. 3), nonché gli ulteriori requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi, ai fini dell’accreditamento (art. 4).
È stato poi disciplinato il nuovo sistema d’accreditamento delle strutture già autorizzate ed in esercizio e di quelle che al momento della sua entrata in vigore operavano in regime di «indiretta», accreditandole provvisoriamente (art. 14) e prevedendo la creazione di un albo unico regionale delle strutture accreditate (art. 16).
L’art. 5 del decreto 17/6/2002 n. 890 ha dettato una norma di «blocco delle autorizzazioni», salvo alcune eccezioni, tra le quali non rientrava, però, la struttura di ricovero in Day Surgery.
Successivamente, con decreto del 1° luglio 2005 n. 5882, si è stabilito che la presentazione dell’istanza per l’accreditamento istituzionale era preclusa alle strutture che, per la tipologia specialistica di cui si chiedeva l’accreditamento, avessero ottenuto la prima autorizzazione sanitaria successivamente alla data di pubblicazione del decreto n. 890/02.
Per la ricorrente, dunque, in primo luogo, non vi era prova che il Centro Chirurgico Ambulatoriale Villa Maria, per la struttura di Day Surgery, avesse stipulato alcun accordo contrattuale ai sensi dell’art. 8quinquies del d.lgs. n. 502 del 1992.
Inoltre, anche con riferimento all’accreditamento, il provvedimento di revoca del 31/1/2008, in ossequio al giudicato formatosi sulle sentenze del Giudice amministrativo, è stato annullato d’ufficio, sicché gli effetti di tale annullamento decorrono ex tunc .
La struttura sanitaria, allora, non risulta mai essere stata accreditata, oltre a non essere mai stato stipulato un contratto.
Con il secondo motivo di ricorso incidentale l’ASP deduce «in relazione al sindacato della Corte di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.: violazione, per erronea applicazione dell’art. 91 c.p.c.».
Per la ricorrente incidentale, l’accoglimento del ricorso rendeva illegittimo il capo della sentenza della Corte territoriale relativo alla condanna alle spese di lite.
Il primo motivo di ricorso incidentale è fondato, con assorbimento del secondo motivo.
In effetti, il giudicato formatosi sulle sentenze del Giudice amministrativo non può non spiegare effetti anche in questa sede.
In particolare, il Consiglio di giustizia amministrativa della Regione
Siciliana, con la sentenza n. 594 del 11/7/2012, pur confermando la sentenza del Tar per la Sicilia n. 667 del 7/4/2011, rigettando l’appello, ha però modificato la motivazione.
In particolare, il Giudice di secondo grado ha ritenuto che il provvedimento di revoca del 31/1/2008 abbia rappresentato un vero e proprio provvedimento in autotutela, con il quale si è proceduto allo annullamento d’ufficio del precedente accreditamento provvisorio.
Come già detto, il Consiglio di giustizia amministrativa, dopo aver chiarito che la società appellante era stata inserita nell’elenco dei soggetti formalmente ammissibili all’accreditamento in data 7/12/ 2006 e successivamente accreditata con decreto dirigenziale 30/11/ 2007, ha però precisato che «dopo un riesame degli atti, poche settimane dopo, il dipartimento IRS, con il provvedimento del 31 gennaio 2008, escludeva la struttura dall’elenco Evidenziando che l’autorizzazione sanitaria era stata rilasciata oltre i termini di legge e in difformità alle prescrizioni di cui all’art. 6 del D.A. n. 890/2002».
Il provvedimento impugnato, dunque, aveva carattere vincolato e, per tale ragione, non poteva neppure essere annullato per la asserita violazione delle garanzie procedimentale di cui alla legge n. 241 del 1990, stante il disposto di cui all’art. 21octies , della stessa legge.
Gli effetti demolitori dell’annullamento hanno efficacia ex tunc .
