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Accreditamento sanitario: no a indennizzo se revocato

Una struttura sanitaria ha fornito prestazioni in base a un provvedimento cautelare che sospendeva la revoca del suo accreditamento sanitario. Tuttavia, la successiva sentenza di merito ha confermato la legittimità della revoca. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha stabilito che nessun pagamento è dovuto, né a titolo contrattuale né come indennizzo per ingiustificato arricchimento. La decisione si fonda sul principio del giudicato amministrativo esterno, che ha accertato l’inesistenza di un valido rapporto di accreditamento, e sulla natura ‘imposta’ dell’arricchimento, che esclude l’applicabilità dell’art. 2041 c.c.

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Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Accreditamento sanitario revocato: niente pagamento né indennizzo

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nei rapporti tra strutture sanitarie private e Servizio Sanitario Nazionale: il diritto al compenso per prestazioni erogate durante il periodo di efficacia di una sospensiva cautelare, successivamente annullata. La questione centrale riguarda le conseguenze della revoca definitiva di un accreditamento sanitario e l’impossibilità di ottenere un pagamento, anche a titolo di ingiustificato arricchimento.

I fatti di causa

Una struttura sanitaria ambulatoriale otteneva un decreto ingiuntivo contro un’Azienda Sanitaria Provinciale (ASP) per il pagamento di circa 591.000 euro, relativi a prestazioni eseguite tra il 2007 e il 2008. L’ASP si opponeva, sostenendo l’assenza di un valido rapporto di convenzionamento, poiché l’autorizzazione regionale della struttura era stata ritenuta inidonea per l’accreditamento.

La vicenda si è sviluppata su un doppio binario, civile e amministrativo. In sede amministrativa, l’autorizzazione della struttura era stata revocata. La società aveva impugnato tale revoca davanti al TAR, ottenendo una sospensione cautelare del provvedimento. Grazie a questa sospensiva, la struttura aveva continuato a erogare prestazioni. Tuttavia, il giudizio di merito si concludeva in modo sfavorevole per la società: sia il TAR che il Consiglio di Giustizia Amministrativa confermavano la legittimità della revoca, stabilendo che l’autorizzazione era stata rilasciata oltre i termini di legge e non era valida ai fini dell’accreditamento.

Nel frattempo, il giudizio civile proseguiva. Il Tribunale revocava il decreto ingiuntivo, e la Corte d’Appello rigettava sia l’appello principale della società (che chiedeva il pagamento) sia quello incidentale dell’ASP (che contestava i pagamenti già effettuati).

La decisione della Corte sull’accreditamento sanitario

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso principale della struttura sanitaria e accolto quello incidentale dell’ASP, cassando la sentenza d’appello. La decisione si fonda su due pilastri giuridici fondamentali: il valore del giudicato amministrativo e l’interpretazione dell’azione di ingiustificato arricchimento.

L’efficacia vincolante del giudicato amministrativo

I giudici hanno chiarito che la sentenza definitiva del Consiglio di Giustizia Amministrativa, che ha sancito l’illegittimità della revoca dell’accreditamento con efficacia ex tunc (cioè retroattiva, fin dall’inizio), costituisce un giudicato esterno. Questo significa che la sua statuizione è vincolante anche per il giudice civile. Di conseguenza, nel periodo in cui sono state erogate le prestazioni, non esisteva alcun valido rapporto di accreditamento tra la struttura e l’ASP. La base contrattuale della richiesta di pagamento è quindi venuta a mancare completamente.

La natura ‘imposta’ dell’arricchimento e il ruolo dell’accreditamento sanitario

La Corte ha affrontato anche la domanda subordinata della società, basata sull’ingiustificato arricchimento (art. 2041 c.c.). La struttura sosteneva che, avendo comunque erogato le prestazioni, l’ASP ne aveva tratto un’utilità e doveva quindi corrispondere un indennizzo.

La Cassazione ha respinto anche questa tesi, basandosi su un orientamento consolidato. L’arricchimento della Pubblica Amministrazione, in questo caso, è stato definito ‘imposto’. Le prestazioni, infatti, sono state rese non per volontà dell’ASP (che aveva revocato l’accreditamento), ma in forza di un ordine cautelare del giudice amministrativo, poi rivelatosi infondato. La mancanza di un accreditamento sanitario valido è un vizio insanabile che determina il carattere ‘imposto’ dell’arricchimento, precludendo l’azione di indennizzo. L’accreditamento non è un mero requisito formale, ma il presupposto essenziale che legittima l’erogazione di prestazioni a carico del sistema sanitario pubblico e il relativo pagamento.

Le motivazioni della Cassazione

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che l’ordinamento non può tollerare che una struttura priva dei requisiti di legge possa ottenere un compenso dal Servizio Sanitario Nazionale. La sentenza amministrativa definitiva ha demolito con effetto retroattivo il presupposto stesso del rapporto, ovvero l’accreditamento. Permettere il pagamento, anche solo a titolo di indennizzo, significherebbe aggirare le norme imperative che regolano la spesa sanitaria pubblica e i requisiti per accedervi. L’effetto della sentenza di merito che rigetta l’impugnazione è quello di ripristinare la situazione giuridica preesistente alla misura cautelare, come se quest’ultima non fosse mai stata concessa. Pertanto, tutte le prestazioni rese durante quel periodo sono prive di titolo giuridico.

Conclusioni

Questa ordinanza riafferma un principio di rigore fondamentale: senza un valido e definitivo accreditamento sanitario, nessuna prestazione può essere posta a carico del Servizio Sanitario Nazionale. La presenza di un provvedimento cautelare favorevole non è sufficiente a garantire il pagamento se, all’esito del giudizio, tale provvedimento viene meno. La decisione del giudice amministrativo sulla legittimità degli atti della P.A. ha un’efficacia vincolante che si estende al giudizio civile, precludendo qualsiasi richiesta economica fondata su un rapporto che è stato giudicato inesistente fin dall’origine. Le strutture sanitarie devono quindi essere consapevoli che operare in un regime di incertezza giuridica, basato solo su una sospensiva, comporta un rischio imprenditoriale significativo che non può essere trasferito sulla collettività.

Una struttura sanitaria ha diritto al pagamento per prestazioni fornite sulla base di un provvedimento cautelare del giudice, se tale provvedimento viene poi annullato?
No, la sentenza di merito che annulla il provvedimento cautelare ha effetto retroattivo (ex tunc), eliminando alla radice il fondamento giuridico della pretesa di pagamento, come se il provvedimento sospeso (la revoca) fosse sempre stato valido.

È possibile chiedere un indennizzo per ingiustificato arricchimento se la richiesta di pagamento principale viene respinta per mancanza di accreditamento sanitario?
No. La Corte ha stabilito che la mancanza di un valido accreditamento sanitario, accertata con sentenza amministrativa definitiva, conferisce un carattere ‘imposto’ all’arricchimento dell’ente pubblico. Questo preclude la possibilità di richiedere l’indennizzo ai sensi dell’art. 2041 c.c.

Un giudicato formatosi in un processo amministrativo ha effetti anche nel successivo giudizio civile tra le stesse parti?
Sì, il giudicato amministrativo che accerta in via definitiva l’illegittimità e la revoca di un accreditamento sanitario costituisce un ‘giudicato esterno’ che vincola il giudice civile, il quale non può riconoscere l’esistenza di un valido rapporto contrattuale o di accreditamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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