12. Può aggiungersi, del resto, che il regime di accreditamento transitorio, dopo la legge n. 724 del 1994, nella Regione Sicilia è stato attuato con il decreto n. 890 del 17 giugno 2002.
In particolare, si è previsto all’art. 3 che occorreva «dare attuazione alla d.p.r. 14 gennaio 1997 approvando, ai fini dell’autorizzazione, i requisiti minimi strutturali, tecnologici ed organizzativi».
All’art. 4 si è sancito che «l’accreditamento deve costituire lo strumento regolatore del mercato delle prestazioni erogate per conto del Servizio sanitario regionale».
L’art. 9 ha disciplinato il procedimento di accreditamento provvisorio, per cui «i soggetti pubblici e privati, autorizzati dopo l’entrata in vigore del presente decreto, che presenteranno istanza di accreditamento, potranno essere ammessi al processo di accreditamento, previa verifica della loro funzionalità rispetto alla programmazione regionale e al fabbisogno di assistenza».
L’art. 11 dispone che «le strutture sanitarie preaccreditate per la specialistica ambulatoriale esterna nonché quelle che alla data di entrata in vigore del presente decreto erogano prestazioni specialistiche ambulatoriali in regime di assistenza indiretta, che presenteranno istanza di accreditamento, acquisiscono lo status di soggetto preaccreditato e dovranno adeguarsi entro 2 anni ai requisiti organizzativi generali e specifici previsti nell’allegato 1».
Di fondamentale rilievo è l’art. 14, a mente del quale «tutte le strutture sanitarie di ricovero, già autorizzate ed in esercizio, anche non provvisoriamente accreditate e le strutture che operano in regime di indiretta, alla data di entrata in vigore del presente provvedimento, che presenteranno istanza di accreditamento, acquisiranno lo status di soggetti provvisoriamente accreditati se, all’atto dell’istanza, autocertificando il possesso dei requisiti organizzativi generali e specifici, presenteranno il piano di adeguamento dei requisiti strutturali e tecnologici generali e specifici approvato dal competente organo tecnico, con il relativo piano dei costi».
La circolare 22/1/2003, n. 1009, ha precisato che «di fatto, in assenza di interventi legislativi della Regione in tema di accreditamento, si è determinata la condizione del riconoscimento esclusivo delle strutture ex ‘convenzionate’ con il SSN, attribuendo loro uno
stato di accreditamento provvisorio (regolato ulteriormente dalla legge n. 724/94) dal quale sono rimaste escluse tutte le strutture di nuova costituzione e quelle già esistenti, ma non vincolate, in precedenza, da un rapporto di convenzione con la Regione per l’erogazione di servizi sanitari pubblici».
Successivamente, con decreto 1/7/2005 n. 5882, si è chiarito che «la presentazione dell’istanza per l’accreditamento istituzionale è preclusa alle strutture che, per la tipologia specialistica di cui si chiede l’accreditamento, abbiano ottenuto la prima autorizzazione sanitaria successivamente alla data di pubblicazione del decreto n. 89/2002 ».
Nella specie, però, è pacifico che la società RAGIONE_SOCIALE ha ottenuto l’autorizzazione solo in data 2/9/2002, quindi successivamente al 28/6/2002, restando esclusa dal regime di accreditamento provvisorio.
Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia, con la sentenza n. 594/2012 ha peraltro chiarito che solo in data 8/6/ 2004 la società ha presentato istanza per il rilascio dell’autorizzazione ai sensi del D.A. 463/2003, ma «tale autorizzazione è stata rilasciata con DDG 02694 del 20 novembre 2009, ma trattasi di autorizzazione all’esercizio di un’attività che non è a carico del Servizio sanitario regionale».
La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, in ordine al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello di Messina, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale; accoglie il primo motivo del ricorso incidentale; dichiara assorbito il secondo morivo del ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata, in ordine al motivo accolto, con
rinvio alla Corte d’appello di Messina, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 24 aprile 2025